Fandom: Black Friars.
Pairing/Personaggi: Jordan Vandemberg;
Jerome Sinclair;
Jordan/Jerome; Gabriel Stuart, Cain e Sophia Blackmore e tutta la
compagnia.
Rating: Giallo.
Chapters: 1/1.
Genere:
Angst, Introspettivo, Triste.
Words: 3311
Summary: Jordan viene
spesso preso in giro a causa dei
sentimenti che ha scatenato in due cugini Sinclair, ma quale potrebbe
essere,
per lui, l’unica possibile scelta? L’onore della
famiglia o il volere del
proprio cuore?
Note: Ormai è
passato
un po’ di tempo dall’uscita dell’ultimo
libro, eppure sono rimasta sconvolta
nel notare che nessuno - se qualcuno l’ha fatto e mi
è sfuggito, chiedo totale
perdono - ha ancora scritto di quei due briganti di Jordan e Jerome.
Cioè,
andiamo! Sono praticamente canon! Canon! Una
coppia simile è canon e a nessuno sembra interessare! Non si
fa, no! Devo
ammettere, inoltre, di avere una certa ansia nel postare questa cosa.
Non sono
certa che mi piaccia, però quei due reclamavano giustizia ed
io… si, insomma,
non ce l’ho fatta. Perdonatemi, se non vi piacerà,
io ho solo fatto del mio
meglio. Damianne si inchinerà davanti a tutti coloro che le
diranno quanto fa
schifo tutto ciò, senza lamentarsi!
Ah,
giusto per specificare: quei due sono troppo
carini insieme. Jordan è troppo carino. Jerome è
troppo carino. Sono tutti
troppo carini. Troppo.
«
Chi sceglierai tra Fay e Jerome Sinclair? »
«
Perché, Vostra Altezza ha piazzato una scommessa? »
Nella sua
famiglia, nascondere le emozioni al meglio era un pregio che
solamente il terzogenito, il Principe Bryce, sembrava poter vantare.
Pochi
sapevano - pochi volevano sapere - che anche il più giovane
dei quattro
Principi di Aldenor aveva sviluppato quella particolare inclinazione a
celare
ai più ciò che gli si agitava in cuore.
Doveva farlo,
la sua famiglia non
l’avrebbe mai accettato.
Odiava dover
mentire in modo così spudorato a coloro che, in assoluto,
amava più della sua stessa vita. Ma non aveva scelta. Non
aveva possibilità di
cambiare il disastro in cui la sua vita era precipitata, da neppure
troppo
tempo. Credeva fosse solo un momento, credeva che sarebbe passato tutto.
Ma non era
successo.
Le
porte della Residenza della Reggenza di Altieres si aprirono davanti a
lui,
Alexis in persona si premurò di prendere il suo bastone ed
il soprabito,
indicandogli, con un cenno rispettoso, il salone in cui, evidentemente,
i suoi
amici lo stavano aspettando, prima di dirigersi all’Elisir
del Diavolo.
Jordan
non voleva entrare. Non voleva vederli. Non voleva vedere loro. Però non aveva scelta,
perché tutti si aspettavano da lui un
certo comportamento. Non poteva certo deludere Julian. Non poteva certo
deludere Sophia. Non poteva, nonostante il suo unico desiderio, in quel
momento, fosse il poter tornare al suo Collegio, chiudersi nella sua
camera e
fingere che tutto ciò che stava vivendo non fosse stato
altro che un terribile
sogno.
Uno
strillo acuto e carico di gioia lo fece quasi trasalire, non appena
ebbe messo
piede nella grande sala. Soprattutto perché, immediatamente,
Jordan aveva
riconosciuto l’autrice di quello strano e trillante richiamo
per animali, stranamente
simile a quello dei bovari che facevano pascolare le mucche, in
campagna. O
forse simili ai fischi dell’Onorevole Megan, non
c’era molta differenza.
«
Sei
arrivato, finalmente! Non ci speravo più! »
Fayette Mayfield si attaccò al suo
braccio, guardandolo con tutta la gioia e la speranza che solo
un’adolescente
sognatrice potevano avere. Credeva che avrebbe ballato con lei tutta la
sera,
come gli aveva fatto promettere. E forse l’avrebbe fatto
davvero, perché era un
Vandemberg ed i Vandemberg rispettavano le loro promesse.
