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Autore: musicaddict    04/02/2008    2 recensioni
ville non poteva aspettarsi questo. non che un'assistente sociale gli suonasse al campanello per fargli presente che era padre da 11 anni! e quel bambino è identico a lui, eppure così diverso, così lontano... sarà un'avventura doverlo conoscere, recuperare gli 11 anni trascorsi, e cercare di non farsi odiare per quella decisione presa... quella pessima decisione. [fanfiction ambientata nel 2011]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VENTI

 

Quando la porta si aprì, Eljas scattò immediatamente in piedi. Il chirurgo si bloccò incrociando gli occhi grandi e di un’espressività disarmante del ragazzino, due occhi che in quel momento chiedevano aiuto.

Si sollevò lentamente la mascherina dalla bocca e cercò di trovare delle parole adatte a tranquillizzare quel bambino che, solo, restava lì in attesa di notizie come se da esse fosse dipesa la sua stessa vita. E il dottore non lo sapeva, ma era effettivamente così: la vita o la morte di Ville avrebbero cambiato definitivamente la vita di Eljas, sia in bene che in male.

-Immagino che sia tuo padre.- sussurrò rivolgendosi al ragazzino.

Eljas annuì a stento, quasi non fosse sicuro della risposta che stava dando. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non si ricordava come si mettesse insieme una parola, tantomeno una frase. Gli venne in aiuto Anita, la quale, appena accortasi della presenza del medico, gli corse incontro respirando affannosamente.

-Dottore, la prego, mi dica che sta bene! La supplico, mi dia delle buone notizie!- esclamò con un tono che lasciava trapelare tutto il dolore che può contenere una donna alla sola idea di perdere un figlio.

Il chirurgo cercò di calmarla prima di darle delle ulteriori informazioni, nel frattempo la raggiunsero anche Kari e Jesse, i quali si disposero a semicerchio attorno ad Eljas. Il bambino si sentiva estremamente a disagio, ancora non era riuscito a spiegarsi la sua presenza all’ospedale, ancora non aveva stabilito qual era il suo ruolo tra tutte quelle persone che si erano riunite attorno a Ville.

-Signora, si tranquillizzi, la prego. Siamo riusciti a bloccare l’emorragia, suo figlio è fuori pericolo per il momento. L’abbiamo indotto in coma per stabilizzare le sue condizioni, finché ciò non avverrà non possiamo essere certi di nulla, ma salvo complicazioni suo figlio se la caverà.- disse il medico stringendo una mano ad Anita per aiutarla a calmarsi.

I genitori e il fratello di Ville si lasciarono andare ad esclamazioni di gioia e a ringraziamenti alla santa arte della medicina, resero partecipi anche gli altri dei risultati e si rallegrarono a vicenda. L’unico che continuava a rimanere fuori era Eljas, che se ne stava ancora in piedi e muto vicino alla porta della sala operatoria, col dottore al suo fianco che osservava la scena soddisfatto.

Alzò lo sguardo per un momento, poi lo riabbassò –Posso vederlo?- domandò esitante.

Il dottore lo osservò attentamente –Dovrai aspettare che lo portiamo in una stanza privata, non posso farti entrare in sala operatoria.- rispose –Ma ti prometto che appena sarà possibile ti farò chiamare.- concluse con un sorriso affettuoso.

Eljas annuì, sempre mantenendo il silenzio.

-Lo sai, ho un figlio che avrà più o meno la tua stessa età.- continuò il chirurgo, il quale vedeva che il ragazzino ancora non aveva recuperato appieno le sue facoltà –Tuo padre deve essere orgoglioso di te, sostenere con tanta fermezza una situazione del genere…-

-Continuate a ripetermelo tutti, quanto Ville dovrebbe essere orgoglioso di me! Perché io sono l’unico a credere che se non fossi mai esistito le cose sarebbero andate molto meglio?- replicò Eljas. Il tono che utilizzò fu abbastanza triste e arrabbiato da colpire anche un uomo che aveva passato le ultime ore a cercare di salvare la vita a un essere umano aggrappato alla vita solo grazie a un filo sottile.

-Perché dici questo?- gli chiese.

-Perché senza di me Ville non avrebbe avuto l’incidente, mia madre non sarebbe morta e forse loro due sarebbero insieme e felici adesso!- disse il ragazzino stringendo i pugni con rabbia –E’ solo a causa mia che queste cose non sono successe…-

Sentire un ragazzino di 11 anni incolparsi della morte dei suoi genitori è uno spettacolo agghiacciante per chiunque, anche se si è perfettamente consci del fatto che la causa della morte è ben altra. Il sentimento violento che trapelava da Eljas quando si accusava di essere la causa delle catastrofi della sua famiglia era del tipo che metteva paura a chi lo ascoltava. I suoi occhi diventavano degli specchi micidiali, degli specchi che riflettevano all’esterno l’autolesionismo interiore in atto, uccidendo lentamente anche chi vi entrava in contatto.

