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Autore: Vitani    06/02/2008    2 recensioni
Questa è una storia d'amore, di odio, di una carriera musicale ed artistica, di una maturazione, di come gli incontri detti "del destino" possono cambiare la vita. È la storia di due ragazzi in particolare: Mana, un chitarrista, e Gackt, un cantante. Entrambi passionali, entrambi sognatori.
"Simile ad una fiaba è questa storia, dove una dama e un cavalier rincorrono l’amore con solerzia, pronti in nome di esso a dare tutto. Si leggeranno lacrime, amore, risate e fremiti di gelosia, d’angoscia e di paura. Saranno tormentosi i nostri canti, piene di gioia le risate, e se malinconia occuperà il cuore, ci basterà cantare una canzone."
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mad Tea Party -

- Mad Tea Party -


ATTO PRIMO, SCENA DECIMA
-
La Proposta della Rosa

 

 

 

 

 

Lo sentì con tutta la forza che poteva avere un mare, lo sentì portarsi a lui vicino con la rapidità di un sogno e quando voltò lentamente la testa vide che lui era lì, che gli correva accanto come il vento freddo di quell’alba che aveva tinto il cielo di viola.

Non c’era niente a fermarlo, nulla ad arrestare la vita di quel ragazzo dai capelli lunghi e neri come l’ebano e le gote pallide arrossate dal gelo e dall’affanno, mentre il fiato condensava in morbide nubi sottili corrompendo la trasparenza dell’aria sottile.

Non si fermavano ancora, per molto tempo andarono dritti per la loro strada in quel quartiere deserto, senza neppure guardarsi in viso, e poi tornarono a frenarsi davanti all’ingresso, e il tempo attorno a loro ricominciò immobile come se il sole non dovesse sorgere mai, oscurato dal calore della nebbia. Insieme arrivarono, senza che uno di loro vincesse quell’implicita sfida che s’erano lanciati.

Gackt rise e finalmente concesse ai suoi occhi di vederlo, mentre entrambi stavano immobili a recuperare il respiro.

« Complimenti, sei molto veloce. »

Mana teneva chiusa dietro le palpebre l’ossidiana nera dei suoi occhi, limitandosi a seguire l’ansito del suo petto che s’alzava e s’abbassava veloce come il battito d’un cuore. Gli abbozzò un sorriso, tuttavia, un sorriso tenue come un soffio.

« Anche tu. »

E Gackt Camui restò zitto, fermo, a riprendere coscienza di se stesso fissando con distrazione la levigatezza delle mattonelle del marciapiede e cercando d’ignorare lo sguardo di Mana che si sentiva puntato addosso con la stessa infallibile precisione con cui sempre quel ragazzo l’aveva guardato.

Non poté farlo, come calamitati i suoi occhi nocciola puntarono quelli del chitarrista, nei quasi si leggeva ancora l’ombra della gioia. Non capiva a cosa pensava, eppure era certo d’essere parte integrante di quel suo mondo a lui ignoto, e improvvisamente fu scosso dalla certezza che avrebbe dato tutto pur di poterne scoprire almeno un poco.

« Andiamo su? Ridotti come siamo è meglio se ci facciamo una doccia. »

Annuì, senza più la forza per parlare, e lasciò stancamente che Manabu gli facesse strada.

Fu solo seguendolo che si soffermò a guardare la sua figura slanciata, e per la prima volta si chiese quale forza quel corpo nascondesse. Si chiese da dove derivasse la sicurezza che quel ragazzo pareva possedere.

« Mana? »

Lui era già sulle scale ma sentendo il suo nome si bloccò, girandosi a guardarlo con le labbra rosa e sottili socchiuse e appena immobili come quelle scolpite d’una statua. Avrebbe voluto domandarglielo, aveva quella domanda che gli premeva nel petto, però non ci riuscì. Non seppe mai perché, quelle semplici parole gli rimasero bloccate nella gola.

« Niente, non ti preoccupare. »

L’osservò tornare su rapidamente e dopo qualche istante gli andò dietro.

