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Autore: Flaqui    28/07/2013    6 recensioni
Il mondo è diverso da come lo ricordate.
La società è moderna, avanzata, dotata di ogni genere di tecnologia e ha affrontato il problema Bomba Nucleare con la costruzione di alcune zone sicure in cui è ancora possibile vivere. In un ambiente post-apocalittico, li unici insediamenti umani ancora esistenti sono le quattro grandi Cupole, rette da un Governo irreprensibile e organizzate in delle rigide classi sociali dalle quali non si può scappare.
I Governanti, una classe sociale unicamente maschile, si occupa di offrire al Paese un sistema politico degno di questo nome. I Guerrieri, allenati nella grande scuola di Metallica, difendono il Paese da minacce esterne e interne. I Produttori svolgono li altri mestieri, occupandosi delle necessità loro e delle altre classi. Ma c'è gente che non ci sta.
"Il mondo di Melanie finisce lì, si esaurisce alle pareti di materiale invisibile della Cupola, dove l’aria è respirabile e dove, grazie all'aiuto delle macchine, qualcosa cresce ancora. Fuori dalla Cupola Melanie non sa cosa sia esistito, un tempo.
Ma sa cosa c’è adesso. La morte."
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N/A
In mia difesa posso dire che il capitolo era già pronto da una settimana ma che, la partenza a sorpresa organizzata dal mio dolce paparino mi ha impedito di postare.
Ma è un capitolo bello lungo e ricco di avvenimenti, quindi potreste perdonarmi. Per lo meno fino a quando non leggerete il finale.
Dunque, visto che è passato un po' di tempo, ecco cosa è successo nelle scorse puntate.
Nelle scorse puntate:
Rebecca, dopo essere arrivata a Metallica da circa una settimana e aver iniziato a conoscere qualcuno (la sua amica -Anya-, i ragazzi che hanno diviso il treno all'andata con lei - Nicko e Sean-, le sue compagne di dormitorio -Sandè e Cyvonne-, e l'assistente dell'Infermeria -Pyke-), affronta una serie di prove fisiche e psicologiche. L'ultima e più complicata prevede salvare la sua amica Anya da un terribile pericolo, missione che Rebecca non riesce a portare a termine (infatti lascia cadere Anya e crolla a terra come una cretinetta). Melanie, invece, ha dovuto salutare il suo migliore amico Ray, anche lui a Metallica, e anche il Governante Colin (che suo padre voleva spossasse per fronteggiare le spese famigliari e la tassa sul nubilato) che è dovuto partire per partecipare ad un Congresso come ambasciatore. I suoi problemi sono aumentanti quando ha spiato dalla finestra di casa sua sorella Sophie e la sua amica Katerina in atteggiamenti compromettenti.



Capitolo V
Quello che sta in alto




Rebecca si svegliò in infermeria, di nuovo.
Una infinitesimale parte della sua mente prese a scalpitare e a protestare, perché quella di svenire in seguito a esplosioni o strani eventi e ritrovarsi in Infermeria con il ghigno compiaciuto di Pyke davanti stava diventando una brutta abitudine, ma tutto il suo essere era teso all’inverosimile. Non appena fu in grado di muoversi e di parlare liberamente scattò a sedere, tremando convulsamente e urlando in faccia a Pyke.
Lui non fece una piega e le diede una sonora botta sulla spalla, costringendola a sdraiarsi di nuovo. Ridacchiava, come sempre, ma Rebecca continuava a sentire il freddo gelido del vento sulla pelle e le urla di Anya nelle orecchie.
«Ti sei ripresa, finalmente»disse, tenendola ferma con le braccia «Chi ti ha dato il bacio del risveglio, ragazzina?»
Rebecca si agitò di nuovo, ma si sentiva stranamente fiacca e debole: non riusciva nemmeno ad alzarsi completamente senza che la testa le girasse.
«Nessuno. Ho fatto tutto da sola»
Pyke rise di nuovo e le porse una tazza in metallo thean ripiena di un liquido giallognolo e fumante. Rebecca lo annusò circospetta  e ne bevve giusto qualche sorso. Aveva un sapore strano, dolciastro e un terribile retrogusto che le lasciò la gola secca.
«Bleah!»si lamentò, allontanandola e spingendola verso l’Assistente dell’Infermeria «Che schifo è ‘sta roba?»
«Risveglia le sinapsi» disse Pyke stringendosi nelle spalle e alzandosi dal suo letto. Rebecca non si era nemmeno accorta che fossero stati così vicini, fino a quel momento: era come se nel suo cervello ci fosse una confusione pazzesca.
«Cosa è successo?»chiese, passandosi le dita sulla fronte e trovandola sudata e appiccicosa «Era una simulazione vero? Anya sta bene?»
Rebecca non era stupida. Si era svegliata più volte, per brevi periodi, in una stanza buia e silenziosa, in preda al panico. Le prime volte era stato tremendo.
Non sapeva dove si trovava, ricordava indistintamente quello che era successo nella stanza buia e quello che aveva fatto ad Anya –l’aveva lasciata cadere! Era caduta, era morta, per colpa sua!- e, soprattutto, non riusciva a rimanere cosciente se non per pochi minuti, prima di ricadere in un sonno profondo e agitato. Dopo il terzo risveglio aveva capito di essere in Infermeria, riconoscendo la confusione sulla scrivania di Malina e le spranghe di ferro –il ferro era raro, aveva una consistenza diversa rispetto al thean e Rebecca l’aveva riconosciuto subito- del letto su cui era stesa.
Il respiro le mancava, aveva la fronte sudata e le tremavano le mani, eppure la sua mente era vigile e pronta ad analizzare la situazione.
Per quanto Metallica fosse una scuola piuttosto dura, non era ancora giunta ad uccidere i suoi studenti. Questo era stato il primo pensiero che le era balenato in mente. Poi l’intera faccenda, che le era apparsa, risveglio dopo risveglio, sempre più chiara e nitida, era completamente assurda. Una finestra che si allargava, vento che non arrivava da nessuna parte, porte che sparivano e persone che apparivano all’improvviso e senza nessuna logica.
Tutto questo, sommato ai confusi ricordi di Joss -il ragazzo dei Beta che si sedeva con loro a mensa e si improvvisava guida e conoscitore di Metallica- che raccontava delle terribili esercitazioni e simulazioni a cui gli studenti erano sottoposti, avevano portato Rebecca ad aggrapparsi a due possibilità. O era completamente pazza e quello che credeva di aver vissuto era stato solo un brutto sogno, o quella era stata la prima di una lunga serie di simulazioni.
«La tua amica? Quella che urla sempre?»la voce di Pyke la riportò indietro, scacciando le sue elucubrazioni «Sta benissimo, ovviamente. E, per la cronaca, lei non ti ha lasciato morire!»
Rebecca corrugò la fronte «Cosa? Che significa?»
Pyke la guardò con il suo solito sorrisetto enigmatico «Ah, lascia perdere, sei ancora rimbambita! Bevine un altro po’!»continuò, porgendole di nuovo la tazza.
Rebecca lo gettò giù senza lamentarsi, più per stanchezza che per altro, e si sentì subito meglio. Non era come quando le avevano dato il Rivitalizzatore. Questa volta, pur percependo chiaramente la realtà intorno a lei, sentiva una patina nebulosa che le oscurava la vista agli angoli. Riusciva a mettere a fuoco qualcosa solo guardandola direttamente.