-Le cause dell’incidente di tuo padre non c’entrano niente con te.- cercò di convincerlo anche il medico –Queste cose non possono essere né previste né evitate, purtroppo quando arrivano si può solo sperare che finiscano bene.-

-Potevo evitarlo se me ne restavo a casa o se mi facevo trovare prima.- insistette Eljas. Possibile che nessuno si accorgesse che la causa di tutto era lui?! Che la fonte di tutti i problemi non era altri che lui?! Alexandra aveva lasciato Ville perché aveva scoperto di essere incinta di lui, lei era morta perché stava andando a prendere lui in piscina, Ville aveva quasi fatto la stessa fine perché lui aveva voluto fargli un dispetto… Tutto riconduceva sempre e solo a lui! Eppure era come se fosse l’unico a vedere l’evidenza che tutti continuavano tenacemente a negare.

-Sarebbe successo in un’altra occasione, forse. Se è accaduto questo vuol dire che ci sono state delle ragioni, ma se tu te ne sei andato è perché qualcuno ti ha fatto andare via. Non è colpa tua, e se lo è, allora lo è di tutti.- gli rispose il dottore prima di essere chiamato da un’infermiera. –Scusami, il dovere mi chiama, ma più tardi verrò a chiamarti per poter vedere tuo padre.- e detto questo si congedò.

Quando Eljas ebbe la forza di alzare nuovamente lo sguardo trovò ad accoglierlo quello di suo nonno Kari, il quale gli sorrideva affettuosamente, accucciato di fronte a lui.

-Ancora non ne sei convinto, vero?- disse.

-Ho combinato troppi guai.- sussurrò piano il ragazzino.

Kari allargò le braccia per accogliere la figura debole di Eljas, che conficcò il viso nell’incavo della spalla del nonno, cercando quel buio e quel conforto che ancora non era riuscito a trovare, che ancora cercava da mesi, e riuscendo finalmente a trovarlo.

-Tutto quello che ti ha detto il dottore è vero: Ville deve solo essere orgoglioso di te, sono sicuro che lo è, che lo è sempre stato e che sempre lo sarà. Sei troppo simile a lui, sotto certi punti di vista, perché possa arrabbiarsi con te. E non penserà mai di darti la colpa per quello che gli è successo, altrimenti ti avrebbe già incolpato per l’abbandono di Alexandra.- lo consolò Kari –Lui amava davvero moltissimo tua madre, credo che solo l’idea di avere creato qualcosa di così bello insieme a lei sia sufficiente a renderlo orgoglioso della tua esistenza. Non potrà mai incolparti di niente.-

Eljas tornò a guardare gli occhi chiari del padre di Ville –Tu credi veramente che Ville pensi questo di me?- domandò sgomento –Credi veramente che lui sia orgoglioso di me?-

-E’ quello che continuiamo a ripeterti tutti da sempre, Eljas!- lo rimproverò affettuosamente Kari –Avresti dovuto vedere lo sguardo di tuo padre quando si sentiva un fallimento per come tu reagivi a quello che lui faceva o diceva. Sei molto importante per lui, anche se non lo dimostra abbastanza, lui ti vuole bene.-

Eljas fece una strana smorfia, quasi provasse schifo verso se stesso –Io invece l’ho davvero odiato, ho desiderato il male per lui… Mi faccio schifo!- sbottò.

Kari gli fece una calda carezza per cercare di calmarlo –No, non avercela così con te stesso. E’ normale che tu non abbia preso bene Ville, almeno all’inizio: non si è comportato molto bene nei tuoi confronti. Purtroppo lui è molto istintivo nelle cose che fa e tende a sottovalutarsi quando non dovrebbe, è come se avesse un’autostima al contrario!- disse, riuscendo a strappare un piccolissimo sorriso al nipote -Molte persone detestano Ville, quando lo conoscono, ma poi sia lui che gli altri capiscono come prendersi a vicenda e tutto si risolve. E’ normale che con te ci sia voluto più tempo, perché è stato uno shock per entrambi sotto diversi punti di vista, ma adesso si è risolto tutto. Non odiarti per qualcosa di cui non hai colpa.-

-Quando mamma è morta stava venendo a prendere me a nuoto…- sussurrò il bambino.