«
Ho
preferito perdere qualche minuto in più davanti allo
specchio, oggi. Mio
fratello non mi avrebbe perdonato se fossi uscito con un nodo alla
cravatta
meno che perfetto » fu la sua risposta laconica, seguita da
un coro di risate
da parte di tutti gli altri occupanti. Tutti tranne la giovane Sophia,
che,
invece, gli dedicò un’occhiata piena di
comprensione. Lei stessa, prima di
potersi definire accettabile, aveva trascorso ore ed ore davanti allo
specchio.
L’immagine del suo amato tutore che interrompeva i
festeggiamenti solo perché
non reputava accettabile la sua acconciatura la tormentava anche di
notte.
«
Jerome dov’è? Lui non viene? »
domandò Alexandria, spingendo di lato Justin, in
modo che finisse dritto fra le braccia del gemello, dando inizio ad un
nuovo
scontro inconcludente fra i due, uno dei tanti. « Aveva detto
che sarebbe stato
dei nostri, questa mattina. » aggiunse, con una certa
apprensione, guardando in
direzione di Gabriel che, probabilmente, era il più
informato, fra loro.
Quest’ultimo
si limitò a scuotere la testa. « Ha detto che non
se la sentiva, è rimasto in
caserma. » i suoi occhi di ghiaccio si puntarono, senza la
minima pietà, sul
più giovane dei fratelli Vandemberg, scrutandolo come se
riuscisse a scorgere
tutti i suoi tormenti interiori. « A quanto pare, la persona
che aveva deciso
di portare alla festa ha deciso di piantarlo in asso per qualcun altro.
»
La
parola persona martellò
contro le
costole di Jordan come se avesse deciso di tirargli fuori il cuore con
tutta la
violenza possibile. Persona, non ragazza. Persona. Lui era quella
persona? No,
non poteva essere. Non avrebbe avuto il minimo senso, no?
«
Verrai all’Elisir del Diavolo? »
parole sussurrate contro le sue labbra, quando la natura umana li aveva
forzati
ad allontanarsi l’uno dall’altro.
«
Certo che verrò »
Non
potevano certo essere un invito, quelle sue parole. Non potevano,
perché loro
non potevano certo presentarsi insieme in pubblico, lui lo sapeva.
Doveva
saperlo, altrimenti avrebbe davvero potuto immaginare che sarebbero
andati
insieme alla festa. No, Jerome non era uno sprovveduto, lui capiva
sicuramente
la spiacevole situazione in cui si erano andati a cacciare, lui
comprendeva la
necessità di nascondere a chiunque, anche a loro stessi, l’incidente che li aveva
coinvolti, durante il viaggio verso
Aldenor. E alla fine dello scontro con i Presidiales. E almeno ogni
volta che
erano riusciti ad incrociarsi, da quel momento in poi. Incidenti,
incidenti di percorso. Non doveva neppure credere che
potessero significare qualcosa di più.
«
Un
vero peccato. Mi sembrava così entusiasta,
l’ultima volta che ci ho parlato! »
Caroline scosse la testa, lasciando che i morbidi boccoli le
ondeggiassero
sulle spalle, con il viso contratto in una piccola smorfia preoccupata.
«
Considerando che si parla di Jerome, il fatto di averlo visto
così felice mi
aveva lasciata vagamente sbigottita. Deve essere stato un brutto colpo,
per
lui. » continuò la giovane Mayfield, incurante dei
colpi spietati che stava
infliggendo al biondo Vandemberg, seduto poco lontano, con Fay ancora
allegramente attaccata al suo braccio.
«
Non
faceva altro che parlare della festa di oggi, è vero.