«Perché non posso prendere di nuovo il Rivitalizzatore?»piagnucolò, scalciando le lenzuola che le si erano attorcigliate all’altezza delle caviglie.
«Perché quello si usa per ferite gravi e traumi. Tu ti sei solo presa paura durante una simulazione e hai sbattuto la capoccia sul pavimento»
Rebecca lo fulminò con lo sguardo.
Gli occhi percorsero oziosamente la stanza mentre sorseggiava nuovamente dalla sua tazza, distorcendo un po’ la bocca per il sapore. Sentiva la lingua scottare al contatto -anche se la bevanda era freddissima- e Rebecca pensò che, da quando era arrivata a Metallica, il cibo e i liquidi sembravano tutti aver cambiato sapore.
«Dove è Malina?»chiese quando ebbe finito e Pyke si fu allontanato dal suo letto e avvicinato alla scrivania ingombra di O.L.O. temporanei.
«E’ in città a fare rifornimento di Rivitalizzatore e di altri farmaci. Sai come è: da quando ci sei tu le nostre scorte sono state decimate»Pyke si strinse nelle spalle e controllò l’ora sulla sua Meridiana Portatile. Rebecca non riuscì a scorgere con esattezza il cifrario ma, dal simbolo del sole che brillava sullo schermo, dedusse fosse mattina.
«Che ore sono?»chiese, tirandosi a sedere di nuovo piena di energia «Perché sono rimasta qui, questa notte? Hai detto che sono solo caduta e che ho sbattuto la testa»
«Infatti. Ma Malina ha detto che, essendo già la seconda volta che ti fai male, avrebbe preferito tenerti in osservazione per la notte. Sai, due commozioni cerebrali vanno anche bene, ma una terza complica un po’ le cose… e poi oggi è Domenica, non avresti comunque avuto Allenamenti»Pyke agitò il braccio e Rebecca scorse, sotto il camice grigio, la sua solita tenuta da Guerriero Semplice, canotta e pantaloni larghi «Ma immagino che tu possa andare, ora»
Rebecca annuì e gettò le gambe oltre il bordo del letto, cercando a tentoni i suoi anfibi neri. Il pavimento era freddo e toccarlo con la pelle nuda le diede un orribile sensazione, un po’ come quella che aveva provato durante la simulazione, con quel vento gelido che le soffiava contro.
«Pyke?»chiese di nuovo, legandosi i lacci delle scarpe e tenendo lo sguardo basso «Che simulazione era, quella di ieri?»
«La fanno tutti, quella. Serve per vedere come reagisci al pericolo: se perdi il controllo o cose varie. Ieri, quando hanno finito di esaminare tutti, Cain e Erika lo hanno spiegato. Ti sei persa un ora e mezza di sproloquio, io al posto tuo sarei contento»
«E la parte con Anya?»Rebecca non poté trattenersi dal chiedere «Anya, la mia amica, lei… lei era in pericolo e io cercavo di salvarla… è normale anche questo?»
Pyke era scorbutico e la prendeva sempre in giro, tanto che Rebecca non sapeva mai se stesse parlando seriamente o meno, ma era anche l’unico lì a Metallica disposto a darle delle risposte e a comprendere il suo spaesamento di fronte a tutte quelle novità.
«La parte con il compagno, certo»l’Assistente dell’Infermeria si strinse nelle spalle «In pratica ti piazzano nella simulazione l’ologramma di uno dei tuoi compagni di dormitorio, o uno che conoscevi già da prima… un amico, diciamo. E lo mettono in pericolo»
La scrivania di Malina era davvero disordinata, notò Rebecca mentre fissava il ragazzo riordinarla con gesti veloci «Tu sei libero di andartene, ovviamente. Oppure puoi scegliere di salvarlo. Sai, questo passaggio lo inseriscono per vedere quale sarebbe il tuo comportamento nel caso dovessi lavorare in gruppo: se te la fileresti, se cedessi per la paura o cose del genere…»
«E poi?»
«Beh, poi dipende da come ti comporti, ecco. Erika e Cain gestiscono la simulazione in modo da comprendere il tuo modo di fare, quindi… beh, credo che se alla fine riesci a salvare il tuo compagno la missione può dirsi riuscita»
Rebecca ricordò le urla di Anya che precipitava giù. Aveva tentato di salvarla, di tirarla fuori dalla voragine, e ci era riuscita una volta. La seconda, però, aveva dovuto scegliere fra la sua vita e quella di Anya; e aveva scelto la sua. Era stata una scelta impulsiva, quella di salvarsi la pelle e, anche se a scapito di Anya, in quel momento le era sembrata la migliore.
Eppure ora, in quell’infermeria asettica e vuota, tutto le appariva in una prospettiva diversa.
L’ho lasciata cadere. Ho preferito rimanermene al sicuro e l’ho uccisa.
Rebecca non riusciva nemmeno a pensarci: la delusione l’aveva avvolta e la stava soffocando. L’umiliazione di non aver capito subito di essere nel bel mezzo di una simulazione, la prontezza con cui aveva lasciato la mano di Anya per assicurarsi alla finestra e evitare di cadere nel vuoto, il modo in cui aveva perso il controllo.
«Se non mi fossi salvata io, avrei fallito completamente. Ho dovuto farlo»continuava a ripetersi, eppure non si sentiva per niente meglio.
«Tu ci sei riuscito?»domandò a Pyke, cercando di non pensare alla simulazione «A salvare il tuo amico, dico»
Pyke non rispose subito, anzi, rimase in silenzio per un bel po’. Rebecca alzò gli occhi su di lui, come a imboccargli la risposta. Lui ricambiò il suo sguardo, poi si strinse nelle spalle e scivolò fuori dal suo camice «Vieni, facciamo un giro»
Rebecca lo soppesò, confusa, mentre lo guardava andare verso l’uscita dell’Infermeria e tenerle la porta aperta con una espressione stanca «Ma come, te ne vai così? E se qualcuno ha bisogno di aiuto? Chiudi l’Infermeria?»
«Fidati, non verrà nessuno»le fece un cenno con il braccio, intimandole di sbrigarsi. Rebecca si affrettò a indossare l’altro anfibio e, anche se si sentiva strana con la Divisa del giorno prima ancora addosso –probabilmente Malina aveva temuto di svegliarla, se gliela avesse sfilata-, si aggiustò i capelli sulla spalla destra e lo raggiunse alla porta.
Camminarono in silenzio lungo il corridoio dalle pareti grigie e uscirono fuori in cortile, così come avevano fatto qualche giorno prima. Questa volta, però, la Seconda Strada era piena di ragazzi e la piazzetta delle Quattro Direzioni era in fermento. Mentre si avviavano per la Terza, Rebecca osservò con curiosità i ragazzi di Metallica, che camminavano e parlottavano come normali adolescenti, e il tutto le fece uno strano effetto.
«E’ sempre così, la domenica?»chiese, girandosi verso Pyke e sorridendo allegra.
«Più o meno»Pyke si concesse quasi un sorriso, alzando di poco il viso come a godersi i raggi del sole e l’aria fresca «Oggi c’è più casino del solito per il fatto del Congresso»
«Il Congresso?»
