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Autore: silvia_arena    05/08/2013    0 recensioni
[Remus Lupin si sentiva strano, quella sera. Si accertò più volte di non aver avuto un piccolo vuoto di memoria e non aver preso la pozione, invece no, la boccetta che Piton gli portava ogni sera era lì sul tavolo, vuota – e lui si ricordava bene di averla bevuta qualche ora prima.
Allora cos’era quel senso di tristezza, di oppressione?]
Storia di cinque capitoli che narra gli eventi di una notte. Una chiacchierata tra il professor R.J. Lupin e una studentessa Corvonero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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La ragazza spalancò gli occhi, e tentò impercettibilmente di ritirare la mano, ma subito dopo ci ripensò. Era grata al professore, era un’enorme confessione quella che le era appena stata fatta, qualcosa che Lupin non avrebbe di sicuro detto al primo che passa.

Lupin era da un lato sollevato per il peso che si era tolto, dall’altro con i nervi a fior di pelle nell’attesa della sua reazione. Il volto terribilmente stanco.

Si era accorto del suo minimo tentativo di liberarsi, ma non ci fece caso più di tanto.

Dalla ragazza non provenne alcuna reazione, e lui non riusciva a sopportare la tensione. «Cosa farai, adesso?» le domandò, gli occhi ridotti a due fessure. Non sapeva neanche lui perché stesse tentando di spaventarla, forse uno sfogo al modo in cui era strato costretto a rivelare qualcosa che la ragazzina non avrebbe affatto dovuto sapere.

«Ora che sai che l’insegnante di difesa contro le arti oscure Remus Lupin è un lupo mannaro» continuò, stringendo la mano della studentessa «cosa farai?»

All’improvvisa stretta del docente, Cece provò istintivamente a ritirare di nuovo la mano, senza successo.

La disperazione del professore era stata sopraffatta dalla rabbia. No, lei non avrebbe dovuto saperlo.

«Professore...»

«COSA FARAI?» Uno scatto d’ira s’impossessò di lui. Le saltò addosso, immobilizzandola sul tavolo col suo corpo.

Stavolta fu Cece ad andare nel panico. Aveva molta stima del professor Lupin, ma non avrebbe mai voluto far arrabbiare un lupo mannaro.

«Pr-professore... i-io posso aiutarla!»

Non sapeva nemmeno lei cosa stesse blaterando, tutto purché Lupin si calmasse.

«Non lo dirò a nessuno, giuro!»

La rabbia in Remus non si placò. Strinse con forza i polsi della ragazza, facendola gemere di dolore.

«Non ho dubbi.» Cece non sapeva se si riferisse al fatto che lei potesse aiutarlo o che non direbbe nulla a nessuno, ma non riconosceva il suo tono né la sua faccia, sembrava matto.

Si auto-impose di calmarsi, solo così sarebbe potuta uscire da quella situazione. «Io voglio aiutarla» proferì con le lacrime agli occhi. Il professor Lupin infuriato con lei era l’ultima cosa che avrebbe voluto avere, doveva farlo calmare e scusarsi. Disse la prima cosa che le passò per la testa, ciò che la tormentava dal suo arrivo ad Hogwarts quell’anno.

«Mio padre era davvero un Mangiamorte. Ha dichiarato di esser stato sotto la Maledizione Imperius ma io so che non è così. Serviva lealmente il Signore Oscuro, solo che all’ultimo ci furono delle... divergenze» la sua voce fu di nuovo rotta dal pianto, ma si costrinse a continuare.

Lupin non aveva idea di cosa stesse dicendo e perché lo stesse facendo, ma questo lo distolse dalla sua follia.

«Così uccisero mia madre.» Piangeva, piangeva a dirotto ma non si fermava. I ricordi di quella sera erano nitidi nella sua mente.

 

Il tempo non era dei migliori. Pioveva, quasi a raffigurare lo stato d’animo di Cece in quel momento. Non era la pioggia che la raffigurava, ma i fulmini e i tuoni che violentemente illuminavano e rimbombavano nel cielo. La rabbia montava irrefrenabile dentro di lei, mai un litigio con sua madre era stato così pesante. Lei era stressata, suo marito tornava tardissimo la sera sempre con più cicatrici, sempre più scontroso, sempre più distante, e la sola persona su cui poteva scaricare la frustrazione era la sua unica figlia.

Ad un tratto Cece sentì un tremito nella casa, come una vibrazione. Suo padre aveva insistito per circondare la casa di incantesimi di protezione e a quanto pareva qualcuno aveva appena tentato di varcarli, ovviamente invano. Sua madre, la quale si trovava in cucina, non aveva percepito nulla.

Cece, dalla sua stanza, si avvicinò alla piccola finestra per vedere di chi si trattasse, ma un «Bombarda!» la fece balzare all’indietro e lasciò un enorme buco nel muro, dove si trovava la finestra. Alcuni cocci di vetro le finirono addosso, graffiandola.

Ebbe appena il tempo di pronunciare, incredula, il nome di chi aveva appena violato la sua abitazione, che sua madre accorse nella sua stanza con la bacchetta sollevata. Poi anche lei fu colta dalla sorpresa.

«Lucius?»

Al signor Malfoy non era mai andata completamente a genio la moglie del suo collega, strega figlia di maghi mezzosangue, e Cece odiava che lei invece continuasse a rivolgersi cordialmente a lui.

«Compio il volere del Signore Oscuro» proferì Lucius Malfoy, puntando la bacchetta contro sua madre. «Avada Kedavra».

 

«Lei-sa-chi voleva punire mio padre, così mandò un Mangiamorte a ucciderla. Avevamo litigato poche ore prima, c’eravamo dette cose terribili...» Il dolore causato dalla forte stretta di Lupin sui suoi polsi le impediva di lasciarsi andare in un pianto rumoroso e disperato. Si contenne, singhiozzando leggermente. «È successo molti anni fa, prima che il Signore Oscuro cadesse. Ero appena una bambina. Eppure continua a tornarmi in mente... per colpa dei dissennatori.»

Lupin si rispecchiò nel suo dolore. La lasciò andare. Si alzò dal tavolo e si allontanò da lei.

Ma non era questo che Cece voleva. Voleva chiarire, voleva scusarsi, voleva che il professore la perdonasse e riavesse fiducia in lei, stima di lei, come lei ne aveva di lui.

«Professore!» lo richiamò, mettendosi seduta. Dopo avergli rivelato ciò che la opprimeva, se lui si fosse allontanato si sarebbe sentita svuotata, in senso negativo. Aveva bisogno di lui, mai più che in quel momento.

Lupin si bloccò sul posto al richiamo della studentessa, come se una calamita gli impedisse di allontanarsi da lei. Avevano condiviso troppe cose, quella notte, per separarsi così; ma era necessario. «Allora sei davvero sciocca, mi sorprende che il Cappello Parlante ti abbia smistata in Corvonero.»

«Lei mi ha aiutata, professore, io posso aiutare lei.» Lupin si voltò, con un’espressione estremamente sfiduciosa. «Con l’amore.»

   
 
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