Lo sguardo di Kari si fece triste –Questo non significa che sia stata colpa tua. Poteva capitare in un qualsiasi altro momento, purtroppo.-

-Ma succede sempre quando si viene a cercare me che succedono queste cose.- rispose Eljas –E’ come se portassi sfiga!-

L’uomo si spaventò per il tono autodistruttivo con cui il ragazzino si era pronunciato. Afferrò strettamente le sue braccia e lo portò molto vicino ai suoi occhi –Non pensare a niente di così stupido, Eljas! Tu sei la fortuna più grande che sia mai capitata a mio figlio da che è venuto al mondo! Sei l’unica cosa che poteva fargli capire cos’è veramente importante al mondo.-

Eljas fissò le sue iridi verdi in quelle azzurrine del nonno, cercando di capire a chi doveva dar retta, se a quello che la sua coscienza gli diceva o a ciò che Kari continuava a ripetergli, come tutti gli altri, da quando era arrivato a casa Valo.

-Non voglio più sentirti dire che tu sei stato una sventura per la tua famiglia.- gli intimò Kari allentando la presa e abbracciandolo nuovamente –Mai più…-

Migé si avvicinò ai due con uno sguardo un po’ imbarazzato, tossicchiando qualche volta –Ehm… Kari? Posso disturbarti un attimo?- domandò con tutta la cordialità di cui disponeva.

-Certo, Migé, dimmi pure!- rispose l’uomo lasciando andare il nipote, dopo avergli indirizzato un sorriso d’intesa e d’affetto.

-Abbiamo un problema…- iniziò il bassista. Kari lo guardò senza capire. –I giornalisti là fuori sono venuti a conoscenza di Eljas. Stanno continuando a fare pressione per vedere il ragazzino… Credo sia il caso di prendere provvedimenti.-

Eljas guardò verso uno dei migliori amici di suo padre, soffermandosi sul suo sguardo preoccupato. Forse era vero che loro ci tenevano veramente a lui, che non lo incolpavano di niente…

-Io chiamo la polizia!- sbottò irritato Kari Rakohammas cominciando a cercare un telefono con lo sguardo.

-Non servirà a niente, il massimo che faranno sarà tenerli a bada fuori dall’ospedale, ma quando Eljas dovrà uscire sarà un casino.- obiettò Migé storcendo la bocca.

-Perché dovrei uscire?- domandò il bambino intromettendosi nel discorso.

Kari e Migé si scambiarono un’occhiata –Beh, ci vorrà ancora molto prima che si possa andare a far visita a Ville, sarebbe il caso che tu andassi a casa a dormire decentemente per almeno qualche ora. Sei in piedi da quasi 24 ore…- disse il bassista.

-Non voglio andare a casa!- protestò Eljas, infastidito dall’idea –Ho dormito prima, mentre aspettavamo il dottore, non serve che vada a casa ora.-

Anita si avvicinò al terzetto per far sentire le sue ragioni –Tesoro, ascoltami. I tempi dell’ospedale sono lunghissimi, sarebbe davvero il caso che tu andassi a riposarti decentemente. Basterebbe qualche oretta, non ti terremmo lontano per molto tempo…-

-Io non voglio andare via, voglio stare qui! Il dottore ha detto che fra poco saranno possibili le visite dei parenti stretti, e io voglio essere qui quando mi permetterà di andare a vedere mio padre!-

Silenzio.

Eljas sentiva che anche dentro di sé risuonava l’eco delle parole che aveva pronunciato.

Mio padre

Era come se non avesse mai pensato a Ville in quei termini prima di allora. In un certo senso era così, ogni volta che aveva detto mio padre era stato in maniera distaccata, più per sottolineare che c’era un legame naturale e legale che un senso di famigliarità. Invece in quel momento sentiva che sarebbe riuscito per la prima volta, dopo tanto tempo, a chiamare il cantante papà. Senza difficoltà. Basta muri indistruttibili, basta musi lunghi e scontrosi, basta tutto ciò che poteva compromettere un rapporto sincero. Una seconda possibilità del genere era solo un miracolo, non ce ne sarebbe stata un’altra.

Anita e Kari si scambiarono uno sguardo, Migé fissò il ragazzino come se lo vedesse la prima volta.

-Se non vuoi andare resta pure, allora.- disse sua nonna –Se hai voglia di riposarti un po’ posso chiedere a un infermiere se può farti usare un lettino del pronto soccorso.-

Eljas scosse la testa –Non ce ne sarà bisogno, non ho sonno.-

Migé si accucciò per guardarlo meglio negli occhi. Rimasero per qualche istante in quella posizione, senza che nessuno dicesse niente, sotto gli occhi incuriositi di tutti. –Finalmente l’hai capito.-

Non disse altro, ma sia lui che Eljas capirono benissimo di cosa si trattava, ed Eljas fu felice di essere finalmente uscito dal buio.

eccovi sbrogliato l'intrigo di "cosa ne sarà di Ville?". ^^ mi duole informarvi che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, seguito a ruota da un epilogo... ah, mi duole se mpre così tanto terminare le mie storie! intanto keep on enjoying me!

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