Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Elfa    03/08/2013    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se Sauron si fosse ripreso l'anello? Quale sarebbe stato il destino della Terra di Mezzo? Si può ancora essere felici in un mondo del genere, dove pare ci sia posto solo per la guerra?
Questa è la storia di due fratelli alla ricerca di un'occasione di riscossa, o forse, solo di un pò di pace in una terra che sembra non averne più.
-Questa è (spero) la versione definitiva della storia "Ombre" e riunisce sia l'antefatto che la storia vera e propria. Tuttavia questa storia presenta alcune differenze nei personaggi e nella trama, quindi non è un copia e incolla, lo dico per i miei vecchi lettori. Detto questo, vi lascio al racconto. Buona lettura.-
Genere: Avventura, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cap. 18: Spiriti perduti
 
Soraya non era una donna che amava la compagnia, e meno che mai quella di Agash e degli altri soldati. Li riteneva una seccatura necessaria, nulla di più. Quello era uno dei motivi per cui, quando si accampavano, preferiva allontanarsi dal resto del gruppo, ben sapendo che erano davvero poche le creature che avrebbero osato attaccarla.
Un altro motivo, era che allontanandosi dal resto del gruppo aveva modo di percepire meglio la presenza degli spiriti. Avvertiva, dietro di lei, le piccole anime della sua scorta, poco più che insetti impegnati nelle loro faccende. Era l'anima duplice della ragazza e della sua guida ad attirarla, e quella luminosa, e potenzialmente molto pericolosa del giovane con lei.
Da qualche giorno anche l'altra aveva percepito la sua, e ora si studiavano, a distanza, aspettando che l'altra facesse una mossa falsa che le permettesse di passare in vantaggio. E inaspettatamente, la giovane commise davvero un errore. La sentiva vicina, nell'ombra, tra gli alberi. Sentiva quel doppio spirito vicino a lei, osservarla.
La divoratrice sorrise tra sé, alzando gli occhi tra i tronchi dei pini, osservando lo scintillare del piccolo spirito argenteo su quella grande bestia nera.
“Pensavo avresti continuato a scappare, piccola Sarabi.” Osservò, richiamando il proprio spirito. Un gigantesco cobra, di un viola pulsante avvolse le spire attorno alla donna pallida, come a proteggerla. Tìra si fece avanti, senza scendere dal leone, né rispondere. “Sei silenziosa... niente ultime parole?”
La giovane strinse le labbra, fissando gli occhi rossi dell'altra, in un'espressione di odio puro. Sapeva cosa aveva fatto. Lo aveva capito nel momento stesso in cui aveva pronunciato il suo nome.
“Crepa, puttana.”
 
*

Anarion camminava avanti e indietro per la stanza, come una tigre in trappola, continuando ad osservare il corpo di Tìra, giaceva a terra, rannicchiata su un fianco, come se fosse addormentata. Non avrebbe voluto lasciarla andare... avrebbe preferito mettere più leghe possibili tra lei e i loro misteriosi inseguitori. Non li aveva visti né sentiti, ma Tìra era certa che qualcuno li seguisse, e aveva parlato di una figura che chiamava la Divoratrice... una creatura in grado di distruggere l'anima di uno Sciamano degli Spiriti. Un motivo in più per non essere d'accordo su quel confronto, eppure l'esterling non aveva voluto sentire ragioni. Diceva che più avrebbero rimandato quel combattimento e peggio sarebbe stato.
Anie sbuffò, lasciandosi cadere a terra, appoggiandosi contro una parete.
Da lontano avevano scambiato quel luogo per un avamposto, ma avvicinandosi avevano avuto modo di notare che fosse qualcosa di diverso... anzitutto, sembrava abbandonato da tempo, e che un incendio l'avesse divorato, lasciando in piedi le murature e distruggendo le strutture in legno.
Era un edificio tripartito, un cortile chiuso da un lato da un muro di cinta e dagli altri tre da edifici disposti a C.
Avevano esi erano fermati su quello centrale, un edificio a due piani, quello superiore quasi del tutto crollato, così come le scale che li collegavano. C'erano vari vani, cucine, quello che sembrava un magazzino e una piccola prigione. Da quell'ultima stanza una scala conduceva ad un piano inferiore, ma l'ingresso era stato murato. Anche così, Anarion preferiva non avvicinarcisi troppo... da quel luogo saliva un'atmosfera sgradevole. Qualcosa di malvagio poteva esserci rinchiuso, o comunque, il male vi aveva albergato a lungo. Si erano accampati nel punto più lontano possibile da quella maledetta scala, eppure lui continuava a pensarci. Quando non si preoccupava per Tìra era in ansia per quella porta murata, e viceversa. Sbuffò, tentando inutilmente di calmarsi, gli occhi fissi di nuovo sulla giovane.