 

« Se vuoi farti una doccia vai pure prima tu, » gli disse Mana prendendo degli asciugamani da un cassetto « io intanto preparo qualcosa per colazione. »

« Grazie. »

« Poi ti lascio dei vestiti puliti sopra la cassettiera accanto al lavandino. L’asciugacapelli invece sta sopra la mensola, dove l’hai visto ieri. »

« Ma sei sicuro che non ti sto dando troppo disturbo? »

« No, non preoccuparti. E poi non ho quasi mai ospiti, quindi mi sto divertendo! »

Oh be’, se a parlare era quel viso dai lineamenti d’angelo, allora poteva pure crederci. Non gli replicò niente perché non ne sentì il bisogno, e si diresse piuttosto verso la stanza da bagno in fondo al corridoio.

Si lavò velocemente, frizionando con energia il suo corpo muscoloso, perché non gli andava che Mana aspettasse. Solo per poco si godette il calore dell’acqua sulla pelle, cavando fuori dagli occhi le gocce semplicemente sbattendo le palpebre, poi uscì, si vestì e s’asciugò sommariamente i folti capelli castani.

La scena del giorno prima si stava ripetendo, di nuovo lo sentiva muoversi agilmente in giro per la cucina a trafficare con pentole e scodelle, e gli venne ancora da sorridere.

Si stiracchiò, poi aprì la porta e s’affacciò giusto in tempo per vedere Mana sfaccendare come un ossesso col grembiule addosso. Solo e solo quando suonava l’aveva visto altrettanto a suo agio, mentre si muoveva quasi fosse stato posseduto dalla musica, ed era una meraviglia.

« Eccomi », lo salutò.

L’altro si girò come una molla e lo accolse con uno dei suoi graziosissimi, brevi sorrisi.

« Hai fatto presto! »

Gackt si guardò attorno, notando come fosse già tutto quasi pronto.

« Anche tu! »

Glielo disse quasi scherzando, ma Manabu si limitò ad alzar le spalle quasi che per lui fosse stata cosa ovvia.

« Be’… io vado a farmi la doccia, tu comincia pure senza di me altrimenti si fredda tutto. »

Ecco, quello lo sorprese.

« Ma scherzi? Dai, ti aspetto! »

Ma non scherzava, Mana, non scherzava affatto e lo capì quando lo guardò con quegli occhi neri e lucenti pieni di una strana severità che non seppe a cosa attribuire e che lo colpì appena come una piccola scossa. Fu smorzata ancora da un sorriso come se mai fosse esistita, e Mana s’allontanò sparendo dal suo sguardo come un sogno.

Lui restò in piedi immobile e rimase per un attimo perfino incapace di pensare, a guardare il tavolino apparecchiato chiedendosi che cosa quel ragazzo voleva davvero che lui facesse. Non riusciva del tutto a capirlo, e quell’elemento lo spaventava. Era sempre stato bravo a capire la gente, lui…

Decise in ogni caso di fare quel che gli era stato detto e si sedette, cominciando a mangiare. Era tutto squisito, esattamente come la cena della sera prima, e d’improvviso Satoru pensò a quanto gli sarebbe piaciuto mostrargli che anche lui nel suo piccolo ai fornelli non era malvagio. Sì, se mai se ne fosse presentata l’occasione – cosa che gli sembrava alquanto impossibile visto che il giorno dopo sarebbe tornato dritto a Kyoto e forse Mana non l’avrebbe rivisto mai più...

Dopo una ventina di minuti lo sentì aprire la porta del bagno, allora – non seppe mai perché – scattò in piedi e lo raggiunse.

« Mana, ascolta…! »

Ciò che aveva da dire gli rimase bloccato nel petto trasformandosi in un’esclamazione muta di stupore che riuscì ad esprimere solo con gli occhi. Mana gli stava di fronte, appena uscito dalla doccia, e la sua figura sottile era avvolta in un enorme asciugamano candido che gli lasciava scoperte le spalle bianche. Aveva la pelle che profumava di frutta, e nello sguardo una luce di sorpresa che gli animò di guizzi d’argento il nero corvino dell’iride.

« Che c’è? »

Glielo chiese continuando a fissarlo, pareva imbarazzato se non leggermente spaurito, e lo guardava con gli occhi a mandorla sgranati mentre la piccola mano libera saliva a frizionare i capelli lunghissimi e umidi che gli ricadevano giù lungo la schiena e sul tessuto dell’asciugamano.

Fu uno e solo il pensiero che attraversò fulmineo la mente di Gackt mentre lo guardava e che altrettanto rapido se ne andò quasi volando: era incredibilmente bello.

