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Autore: HeartBreath    01/08/2013    2 recensioni
Avrei dovuto capire come stavano le cose. Ma ero abbastanza nel panico da zittire il mio istinto, ero abbastanza angosciata da aver bisogno di credere che le loro promesse valessero qualcosa. A quei tempi, credevo ancora che la volontà di un adulto fosse l'unica cosa a determinare l'andamento degli eventi. Leggevo negli occhi dei Killjoys il disperato desiderio che andasse tutto per il meglio, e volevo pensare che bastasse.
Ma a volte la grandezza di un eroe sta nel sacrificio.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Strafottutissima umidità, urlai nella mia testa, intrappolando ogni ciocca di capelli ribelli e passando la mano chiusa dalla nuca fino alle punte. Senza bisogno di dare altre testimonianze della mia solita fortuna, fu del tutto inutile. Continuavano a voler sfidare la gravità e protendersi verso l'alto, l'esterno, tutto eccetto il basso.

Una parolaccia stavolta oltrepassò le mura delle mie labbra, ma sottovoce perché ero in procinto di girare la chiave nella serratura, e guai se mi sentivano imprecare in quella casa.

Inutile, dopo quasi un anno, non riuscivo ancora a dire “la mia casa”. Non avevo mai sentito nello stomaco il piacevole tepore che una dimora ti dovrebbe dare, non lì. Non in qualunque luogo che fosse lontano dal Nevada.

Come ogni giorno, al momento del mio rientro si sentiva solo la porta d'ingresso sbattere e le mie chiavi che venivano rumorosamente mosse tra le mie mani per essere rimesse in tasca. Tanto non sarebbero andate da nessuna parte in ogni caso: tenevo sempre un laccio che legava le chiavi al passante dei jeans. Non si sa mai, in questo mondo sempre più merdoso e cadente.

 

 

Possiamo fermarci un attimo? Sono stanca e ho caldo...”

Sono sulle nostre tracce, dobbiamo tenere il passo se vogliamo seminarli”

Però la piccola ha ragione, Jet. Stiamo cuocendo come uova su una padella...”

E camminiamo da ore: dove diavolo è Poison?”

Si fotta Poison! Dov'è la macchina, piuttosto?”

Quante volte dovrò ripeterti ancora di non imprecare davanti alla bambina,

prima che tu recepisca il concetto?”

 

 

Porta e chiavi: da me non arrivava nessun altro suono. Almeno finché non iniziavano a rompere.

Dove sei stata?”

Accompagnata a questa domanda dal tono melodrammatico, invece, c'era sempre qualche altro suono. Ad esempio, dei tacchi che mi inseguivano per tutta casa – La prossima volta voglio una camera accanto all'ingresso, mi appuntai distrattamente. Come se quella abitazione fosse un albergo, mi spiego? Ormai mi sentivo esattamente così: cambio di tappa, cambio di letto. Nessun luogo per me era definitivo, nessuno lo era mai stato. Quindi c'era solo da aspettare e sperare che me ne andassi anche da lì.

Ginger mi sbarrò la strada col proprio corpo – e se fossi stata più alta e grossa di lei, per quanto fosse difficile, le sarei passata sopra senza problemi. Piazzò le mani ai lati dello stipite che mi separava dal corridoio comunicante con la mia stanza, e mi rivolse una delle occhiatacce severe con cui sperava di intimorirmi.

Ti ho chiesto dove sei stata. Sono passate le 19:00, eravamo preoccupati”

Incrociai le braccia davanti al petto. “Parli come se fossero le 2:00 del mattino” sputai.

Non puoi uscire da scuola, andare a zonzo e pensare di tornare all'ora che vuoi senza dire una parola” vociò, muovendo in piccoli scatti le labbra sottili. “Hai quattordici anni”

Sì, e faccio quello che mi pare”

Con questa sentenza, sgattaiolai nello spazio tra lo stipite e il suo fianco pingue, raggiungendo a grandi passi la stanza che ormai era il mio unico rifugio.

Quando mi chiusi – anzi, sbattei – la porta alle spalle, Ginger iniziò a vociarmi dal corridoio di uscire immediatamente.

Le sue urla e lo sbattere della mano contro la porta sparirono poco a poco, coperti dalle grandi cuffie imbottite che posizionai sulle tempie.