Non aveva idea di come si stesse svolgendo il combattimento, ma lei pareva tranquilla. Si chiese se la serenità del suo corpo rispecchiasse effettivamente i fatti.
Sospirò, chiudendo gli occhi, cercando di allontanare ogni pensiero di quel genere.
Avrebbe dovuto cercare di recuperare le forze... ormai non mancava molto, una volta superate le montagne sarebbero stati a pochi giorni di viaggio da Lagolungo... a da lì a Bosco Atro.
Al biondo sfuggì un sospiro, mentre si lasciava scivolare nel sonno vigile degli elfi, riposando come in trance, il respiro profondo e regolare, mentre i sogni si mescolavano a realtà e ricordo.
Fu allora che si accorse delle pallide figure che sembravano aleggiare ai lati della sua vista, cogliendole solo con la coda dell'occhio, riuscendo a focalizzarle solo in un secondo momento, sgomento.
Erano figure di donna, luminose e bianche, ma dai contorni sfocati e indefinibili, e c'era qualcosa di angosciante in loro, di penoso, come se stesse guardando un animale in fin di vita.
Chi siete..? La domanda sgorgò dalla sua mente senza essere pronunciata, e la risposta giunse in un coro di voci vagamente metalliche, ma tutte prive di qualsiasi intonazione.
I nostri nomi sono andati perduti... come tutto ciò che eravamo... ogni cosa ci è stata tolta, qui. Ed è rimasta solo la rabbia... e il dolore... le figure si avvicinarono come falene in volo, spettri bianchi che sfilavano nella sua mente, sfiorandogli il corpo, ma senza toccarlo mai. Non possiamo lasciare questo posto, perché non siamo vive...e  non siamo morte. Possiamo solo attendere. E questo facciamo. Attendiamo che qualcuno apra la porta... e ci dia la pace. E la vendetta.
Vendetta... contro chi? Una di quelle creature si fermò, volteggiando davanti a lui, allungando il palmo della mano verso il volto di Anarion, ma senza toccarlo ancora, quasi attendendo che la prendesse. Il giovane esitò per un lungo minuto, prima di allungare la destra e posarla sull'eterea e fredda mano.
Come se lo avessero colpito, immagini e ricordi fluirono in lui con prepotenza sconvolgente, immagini a brandelli di luoghi e voci urlate e sussurrate, senza significato, il bosco illuminato da luci d'oro, le fiamme, la neve, e il buio. Dolore, tanto dolore... sangue che scorreva, pianti... un'angoscia senza fine. Gli sfilarono davanti immagini di uomini ed orchi, e quella ricorrente di una donna pallida, dalla testa rasata e le iridi color del sangue, che sorrideva, sprezzante, e la sua voce... Mi sono sempre chiesta... cosa ha di diverso un'anima immortale? Come potete vivere per sempre?
Infine, le immagini defluirono, le voci cessarono di colpo, e un gran silenzio avvolse Anarion.
Le donne pallide restarono sospese attorno a lui, facendo cerchio, ma attendendo che potesse riprendersi.
“Cosa... cosa vi ha fatto?” Chiese il giovane, stavolta ad alta voce, incapace di sostenere ancora la comunicazione telepatica. Ebbe l'impressione che la donna cui aveva toccato la mano sospirasse, prima di parlare di nuovo nella sua testa.
Si chiamava Soraya... un tempo era solo una Sciamana. La chiamavano Hatmai. Ma lei voleva qualcosa di più di questo... voleva vivere per sempre. Ci ha tolto qualcosa. Qualcosa di importante. Ma non ci ha distrutte. Non che questo l'abbia aiutata molto... non è immortale... deve alimentarsi. Deve nutrirsi di altre anime.
“Tìra... Tìra si sta battendo con lei.” Anarion scattò in piedi, in allarme, aspettando che le donne sparissero, ma queste restarono ritte innanzi a lui.