» convenne Sophia, ancora
seduta accanto al fratello, al pianoforte, però
completamente interessata alla
discussione in atto fra i suoi vari cugini. « Jerome che dice
più di qualche
parola, senza fare il resoconto dei miei movimenti al mio caro
fidanzato, è una
cosa molto strana. »
Gabriel
accennò quello che sembrava un ghigno in direzione della
giovane Blackmore,
chinando poi il capo. « Moen rejine,
non
avrei bisogno di occhi ed orecchie in più, se tu non fossi
così incline a
metterti nei guai. »
«
Neanche fosse colpa mia »
Quello
scambio di battute, fra i due fidanzati, venne accolta da qualche
risatina e
dei falsissimi colpi di tosse da parte di Cain, che servirono a
mascherare la
sua non totale adesione all’affermazione della sorella,
tutt’altro. Jordan,
invece, fu l’unico a non dare alcun peso alle loro parole,
restando incatenato
a ciò che i parenti della sua migliore amica avevano detto
fino a quel momento.
Era consapevole di non doversi attardare su certi pensieri,
perché non avrebbe
risolto nulla, tutt’altro. Ma non poteva farne a meno, non
quando il calore
delle sue mani, il sapore delle sue labbra bruciavano come ferite troppo
recenti sul suo cuore.
Era
stato davvero felice, all’idea che lui avesse accettato di
presenziare alla
festa in sua compagnia? Era davvero felice al pensiero di rischiare
completamente le loro reputazioni davanti all’intero gruppo
di scholares? No, impossibile.
Jerome era
il ragazzo più prudente che avesse mai conosciuto in vita
sua. Lui doveva
sapere, doveva capire. Per quanto tutti scherzassero su una loro
ipotetica
relazione, i nobili del Continente non avrebbero mai e poi mai
approvato che un
Vandemberg fosse… no. Jordan
non
avrebbe coperto di vergogna la sua famiglia. Mai.
«
Jordan? Jordan! » mani gentili lo scossero leggermente,
lasciandogli intuire
che dovesse essersi incantato per qualche secondo di troppo, senza
rispondere
ai vari richiami che dovevano essergli stati fatti. Cain Blackmore era
un
immortale, quindi avrebbe sviluppato la tradizionale pazienza dei
redivivi, col
tempo, considerando che, ancora, non sembrava essere molto diverso
dalla
precipitosa sorella.
«
Cosa?
» esalò il terzo in linea di successione al trono
di Aldenor, voltandosi verso
il vampiro, con un’aria accigliata che, per qualche secondo,
avrebbe potuto
farlo somigliare ad Axel, quando la sua cara sorella adottiva,
nonché cognata,
tendeva a sorprenderlo con qualche particolare e sventurata avventura
da lui
non approvata.
«
Ti ho
chiesto se ti dispiacerebbe venire in carrozza con me, Julian e
Gabriel. Sempre
se la mia adorata sorella non desidera tenere solo per sé il
suo futuro marito.
» affermò l’eterno ragazzo, con un
leggero sorriso ad increspargli le belle
labbra, inchinando il capo in direzione della ragazza in questione,
ottenendo
solo uno sbuffo divertito ed un cenno con la mano.
«
Prenditelo pure, così potrò parlare male di lui
con gli altri »
«
Adoro
essere sempre al centro dei tuoi pensieri, Sofia.
» fu la sarcastica risposta del giovane Gabriel, accompagnata
dai suoi occhi
alzati verso il cielo, con evidente e malcelato divertimento. Tutto,
prima che
si posassero sul più giovane dei Vandemberg, che, in quel
momento, stava per
essere aggredito fisicamente da Fayette. Quando si puntarono su di lui,
gli
occhi grigi del figlio di Nassar Stuart divennero freddi e taglienti
come due
lame.
«
Non
vedo l’ora di poter ballare! Il mio vestito nuovo merita di
essere sfoggiato al
meglio, non credi anche tu? » stava chiedendo la giovane
Mayfield, nel
frattempo, facendo un giro su se stessa, racchiusa in
quell’enorme ammasso di
pizzi, merletti e fiocchi. Jordan si era limitato ad annuire,
lanciandole solo
uno sguardo veloce, tornando a concentrarsi sull’altro,
notando, anche se con
la coda dell’occhio, l’occhiata fugace che Julian e
Cain Blackmore si
scambiarono poco distanti da loro.
«
Fayette, quando avrai finito di pavoneggiarti, forse potremo avviarci
alla
festa. Sempre se non preferisci restare qui e riempire Vandemberg di
moine. »
la voce tagliente di Gabriel era tutto ciò che, nel mondo,
avrebbe potuto far
calmare la più esuberante fra le Mayfield, costringendola a
qualche borbottio
poco convinto, subito scacciato dall’euforia data dai
festeggiamenti imminenti.
