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Autore: Lynn Lawliet    03/08/2013    3 recensioni
Finalmente capiva le farfalle nello stomaco e brividi lungo la schiena quando Antonio gli si avvicinava, la sensazione di poter toccare il cielo con un dito quando era con lui, quel perdersi nei suoi occhi ogni volta che ne incrociava lo sguardo… erano tutti pezzi di un puzzle che finalmente Lovino era riuscito a comporre: Antonio gli piaceva, e non come amico. Per tutto il tempo aveva cercato di negarlo a se stesso, per cui si sorprese rendendosi conto che non gli importava se Antonio era un ragazzo, se gli altri non lo avrebbero accettato. Capendo di amarlo aveva trovato il suo posto nel mondo: la soluzione del puzzle erano loro due, lo erano sempre stati; e questo era tutto quello che contava.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DOVE UNA FESTA E’ FUORI CONTROLLO

 

Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro.
-Viaggio in Portogallo, José Saramago.



Era passato quasi un mese da quando Lovino aveva iniziato ad uscire con Maia. E, tutto sommato, era stato un bel periodo, fatto di sarete al cinema, cene e baci.
Baci.
Era stata Maia a prendere l’iniziativa, fosse stato per lui non sarebbe mai successo. Però, sì, Lovino non lo avrebbe negato: era stato bello … ma non tanto bello come lui si sarebbe aspettato. Deludente, in un certo senso.
Il che era parecchio strano, pensò Lovino, appollaiato con il sedere fra una tegola e l’altra del tetto di casa sua (andava sempre lassù quando aveva qualcosa su cui riflettere). Insomma, avrebbe dovuto essere felice; dopotutto aveva una ragazza fantastica e, per la prima volta in vita sua, anche qualche amico. Da quel primo pranzo in compagnia di Antonio, aveva iniziato a frequentare qualche coetaneo: prima c’erano solo gli amici più stretti dello spagnolo, Gilbert e Francis, ma poi al gruppo si erano uniti Feliciano e Monica;  Arthur, un ragazzo inglese, il suo amico americano Alfred, e il fratello di quest’ultimo (di cui Lovino non riusciva a ricordare il nome); poi Kiku, un primino giapponese, e suo cugino Yao; a volta c’era anche Ivan, l’inquietante diplomando russo.
Non che a Lovino piacessero, però, forse, era disposto ad ammettere che non erano tutti così superficiali come aveva creduto all’inizio (finendo per essere superficiale lui stesso). E, nonostante tutte le volte che glielo chiedevano rispondeva seccamente di no, in loro compagnia, a volte, finiva addirittura per divertirsi.
Però erano momenti rari; qualcosa nella vita di Lovino non andava per il verso giusto: Antonio. O meglio, non Antonio in sé (lui era sempre fantastico), ma i sogni che faceva su di lui… non passava una notte senza che finisse per sognarlo. E la cosa iniziava a stressare Lovino parecchio, tanto che il ragazzo aveva addirittura smesso di scrivere: era come se avesse perso l’ispirazione, si disse Lovino.
Poi sussultò, distolto improvvisamente dai suoi pensieri dal tono del cellulare, che annunciava l’arrivo di un messaggio. Era da parte di Gilbert: Questa sera festa a casa mia. Vieni? Lovino si rigirò in mano il cellulare, poi, controvoglia, scrisse: non lo so, forse, cosache però, e lo sapevano sia lui che Gilbert, significava sì. 

 


Lovino, già visibilmente irritato, suonò per la terza volta il campanello della casa di Gilbert. Suo fratello, accanto a lui, suggerì che magari i partecipanti alla festa non sentivano per via della musica. Ed aveva chiaramente ragione: da dentro la casa di Gilbert proveniva un baccano assurdo, e da dietro le finestre si potevano vedere luci colorate da far invidia ad una discoteca. Lovino si chiese come mai i vicini non avessero ancora chiamato la polizia, visto tutto quel casino. Probabilmente perché ci erano abituati, trattandosi della casa di Gilbert.
Finalmente, a quello che doveva essere il decimo tentativo o giù di lì, la porta venne aperta da un ragazzo biondo con un materassino gonfiabile sottobraccio e un cappello con due lattine appese ai lati in testa. Pareva anche abbastanza ubriaco.
“wow, siete, tipo, totalmente in ritardo! Cioè, la festa è iniziata da tipo due ore… credo.”
D’accordo, era abbastanza ubriaco. E Gilbert, come sempre, sembrava non essersi smentito, organizzando la festa più assurda dell’anno. Entrando nell’appartamento, infatti, i fratelli Vargas si ritrovarono nel bel mezzo del caos più totale: Kiku era stato rapito da un gruppo di ragazze che tentavano di truccarlo; una tizia che Lovino non conosceva tirava delle frecce contro una testa d’alce impagliata; Francis spalmava panna montata sulle teste delle persone nelle sue vicinanze; Gilbert si baciava con Elizaveta in un angolo, sotto lo sguardo furioso Roderich, l’ex ragazzo di lei; Arthur piagnucolava sulla spalla di Alfred, una bottiglia in mano, borbottando qualcosa a proposito di un centrino all’uncinetto. A cercarla bene, ci sarebbe dovuta essere anche Maia, da qualche parte. 
E poi c’era lui, Antonio. Non era ubriaco, forse solo un po’ allegro, al massimo. Aveva i capelli leggermente sporchi di panna (Francis doveva essere passato da quelle parti) e ballava in mezzo ad un mucchio di gente. Però spiccava tra la folla come la Gioconda tra i disegni di un bambino di terza elementare.
Decisamente, si disse Lovino, quella era la festa più bella a cui fosse mai stato.