Partì una musica tanto scatenata da non avere un ritmo vero, non aveva senso, era un insieme di suoni sconnessi, regolari quanto uno scarabocchio su un banco. Una musica tanto incasinata che era come se non ci fosse, come se esistesse solo una sorta di silenzio...

 

 

Non dovresti dormire?”

Da quando io ho un orario per andare a dormire?”

Da quando tutti gli altri ronfano nella grossa,

io sto per ragiungerli e non c'è nessuno che possa controllarti”

Non rompere, non ho bisogno di essere controllata!”

Forza tigre, ti racconto una storia della buonanotte”

Una su di voi?”

Se vuoi...”

Kobra?”

Sì?”

Raccontamene una in cui perdete”

Oh dolcezza, quella storia non è ancora stata scritta”

 

 

Grace! Grace! Non abbiamo finito di parlare!” sentii, quando la musica finì e passai a quella dopo, sempre dello stesso genere.

C'era da ammettere che quella donna non si arrendeva facilmente. Di solito i genitori degli altri non duravano qualche mese con me. Eppure il nostro rapporto di rimproveri, parolacce “scappate” dalle labbra e divieti che sarebbero stati infranti, stava per compiere il primo anniversario. Avrei dovuto comprarle dei fiori o un biglietto d'auguri?

Se era frustrata la capivo, in fondo. Suo marito era un idiota tutto lavoro e chiesa - e amante, c'avrei scommesso la testa -, a casa non c'era mai. Avevo persino il sospetto che non sapesse che mi ero trasferita sotto il suo tetto. La figlia maggiore, Lorelai, tentava da mesi di avere un qualsiasi contatto con me, faceva la parte di quella appena uscita dall'adolescenza che pretende di sapere tutto sia sui ragazzi che sugli adulti. E l'altra, Sam, mi guardava come la sorella adottiva che non aveva mai voluto – forse perché ero la sorella adottiva che non aveva mai voluto. Forse per questo mi ero ritrovata qualche volta a battere i pugni sulla sua faccia. D'altronde, aveva solo un anno più di me, ed era una vera femminuccia.

Non volevo pensarci adesso. Volevo solo perdermi in quell'assordante silenzio.

 

 

Ehi, Poison? Cos'è questa roba?”

Carta da lettere”

Questo lo vedo”

Non molto lontano da qui c'è una buca delle lettere piuttosto speciale:

porta messaggi alle persone che non sono più con noi”

Quelle in cielo?”

Esattamente”

Come la mia mamma?”

Ho pensato che volessi dirle qualcosa, ogni tanto.

Raccontarle di noi, o semplicemente dirle che le vuoi bene”

... E a te posso dirlo che ti voglio bene?”

Te ne voglio anch'io, Sweet Gun”

 

 

Non lo facevo di proposito, davvero. Prima ero una ragazzina abbastanza a modo. Ma forse era questo il problema. Forse avevo smesso di essere una ragazzina anni fa, la classica stronzata della bambina che cresce troppo in fretta per sopravvivere a ciò che gli è successo.

A me cos'era successo?

Mi passai distrattamente le mani tra i capelli.

Ah già, mi dissi, alzandomi dal letto e andando a recuperare lo specchio sulla scrivania.

Una messa in piega che non dura un cazzo, ecco cosa mi era successo.

Il mio riflesso non era molto cambiato negli anni. Ed era proprio questo a non andarmi a genio: tutto nella mia vita aveva cambiato forma, perché io no? Cos'avevo guadagnato dallo sviluppo del mio corpo? Un seno praticamente inesistente, dei fianchi larghi come un aeroporto, il ciclo mestruale... e dei capelli sempre più crespi.

Per quanto li pettinassi, per quanto trascorressi ore a passarci la piastra sopra, continuavano ad essere inguardabili. Erano finiti i giorni in cui potevo fregarmene se non riuscivo a sciogliere l'infinità di nodi che ci si formavano in mezzo.

 

 

Vuoi che li tagli un po'?”

No! Sembro già abbastanza un maschio”

Un po' maschiaccio lo sei...”

E' colpa vostra: vivo con voi”

Strano, Poison come modello femminile dovrebbe bastarti...”

TI HO SENTITO, JET STAR!”

