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Autore: myheartwillgoon    05/08/2013    2 recensioni
Tutto iniziò con una vacanza... Da sola, a Dublino
La famiglia che la ospita diventa la sua seconda casa. Marito e moglie con due figli adorabili.
Uno scontro con un uomo al parco la condiziona nel profondo.
Una serie di coincidenze li riporta a rincontrarsi.
Un incidente e tutto va a rotoli.
L'odio che prova è grande, ma riuscirà a resistere al suo cuore?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6: Risveglio


Eravamo ancora tutti in stato confusionale, pregavamo e imprecavamo, aspettando che qualcuno ci dicesse finalmente qualcosa. Dopo troppo tempo la porta in vetro si aprì ed entrò un medico con il camice macchiato di sangue e la mascherina a coprirgli la bocca e il naso. La abbassò. Aveva una brutta cicatrice che gli divideva in due parti la guancia destra.
   «Abbiamo fatto il possibile» iniziò, «era un intervento delicato. L’operazione si è conclusa bene, ma è troppo presto per parlare.» Sorrise. La madre di Danny si precipitò dall’uomo, seguita dalle figlie, e lo abbracciò. Lui fu felice di ricambiare, con il volto visibilmente sconvolto dalla fatica.
   Pensai quanto un medico possa amare così incondizionatamente la vita per poter portarsi allo strenuo delle forze per salvare uomini e donne che nemmeno conosce, per poter dire “Ce l’ho fatta, ho salvato una vita”, per poter vedere i sorrisi sul viso dei pazienti.
   Mi guardai intorno e vidi volti gioiosi, volti di chi sa che il peggio è passato. Mi soffermai sulla donna seduta all’angolo. Piangeva. Si alzò improvvisamente e corse fuori, i tacchi che risuonavano sulle piastrelle.
   «Se volete seguirmi, l’abbiamo trasferito in camera» disse a un certo punto il medico. «È tenuto in coma dai farmaci per non sovraccaricare il cervello, stiamo aspettando che si stabilizzi, poi potremmo risvegliarlo.»
   Lo seguimmo lungo il corridoio fino alla stanza 57.
   Danny era adagiato su un letto candido. Era coperto fino alla vita. Sembrava una specie di angelo. La pelle diafana si confondeva con il candore delle lenzuola, i capelli corvini spiccavano sul cuscino. Aveva un’espressione serena, le labbra rosse erano leggermente dischiuse, il petto si muoveva impercettibilmente. Era incredibilmente bello, seppure rovinato dai tagli e escoriazioni sul viso e sul resto del corpo. Una fasciatura gli avvolgeva la parte bassa della testa, dove aveva urtato contro il poggiatesta.
   Sul comodino vicino al letto c’erano appoggiati gli occhiali distrutti.
   Ailish gli si avvicinò lentamente, quasi avesse avuto paura di svegliarlo. Gli sussurrò qualcosa che non compresi. Mi sentii prendere delicatamente per un braccio. Alisha mi invitò con un cenno a uscire, per lasciare gli O’Donoghue da soli, in famiglia. Lo guardai per l’ultima volta e pregai che stesse di nuovo bene.

 