« Ecco… volevo… sapere se posso usare il telefono. »

Biascicò la prima fetentissima scusa che il suo cervello momentaneamente disattivato partorì sul momento, peraltro balbettando come un imbecille.

« E chi vorresti chiamare a quest’ora del mattino? Comunque prego, fai pure con comodo. Io intanto vado a vestirmi. »

« Ok… »

Camui Gackt non si girò a guardarlo correre verso la sua stanza, rimase con gli occhi torti verso il pavimento fino a che la porta non si chiuse alle spalle del chitarrista, e solo allora parve muoversi e realizzare che ancora – di nuovo – aveva fatto la figura dell’idiota.

Comunque si mosse, e andò in salotto prendendo il telefono e componendo il prefisso di Kyoto. Visto che aveva detto di dover telefonare, tanto valeva farlo per davvero.

Fu una tenera ma assonnata voce femminile a rispondere all’altro capo del filo, dopo una prolungata sequenza di squilli a vuoto.

« Pronto? »

Prese un sospiro, cercando nella sua mente un motivo qualunque per giustificare quella chiamata all’alba.

« Pronto, Kyoko? Sono Satoru. »

Un istante di silenzio.

« Oh… ciao, Satoru! Ma… perché telefoni a quest’ora, è successo qualcosa? »

« Scusami, è che non riuscivo a dormire e volevo sentire la tua voce. »

Una risatina, sottile e deliziosamente stupita.

« Non mentire, stupido! »

« Non sto mentendo. Dormivi? »

« Sì, come tutta la gente di questo mondo te escluso. »

No, gli venne da pensare, perché a dir la verità in quel momento erano in due ad esser svegli. Tese l’orecchio e udì il lontano vibrare sonoro dell’asciugacapelli.

« Dove sei ora? »

« A Tokyo. »

« Come a Tokyo? E ci sei andato senza dirmi nulla? »

« Be’… »

Se in quel momento stava a Tokyo era solo per stramaledettissimi affari suoi e lei non aveva alcun diritto di impicciarsi.

Anche se era la sua ragazza.

« Comunque per domani sarò di ritorno, ciao. »

Senza tante altre parole le chiuse la cornetta in faccia, e rimase con le mani poggiate sul telefono quasi avesse avuto paura che squillasse.

Inaspettatamente tornò Mana, qualche minuto dopo. Si stava spazzolando i capelli con delicatezza, stando bene attento a non tirarli, e luccicavano come se venati di diamante.

S’era vestito di bianco, un paio di semplici pantaloni e una maglietta a maniche lunghe, e stava ad osservarlo tranquillo come se nulla fosse accaduto.

« Hai chiamato la tua ragazza? »

Quella domanda così schietta postagli direttamente dalla voce di quel ragazzo ebbe l’assurdo potere d’inquietarlo profondamente. Annuì, ma solo perché non poté fare altro.

« Sì, ma… non la vedo molto spesso. È sempre impegnata col lavoro e abbiamo orari del tutto differenti, ci incontriamo quasi solo nei fine settimana. »

Mana rise, come se avesse intuito il motivo di quella giustificazione.

« Ops, immagino quindi che si sarà arrabbiata con me ora. »

I begli occhi nocciola di Gackt si spalancarono a scrutare il chitarrista.

« Eh? »

« Be’, avevi questi giorni liberi e io ti ho portato via da lei. »

C’era stato un istante in cui al posto del cuore aveva avuto un solo nero fottutissimo enorme buco.

« Oh… non preoccuparti, sono stato io a voler venire da te in fondo. »

Mana s’avvicinò, sedendosi comodamente sul divano accanto a lui.

« Più tardi chiamerò Kami, il batterista della band. Gli ho parlato di te ed era ansioso di ascoltarti. »

« E quindi? Devo improvvisarvi uno spettacolo? »

Una semplice, sbrigativa alzata di spalle e una risata, coronate e definite da una breve luce di divertimento nello sguardo.

« Pensavo piuttosto di andare al karaoke tutti e tre. »

 

Lì per lì aveva quasi creduto che Mana stesse scherzando, ma era stato con altrettanta rapidità che aveva capito che invece diceva proprio sul serio. E alla fine perché no, sarebbe stato divertente!