Lo
spostamento fino alle carrozze fu veloce. Forse troppo veloce, per i
gusti di
Jordan, che temeva ciò cui stava per andare incontro. Temeva
non tanto delle azioni
dirette del più giovane figlio del defunto Reggente di
Maderian, quanto gli
sguardi accusatori e disgustati che avrebbe potuto attirare su di se,
da parte
del migliore amico e del fratello immortale di Sophia. Per quel timore
aveva
impiegato qualche minuto in più a sistemarsi la mantellina a
pieghe sulle
spalle, preoccupandosi in modo quasi maniacale di lucidare al meglio il
suo
immacolato bastone, vedendoci, forse, qualche macchia invisibile ai
più.
«
Jordie, se non ti sbrighi la festa finirà e noi resteremo
all’asciutto! »
strillò Julian, già sulla carrozza insieme agli
altri due, sbracciandosi per ottenere
tutta la sua attenzione e, forse, farlo sorridere un po’,
evitandogli uno dei
tanti attacchi cardiaci che sembravano perseguitare suo fratello Bryce
con
cadenza regolare di quindici giorni. Anche in quel momento, alla loro
residenza
cittadina, il terzogenito dei fratelli Vandemberg stava recitando le
sue ultime
volontà.
Con un
nodo alla gola, il ragazzo si affrettò a raggiungere
l’amico e gli altri,
sedendosi nell’angolo più buio della carrozza e
trattenendosi a stento dal
mettere la testa fuori dal piccolo finestrino, per nascondere loro il
viso,
pallido come il giorno in cui aveva ricevuto la Croce.
Mani delicate
sfioravano la ferita
sul suo fianco, tremando leggermente per quella vicinanza non richiesta
ma,
come poteva essere ben evidente, per nulla sgradita.
«
Perché
l’hai fatto, Vandemberg? » la voce di Gabriel
interruppe il momento di breve e
intenso silenzio che si era creato sulla piccola vettura con le insegne
dei
Blackmore. Un brivido corse lungo la schiena del biondo di Aldenor, che
fece il
possibile per non farlo vedere.
«
Fatto
cosa? » chiese invece, fissandolo con il migliore fra i suoi
sguardi vitrei e
distaccati, ostentando una freddezza d’animo che,
sicuramente, non gli
apparteneva. Ma Stuart sembrava tutt’altro che disposto a
sottostare alla sua
farsa, motivo per cui, con una mossa così veloce che,
davvero, lui non riuscì a
vedere, gli afferrò la spalla, sbattendolo, con poca
delicatezza, contro lo schienale.
«
Hai
accettato l’invito di Fayette. Dimmi perché.
» sbottò il ragazzo, premendo sulla sua
spalla, senza comunque fargli male.
Non voleva ferirlo, voleva spaventarlo, forse, per spingerlo a
spiegarsi al
meglio. « So che sei stato tu a dare buca a Jerome. Lo so,
perché quando ha
saputo di te e Fayette ha completamente cambiato espressione e si
è chiuso in
Caserma. Dimmi perché
l’hai fatto! »
sbottò, tutt’altro che delicatamente, con il viso
deformato in una smorfia
cattiva che Jordan non aveva il piacere di fronteggiare da quando lui e
Sophia
avevano chiarito.
«
Non
capisco di cosa tu stia parlando. Io e Jerome non abbiamo
più avuto una vera
discussione da quando la situazione con il Presidio si è
risolta. Cosa ti fa
credere che… » il ragazzo si fermò,
puntando, per un istante, gli occhi in
quelli di Julian. L’amico era serio, non sorrideva ma non lo
accusava con lo
sguardo, tutt’altro. Sembrava quasi volergli chiedere di
sputare il rospo, di
chiarire con gli altri e se stessi cosa gli si stava agitando nel
cuore. Cain,
al suo fianco, era una statua immobile, impassibile a qualsiasi cosa.
In quel
momento, il ragazzo seppe che avrebbe potuto parlare e chiarire la
faccenda una
volta per tutte. Qualunque fossero state le conseguenze, si sarebbe
chiarito
tutto.