 

 

Niente da fare, oggi non riuscivo ad evitare di far tornare quelle immagini da me, in nessun modo.

Era paradossale quanto mi sentissi lontana da Battery City, e allo stesso tempo quanto fossi ancora legata al periodo della mia vita passato nel deserto.

Quella vita – iniziata dopo che ero stata portata via e data in affidamento a delle famiglie vere, famiglie stabili -, era troppo poco per me. Mi stava stretta. Non riuscivo ad adattarmi.

Nulla nella mia testa era nitido quanto quei ricordi, nemmeno ciò che avevo davanti agli occhi nel presente. Forse perché nulla in quel presente valeva la pena d'essere vissuto come il tempo passato a camminare contro il vento caldo del Nevada. Avrei dato volentieri un giorno di vita – persino se la mia morte fosse segnata per domani -, pur di rivivere un solo minuto di quei tempi. L'avrei fatto sul serio.

Perché ormai, io appartenevo a quel luogo, a quei giorni. Dopo il loro corso, ero morta anch'io assieme ai miei eroi. Non era rimasto altro che la polvere del deserto nei miei vecchi scarponi – quelli che non mi stavano più, che mi rifiutavo ancora di buttare via – e nella mia anima bruciacchiata dal sole.

 

 

Ghoul, m'insegni a usare il lanciamissili?”

Sai che è pericoloso. Cosa mi dai in cambio?”

Uhm... Non lo so, ho solo delle gomme alla menta...”

... Okay, si può fare”

 

 

Non riuscivo a dimenticare, non riuscivo ad andare avanti. Tutto ciò che c'era di buono in me, tutto quello che avevo imparato, tutte le cose belle che nella vita avevo mai trovato, tutto apparteneva ai Killjoys.

E loro... Loro erano le persone che avevano significato ogni cosa per me. Erano stati la mia unica, autentica famiglia.

Fun Ghoul era il mio compagno di giochi, quello che ne inventava sempre di nuovi per me, non importa che stessimo alla nostra stazione ad aspettare notizie dalle perlustrazioni degli altri, oppure nel mezzo delle distese di sabbia. Ai suoi occhi, sembrava inaccettabile che, anche nella più pericolosa e disperata delle situazioni, una bambina si annoiasse. Non aveva mai capito che solo stare in loro compagnia, per me era il massimo di tutto.

Kobra Kid, quello che tutti, per prenderlo in giro, chiamavano la mia mamma. Perché con me era così pieno di premure, da risultare quasi stucchevole. La sua priorità era che io fossi sempre al sicuro, che non mi accadesse nulla, che mangiassi e dormissi abbastanza, che a nove anni non conoscessi già le parolacce e quanto il mondo fosse crudele. Ricordavo ancora benissimo le notti nel deserto: fredde, tanto da farmi tremare. Ricordavo il modo amorevole in cui mi invitava a scaldarmi infilando le braccia nella la giacca che indossava.

Jet Star era il mio modello morale. Anzi, era il modello morale di tutti. Un perfetto esempio di saggezza, coraggio, onestà, immensa intelligenza. Qualunque domanda o dubbio avessi, andavo da lui: era come un guru per me. Sapeva sempre tutto, qualunque cosa gli chiedessi. Si era persino caricato del compito di spiegarmi da dove venissero i bambini, quand'era arrivato il momento. Avevo ricevuto più risposte da lui che dalla vita stessa, nella mia infanzia.

Party Poison era l'uomo di cui mi sarei innamorata, se fossi rimasta al suo fianco ancora qualche anno. Due o tre ragazzini della mia età, mi avevano vista iniziare a sembrare vagamente una donna negli ultimi tempi, e mi avevano “fatto la corte”. Io li avevo rifiutati, trovando un solo motivo per questo: nessuno di loro era Poison. Lui era l'ideale di ragazzo che dentro di me sapevo avrei voluto una volta raggiunta l'età, perché lui mi aveva insegnato l'amore. Si era sempre preoccupato che sentissi la mancanza di una famiglia, quindi si era armato perché di una famiglia avessi almeno l'affetto. Se avessi incontrato un tipo qualunque che mi sorrideva in quel modo e mi chiamava “Sweet Gun”, probabilmente l'avrei sposato subito.

 

 

Voglio che tu ci ascolti bene, okay Grace?”