Quella mattina, più o meno verso le dieci e mezza, furono entrambi disturbati dal suono del citofono. Stavano parlando, come al solito, seduti su quel divano di pelle bianca come se mai si fossero mossi da lì a partir dall’alba, perché forse non s’erano mossi davvero, e sentire quel rumore fu per loro come risvegliarsi da un sonno.

Mana s’alzò sbattendo le palpebre e Gackt gli vide ancora quel suo sorriso delizioso, mentre andava a rispondere e parlava.

« Ciao Kami, sempre puntuale mi raccomando! »

Alzò un sopracciglio nel vedere Mana che si buttava ad abbracciare un ragazzone imponente quasi quanto lui, ridendo come un bambino nonostante la palese ironia della frase con cui l’aveva accolto.

« Ho ritardato solo di cinque minuti, non rompere! »

Il giovane ricambiò l’abbraccio, poi lo lasciò andare e parve finalmente accorgersi di lui. Si guardarono, e Satoru scorse in quel tipo un che di dolce che lo colpì. Forse era solo il suo sorriso, un sorriso incredibilmente diverso da quello di Mana, un sorriso talmente luminoso che avrebbe aperto il cielo.

« Io sono Ukyo Kamimura detto Kami, piacere! »

Gli strinse la mano, sentendola forte e sicura a contatto con le sue dita. Quel ragazzo era piuttosto alto e robusto, aveva i capelli lunghi fin sotto le spalle come i suoi e tinti di un castano sbiadito molto chiaro, il volto largo e squadrato e gli occhi un po’ piccoli ma irresistibilmente dolci. Occhi che s’illuminarono curiosamente mentre lo scrutava.

« Fai wrestling o qualcosa del genere? »

Oh, a quanto pareva i membri di quella strana band denominata Malice Mizer erano tutti accomunati da quell’insolito senso dell’umorismo…

« No, ma mio padre gestisce una palestra di arti marziali. Mi chiamo Satoru Okabe, per gli amici Camui Gackt. »

Sobbalzò nel vedere la testa di Mana spuntare all’improvviso da dietro le spalle di Kami. A quanto pareva il chitarrista stava impazientemente aspettando che finissero di presentarsi.

« Bene, ora che sono finiti i convenevoli che ne dite di muoverci? »

Gackt osservò in silenzio Ukyo, che continuava a ridere come un bambino davanti alla palese fretta di Manabu.

« Ma come Mana, sono appena arrivato! Non mi offri neanche un tè? »

« Non abbiamo tempo, se proprio ci tieni te lo faccio quando torniamo. »

Si stava già infilando un paio di corti guanti neri e pareva indaffarato a cercare gli occhiali da sole.

Kami non parve badare a quella rispostaccia, si limitò a ridacchiare di nuovo girandosi a guardarlo mentre rivoltava il salotto con la precisione di un ladro d’appartamento, cercando pure sotto i cuscini candidi del sofà.

« Ogni tanto fa così, » disse allora a Gackt « ti consiglio di non sorprenderti. Quando si mette in testa qualcosa non cambia idea facilmente. »

« E quindi è meglio accontentarlo? »

Kami gli fece l’occhiolino.

« Vedo che hai capito al volo. »

Oh be’, vedendo il piglio da soldato con cui Mana si stava infilando il cappello, contraddirlo non gli sarebbe venuto neppure pensato.

 

Era con una sorta di divertita perplessità che Satoru stava osservando i lunghi capelli neri del chitarrista. Ondeggiavano quasi avessero avuto vita propria mentre Mana gli camminava davanti rapido come un fulmine. Pareva che si stesse dando parecchio disturbo per evitare i mucchi di folla che lo investivano a scaglioni come bombe. Ukyo invece procedeva accanto a lui con relativa tranquillità, senza lasciare che il sorriso gli sparisse dalle labbra e alzando ogni tanto gli occhi a guardare il cielo azzurro screziato a intermittenza da qualche nube bianca.

Anche Gackt si guardava attorno, spaesato a mezzo dagli enormi palazzi di Shinjuku e soprattutto da quell’immane flottaglia umana che veniva avanti stile battaglione e che Mana si dava tanto da fare per scansare.