Baci e
carezze proibiti sulla sua
pelle madida di sudore, la paura per un incontro sbagliato,
l’euforia di un
incontro desiderato.
Mentre la
Vecchia Capitale
piangeva i suoi morti, loro venivano colti dalla lussuria.
«
Cosa
mi fa credere che sia tu? Vandemberg, spero tu stia scherzando!
» Gabriel non
era mai stato dotato di grande pazienza. Mai. In quel momento sarebbe
bastato
lasciare il più giovane dei Vandemberg a se stesso, solo per
qualche secondo,
in modo che le immagini potessero maturare, dentro di lui, assumendo la
forma
di pensieri, emozioni e, infine, di sentimenti. Averlo strappato da
quel
processo non aveva fatto altro che lasciare l’imbarazzo e la
vergogna laddove
altri sentimenti potevano prendere il sopravvento.
«
Non
capisco cosa tu stia dicendo. Io non vorrei mai avere a che fare con un
uomo. È una cosa innaturale
» sbottò, viola
dall’imbarazzo, guardando il giovane promesso di Sophia con
sguardo di fuoco. «
Non conosco le tendenze di tuo cugino, ma solo perché lui
è strano non è detto
che debba esserlo pure io! » aggiunse, pentendosene
immediatamente.
Cosa
gli era passato per la mente? Era forse impazzito? Quando mai, in tutta
la sua
vita, lui si era lasciato andare ad affermazioni di tale portata? I
suoi
fratelli lo avrebbero preso a pugni, se l’avessero sentito.
Suo padre adottivo
si sarebbe indignato come mai aveva fatto con lui. Eloise, come minimo,
lo
avrebbe picchiato a sangue, senza ricucirlo.
Quella
storia lo aveva portato laddove non sarebbe mai voluto arrivare. Lo
aveva
spinto a dire cose che mai, in vita sua, avrebbe pensato di poter dire.
Era
tutto sbagliato, tutto. Ed era solo colpa sua. Era colpa sua,
perché aveva dato
inizio a quel gioco perverso che lo aveva fatto annegare in un mare di
dubbi e
problemi infiniti. Doveva porre freno a quella situazione, prima che il
mondo
decidesse di crollargli addosso, in modo definitivo. Era il momento di
fare una
scelta.
Mani calde
sul suo corpo, labbra
dolci sulle sue, per un veloce, peccaminoso saluto.
Nessuno
aveva più parlato, sulla carrozza. Nessuno che, comunque,
avesse tentato di
coinvolgerlo in una qualche conversazione. Forse Julian aveva tentato
di
rompere il silenzio di piombo che era precipitato sulla vettura e Cain
aveva provato
a dargli manforte. Forse Stuart aveva chiesto loro di essere
più adulti, una
volta tanto. Qualsiasi cosa, in quel momento, non aveva importanza.
Nulla aveva
importanza. Lui aveva preso la sua decisione e, per nulla al mondo,
l’avrebbe
cambiata.
Occhi verdi
nei suoi, un sorriso
gentile, corrotto dalla lussuria.
Fayette
si era subito appropriata di lui, quando aveva messo piede
all’Elisir del
Diavolo. Lo aveva trascinato al centro della grande sala,
costringendolo ad
eseguire un ballo dopo l’altro, incurante del suo sguardo
dolorante e ferito. Lo
stava facendo ballare, causandogli un’ondata di fastidio e
disgusto verso se
stesso che non avevano fatto altro che spingerlo verso la sua decisione
definitiva ancora più dei ragionamenti contorti fatti
durante il viaggio.
Sapeva
della presenza di quasi tutta la sua famiglia e dei suoi amici, quella
sera. Sapeva
che, qualsiasi azione - ad esempio, abbandonare la giovane Mayfield per
correre
alla Caserma di Altieres - compiuta in quel momento sarebbe stata
definitiva e
lo avrebbe incatenato a delle conseguenze inevitabili. Lo sapeva, ma
non per
questo evitò a se stesso di agire.
Calore
insopportabile in tutto il
suo corpo, calore soffocante ma, non per questo, meno desiderato.