Col tuo corpo fisico non potrai fare nulla. Lo avvertirono, mentre già lui era chino a prendere la spada. Si voltò verso di loro, quasi con rabbia, fissandole quasi fossero loro le colpevoli. Una voce rispose. Uno scontro tra anime... sarà pericoloso, non te lo nascondo... ma hai la capacità di aiutare la tua compagna. La donna luminosa di prima si fece avanti, di nuovo allungando una mano verso il suo viso, ancora senza toccarlo, lasciandola sospesa davanti agli occhi del giovane. Chiudi gli occhi, ora.
 
Il leone nero balzò all'indietro quando la testa del serpente scattò in avanti, sottraendosi al morso di quei denti e provando a contrattaccare, ma quello a sua volta si ritraeva, in una danza in cui nessuna delle due contendenti riusciva a prevalere sull'altra.
Soraya aspettava di sfiancare Tìra, mentre la giovane cercava di aprire la difesa della Divoratrice, che restava protetta, avvolta tra le spire del serpente.
La giovane strinse i denti, frustrata, gli occhi fissi sulla donna, su quel corpo vulnerabile che non riusciva a raggiungere.
Il leone nero si volse, fuggendo, mentre il serpente scattava verso questo, inseguendolo, slanciandosi in avanti. Sarim si volse e saltò, affondando i denti nella carne spirituale del rettile, gli artigli a bloccarlo a terra mentre si dimenava.
Un ghigno attraversò il volto di Tìra, ma durò solo un momento, il tempo di notare con la coda dell’occhio un movimento, un’ombra bianca calare su di lei. Tentò di farsi indietro, di schivare quel colpo, ma l’alabarda di Soraya le calò sulla spalla, scendendo fino al pettò.
La giovane gridò, annaspando, una mano a premere sulla ferita da cui non usciva sangue, ma una pulsante luce bianca. Il dolore era insopportabile, ma non per il fisico, sembrava piuttosto che qualcuno le stesse infilando migliaia di aghi acuminati nel cervello, scendendo in profondità, bloccandole ogni pensiero in un’immobile stasi. Sentì qualcosa andare in pezzi, senza capire cosa fosse, restando riversa a terra.
Soraya rise, facendosi avanti verso il corpo argenteo e pulsante di luce candida di Tìra.
“L’ho chiamato Sventranime.” Spiega, carezzando il manico dell’alabarda, osservandola dall’alto e ridacchiando piano. “L’ho incantata su due piani... la lama fisica taglia la carne... quella spirituale taglia lo spirito.” Ghignò, alzando di nuovo l’arma. “Non mi scappi...” Fece per calarla, eppure, con un grido strozzato, si fermò a metà del gesto, per poi lasciarla cadere a terra, gemendo, abbassando gli occhi sulla spada di luce d’oro che le spuntava dal petto all’altezza del cuore. La fissò per un paio di secondi, prima di scivolare in ginocchio, inerme, lo sguardo perso nel vuoto.
Anarion fece un passo indietro, fissandola, viva ma assente, solo un involucro vuoto. La spada che aveva in mano, l’essenza... o chissà che altro, di quelle donne con le cui anime aveva parlato, si dissolse nella sua mano in una miriade di scintille luminose, come polvere di stelle. Avevano avuto la loro vendetta.
La figura del ragazzo aveva il colore dell’oro. Non era lì veramente, lo era solo il suo spirito, staccato dal corpo come in quella trance in cui gli elfi riposano. Si chinò su Tìra, che lo fissava, strabuzzando gli occhi. Doveva riportarla indietro... il leone nero si acquattò vicino a lei, lasciando quel gigantesco cobra a dissolversi lentamente, sconfitta colei che lo teneva legato, fissando la ragazza, ringhiando piano, gutturalmente, la coda a fendere nervosamente l’aria. Anarion posò una mano sulla fronte della ragazza.
 
 
Il grido di Tìra fu la prima cosa che udì una volta tornato nel suo corpo. Scattò verso di lei, ancora distesa, ma non certo tranquilla, ora: aveva la bocca spalancata in un grido ed era rigida, la schiena inarcata che sembrava sul punto di spezzarsi.
“Tìra!” La chiamò, con una vena di panico nella voce. Fece per toccarla, ma esitò, memore di quanto lei stessa, gli aveva detto. Lei continuava ad urlare. “Merda...” Un sibilo sulle labbra, rompendo gli indugi e prendendole il volto tra le mani. “Tìra, sono io! Sono...” Il fiato gli si spezzò in gola, schiacciato da una marea di sensazioni e ricordi.
Una città dalle cupole d’oro.
Un giardino con delle fontane e fiori e piante mai viste prima.