Per il resto, lui e Kamimura stavano parlando del più e del meno. Quello era un ragazzo davvero simpatico e alla mano, e gli raccontò in breve della sua famiglia e di come si fosse trovato a passare ai Malice Mizer, appena un anno prima.

« Dopo essermi trasferito a Tokyo da Ibaragi ho suonato per un po’ in una band, i Kneuklid Romance, ma dopo una serata venni contattato da Yu-ki, che mi parlò dei Malice e mi chiese se volevo entrarci. »

Quel ricordo fece sorridere Kami, e per un istante i suoi occhi splendettero come diamanti.

« Lì per lì io rifiutai, non mi andava granché l’idea di essere un rimpiazzo. Fino a che, poco tempo dopo, mi trovai direttamente Manabu di fronte. »

Stavolta il suo sguardo corse ridendo verso quel sottile tornado di chiome nere che ancora camminava davanti a loro col passo nervoso di un generale, cercando di eludere meglio che poteva tutti gli esseri umani che si trovava di fronte.

« Penso che sappia bene anche tu che a Mana per qualche strano motivo è difficile dire di no. Ha dei modi un po’ discutibili certe volte, ma è una brava persona e soprattutto ha qualcosa che ti affascina. Non ti saprei dire cosa, ma quando te lo trovi davanti pensi di doverlo seguire. Un po’ come se fosse la chiave dei tuoi sogni, come se con lui tu avessi la certezza di arrivare esattamente dove desideri. »

Uh, lo capiva. Lo capiva magnificamente, proprio lui che da quella persona era stato sedotto al punto che per un istante aveva desiderato mollare tutto quel che possedeva per corrergli dietro. Era stato solo un momento, e gli era parso di vedere un miraggio del futuro.

« Nel nostro gruppo le decisioni le prendiamo tutti insieme, ognuno ci mette del suo, ma in linea di massima ad avere l’ultima parola è sempre lui. Punta ad arrivare in alto come me, Yu-ki e Közi, e a stargli vicino inizi davvero a credere di potercela fare. Lui il nostro futuro lo vede chiaro, ed è per questo che a te ci tiene tanto. Non sai quanto ci ha parlato di te in questo periodo, esaltato come un bambino. »

« Insomma gli serve la mia voce, eh? »

« Be’, si è convinto di avere bisogno proprio di te. E anche se gli dirai di no, non mollerà tanto facilmente. È timido, ma ti assicuro che ha gli artigli e morde pure! »

E allora quella specie di amicizia che era nata tra loro era solo dovuta al desiderio di Mana di avere per sé la sua voce? No, non lo sapeva il perché ma non ci credeva proprio. Alla fine, Takeshi e Manabu erano amici pure se Taka era stonato come una campana e sparava solo stronzate.

Frattanto, avevano infilato tutti e tre la porta di un karaoke.

 

Mana s’era seduto su uno dei divanetti nella loro cabina, togliendosi gli occhiali scuri e rivelando un cipiglio irritato che fece sorridere Kami. Il ragazzo gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui e scuotendogli divertito una spalla con la mano.

« Che c’è, Mana-chan? Sei nervoso? »

Le nere sopracciglia corrugate di Mana non si stesero di un millimetro, anzi rimasero aggrottate in linea col malumore del loro proprietario.

« Troppa gente, troppa troppa troppa gente. »

Gackt lo sentì ruminare quelle parole col fervore febbrile di un fedele devoto, e la cosa quasi lo incuriosì.

Kami dal canto suo ridacchiò, battendo leggermente una mano dietro la schiena di Mana.

« Dai, non ci puoi fare niente anche se c’è gente! »

« Non è necessario che tu cerchi di consolarmi. »

« Gli esseri umani non sono così male, Mana-chan. Prova a dar loro una chance! »

« Sarà… a me la presenza di troppi miei simili innervosisce e basta. »

Detto quello ordinò ad Ukyo di andare a prendere da bere e lanciò a lui il microfono, che gli finì tra le mani dritto come se ci avesse mirato di proposito.

Con una nota di puro sconcerto Satoru osservò la meticolosità con cui quel concentrato di elettricità che era diventato Manabu Satou scorreva col telecomando i titoli delle canzoni sullo schermo del televisore.

Poco dopo - giusto mentre Kami stava tornando - lo sentì biascicare nel silenzio un sottilissimo ma inequivocabile “che palle”.