Le
labbra di Fayette erano fredde, contro le sue, come freddo era il
sudore che
sentiva scendergli giù per la schiena. Freddo,
perché tutto il calore era stato
risucchiato via dagli sguardi stupiti di tutti coloro che lo
conoscevano e
pensavano avesse appena fatto una vera e propria dichiarazione
pubblica. Freddo,
come lo sguardo di Gabriel Stuart Sinclair, che aveva fermato la sua
danza con
Sophia, costringendo anche lei ad osservare quello spettacolo
tutt’altro che
gratificante. Sorrideva, la ragazza, perché non capiva cosa,
in realtà, lui
avesse affermato con quel gesto.
Julian,
il viso sconvolto a causa dell’incontro con una delle giovani
de Monroy, lo
fissava da un angolo, come a chiedergli cosa accidenti avesse
combinato. Non
doveva essersi convinto al momento della dichiarazione in carrozza,
esattamente
come Cain Blackmore, che lo guardava, esasperato, da poco lontano.
Eloise ed
Axel sembravano indecisi se sorridere a quella piccola manifestazione o
preoccuparsi a causa del pallore della sua pelle. Bryce sembrava
più
interessato a considerare quanto si sposassero bene i colori indossati
da lui e
quelli indossati dalla ragazza, in quel momento. Oppure aveva
semplicemente
giudicato le questioni amorose non interessanti e troppo stressanti,
per
qualcuno sfuggito per un pelo al mondo dei morti.
Poi,
come se i suoi occhi fossero stati richiamati da una qualche forza
incontrollabile, il suo sguardo ne incrociò un altro dai
colori dell’erba in
estate. Occhi addolorati, distrutti da un’angoscia interiore
che nessuno, se
non il più giovane dei Vandemberg, avrebbe potuto cogliere.
Agonia,
dolore racchiusi in quei smeraldi screziati che, nell’ultimo
periodo, erano
stati velati da ben altre emozioni, in sua presenza. Jordan aveva fatto
la sua
scelta, tutto pur di impedire al mondo di crollare sotto i suoi piedi.
Eppure,
guardando l’altro ragazzo negli occhi, non riuscì
ad evitare che un senso
improvviso di vuoto e vertigine gli colpisse lo stomaco, con la forza
di un
pugno.
Avrebbe posto
la propria vita
nelle sue mani, ma lui l’aveva gettata fra le labbra di sua
cugina.
La
musica sembrava assordante, in quel momento, come assordante era la
voce di
Fayette, che sproloquiava su quanto si fosse aspettata quella mossa, da
lui, da
fin troppo tempo. Assordante come il battito del suo cuore, che
sembrava
aumentare per ogni passo che Jerome compiva lontano da lui, in una
corsa carica
di angoscia che lo avrebbe allontanato per sempre dalle sue braccia.
No.
Non
poteva permettere che lui scappasse, nonostante fosse stato lui stesso
a
spingerlo ad un’azione simile.
Senza di lui
non sarebbe stato più
nulla.
Si era
pentito di quel gesto nell’esatto istante in cui
l’aveva compiuto, sentendosi
colpito da un senso di orrore alla sola idea di aver baciato qualcuno
che non
fosse lui. Si era pentito, ma non poteva più ritirare
ciò che aveva fatto, non
poteva far finta di nulla.
Non
poteva, eppure non era riuscito a fermare i propri piedi dal correre
verso l’uscita,
tentando, invano, di raggiungerlo. Era già sparito oltre la
grande massa di
studenti che si accalcavano lungo le strade, i suoi capelli biondi
irriconoscibili in mezzo alla grande folla di feluche e cappe. Sparito,
era semplicemente
sparito.
E con
lui, Jordan sentì di aver perso anche il cuore che, fino a
quell’istante, non
aveva fatto altro che battere nell’attesa di poterlo rivedere
e stringere di
nuovo.
Non
esisteva ragion di stato, in quel momento. Non esisteva alcun onore di
famiglia. Non esisteva bellezza che non si fosse nascosta per rispetto
all’agonia
negli occhi del ragazzo che aveva appena perduto per sempre.
Il
tuono che accompagnò la pioggia, in quel momento,
riecheggiò con spettrale
chiarezza nel suo petto, dove il cuore aveva lasciato un vuoto che
nessuno, se
non l’amore perduto per sempre, avrebbe potuto mai colmare.