 


Lovino riemerse lentamente dal sonno, un dolore martellante alla testa e uno strano sapore in bocca; si sentiva come se lo avessero appena usato per pulire il pavimento. Sollevò piano le palpebre e, sebbene la giornata fosse grigia e piovosa, la luce proveniente dalla finestra gli ferì gli occhi, facendolo arrotolare più a fondo nelle coperte ed emettere un mugugnio di protesta . Apparentemente era nel suo letto (per fortuna non in compagnia di qualcuno), con l’unica stranezza di essersi addormentato al contrario, con i piedi sul cuscino e la testa sul fondo. Un rumore alla sua destra lo fece sussultare, ma poi si rese conto che si trattava solo di Feliciano, addormentato, per chissà quale motivo, sul pavimento di camera sua, e intento a russare  sonoramente.
Evidentemente aveva bevuto quanto lui, la sera prima.
La sera prima! Che diavolo era successo la sera prima? Lovino ricordava vagamente il loro arrivo alla festa e le ore seguenti: avevano ballato (o meglio, Feliciano aveva ballato; lui si era seduto su un divano e non si era mosso da lì) e si erano divertiti parecchio. Almeno fino a che Francis, verso l’una del mattino, non aveva proposto il gioco della bottiglia. E, a quel punto, i ricordi di Lovino che ancora erano confusi, tornarono prepotentemente nella testa del proprietario, anche se quest’ultimo avrebbe preferito non l’avessero fatto. Ricordò la bottiglia di vodka usata per il gioco, la ricordò girare e girare, la ricordò fermarsi su Antonio, e poi, con sommo orrore, la ricordò fermarsi su di lui. Poi ricordò le proprio guance farsi rosse, e quelle di Antonio altrettanto. Lo rivede avvicinarsi a lui, chinarsi, e poggiare le proprie labbra, leggere, sulle sue. Risentì le grida allegre dei loro amici, come attutite, nelle proprie orecchie, e provò di nuovo l’euforia di quel momento. Ricordò di come il tutto gli fosse parso così bello, così giusto… Lovino sapeva solo di volere che il bacio non finisse mai, e si era comportato di conseguenza, gettando le proprie braccia attorno al collo di Antonio, affondando le dita nei suoi capelli morbidi… e poi tutto era finito. Si erano staccati piano, guardandosi negli occhi, entrambi con un’aria vagamente stupita, e Lovino aveva realizzato che le mani di Antonio erano poggiate delicatamente sui suoi fianchi. E, per un attimo, tutto era stato perfetto. Poi il mondo era tornato al proprio posto, e i rumori della festa aveva invaso prepotentemente le orecchie di Lovino, giusto un attimo prima che Gilbert li abbracciasse entrambi, lui e Antonio, e gridasse forte per sovrastare l’allegro caos: ragazzi, cercatevi una stanza!
Solo a ripensarci le guance di Lovino si arrossarono di nuovo. D’accordo, era solo un gioco, e per di più si trattava solo di uno stupido bacio a stampo, ma pur sempre aveva baciato Antonio. Aveva baciato Antonio e gli era anche piaciuto. Parecchio.
E questo era un gigantesco, orribile problema. Aveva bisogno di pensare, aveva bisogno di farsi un giro sul tetto.
Lovino si alzò di scatto dal letto e, incespicando su suo fratello (che si svegliò, biascicando confuso qualcosa che somigliava vagamente a “ve?”) si diresse verso la porta, l’ aprì e … si ritrovò davanti Maia, il pugno alzato, come fosse lì lì per bussare. Come sempre era molto carina, con il montgomery aperto su un pullover e una minigonna scozzese. Ma come diavolo faceva ad essere così in ordine a quell’ora del mattino? Lovino pensò imbarazzato alle proprie ascelle puzzolenti e ai propri capelli spettinati; per di più portava ancora i vestiti della sera prima. Bah, doveva trattarsi di un qualche superpotere femminile, per forza.
Maia lo fissò stupita per un attimo, poi abbassò la mano e sorrise leggermente.
“stavi per uscire?”
“ehm, no… tu come mai sei qui?” Lovino non aveva proprio idea di che ci facesse Maia a casa sua, a quell’ora.
“oh, volevo parlarti. Mi ha fatta entrare tua madre”
“mia madre? E qui?”