Proferito con tutto il sacrosanto scazzo che una persona poteva avere nell’anima.

Mana alzò gli occhi verso Kami con una disperazione che aveva del teatrale.

« Non c’è niente che posso cantare… mi fa tutto schifo! »

« Ti fa tutto schifo? »

« Perché diamine nei karaoke al giorno d’oggi trovi solo stupide canzonette pop che tutt’al più possono piacere alle liceali? »

Kami gli si avvicinò e senza tanti complimenti lo abbracciò coccolandoselo come avrebbe fatto col suo cane.

« Manabu, Manabu… il nostro povero punk incompreso… »

Non fece in tempo a finire la frase che Mana gli rifilò un cazzotto giusto sulla bocca dello stomaco, facendo annaspare il pur ben piazzato Kamimura – che però scoppiò a ridere subito dopo e si rifugiò a sedere sul divanetto di fronte a quello su cui era stato Mana.

« Non provare a sfottermi, caro il mio chitarrista fallito. La pagheresti molto cara. »

« Non ne ho la minima intenzione, signor dio dei plettri. »

Mana lasciò correre e Kami continuò a sorridere, mentre Gackt si godeva quel siparietto che aveva qualcosa di incredibilmente comico. Almeno fin quando gli scintillanti e neri occhi a mandorla di Mana non si puntarono su di lui con un lampo di irata determinazione che gli fece battere il cuore per l’ansia.

« Tu! Mollami quel microfono! »

Lo apostrofò proprio in quel modo, e fu con un misto di trepidazione e sorpresa nel nocciola delle iridi che lui si trovò inaspettatamente a ubbidirgli, tirandogli quel povero microfono che Mana afferrò e strinse come se da quello fosse dipeso il suo onore.

Infine, con l’indescrivibile e inequivocabile rumore di uno schianto, uno dei piedi di Mana andò a posarsi dritto sul tavolinetto dove di lì a poco sarebbero dovuti finire i loro drink.

Mancò poco che rompesse il tavolo con quel calcio.

Inutile… Gackt stava iniziando a provare nei confronti di quel ragazzo qualcosa che somigliava vagamente al timore reverenziale. Ora sì che capiva perché era amico di Takeshi!

« Statemi bene a sentire, ragazzi. »

Nel silenzio improvviso che seguì, quella sua profonda ma bella voce morbida echeggiò come un comandamento.

« Da ora in avanti, la musica la farò io. »

E iniziò a cantare, così, senza musica.

Era una canzone straniera, solo dopo avrebbe saputo che era Angel of Death degli Slayer.

Si girò verso Kami e vide con quanto affetto lo stava guardando, mentre con le mani gli batteva il tempo sul piano del tavolo e lo osservava dimenare la testa come un pazzo simulando il suono di una chitarra invisibile che in quel momento non aveva tra le mani.

Era un grande. Era semplicemente grande.

Non sentirono aprirsi la porta, e Mana continuò a cantare a squarciagola.

« Angel of Death, monarch to the kingdom of the dead, infamous butcher, Angel of Death… »

Parve accorgersi della presenza di un cameriere solo dopo che quest’ultimo ebbe depositato tre birre chiare e qualche snack sul tavolo per poi andarsene augurando loro buon divertimento.

Mana seguì quel suo armeggiare col microfono fermo a mezz’aria, osservandolo con gli occhi dilatati come fosse stato un alieno, accompagnandolo alla porta con un ultimo sguardo di imbarazzo inconfessabile e con la certezza di avere fatto una figura di merda non indifferente.

In silenzio abbassò il piede e la testa e spense il microfono, non prima d’essersi ravviato dietro la testa le lunghissime ondulate chiome nere arruffate causa headbanging selvaggio – poi poggiò il microfono sul tavolo e lo fece rotolare delicatamente e in perfetto silenzio verso Gackt.

« Camui… canta. »

Lui prese il microfono e sorrise, ben felice di dirgli di sì, mentre Mana si stappava una birra.

Kami gli scelse una canzone, lui aprì la bocca e prese fiato, certo che se avesse cominciato non avrebbe più smesso. In realtà aveva una certa trascendentale paura che sarebbero rimasti tutti di nuovo in silenzio come il giorno prima, e non voleva. Se poteva evitarlo cantando, allora avrebbe proseguito fino a rimanere senza voce.