«Dio, ragazzina, ma dove vivi? Il Congresso che stanno organizzando a Ran, quello con gli ambasciatori della Cupola Sud! Metallica manda in sua rappresentanza i Gamma di Primo e Secondo Livello: partono fra qualche ora»il ragazzo accennò ad un gruppetto particolarmente esteso di ragazzi in Divisa Ufficiale e Rebecca scorse, fra di loro, alcuni volti conosciuti o che aveva intravisto in Sala Mensa o in Palestra.
«E perché non hanno mandato gli Omega? Sono di meno e, credo, meglio allenati»
«Gli Omega non hanno tempo per queste stupidaggini: quelli si allenano tutto il tempo. E poi la tradizione vuole che gli Omega lascino Metallica solo quando il loro addestramento è completato»Rebecca fece per parlare, ma Pyke la precedette, aggiungendo «E poi i Gamma sono più che adatti. Teoricamente vanno lì per offrire supporto in caso di problemi, violenze o cose varie; ma in pratica è solo per far fare alla scuola bella figura, sai, come a dire “noi di Metallica ci preoccupiamo seriamente del destino della nostra Cupola” e bla, bla, bla…»
Nel frattempo erano arrivati vicino al muretto che delimitava l’Area Natura, in fondo alla Terza Strada e, Rebecca, ormai completamente dimentica della domanda lasciata in sospeso riguardo alla simulazione, si guardava intorno con curiosità.
Lei, Nicko e Anya erano andati in giro, quando nei giorni precedenti era stato loro concesso del tempo libero, e si erano avventurati per le quattro stradine, alla ricerca di qualcosa di interessante con cui passare il tempo. Ma non si erano avvicinati molto all’Area Natura, un po’ per paura dei rimproveri di Erika, un po’ perché quel fitto ammasso di Alberi Sintetici dava ansia ad Anya.
«Cosa facciamo qui?»
«Ma tu non stai mai zitta?»chiese Pyke, frugando nelle tasche del pantalone e avvicinandosi al muretto. Quando estrasse fuori una sigaretta, Rebecca strabuzzò gli occhi.
«Cosa st…»
«Basta» Pyke la interruppe con un gesto secco della mano «Senti, sei davvero molto carina, ma se non la smetti di parlare credo proprio che ti ucciderò»
*
Rebecca arrossì per la rabbia e per l’imbarazzo, ma si cucì la bocca.
Ha detto che sono carina. Ha detto che sono… Mi stava prendendo in giro?
Nel mentre, Pyke aveva acceso la sua sigaretta e stava costeggiando ad una velocità sostenuta il muretto, fino a che questo non si interruppe, sfociando in un piccolo spiazzo.
Era davvero ristretto, ci sarebbero state al massimo cinque o sei persone, ed era quasi scavato nelle pietre, nell’angolo in cui il Muro dell’Area Natura e quello Esterno di Metallica si incontravano. C’era una sorta di tubo di metallo thean tagliato a metà, che andava a formare una panchina dalla forma inconsueta e, seduta comodamente su essa con le gambe semi-distese, stava una ragazza dai capelli rossi, anche lei con sigaretta e aria scocciata in viso.
«Electra»la salutò Pyke e la ragazza, che aveva gli occhi chiusi e la testa abbandonata contro il Muro Esterno, sussultò violentemente.
Al suono della voce del ragazzo fece come per buttare la sigaretta dietro di sé ma, quando si accorse di chi le stava davanti, si limitò a mostrare il dito medio.
«Pyke, che tu possa andartene a fanculo, mi hai spaventata!»sorrise e i suoi denti erano così dritti e aguzzi che a Rebecca diedero l’impressione di essere sul punto di saltarle fuori dalla bocca. Si aggiustò i lisci capelli rossicci e si appiattì la frangetta «Credevo fosse mazza-in-culo»
Rebecca avrebbe voluto chiedere chi fosse il poveretto così soprannominato ma Pyke la precedette, facendo cenno nella sua direzione con il braccio «Questa è Rebecca: è nuova»
Electra la squadrò dalla testa ai piedi, un esame silenzioso che la mise vagamente in soggezione, ma si costrinse a mantenere fermo lo sguardo e a non sembrare completamente fuori luogo. Vide lo sguardo dell’altra indugiare sui vestiti spiegazzati e sui capelli raccolti in una coda –se li era legati appena lei e Pyke erano usciti, fuori faceva davvero troppo caldo- e incrociò le braccia sotto il seno, in posizione quasi difensiva.
«Uh, carina»disse lei alla fine, scivolando sul tubo di thean e avvicinandosi. Le porse la mano non impegnata a reggere la sigaretta e strinse la sua con abbastanza forza da frantumarle qualche falange «Sono Electra, dei Gamma»
«Rebecca, degli Alpha»rispose lei.
Pyke scoppiò a ridere, soffiando una nuvoletta di fumo addosso alle due ragazze «Ma che cazzo di modo di presentarsi è?»
 
L’odore del fumo che fuoriusciva dalle sigarette di Pyke e Electra era buono.
Rebecca non aveva mai provato a fumare -e non aveva intenzione di farlo- ma era piacevole starsene lì, con la testa poggiata sul muretto e le gambe leggermente a penzoloni.
I due ragazzi più grandi parlavano, fra un tiro e l’altro, discutendo di persone che Rebecca non conosceva e di situazioni che non capiva, ma la testa aveva finalmente smesso di girarle e tutto le sembrava migliore.
La luce del sole filtrava fra le foglie degli alberi nell’Aria Natura e creava strane ombre sul terriccio. Rebecca, mentre osservava il tappeto di foglie ai piedi del tubo che faceva loro da panchina, pensò che avrebbe dovuto parlare con Anya, una volta ritornati a Metallica.
Non sapeva esattamente cosa fosse opportuno dirle.
Ehi, Anya, come stai? No, sai, te lo chiedo perché nella mia simulazione ti ho lasciato cadere e sei morta.
D’altra parte, pensò, non è che dovevano per forza parlare di quello.
C’erano tante cose di cui discutere. Magari ci sarebbe stato Nicko, o Sean, o una delle ragazze e la conversazione sarebbe stata rimandata ad un altro momento.
Cercò di non pensarci più e di concentrarsi su qualcos’altro.
«…fra un ora. Infatti dopo questa sigaretta me ne devo proprio andare»Electra interruppe la frase per aspirare profondamente, gettando il fumo in fuori con la testa lievemente inclinata «Devo ancora radunare la squadra e sicuramente Lem e Fiona si saranno imboscati da qualche parte. E devo ancora nascondere il fumo nella sacca, sperando che non sia di nuovo Lloyd a fare i controlli pre-partenza, ‘sta volta!»
«Che capo squadra irreprensibile»commentò Pyke ridendo e sistemandosi meglio.
Electra Ross, quello era il nome completo della ragazza, era il Capo-Squadra dei Gamma di Secondo Livello. Il Capo-Squadra, come Electra aveva con epiteti coloriti spiegato a Rebecca, era un ruolo di coordinazione e di rappresentanza.
«Una stronzata assurda. Odio davvero farlo, se fosse per me avrei già dato il mio posto a qualcun altro. Ma l’Allenatore Lloyd poi chi lo sente?»si era stretta nelle spalle.