I piedi a mollo nell’acqua fresca di una delle vasche, con piccoli pesci colorati a nuotare lontano, disturbati.
Sua madre.
Una donna dagli scuri occhi a mandorla e la pelle ambrata.
La faccia imbronciata di Gurth quando era venuto nella sua cella.
E in quel caos si perse, senza più sapere quali fossero i ricordi suoi e quelli della ragazza.
 Cap. 18: Spiriti perduti
 
Soraya non era una donna che amava la compagnia, e meno che mai quella di Agash e degli altri soldati. Li riteneva una seccatura necessaria, nulla di più. Quello era uno dei motivi per cui, quando si accampavano, preferiva allontanarsi dal resto del gruppo, ben sapendo che erano davvero poche le creature che avrebbero osato attaccarla.
Un altro motivo, era che allontanandosi dal resto del gruppo aveva modo di percepire meglio la presenza degli spiriti. Avvertiva, dietro di lei, le piccole anime della sua scorta, poco più che insetti impegnati nelle loro faccende. Era l'anima duplice della ragazza e della sua guida ad attirarla, e quella luminosa, e potenzialmente molto pericolosa del giovane con lei.
Da qualche giorno anche l'altra aveva percepito la sua, e ora si studiavano, a distanza, aspettando che l'altra facesse una mossa falsa che le permettesse di passare in vantaggio. E inaspettatamente, la giovane commise davvero un errore. La sentiva vicina, nell'ombra, tra gli alberi. Sentiva quel doppio spirito vicino a lei, osservarla.
La divoratrice sorrise tra sé, alzando gli occhi tra i tronchi dei pini, osservando lo scintillare del piccolo spirito argenteo su quella grande bestia nera.
“Pensavo avresti continuato a scappare, piccola Sarabi.” Osservò, richiamando il proprio spirito. Un gigantesco cobra, di un viola pulsante avvolse le spire attorno alla donna pallida, come a proteggerla. Tìra si fece avanti, senza scendere dal leone, né rispondere. “Sei silenziosa... niente ultime parole?”
La giovane strinse le labbra, fissando gli occhi rossi dell'altra, in un'espressione di odio puro. Sapeva cosa aveva fatto. Lo aveva capito nel momento stesso in cui aveva pronunciato il suo nome.
“Crepa, puttana.”
 
*

Anarion camminava avanti e indietro per la stanza, come una tigre in trappola, continuando ad osservare il corpo di Tìra, giaceva a terra, rannicchiata su un fianco, come se fosse addormentata. Non avrebbe voluto lasciarla andare... avrebbe preferito mettere più leghe possibili tra lei e i loro misteriosi inseguitori. Non li aveva visti né sentiti, ma Tìra era certa che qualcuno li seguisse, e aveva parlato di una figura che chiamava la Divoratrice... una creatura in grado di distruggere l'anima di uno Sciamano degli Spiriti. Un motivo in più per non essere d'accordo su quel confronto, eppure l'esterling non aveva voluto sentire ragioni. Diceva che più avrebbero rimandato quel combattimento e peggio sarebbe stato.
Anie sbuffò, lasciandosi cadere a terra, appoggiandosi contro una parete.
Da lontano avevano scambiato quel luogo per un avamposto, ma avvicinandosi avevano avuto modo di notare che fosse qualcosa di diverso... anzitutto, sembrava abbandonato da tempo, e che un incendio l'avesse divorato, lasciando in piedi le murature e distruggendo le strutture in legno.
Era un edificio tripartito, un cortile chiuso da un lato da un muro di cinta e dagli altri tre da edifici disposti a C.
Avevano esi erano fermati su quello centrale, un edificio a due piani, quello superiore quasi del tutto crollato, così come le scale che li collegavano. C'erano vari vani, cucine, quello che sembrava un magazzino e una piccola prigione. Da quell'ultima stanza una scala conduceva ad un piano inferiore, ma l'ingresso era stato murato. Anche così, Anarion preferiva non avvicinarcisi troppo... da quel luogo saliva un'atmosfera sgradevole. Qualcosa di malvagio poteva esserci rinchiuso, o comunque, il male vi aveva albergato a lungo. Si erano accampati nel punto più lontano possibile da quella maledetta scala, eppure lui continuava a pensarci. Quando non si preoccupava per Tìra era in ansia per quella porta murata, e viceversa. Sbuffò, tentando inutilmente di calmarsi, gli occhi fissi di nuovo sulla giovane.