Dopo pochi giorni lo risvegliarono dal coma. Chris era al lavoro e ci avvisò lui del suo risveglio. Salimmo subito in auto. Quando arrivammo al quarto piano, dove era ricoverato, due bodyguard ci vennero incontro con fare minaccioso. Ci chiesero i documenti, spiegandoci che alcuni fan avevano cercato di entrare, una volta scoperta la notizia del suo incidente. Alisha si infuriò quando ci negarono l’accesso e cominciò a sbraitare.
   «Fateci entrare scimmioni, Danny è un amico di famiglia!»
   «Senta signora, abbiamo l’ordine di non fare entrare nessuno che non sia di famiglia o della band.»
   «Adesso chiamo mio marito così le faccio sentire io chi siamo, razza di idiota!»
   L’ascensore suonò e uscì dalle porte Glen, con in mano alcuni caffè. Fece una faccia stupita. «Cosa ci fate qua, pensavo foste già dentro!»
   «Lo saremmo se questi cari ragazzi ci avessero fatto passare!»
   Rise di gusto. «Ragazzi, lasciateci passare, sono solo amici!»
   Si spostarono borbottando qualcosa. «Si è svegliato da molto?» chiesi a Glen, curiosa come non mai.
   «Poco più di un’oretta fa» rispose lui, sorridendo. Aveva delle brutte occhiaie, segno di quanto tenesse a Danny. «Penso che sia stato traumatizzato dal risveglio. Mentre era in coma abbiamo composto una canzone per lui “Good morning Zombie” e gliel’abbiamo cantata appena ha aperto gli occhi! Ha chiesto di poter tornare a dormire, pur di non sentirla!»
   Appena aprimmo la porta fummo sommersi dalla calda luce del sole che entrava dalle finestre spalancate. Una montagna di peluches, lettere e mazzi di fiori giacevano sulla poltrona nell’angolo della stanza. Doveva essersi divertito a leggere tutti i messaggi degli ammiratori.
   In stanza c’erano Mark e gli altri della band, insieme ad Ailish che ormai si era accampata lì. Danny era seduto sul bordo del letto con le lunghe gambe a penzoloni. Stava ridendo quando ci vide entrare. Aveva la risata più dolce e attraente che avessi mai sentito. Tirai un lungo sospiro.
   «Ecco il tuo caffè» gli disse Glen, avvicinandosi e prendendo posto vicino a lui.
   I bambini corsero da lui e gli portarono un biglietto che avevamo scritto insieme nei giorni precedenti. Li ringraziò con voce roca.
   Presi posto sull’altro letto. Mi sentivo estremamente in imbarazzo, dopotutto io ero solo un’intrusa.
   «Allora Danny, come stai?» chiese Alisha, sedendosi vicino a me e prendendomi una mano. La ringraziai con uno sguardo. Era una donna eccezionale, capiva tutto prima che qualcuno glielo dicesse.
   Lui si schiarì la voce: «Mai sentito meglio in vita mia» scherzò. «A parte gli scherzi ho un’emicrania terribile e sembro un cavernicolo quando parlo. Per il resto tutto bene, potevo essere morto e invece sono ancora qui.»
   Mark prese la parola,rivolto all’amico: «Bello noi dobbiamo andare, passiamo dopo pranzo, promesso!»
   «Vi aspetto. In effetti non saprei dove andare conciato così» disse indicando la camicia da notte dell’ospedale.
   «Vado anch’io con loro» aggiunse Chris. «A presto, rimettiti.»
   «Ci proverò.»
   Chris diede un bacio alla moglie e ai figli e mi salutò, uscendo in tutta fretta.
   Avrei voluto tanto parlare con Danny, chiedergli come si sentiva, ma non trovavo il coraggio. Nella tasca della felpa avevo un pensierino per lui, un bracciale con le sue iniziali, ma non sapevo come darglielo. Mi sudavano le mani e il cuore mi batteva a mille. Mi sentivo sotto esame, sentivo i suoi occhi penetranti su di me, ero indifesa.
   «Ailish, ti va di scendere un momento al bar a prendere qualcosa? Offro io!» propose Alisha, lasciandomi spiazzata. Feci uno più uno e capii quale intenzione avesse e non mi piacque. «Può rimanere qui Anna con Danny.»
   Cercai di ribattere ma stavano già per uscire. Nick e Cleo seguirono le donne. “Dannazione” pensai, “perché non sono rimasta a casa?”.
 