Erano rimasti per una buona mezzora lì, Pyke e Electra a fumare sigarette, Rebecca a fissarli e a chiedersi se non dovesse andarsene.
Pyke, Electra e la Squadra Gamma di cui lei era capo avevano iniziato Metallica insieme, cinque anni prima. Alla conclusione del loro Secondo Livello Beta, però, i primi avevano proseguito il loro percorso di studio mentre Pyke aveva deciso di specializzarsi in Medycina.
Questo suo desiderio gli era valso il ruolo di Assistente di Malina, l’Infermiera della scuola, che si occupava della sua istruzione e, al contempo, lo rendeva partecipe delle sue attività quotidiane. Pyke non sapeva esattamente quanto sarebbe durato il suo percorso di studio, sarebbe toccato a Malina stabilirlo, ma non dubitava di poter concludere nel giro di qualche anno. Rebecca, che pur avendolo visto in azione e avendolo conosciuto in quanto studente di Medycina, aveva difficoltà ad immaginarselo senza Divisa da Guerriero sotto, rimase perplessa.
«Perché hai scelto di specializzarti?»
«Beh, ho sempre voluto studiare Medycina. Ma mio padre insisteva che frequentassi Metallica, conosceva il Coordinatore della Classe Sociale, così alla fine ho ceduto»
«E cosa ha detto tuo padre, quando ti sei specializzato in Medycina?»
«Beh, niente. Anche se faccio il medico sarò comunque appartenente alla Classe dei Guerrieri, quindi non cambia molto per lui»
Rebecca, questa cosa, non l’aveva mai capita molto bene.
Quando ti veniva chiesto di scegliere un percorso di studi –ai maschi la scelta veniva imposta prima, in quanto era per loro possibile anche prendere in considerazione la Classe dei Governanti, che iniziavano la loro istruzione a quattordici anni- il tutto appariva così definitivo e immutabile. Era il lavoro che dovevi fare, la Classe e il reddito che avresti ottenuto per tutta la tua vita ed era una scelta estremamente importante.
Eppure, quando sceglievi la direzione da seguire, improvvisamente ti si aprivano altre strade. Come la specializzazione di Pyke: anche se studiava Medycina era comunque facente parte della Classe dei Guerrieri e i suoi servigi erano destinati solo agli stessi.
Rebecca si chiedeva, dunque: a cosa servivano le Classi? A sistemare, mettere in ordine, dare una parvenza di sistematicità, ovviamente. Ma era davvero necessario fare tante distinzioni?
Cosa cambiava, per uno studente di Medycina, appartenere ai Produttori –coloro che eseguivano le libere arti- o ai Guerrieri? I medici dei Produttori erano destinati a dare assistenza a chiunque li richiedesse, mentre i medici dei Guerrieri si occupavano di seguire i loro compagni combattenti nelle zone di guerriglia e fare da pronto soccorso.
Ma quale era il punto? Quale era la differenza?
«Merda, c’è mazza-in-culo»sussurrò all’improvviso Electra, interrompendo i suoi pensieri, gettando la cicca dietro di lei e appiattendosi la frangetta sulla fronte.
Mazza-in-culoera un ragazzo alto e dalla camminata marziale che si stava avvicinando alla loro panchina improvvisata con un cipiglio serio e carico di rimprovero.
Rebecca fece appena in tempo a distinguere il simbolo degli Omega sulla sua Divisa prima che Electra, nel tentativo di liberarsi del fumo e delle cicche svogliatamente abbandonate per terra, gettasse le gambe in giù, cercando di ripulire e nascondere il tutto.
Pyke, d’altro canto si irrigidì tutto e si avviò nella sua direzione, le spalle contratte e le mani strette a pugno. Rebecca lo conosceva abbastanza da capire che l’espressione che aveva in viso non avrebbe portato a nulla di buono.
Il nuovo venuto si fermò davanti a loro, con tanto di sbattere di tacchi, e Rebecca poté permettersi di osservarlo meglio. Era più alto di Pyke di una buona spanna ma, a differenza del suo amico, non era altrettanto ben piazzato. Aveva le spalle larghe, certo, ma era sprovvisto di quella massa muscolare bene evidenziata che si sarebbe aspettata da un Guerriero di livello Omega. I capelli, seppure corti, si arricciavano appena sulle punte e il naso dritto conferiva al suo viso una sfumatura impassibile.
«Che succede qui?»chiese, con voce dura e bassa, senza schiodarsi dal suo posto «Questa area è proibita agli studenti»
«E allora tu che ci fai qui?»Pyke incrociò le braccia, con una smorfia spazientita.
Mazza-in-culonon fece un piega di fronte alla provocazione appena rivoltagli. Sembrava, invece che infastidito, stranamente annoiato e rassegnato, come se quella che gli si stava presentando fosse una scenetta già vista più volte.
«Mi hanno mandato a cercare la signorina Ross, che, a quanto pare, ha dimenticato di dover partire fra non più di cinque minuti»fece correre il suo sguardo su Electra, che aveva fatto sparire la sua sigaretta e la sua aria spavalda, e poi ritornò a fissare Pyke «Non dovresti lasciare incustodita l’Infermeria»
«Tu invece dovresti preoccuparti delle tue faccende»gli rispose l’Assistente, sbuffando forte, e Rebecca lo guardò un po’ preoccupata.
«Non è la prima volta che vi becco. Fumare è contro il regolamento di Metallica. Anche venire qui è contro il regolamento di Metallica»
Il ragazzo che stava loro davanti non sembrava intenzionato al passare alle mani, aveva sempre quella espressione quasi vuota in viso, estremamente annoiata, ma era comunque un Guerriero e Rebecca, per esperienza personale, sapeva che era una Classe Sociale, la loro, particolarmente soggetta a sbalzi d’umore.
Inoltre, mentre l’Omega si era rivolto a Pyke con educazione, l’amico risultava davvero infastidito e anche piuttosto scortese. Rebecca tese appena un braccio verso di lui, come a volergli ricordare, contemporaneamente, la sua presenza e la necessità di rimanersene tranquillo.
Stava per sfiorarlo con le punta delle dita quando Electra, recuperata la sua faccia tosta, si scrollò di nuovo i capelli dalle spalle e fece un passo avanti «Si, si, Shaw. Adesso vengo, non arrabbiarti, che poi succedono brutte cose!»
Ridacchiò a suo agio, come se non fosse stata appena beccata a fumare di nascosto ignorando gli ordini dei suoi superiori, e, con una mezza piroetta si avviò verso il sentiero che l’avrebbe ricondotta a Metallica.
«Ci becchiamo quando torno, bello»disse rivolta a Pyke, facendo un cenno con il pugno «Ciao novellina!»aggiunse alla fine, guardando verso di lei, infine sparì dietro la curva.
Pyke sembrava più tranquillo e Shaw, così le era parso che Electra chiamasse il ragazzo, rimase con lo sguardo fisso sulla boscaglia per un altro po’, come ad assicurarsi che non stesse per tornare indietro. Quando apparve chiaro a tutti che Electra aveva davvero lasciato il loro piccolo nascondiglio, Shaw si girò verso di loro.