Uscire da questo posto non sarà facile”

E vogliamo che, se dovessimo dividerci,

tu segua chi di noi è libero di proseguire”

Qualunque cosa accada, è necessario che tu vada avanti.

Il tuo compito è uscire di qui a qualunque costo, chiaro?”

 

 

Se solo avessi saputo che, negli anni a venire, avrei desiderato ardentemente non averlo mai promesso...

Artigliai le dita alle tempie, tra i miei capelli, e strizzai gli occhi per attutire il mal di testa. Ma nessun tipo di sofferenza era fatta per essere alleviata, in me.

Quella notte... Quella maledetta notte...

 

 

In cambio dovete promettermi che, se faccio come dite,

ci vediamo fuori da Battery City quando tutto sarà finito”

... Okay, Grace”

Promesso”

Va bene”

...”

Poison?”

Sì... Sì”

 

 

Avrei dovuto capire come stavano le cose. Ma ero abbastanza nel panico da zittire il mio istinto, ero abbastanza angosciata da aver bisogno di credere che le loro promesse valessero qualcosa. A quei tempi, credevo ancora che la volontà di un adulto fosse l'unica cosa a determinare l'andamento degli eventi. Leggevo negli occhi dei Killjoys il disperato desiderio che andasse tutto per il meglio, e volevo pensare che bastasse.

Ma a volte la grandezza di un eroe sta nel sacrificio.

Di quelle morti ricordavo di aver tenuto le mani sulle orecchie per gli spari, il caos, la guerra. Ricordavo di aver aperto gli occhi in ritardo e di aver incrociato di nuovo la figura di Party Poison quando ormai era già a terra. Passai di sfuggita lo sguardo attraverso Kobra Kid e non volli tornare indietro con gli occhi, perché anche lui stava perdendo le forze e cadendo, vittima di una di quelle pallottole. Fun Ghoul urlò a me e Jet Star di correre, ma solo una volta uscita notai che non era più dietro di noi: aveva chiuso la porta per impedire a quei tizi in bianco di seguirci, era rimasto indietro per salvarci. E l'ultima cosa che aveva visto Jet Star prima di accasciarsi sul cofano della macchina, ero io che venivo trascinata dentro il furgone di Dr. Death.

 

 

GRACE! ANDIAMO, GRACE!”

Ma io... No, loro... loro sono...”

SALI SUL FURGONE, GRACE! NON C'E' TEMPO!”

... Loro...”

Vieni qui... Brava, piccola. SGOMMA, A TAVOLETTA.

Tranquilla, sei salva adesso”

... L'avevano promesso...”

 

 

Lo psicologo catalogò la mia reazione a quel ricordo in particolare, come un trauma. In ogni caso, quando il terrorismo fu eliminato e il mondo andò a sistemarsi – nel suo piccolo, almeno -, fui giudicata abbastanza sana da poter andare in una famiglia normale. E vivere una vita normale. Attorniata da persone normali.

Ancora non lo capivano che quel mondo non faceva per me? Non capivano che ero e sarei rimasta per sempre una Killjoy?

Per questo avevo disperatamente bisogno di silenzio. Per pensare, e per quando non volevo farlo. Per ricordare, e per fingere di aver dimenticato. Perché tutti continuavano a volermi parlare, a volermi far parlare, e io ero stanca di suoni e parole. Desideravo solo il silenzio, anche se chiassoso. Bastava che non significasse niente, che un istante non avesse differenza con l'altro. Solo allora ero in grado di essere e fare ciò che volevo.

Cazzo. Sentivo spaventosamente la loro mancanza. Mi mancava il mio migliore amico, il mio protettore, la mia guida, e il mio amore.

Ho bisogno di voi, ripetevo dentro di me.

E nei giorni in cui un insolito vento caldo si alzava da ovest, sapevo che mi stavano rispondendo.








Non chiedetemi perché ho scritto questo, tanto meno perché l'ho pubblicato.
Forse, in certi giorni, nemmeno io riesco a farcela senza di loro.
In ogni caso, spero vi sia piaciuto e che non sia stato troppo da tagliarsi le vene 
:3
V

Piesse: Diritti del titolo all'omonimo account di Tumblr, l'ho letto e mi è sembrato perfetto per far capire il concetto.

  
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