Cantarono tutti, comunque, e risero come bastardi. Perfino Mana, a cui il secondo giro di birre aveva sciolto incredibilmente la lingua.

Come bambini, risero fino a non poterne davvero più.

E poi uscirono e se ne andarono tutti e tre a mangiare sushi.

 

Rimasero in giro fino a sera, come tre buoni amici che non avevano un problema e nulla da fare al mondo.

I lampioni si stavano accendendo quando tornarono verso l’appartamento di Manabu, che camminava accanto a Gackt in silenzio mentre Kami li seguiva qualche passo indietro.

Il batterista guardava le spalle di Mana col sorriso, senza parlare, perché Mana aveva qualcosa da dire a Satoru e lui lo sapeva.

Era un qualcosa a cui il giovane Mana s’era preparato da molto tempo, con quella stessa meticolosità scrupolosa e tenace con cui aveva dato la caccia ad ognuno di loro, cercando gli elementi migliori per quello che a suo parere sarebbe stato il miglior gruppo dell’intero Giappone e di tutta l’Asia.

Kami sapeva quanto profondamente Mana ci tenesse e desiderava aiutarlo in ogni modo, perché arrivare in alto era ciò che volevano entrambi. E per riuscirci, Mana aveva bisogno di Gackt Camui. Poteva immaginare quanto stesse battendo il cuore al suo amico.

Lo vide fermarsi e si fermò anche lui, poggiandosi al muro bianco di un palazzo e accendendosi una sigaretta in silenzio.

Satoru percorse qualche passo ancora prima di rendersi conto che Mana era rimasto indietro, e solo allora si girò a guardarlo e vide i suoi capelli illuminati dalla luce tenue di un lampione appena acceso. Vide che s’era tolto gli occhiali, e che teneva un po’ china la testa.

Per un istante la sua pelle provò di nuovo il brivido del vento freddo di quella mattina, quando avevano corso entrambi, insieme.

Quando Mana alzò lo sguardo, per un solo interminabile secondo lui si fermò a fissare quegli occhi neri come ossidiana che lo scrutavano immensamente brillanti, e allora capì che voleva dirgli qualcosa. Lo capì dalla lacerante, profonda titubanza celata dietro quegli occhi. Capì che era qualcosa a cui Mana teneva più che alla vita.

« Camui… »

L’incertezza nella voce gli durò un istante, indugiò un solo attimo sulle labbra rosee e sottili poi sparì dietro un sospiro.

« Gackt Camui, ora ascoltami bene. »

Non avrebbe perso una sola parola neanche se avesse voluto.

« D’ora in avanti la musica la faremo noi. »

Insieme.

Fu quella la parola che restò sospesa nell’aria senza che né lui né Mana avessero il coraggio di pronunciarla.

Fu ancora la voce di Mana a raggiungerlo, senza che lui facesse nulla. Teneva la testa alta, e Gackt lo guardava in cuor suo ben sapendo già cos’avrebbe detto. Pensò alle parole di Kami, ore prima. Pensò al fascino di quella persona, alla prima volta che l’aveva vista, a ciò che gli aveva mostrato in quei soli pochi giorni. Pensò…

« Te lo chiedo ufficialmente, Satoru Okabe. Vuoi diventare il vocalist dei Malice Mizer? »

Soffiò, ancora e di nuovo, il vento freddo della sera.

 

 

 

 

- continua -

N.d.A. Ho fatto uno strappo a quel che m’ero imposta, con questo capitolo. Uno strappo enorme. L’ho fatto per Mana-chan, che di stare inattivo non ne poteva più e mi stava rompendo l’anima da giorni. Se in questo lungo periodo non avete visto capitoli di Mad Tea Party, è perché al momento questa fanfic sarebbe sospesa. Non per mancanza di ispirazione o altro, ma per il fatto che sto revisionando un mio romanzo nella speranza di mandarlo a qualche editore e dedicarmi anche alla fic mi rallenterebbe troppo il lavoro. Indicativamente, posso dire che la pausa di Mad Tea Party durerà ancora fino ad aprile, dopodichè potrò tornare a lavorarci senza problemi.

Spero che abbiate gradito il capitolo e vi anticipo che alla fine del primo atto mancano solamente due capitoli!

Grazie a tutti

 

Vitani

 

   
 
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