L’espressione vacua era sempre la stessa ma, per la prima volta da quando era arrivato, i suoi occhi si poggiarono sulla figura di Rebecca, seminascosta da quella più imponente di Pyke. Fu un attimo, il tempo di classificarla come una Alpha spaurita, e poi tornò a concentrarsi sull’Assistente dell’Infermeria.
«Dovreste andare anche voi»disse, con la voce piatta e vagamente disinteressata «Oppure dovrò fare rapporto all’Allenatore Lloyd e alla signora Yorinch»
Rebecca annuì e fece qualche passo in avanti, verso il sentiero e il muretto che lo costeggiava. Quando sentì risuonare solo l’eco dei suoi passi sulle foglie secche si bloccò e, girandosi indietro, colse Pyke e Shaw che si scambiavano qualche parola. Non riusciva a sentire cosa stessero dicendo ma, a giudicare dall’espressione poco amichevole di Pyke, non sembrava una discussione piacevole.
Come se avesse sentito il suo sguardo addosso l’amico alzò gli occhi verso di lei e le fece un cenno con la mano «Vai, Rebecca, arrivo subito»
C’era qualcosa nel suo tono di voce che la spinse ad obbedire e a lasciarsi quella strana scena alle spalle. Il sentiero che aveva percorso in precedenza era facilmente visibile anche con tutte quelle foglie cadute e le erbacce che ne coprivano i contorni ma, un po’ persa nelle riflessioni e nei pensieri ingarbugliati che le volteggiavano nella testa, inciampò nel terriccio umido.
Quando finalmente raggiunse il cortile pavimentato di Metallica e imboccò la Terza strada, il gruppo di Gamma che stavano per partire verso il Congresso era prossimo a salire sul TU.bo. di servizio. Electra stava in mezzo a loro con un borsone in spalla e controllava che tutti i membri della sua Squadra entrassero nelle cabine di vetro del mezzo di trasporto e attivassero il sistema di sicurezza.
Rebecca era sempre stata affascinata dai Tu.bo., sin dall’infanzia.
Le piaceva osservare il modo in cui, una volta che il passeggero entrava nella cabina in vetro e attivava la misura di sicurezza –una sorta di paralisi temporanea che preveniva eventuali sballottamenti o incidenti, come sbattere contro il vetro, o romperlo, o schizzare via-, queste venivano risucchiate verso l’alto, attaccate alla rete di fili di Thean rinforzato che ricopriva e univa l’intera Cupola Ovest. Sembravano quelle leggendarie creature di cui aveva tanto a lungo sentito parlare da suo nonno, reduce della Grande Bomba, gli “uccelli”.
Electra, in quel momento, stava sbraitando contro un gruppo di ragazzi dalla sua stessa divisa, e agitava freneticamente la chioma rossa.
«Cosa vuol dire che non ci sono?»urlò all’indirizzo di un tipo dai capelli chiari e la mascella fin troppo pronunciata «Avete avuto un ora per farvi i vostri porci comodi! Trova Lem e Fiona e porta i loro culi qui!»
Il ragazzo dai capelli biondi scosse la testa «Te lo scordi, io non ci vado di nuovo! L’altra volta si stavano sbaciucchiando ed erano mezzi nudi!»
«E tu muoviti prima che finiscano di spogliarsi del tutto!»
Il ragazzo dai capelli neri sfrecciò via e, mentre le passava accanto, Rebecca lo sentì borbottare affranto e scocciato -“dannata despota”, “perché devo cercarli sempre io!”, “possono sbaciucchiarsi quando arriviamo!”-.
«Rebecca!»
Sean, Cyvonne, Sandé e Teks erano proprio davanti a lei e la guardavano vagamente sorpresi.
Sandé si sporse ad abbracciarla, i capelli umidi e un forte odore di pulito addosso, evidentemente appena uscita dalla doccia. Cyvonne e Teks le fecero un cenno veloce con la mano, continuando la loro discussione e Sean le sorrise velocemente.
«Credevo saresti rimasta in Infermeria fino a pranzo!»disse Sandé, staccandosi da lei e prendendo a camminarle affianco «Anya aveva detto così!»
«Mi hanno fatta uscire prima»Rebecca glissò sul fatto che Malina non le avesse davvero concesso un permesso e si strinse nelle spalle.
«Che casino, eh?»chiese Sean, infossando le mani nelle tasche dei pantaloni «Ma poi dove è che stanno andando?»
«Al Congresso, te l’ho già detto!»Sandé fissava con gli occhi spalancati le grandi cabine in vetro che si sollevavano verso il cielo «Ho sempre voluto prenderne una!-
«Cosa?»Sean era esterrefatto «Non hai mai preso un TU.bo.?»
Ma Rebecca non li ascoltava più. La sua espressione si era accigliata e i suoi occhi avevano incontrato la figura dritta e sicura di Shaw mazza-in-culo che camminava velocemente in mezzo a tutta quella confusione. Lo vide girare nella Prima Strada e scambiare due parole con una ragazza dalla coda di cavallo che riconobbe solo in seguito come la nipote dell’Allenatore Lloyd, Jamie –quella che aveva osservato combattere e che aveva spiato in Sala Mensa-.
Era troppo presa a cercare Pyke fra la folla, e poi ritornare con lo sguardo ai due Omega, e poi di nuovo alla piazza e ancora e ancora, per ascoltare attentamente le urla di Electra, Responsabile del Secondo Livello Gamma che cercava di radunare gli ultimi membri della sua Squadra. Probabilmente fu per quello che non la sentì chiedere:
«E dove diavolo si è cacciato Ray Sutton? Qualcuno l’ha visto?»
«E’ già partito»disse una ragazza di Secondo Livello che stava entrando nella sua cabina «Ci siamo tutti, Electra, rilassati!»
«Rilassati un corno! Odio essere il Capo-Squadra!»
 

***

 
«Delle volte è come se… se ti costruissi un muro attorno, mi capisci?»
No, Melanie quelle cose strane che Ray le diceva delle volte proprio non le capiva.
Ma Ray era uno dei pochi che le parlava -che le parlava veramente- e Melanie non lo contraddiceva quasi mai. Così, quella volta, si era limitata a guardarlo con una espressione che credeva potesse essere considerata non troppo confusa e aveva aspettato che continuasse.
Che dovesse continuare era ovvio. Avevano iniziato a frequentarsi da solo qualche mese –da quando l’aveva incontrato ad una delle noiose cene di suo padre e se l’era ritrovato sotto casa il giorno successivo- eppure Melanie si sentiva in grado di leggere facilmente le sue espressioni e i suoi movimenti. Quella smorfia che aveva in viso, di concentrazione pura -come se stesse rincorrendo un pensiero estremamente importante- indicava che stava per formulare una nuova frase, non necessariamente sullo stesso argomento trattato in precedenza.
Alla fine si era riscosso e si era mosso appena, cercando una posizione comoda sulla staccionata al confine con la Cittadella, il luogo in cui si ritrovavano quasi quotidianamente.
«Anzi, credo sia proprio così: hai costruito un muro così alto che, alla fine, è diventato anche la tua prigione»
Melanie, questa volta, non aveva nemmeno fatto in tempo a fingere di aver capito, perché Ray aveva girato il capo e l’aveva squadrata con i suoi occhi scuri. Se non fosse stata troppo intenta a non arrossire avrebbe pensato che quel ragazzo era davvero strano. Con quei suoi assurdi discorsi che avrebbero fatto arrabbiare suo padre e stringere le labbra a sua madre, con la sua strana musica e quell’espressione tormentata che Sophie imitava quando erano sole e la accusava di essersi presa una cotta.