Restammo in silenzio per alcuni istanti che mi parvero ore.
   Fu lui il primo a parlare. Aveva la voce stanca, malinconica e mi chiesi se fosse mia la colpa del suo malessere. Fino a pochi istanti prima sembrava stare bene. Pensai fosse sul punto di chiedermi scusa invece una lacrima cominciò a rigargli il viso. «Sai, voglio dirti una cosa che non sa ancora nessuno. Ti chiederai perché proprio a te. Be’ perché forse sei quella che in questo momento se ne frega più di me, dopo Helen, ovviamente.»
   Più che parlare con me stava facendo un monologo. Non capivo dove volesse arrivare a parare. Non capivo chi fosse questa Helen, ma non lo interruppi.
   «Il dottore stamattina, quando mia madre era uscita per andare a chiamare gli altri, è venuto a parlarmi. Si è presentato come un certo dottor Ryan. Aveva una brutta cicatrice in faccia.» Si schiarì ancora la voce, faceva molta fatica a parlare. «Assomigliava a mio padre, quando ti doveva dire una brutta cosa glielo leggevi in faccia, non riusciva mai a mentirti. Gli ho chiesto cosa succedeva e mi ha detto che la trachea era rimasta schiacciata nell’incidente e le mie corde vocali erano state lesionate.»
   Un brutto presentimento cominciò a farsi strada tra la mia mente. Cercai di scacciarlo ma non si mosse.
   «Non sa se potrò tornare a cantare.»
   Non riuscivo a credere alle sue parole. Non poteva essere vero. Cominciai a boccheggiare, cercando di dire qualcosa, ma lui ricominciò a parlare, senza nemmeno calcolarmi. «Ma mi chiedo perché ne sto parlando con te. Ho una vita fottutamente schifosa, ma tu non sai nemmeno cosa voglia dire.. Sei troppo piccola..» Si asciugò per l’ennesima volta gli occhi e guardò fuori dalla finestra.
   Quelle parole erano state peggio di una pugnalata. Non fu solamente il fatto che forse non sarebbe più esistito il Danny O’Donoghue di una volta, ma la cosa che più mi faceva male era essere paragonata ad una bambina. Mi alzai, presi il suo regalo e mi avvicinai.
   «Pensavo di averti incontrato nel momento sbagliato al parco, volevo provare a credere che tu non fossi così. Pensavo che la tua facciata da ragazzo dolce non fosse poi così finta. E invece no, sei solo un cantante montato, uno che crede di essere il migliore. Tu non sai cosa ho passato io, non mi conosci! Sono cinque anni che faccio la volontaria in un ospedale pediatrico. Lì ci sono bambini malati di leucemia..» urlai, in preda ad un attacco di nervi. «Mi è capitato più e più volte di salutare un bambino la sera e sentirmi dire il giorno dopo che quel bambino era morto. Ti rendi conto di quanto si possa soffrire? Ma se non ti basta vuoi sapere perché ho scelto di farlo? Ti accontento. Mia sorella è morta di cancro a dieci anni.» Cominciai a piangere, era una ferita ancora aperta. «Quindi smettila di giudicare chi non conosci. Tieniti pure questa specie di regalo. Sono stanca di vederti, sei solo uno stronzo!»
   Gli lanciai il bracciale e uscii sbattendo la porta della camera. Un’infermiera mi corse incontro ma io la scostai, dicendole che andava tutto bene. Presi l’ascensore. I grandi specchi all’interno riflettevano la mia immagine. Mi sembrava di vedere un’altra persona. Avevo il viso pallido, con linee scure che lo dipingevano. Soffiai il naso e sperai che fosse tutto un incubo.

 

Vedeva ancora la sua faccia, sentiva la sua voce urlargli quello che nessuno aveva mai avuto il coraggio di dirgli. Lui non era l’unico a soffrire, non era lui al centro dell’universo. Le parole della ragazza gli rimbombavano in testa. Aveva tra le mani il bracciale. Era di cuoio scuro con due ciondoli su cui erano incise le sue iniziali.
   Sentì bussare alla porta. Si ricompose. «Avanti».
   Percepì per prima cosa il suo profumo dolce. Se la trovò davanti, vestita come sempre, con un mazzo di fiori in mano.
   «Helen» sussurrò.
  
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