“sì, lei e tuo padre sono appena arrivati, da quanto ho capito. Sono molto carini, erano contenti quando ho detto che ero la tua ragazza.”
“ah sì? Bene… hai detto che mi volevi parlare, giusto?”
“sì, infatti… ti va di fare un passeggiata fuori?”
“certo …”
Lovino, sorpreso, si avviò dietro Maia, che lo precedette lungo le scale. Quel giorno c’era qualcosa di diverso in lei, e Lovino credeva di saperne il motivo. Vedendola gli era tornata in mente la faccia che aveva fatto quando lui aveva baciato Antonio. In quel momento, troppo preso dai proprio tumulti interni, non ci aveva prestato troppa attenzione, ma col senno di poi si rese conto che con quel gesto doveva averla turbata. L’espressione dal suo viso, la sera prima, faceva trasparire un tristezza profonda; Maia però non gli era parsa sorpresa, ma piuttosto… rassegnata. Come se non potesse farci nulla.
“… e quindi è per questo che ho pensato che … Lovino, mi stai ascoltando?” la voce di Maia giunse improvvisamente alle sue orecchie, distogliendolo dai suoi pensieri, e Lovino si rese conto che la ragazza parlava ormai da un po’, camminando a fianco a lui nel campiello, a pochi metri dall’acqua scura del canale. Una pioggia leggera aveva iniziato a cadere, lasciandole sui capelli piccole gocce d’acqua.
“ecco, ehm… -borbottò Lovino- no. Scusami”
“non fa nulla. Tanto mi stavo solo arrampicando sugli specchi. Il fatto è che non esiste un modo bello per dirlo… io… io credo che sia ora di chiuderla qua.”
“chiudere qua cosa?”
“ecco… noi. La nostra relazione.” iniziò Maia, poi, notando la faccia di Lovino, si affrettò a continuare: “Lovino, tu mi piaci, ma … io non piaccio a te.”
“cosa? Che dici?, certo che mi piaci”
“sì, forse … però non mi ami, vero?”
E Lovino non se la sentì di risponderle. Perché aveva ragione, aveva dannatamente ragione: lui non la amava. Certo, era una ragazza fantastica, ma le aveva già fatto fin troppo male. Non poteva continuare a mentirle, e non poteva continuare a mentire a se stesso. Maia, però, lo sorprese riprendendo a parlare:
“sai, l’ho visto come lo guardi…”
“cosa? Guardo chi?”
“Antonio, no?-la voce le tremava appena- lui … lui ti piace.”
“cosa? N-non è vero!”
“no, Lovino. Va bene così. Dopotutto al cuor non si comanda, no? E, ti sembrerà un po’ stereotipato, ma, per favore, promettimi che rimarremo amici…”
“c-certo…- riuscì a borbottare Lovino, la voce spezzata- Maia, io… mi dispiace così tanto…”
“non ti preoccupare. Io starò benone.” gli sorrise. Si trattava si un sorriso triste, però, e Maia aveva gli occhi lucidi.
Poi si sporse in avanti e gli schioccò un bacio su una guancia, proprio come quando si erano conosciuti; si girò, e con un sospiro si avviò verso il molo, dove era appena arrivato il traghetto che l‘avrebbe portata a casa.
Lovino la guardò allontanarsi, sotto la pioggia che si faceva più insistente, nel cuore la triste sensazione di averla persa per sempre.
Però, e Lovino lo sapeva perfettamente, quando un periodo della tua vita finisce, non può che iniziarne un altro. E tutto sommato il nuovo periodo non prometteva poi così male.




il mio angolino
Evvai! Tre hurrà per Belgio, che finalmente si leva dalle pal… ehm, dalle scatole.
Vi giuro che ho provato a farla più carina possibile, ma finiva lo stesso per starmi antipatica da morire, per via del fatto che interferisce con le mie (nostre) perverse idee yaoi. ;) comunque, per chiarire, Monica sarebbe la versione femminile di germania (mi sembra di aver capito che si chiami così..)
Per quanto riguarda il capitolo, spero vi piaccia, anche se l’ho scritto e pubblicato subito dopo (quindi spero perdonerete eventuali errori di battitura)… a proposito di errori, io non sono di Venezia, quindi chiedo scusa per eventuali casini riguardo i trasporti pubblici XD
E su questa nota allegra, concludo.
Che lo spamano sia con voi. Amen.
Lynn.
p.s. l’avete riconosciuto il tizio con il materassino alla festa di Gil, vero?
 
 
 
  
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