Ma cercare di non arrossire quando Ray ti guardava in faccia –che poi, era davvero difficile che lui ti guardasse davvero in faccia e non si limitasse ai suoi sguardi obliqui- era davvero complicato e Melanie nemmeno sentì quello che le disse lui dopo.
«Ma è così alto, quel muro, che dovrà cadere. Tutto quello che sta in alto, prima o poi cade.»
 
Melanie si rigirò nel suo letto, non sapendo nemmeno lei perché stesse ripensando a quel momento vissuto con Ray tanti anni prima –quanti? Cinque? Sei? Si erano incontrati quando lei aveva quattordici anni e lui diciassette, all’incirca-. Forse perché, per come le cose si stavano mettendo in casa sua, si sentiva davvero dietro un muro.
A Melanie piaceva davvero tanto parlare.
Se ne avesse avuto la possibilità e se la buona educazione non lo avesse vietato, sarebbe stata a parlare tutto il tempo. Di cose futili, di cose importanti, di pettegolezzi e di argomenti seri.
Ma, vuoi per questione di tempo, vuoi perché era solo una ragazzina ingenua e un po’ troppo sciocca, vuoi perché la sua non era certamente la migliore compagnia che si potesse desiderare; nessuno parlava mai con lei.
A Melanie sarebbe bastato che qualcuno si mettesse accanto a lei e che l’ascoltasse davvero. Che non si limitasse ad annuire o a svincolare, che non la zittisse con uno sguardo o un cenno della mano. Si sarebbe persino accontentata di intervenire qualche volta nella conversazione, purché il suo intervento fosse davvero preso in considerazione.
Forse era per quello che lei e Ray erano amici.
Una motivazione più futile e stupida non poteva esserci ma, anche se la maggior parte delle volte a portare avanti i suoi sproloqui era solo lui, se Melanie aveva qualcosa da aggiungere, da mettere in chiaro, da dubitare, persino da fraintendere o sbagliare, Ray si interrompeva e la ascoltava: la lasciava parlare.
Quella settimana, però, Ray era a Metallica –erano passate solo due settimane da quando se ne era andato?- e anche Colin –l’unico, oltre al suo amico, che era sembrato davvero interessato a quello che Melanie aveva da dire- era partito da quasi tre giorni, al Congresso dove avrebbe fatto da ambasciatore e mediatore fra i Governi delle due Cupole in questione; perciò Melanie non aveva parlato –parlato davvero- con nessuno.
La cosa assurda, poi, era che per la prima volta nemmeno lei aveva tanta voglia di parlare.
Dopo la terribile discussione con suo padre, qualche giorno prima, il signor Wood aveva provato più e più volte a riaprire l’argomento –Melanie sapeva che voleva in un certo senso aggiustare la situazione, ma il fatto che volesse farlo procurandole un nuovo marito fra i figli dei suoi amici non era stata certo un’idea brillante- e lei aveva reagito impedendogli ogni tipo di contatto. Anche sua madre aveva tentato di comunicare, ma la risposta era stata categorica allo stesso modo e Melanie si era chiusa in camera sua.
Persino sua sorella aveva cercato di parlarle ma, con lei, era stato anche peggio.
 
Quella mattina, tre giorni dopo il grande casino, Melanie era finalmente sola a casa.
Suo padre era con dei colleghi, a discutere del grande Congresso che si sarebbe tenuto a distanza di qualche ora, sua madre era andata a trovare la signora Nguyen e Sophie era in giro –ovviamente- con Katerina.
Lei si era rannicchiata sul divano, in salotto, e fissava il soffitto.
Se Ray o Colin fossero stati lì… se Sophie non le avesse nascosto un segreto tanto grave…
Se, se, se… Melanie aveva voglia di correre via, scappare da quella casa grande e triste, ma si limitò ad afferrare svogliatamente i suoi Visualizzatori e portare la barra orizzontale in Materiale Ambarico all’altezza degli occhi, facendo corrispondere la fessura sul bordo al solco del suo naso. Ticchettò sui comandi sul lato della barra e impostò il Comando Mentale Diretto.
Scartò con il pensiero le varie promozioni –Acquista il nuovo modello di O.L.O. 5347! Memoria di 1927366 GT garantita e impostazioni mentali percettive modificate!- e richiamò nella sua mente l’evento che avrebbe voluto visionare.
A Melanie non piacevano troppo i Visualizzatori perché, per quanto fosse coinvolta nello spettacolo che stava guardando, si sentiva completamente isolata. Perciò teneva sempre il volume della trasmissione molto basso, per poter comunque percepire eventuali rumori esterni. Lo show in telo-video che mandava in diretta gli eventi del Congresso non era ancora iniziato –le apparve davanti l’enorme Sala del Congresso, al Palazzo del Governo Generale di Run- e lei, dopo aver messo il segnale notifica, si concesse di mettere in pausa l’evento e di visionare meglio i suoi partecipanti.
Comandò al Visualizzatore di concentrarsi sullo strano uomo davanti alla finestra. L’aggeggio fece il suo lavoro e Melanie poté girare intorno all’eccentrico individuo, guardandolo da tutte le angolazioni e osservando il suo strano abbigliamento.
Portava una casacca colorata –arancione, verde e rossa- e degli strani pantaloni di un tessuto leggero e impalpabile. I capelli erano di un biondo così chiaro che, alla radice, sembravano quasi bianchi. Doveva essersi modificato qualche tratto del volto e variato alcuni geni della pelle, perché nonostante Melanie presumesse fosse abbastanza in là con gli anni, non ne dimostrava più di una trentina.
Quando si accorse della presenza dei soldati di Metallica, Melanie ordinò velocemente al Visualizzatore di concederle una nuova visuale e cercò con lo sguardo i tratti decisi di Ray. Lo scorse vicino alla porta e non poté trattenersi dal sorridere.
Un Bip del Visualizzatore nel suo orecchio le fece capire che, se voleva seguire la trasmissione in diretta, doveva far ripartire l’evento. Comandò mentalmente l’annullamento del fermo pausa e lo show incominciò con la presentazione dei vari Governanti in sala all’Ambasciatore della Cupola Sud, il signor Walker –lo strano tipo colorato che aveva osservato prima-.
Quando i Governanti ebbero tutti porto i loro omaggi, i due Rappresentanti di Metallica si separarono dai loro gruppi e si posizionarono davanti agli ambasciatori della Cupola Sud e sbatterono appena i tacchi dei loro anfibi. Il silenzio più che religioso che si era andato a creare nella stanza permise a Melanie di concentrarsi completamente sull’immagine, mentre si aggiustava i Visualizzatori sul naso e osservava i loro fluido inchino.
L’inchino dei Guerrieri era un qualcosa che a Melanie piaceva estremamente. Quando Ray era tornato dopo il suo primo anno lo aveva praticamente pregato di mostrarglielo ogni cinque minuti. Prevedeva che il braccio sinistro andasse a piegarsi dietro la schiena, mentre il destro, ripiegato sul petto in modo da toccare la spalla opposta, veniva tenuto dritto e fermo –quasi si stesse parando un colpo-. Infine il busto si contraeva appena, mentre la testa rimaneva ben dritta e gli occhi alzati verso coloro a cui si stava riservando il gesto.