Non aveva idea di come si stesse svolgendo il combattimento, ma lei pareva tranquilla. Si chiese se la serenità del suo corpo rispecchiasse effettivamente i fatti.
Sospirò, chiudendo gli occhi, cercando di allontanare ogni pensiero di quel genere.
Avrebbe dovuto cercare di recuperare le forze... ormai non mancava molto, una volta superate le montagne sarebbero stati a pochi giorni di viaggio da Lagolungo... a da lì a Bosco Atro.
Al biondo sfuggì un sospiro, mentre si lasciava scivolare nel sonno vigile degli elfi, riposando come in trance, il respiro profondo e regolare, mentre i sogni si mescolavano a realtà e ricordo.
Fu allora che si accorse delle pallide figure che sembravano aleggiare ai lati della sua vista, cogliendole solo con la coda dell'occhio, riuscendo a focalizzarle solo in un secondo momento, sgomento.
Erano figure di donna, luminose e bianche, ma dai contorni sfocati e indefinibili, e c'era qualcosa di angosciante in loro, di penoso, come se stesse guardando un animale in fin di vita.
Chi siete..? La domanda sgorgò dalla sua mente senza essere pronunciata, e la risposta giunse in un coro di voci vagamente metalliche, ma tutte prive di qualsiasi intonazione.
I nostri nomi sono andati perduti... come tutto ciò che eravamo... ogni cosa ci è stata tolta, qui. Ed è rimasta solo la rabbia... e il dolore... le figure si avvicinarono come falene in volo, spettri bianchi che sfilavano nella sua mente, sfiorandogli il corpo, ma senza toccarlo mai. Non possiamo lasciare questo posto, perché non siamo vive...e  non siamo morte. Possiamo solo attendere. E questo facciamo. Attendiamo che qualcuno apra la porta... e ci dia la pace. E la vendetta.
Vendetta... contro chi? Una di quelle creature si fermò, volteggiando davanti a lui, allungando il palmo della mano verso il volto di Anarion, ma senza toccarlo ancora, quasi attendendo che la prendesse. Il giovane esitò per un lungo minuto, prima di allungare la destra e posarla sull'eterea e fredda mano.
Come se lo avessero colpito, immagini e ricordi fluirono in lui con prepotenza sconvolgente, immagini a brandelli di luoghi e voci urlate e sussurrate, senza significato, il bosco illuminato da luci d'oro, le fiamme, la neve, e il buio. Dolore, tanto dolore... sangue che scorreva, pianti... un'angoscia senza fine. Gli sfilarono davanti immagini di uomini ed orchi, e quella ricorrente di una donna pallida, dalla testa rasata e le iridi color del sangue, che sorrideva, sprezzante, e la sua voce... Mi sono sempre chiesta... cosa ha di diverso un'anima immortale? Come potete vivere per sempre?
Infine, le immagini defluirono, le voci cessarono di colpo, e un gran silenzio avvolse Anarion.
Le donne pallide restarono sospese attorno a lui, facendo cerchio, ma attendendo che potesse riprendersi.
“Cosa... cosa vi ha fatto?” Chiese il giovane, stavolta ad alta voce, incapace di sostenere ancora la comunicazione telepatica. Ebbe l'impressione che la donna cui aveva toccato la mano sospirasse, prima di parlare di nuovo nella sua testa.
Si chiamava Soraya... un tempo era solo una Sciamana. La chiamavano Hatmai. Ma lei voleva qualcosa di più di questo... voleva vivere per sempre. Ci ha tolto qualcosa. Qualcosa di importante. Ma non ci ha distrutte. Non che questo l'abbia aiutata molto... non è immortale... deve alimentarsi. Deve nutrirsi di altre anime.
“Tìra... Tìra si sta battendo con lei.” Anarion scattò in piedi, in allarme, aspettando che le donne sparissero, ma queste restarono ritte innanzi a lui.
Col tuo corpo fisico non potrai fare nulla. Lo avvertirono, mentre già lui era chino a prendere la spada. Si voltò verso di loro, quasi con rabbia, fissandole quasi fossero loro le colpevoli. Una voce rispose. Uno scontro tra anime... sarà pericoloso, non te lo nascondo... ma hai la capacità di aiutare la tua compagna. La donna luminosa di prima si fece avanti, di nuovo allungando una mano verso il suo viso, ancora senza toccarlo, lasciandola sospesa davanti agli occhi del giovane. Chiudi gli occhi, ora.
 
Il leone nero balzò all'indietro quando la testa del serpente scattò in avanti, sottraendosi al morso di quei denti e provando a contrattaccare, ma quello a sua volta si ritraeva, in una danza in cui nessuna delle due contendenti riusciva a prevalere sull'altra.
Soraya aspettava di sfiancare Tìra, mentre la giovane cercava di aprire la difesa della Divoratrice, che restava protetta, avvolta tra le spire del serpente.
La giovane strinse i denti, frustrata, gli occhi fissi sulla donna, su quel corpo vulnerabile che non riusciva a raggiungere.
Il leone nero si volse, fuggendo, mentre il serpente scattava verso questo, inseguendolo, slanciandosi in avanti. Sarim si volse e saltò, affondando i denti nella carne spirituale del rettile, gli artigli a bloccarlo a terra mentre si dimenava.
Un ghigno attraversò il volto di Tìra, ma durò solo un momento, il tempo di notare con la coda dell’occhio un movimento, un’ombra bianca calare su di lei. Tentò di farsi indietro, di schivare quel colpo, ma l’alabarda di Soraya le calò sulla spalla, scendendo fino al pettò.
La giovane gridò, annaspando, una mano a premere sulla ferita da cui non usciva sangue, ma una pulsante luce bianca. Il dolore era insopportabile, ma non per il fisico, sembrava piuttosto che qualcuno le stesse infilando migliaia di aghi acuminati nel cervello, scendendo in profondità, bloccandole ogni pensiero in un’immobile stasi. Sentì qualcosa andare in pezzi, senza capire cosa fosse, restando riversa a terra.
Soraya rise, facendosi avanti verso il corpo argenteo e pulsante di luce candida di Tìra.
“L’ho chiamato Sventranime.” Spiega, carezzando il manico dell’alabarda, osservandola dall’alto e ridacchiando piano. “L’ho incantata su due piani... la lama fisica taglia la carne... quella spirituale taglia lo spirito.” Ghignò, alzando di nuovo l’arma. “Non mi scappi...” Fece per calarla, eppure, con un grido strozzato, si fermò a metà del gesto, per poi lasciarla cadere a terra, gemendo, abbassando gli occhi sulla spada di luce d’oro che le spuntava dal petto all’altezza del cuore. La fissò per un paio di secondi, prima di scivolare in ginocchio, inerme, lo sguardo perso nel vuoto.
Anarion fece un passo indietro, fissandola, viva ma assente, solo un involucro vuoto. La spada che aveva in mano, l’essenza... o chissà che altro, di quelle donne con le cui anime aveva parlato, si dissolse nella sua mano in una miriade di scintille luminose, come polvere di stelle. Avevano avuto la loro vendetta.
La figura del ragazzo aveva il colore dell’oro. Non era lì veramente, lo era solo il suo spirito, staccato dal corpo come in quella trance in cui gli elfi riposano. Si chinò su Tìra, che lo fissava, strabuzzando gli occhi. Doveva riportarla indietro... il leone nero si acquattò vicino a lei, lasciando quel gigantesco cobra a dissolversi lentamente, sconfitta colei che lo teneva legato, fissando la ragazza, ringhiando piano, gutturalmente, la coda a fendere nervosamente l’aria. Anarion posò una mano sulla fronte della ragazza.
 
 
Il grido di Tìra fu la prima cosa che udì una volta tornato nel suo corpo. Scattò verso di lei, ancora distesa, ma non certo tranquilla, ora: aveva la bocca spalancata in un grido ed era rigida, la schiena inarcata che sembrava sul punto di spezzarsi.
“Tìra!” La chiamò, con una vena di panico nella voce. Fece per toccarla, ma esitò, memore di quanto lei stessa, gli aveva detto. Lei continuava ad urlare. “Merda...” Un sibilo sulle labbra, rompendo gli indugi e prendendole il volto tra le mani. “Tìra, sono io! Sono...” Il fiato gli si spezzò in gola, schiacciato da una marea di sensazioni e ricordi.
Una città dalle cupole d’oro.
Un giardino con delle fontane e fiori e piante mai viste prima.
I piedi a mollo nell’acqua fresca di una delle vasche, con piccoli pesci colorati a nuotare lontano, disturbati.
Sua madre.
Una donna dagli scuri occhi a mandorla e la pelle ambrata.
La faccia imbronciata di Gurth quando era venuto nella sua cella.
E in quel caos si perse, senza più sapere quali fossero i ricordi suoi e quelli della ragazza.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Elfa