Ray le aveva spiegato che, in un certo senso, era contradditorio. Se si inchinavano stavano mettendo a disposizione i loro servizi e riconoscendo un superiore; eppure, il fatto che la testa rimanesse sollevata e che gli occhi fossero liberi di vagare, era quasi un modo per dire: “Sei una persona importante e meriti il mio rispetto. Ma ti guardo negli occhi, perché sei un mio pari e perché non potrai mai disporre di me completamente”.
A Melanie questo ragionamento piaceva, lei che doveva sempre chinare il capo e rimanersene in piedi, e un po’ invidiava la concezione di vita che caratterizzava la Classe Sociale di Ray.
In ogni modo, non appena i due Rappresentanti si furono presentati –Unità 28764055, Sky Jones, Capo-Squadra Primo Livello Gamma e Unità 4256789, Electra Ross, Capo-Squadra Secondo Livello Gamma- e ebbero nuovamente ripetuto il loro inchino, il Congresso ebbe ufficialmente inizio.
Il signor Walker si fece avanti con i suoi assurdi vestiti colorati e i capelli platinati che ricadevano sulla schiena in una lunga treccia. Iniziò a parlare piuttosto velocemente con voce sicura e, ogni tanto, accennando con la testa al signor Torchwood. Melanie, che si era scordato di inserire l’opzione Traduttore nei suoi Visualizzatori, dovette trafficare per qualche attimo prima di poter capire le sue parole e quindi si perse la parte iniziale del discorso.
«Ed è per questo che siamo qui. Da troppo tempo le nostre Cupole sono in conflitto, da troppo tempo abbiamo costruito un muro fra due culture che non sono poi così differenti. Il momento di ricongiungerci ai nostri simili è giunto, è giunto il momento di far cadere il muro!»
Un rumore come di qualcuno che cadeva distrasse Melanie che, scostando appena i Visualizzatori, vide sua sorella imprecare contro il mobile dell’ingresso. C’era Katerina con lei e Melanie si irrigidì di botto. Cercò di non darlo a vedere e di concentrarsi sulle parole dell’ambasciatore.
Katerina e Sophie stavano sussurrando, come se non volessero disturbare la sua visione, e Melanie sperò che salissero le scale, facessero quello che dovevano e si togliessero dalla sua vista. Ma non fu così e, nel giro di qualche istante, fecero il loro ingresso nel piccolo salottino.
«Melanie»commentò Katerina, con la sua voce bassa «Come stai?»
Sophie, accanto a lei, non riusciva a rimanere ferma e si agitava sul posto, guardandosi intorno senza davvero guardare niente. Katerina le posò una mano sul braccio, come a chiederle di tranquillizzarsi, e, anche se era un gesto innocente e amichevole, Melanie si sentì contorcere le budella. Come se una mano invisibile le si fosse serrata attorno allo stomaco.
Fece un cenno con la testa e si portò una mano ai Visualizzatori, abbassandoli di nuovo sugli occhi e sperando che quelle due recepissero il messaggio.
Il signor Torchwood si era avvicinato all’ambasciatore e stavano discutendo amabilmente con la finestra del Palazzo del Governo Generale che faceva loro da sfondo e, in lontananza, lasciava intravedere un scorcio dell’immensa piazza di Run, dove si teneva in Congresso.
Katerina, però, era una che non si arrendeva facilmente e si sedette sul divano di fronte a lei, trascinandosi dietro Sophie e osservandola fissamente.
Melanie cercava di concentrarsi su quello che stava succedendo davanti ai suoi occhi, ma tutti gli altri suoi sensi erano tesi e pronti, come se stessero aspettando qualcosa di terribile. Le sue orecchie recepirono qualche vano tentativo di Sophie di chiamarla, ma alla fine fu la voce di Katerina quella che la fece vacillare.
«Melanie, dobbiamo parlare, non credi?»
«No»Melanie non riuscì a trattenersi e si diede della stupida un attimo dopo, mordendosi a sangue la lingua.
«Melanie, ti prego»la voce di sua sorella era supplichevole «Ti prego, tu devi ascoltarci. Tu… tu hai frainteso e…»
«No»questa volta fu Katerina a parlare e Melanie fece violenza su sé stessa per non girarsi a guardarla «No, non ha frainteso, lo sappiamo tutte in questa stanza»
Il presidente Torchwood stava ridendo insieme all’Ambasciatore della Cupola Sud e Melanie continuava a fissarli, cercando di non pensare a quello che stava succedendo a pochi passi da lei. Come potevano farlo? Come facevano a non rendersi conto di quanto sbagliato fosse? E di quanto pericoloso, se qualcun altro fosse venuto a saperlo?
Due ragazze insieme in quel modo era… era… Melanie non trovava nemmeno le parole.
Sbagliato. Sbagliato. Sbagliato. Sbagliato, sbagliato, sbagliato, sbagliato… punibile dalla legge.
Regolò i Visualizzatori in modo da poter avere una visione più ampia e, davanti ai suoi occhi, l’intera Camera del Congresso le apparve lucida e splendente. Fissò le delegazioni dei ragazzi di Metallica –almeno una quarantina- e i vari Governanti –fra cui scorse Colin, nell’angolo vicino alla porta- e si chiese quanto grande fosse quella stanza.
Sicuramente più grande di quel salotto in cui era rinchiusa lei. Sicuramente più ampia e che permetteva più respiro, più pulita e giusta, con discorsi appropriati e nessuna effrazione al codice morale e giuridico. Non come…
«Melanie, ti prego- sua sorella era prossima alle lacrime «Sei mia sorella e devi capire che…»
«Io e Sophie stiamo insieme, Melanie»era stata di nuovo Katerina a parlare ma Melanie non voleva ascoltarle, proprio non voleva. Se non ascoltava, poteva far finto che non avessero detto nulla, poteva far finta che ci fosse un muro altissimo intorno a lei.
Un muro fatto di bugie e rimpianti, di silenzi, di paure e di cose non dette.
Ma è così alto, quel muro, che dovrà cadere. Tutto quello che sta in alto, prima o poi cade.
Chissà cosa avrebbe pensato Ray, di quella terribile situazione. Melanie ne sentì la mancanza con una violenza tale che regolò i Visualizzatori per cercarlo. Qualche minuto prima lo aveva intravisto, dietro la ragazza con i capelli rossi sua Capo-Squadra, ma adesso proprio non riusciva a trovarlo. La sua ricerca fu interrotta dalla mano di Katerina che le afferrava il braccio.
Che fosse la mano di Katerina le apparve subito chiaro. Sophie era troppo timida, spaventata e dolce per stringerla a quel modo che quasi faceva male e per mancare così tanto di tatto.
«Quando ti deciderai a prendere una posizione, Melanie? Sei contraria? Diccelo. Non lo dirai a nessuno? Diccelo. Vuoi denunciarci? Diccelo. Ascoltaci… guardaci, Melanie»
Melanie non si tolse l’apparecchio visivo e tolse lo zoom, riconcentrandosi sulle due figure dei Governanti Torchwood e Walker che stavano stringendosi la mano.
«Ora tu spegni questi Visualizzatori e ci ascolti, Melanie»
«E’ sbagliato. Non potete farlo»buttò fuori in un fiato «Se qualcuno vi scoprisse… beh, non sarebbe piacevole. Nessuno di quelli che fanno queste cose torna mai indietro…»
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiip.
Un sibilo acuto le perforò l’orecchio, costringendola a buttare il Visualizzatore a terra e ad afferrarsi il capo. Il rumore era stato gracchiante e terribile, come unghie che graffiavano su una parete solida e liscia, e le aveva lasciato il corpo tremante per la sorpresa e lo spavento.
«Ma cosa?»urlò, mentre Katerina si chinava per terra e recuperava il Visualizzatore.
«E’ partito»disse, dopo esserselo avvicinato agli occhi «La connessione è saltata, non so perché»
Melanie fece cenno di restituirle l’apparecchio e, con suo sommo stupore, si accorse che aveva ragione «Che cosa sta succedendo? I Visualizzatori sono collegati direttamente alla Sala del Congresso! Che ci sia stato un guasto con i Connettitori?»
Provava una strana sensazione in petto, come se il suo cuore avesse preso a battere più velocemente, e si lasciò ricadere sul divano con un tonfo. Era in silenzio e debole, Katerina e Sophie avrebbero potuto dire quello che volevano, eppure non parlarono e si limitarono a rimanersene sedute di fronte a lei.
Si tenevano la mano, però e Melanie sentiva una strana forma di malessere pervaderla.
Non avrebbe detto nulla, ovviamente. Sophie era sua sorella e non avrebbe mai permesso che venisse spedita in una di quelle Cliniche di Correzione; eppure sentiva che le cose erano tremendamente sbagliate. Tutta quella situazione era al limite del sopportabile e lei era sul punto di scoppiare.
 
Quando sua madre tornò a casa si precipitò verso le scale, chiamandole a gran voce.
«Ragazze? Ragazze siete qui?»urlò, la voce densa di preoccupazione.
Melanie sentì i suoi passi veloci che si affrettavano lungo il corridoio e, in qualche attimo, fu in salotto anche lei, un’espressione sollevata nel vederle tutte lì.
«Oh, grazie al cielo. Grazie, grazie, grazie»si avvicinò a Sophie, che nel frattempo aveva lasciato la mano di Katerina e si era alzata, e la abbracciò forte.
«State bene, state tutte bene»sussurrò nei capelli della figlia.
«Cosa è successo?»chiese Katerina, drizzandosi in pieno.
«C’è stata una esplosione. Nella Sala del Congresso e per le strade. Hanno buttato delle bombe praticamente in contemporanea anche qui a Peete e per tutta la SottoCupola Tunner»la signora Wood era sul punto di scoppiare a piangere e si lasciò scivolare sul divano, sventolandosi il viso paonazzo con le mani sottili «C’è stata una esplosione vicino a casa dei Yarez, ad un isolato da qui, ed ero così preoccupata! Ero dalla signora Nguyen e sono subita corsa a cercarvi e poi…»
«Mamma, mamma, calmati!- Sophie le mise le mani sulle spalle, come a farle un massaggio e Katerina le si accomodò accanto, stringendole il braccio. Voleva molto bene alla signora Wood e la signora teneva a lei quasi allo stesso modo, così che si aggrappò al braccio di entrambe le ragazze, quasi a trarne forza «Dicci con calma cosa è successo!»
«Hanno gettato una bomba! In pieno congresso, con tutti quei Governanti, e gli ambasciatori e i Guerrieri a difenderli! C’è stata una esplosione che si è sentita anche a centinaia di metri di distanza! La signora Nguyen ha chiamato suo marito, che era lì per lavoro, e lui ha detto che era lontano –grazie al cielo, stava scortando una delle delegazioni al Palazzo! Era con Colin, Melanie! Sta bene anche lui!- che era scoppiato un incendio… i primi Medyci che sono riusciti ad entrare hanno dovuto indossare delle maschere protettive –a quanto pare la bomba conteneva un gas velenoso che ha stroncato tutti-. E poi…»
Melanie emise un rantolo a metà fra un urlo e un gemito e sua madre smise di colpo di parlare.
Katerina e la signora rimasero interdette, sospese in un attimo infinito, perplesse e stupefatte. E per quanto Sophie non fosse certamente la ragazza più sveglia esistente e al momento fosse abbastanza contrariata con la sorella, le bastò incrociare il suo sguardo per capire cosa l’aveva improvvisamente colta.
«Melanie…»sfiatò, facendo un passo in avanti con il braccio teso, quasi a volerla sfiorare.
Ma Melanie corse via, sbattendosi la porta del salotto e poi quella di casa alle spalle. Corse per il sentiero di ghiaia che attraversava il loro giardino, corse per il piccolo vicolo che la separava dalla strada principale, corse per la città e passò accanto ai resti fumanti che le bombe avevano lasciato sparsi in giro. Il cielo era nuvoloso e alcune gocce di pioggia avevano già preso a cadere, rimbalzandole addosso e appiccicandole la stoffa del vestito addosso come una seconda pelle. Ma neanche il vento freddo che imperversava e l’acqua che la bagnava le impedirono di arrestarsi fino a che un fu giunta al recinto vicino alla Cittadella.
«Delle volte è come se… se ti costruissi un muro attorno, mi capisci?»
Melanie non l’aveva capito, Ray, fino a quel momento.
Perché il muro stava cadendo, sotto il peso delle bugie, delle falsità e del dolore.
Cadeva in un silenzio tale che Melanie ne fu assordata, e lei precipitava giù con esso in una voragine buia e profonda che lei stessa si era costruita. Cadeva lentamente e Melanie non riusciva a focalizzarsi su niente, se non su quel peso che le era sceso sul cuore impedendole di respirare. Ma c’erano sprazzi di conversazioni, immagini confuse che le roteavano e il cuore che singhiozzava e c’era Ray, c’era Ray ovunque.
Ray che le sorrideva, che la invitava a ballare a quella festa del loro primo incontro, Ray che la fissava dritta negli occhi e la faceva arrossire, Ray che parlava, Ray che voleva essere un artista, Ray che si chinava verso di lei e le sue labbra sulla fronte, Ray che ascoltava musica strana e fumava sotto la pioggia, Ray che era sempre stato lì a parlare con lei, Ray che era stato l’unico ad ascoltarla per davvero…
Ray che era in quella stanza, al Congresso, e che adesso non l’avrebbe più guardata con quegli occhi neri –non avrebbe più guardato nessuno- e che non l’avrebbe più abbracciato, che non le avrebbe più detto che doveva prendere posizione.
Il muro sta crollando, Ray, come avevi detto tu. E cado anche io, se non ci sei tu a sostenermi. Eppure, mentre cado giù dal muro che mi sono costruita da sola,  e vedo che tutto cade insieme a me, sento quasi il sollievo profondo della liberazione.
 
 

*1 - Senti, sei davvero molto carina, ma se non la smetti di parlare credo proprio che ti ucciderò. -Ovviamente è un omaggio al "Caroline, you're beautiful but if you don't stop talking I'll kill you" di Klaus (TVD - 4x06)

   
 
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