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Autore: Doineann Liath    06/08/2013    0 recensioni
Era metà Giugno, ma faceva freddo. Ero l'unica vestita con un abbigliamento quasi autunnale, con il solito chiodo nero, che stava sopra una maglia bianca con un corvo morto: In Flames. I jeans strappati dal colore che oscillava tra il blu scuro e il grigio. Gli stivali neri sporchi di fango. Il berretto di lana nero che portavo sempre in inverno, con il ciuffo ribelle che mi riparava l'occhio sinistro, pieno di dolore. Solitudine. Cosa stava succedendo? Pioveva leggermente.
Genere: Dark, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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“Che intendi dire con questo?”
“Intendo dire che tutto questo è successo per colpa tua. Sei solamente una sporca puttana.”
Si sentiva potente si, a dirmi quelle cose in faccia, con il tono di voce di una persona sia tranquilla che sicura di se. La stavo cominciando ad odiare. Guardavo il crepuscolo all’orizzonte, sull’orlo di pietra di quel monte. Era inverno, la neve veniva calpestata dolcemente dai miei stivali, scricchiolava con un suono veramente dolce e pure. La neve era il bianco, il contrario del nero, il colore dei miei giorni. Neri.
“Mi dici così solamente perché non riesci a trovare un motivo logico” mi girai un po’ per guardarla con uno sguardo penetrante, volevo congelarla con il colore dei miei occhi.
“Tu non capisci proprio niente” le urlai contro. Eco.
Se ne rimase zitta, si limitò a sghignazzare sotto i baffi. Provava un gusto incredibile, nel vedermi distrutta e senza nessuna speranza. Lei, ha costruito i giorni più belli della mia vita, ma bastava sempre un mattone fuori posto, del cemento fatto male, un colpo, per far crollare tutto sulle mie spalle. Il suo sadismo ricordava quello di un demone.
“Sei proprio una stupida illusa” cominciò a parlare, avanzò di qualche passo per avvicinarsi a me. Quando me la ritrovai davanti protese il braccio verso la mia spalla, lo appoggiò e si avvicinò con il volto.
“Sei andata dietro ad altre persone perché eri sola. Non sei capace di amare. Da quando io non sono più con te hai cominciato a cercare gente che perfino odiavi. Sei così carina quando sei disperata lo sai?” sorrise quasi appiccicata al mio volto, un sorriso sadico, carico di stronzaggine.
“Loro non ti hanno mai amata come ho fatto io. Ne tanto meno quella ragazza. Come si chiamava? Isara?”.
Quel nome non poteva essere pronunciato da delle labbra sporche di menzogne e odio come le sue. Non poteva.
“.. Statti zitta”
“E perché mai? Sai benissimo che ho ragione” mi sorrise di nuovo, mi sfiorò le labbra un attimo con le sue “Non hai idea di cosa provassi per te”.
“BALLE!” la spinsi via con forza in avanti. Cadde a terra ma non si fece niente, si rialzò subito, corse contro di me.
Cercai di indietreggiare per tenermela lontana, ma quando con il piede sentì il bordo della pietra e con le orecchie i sassi che si sgretolarono, capì l’orribile situazione in cui mi trovavo.
Mi saltò poi addosso, stringendo le sue mani intorno al mio collo, forte, troppo.
Si avventò contro di me. Cademmo. Sembrava quasi che mi stesse abbracciando mentre mi conduceva in quell’abisso che era la mia morte, o la nostra. Qualcosa mi trapassò la carne della schiena. Quella bestia teneva un coltello nascosto nella manica della giacca. Tentai di non urlare, soffocai quel grido nella trachea, strappò con forza la lama dalla mia carne, del sangue le finì sulla guancia.
“Era tutto così fottutamente perfetto per finire bene vero?” quel suo sguardo non l’avevo mai visto, sembrava per davvero un demone. Gli occhi parevano sgorgare lacrime di odio, stava piangendo, non mi pareva vero. Lei non piange per me. Non ha mai pianto davanti ai miei occhi.
“NON MI HAI MAI MERITATA!” mi gridò davanti al viso, pugnalandomi di nuovo, al petto.
Finì con il gridare, quella discesa sembrava non dovesse finire mai. Quella persona, che si definiva la mia Salvatrice, si stava rivelando tutt’altro. Mi stava uccidendo, voleva liberarsi di me…
Così tutti i suoi problemi sarebbero scomparsi per sempre. Caricò di nuovo il braccio, la lama di quel coltello si conficcò nel mio occhio sinistro. Andò molto in profondità, poteva quasi sgretolarmi le ossa. Premette poi con tutte le forze che aveva, con la mano tremante e le lacrime che continuavano a rigarle le guance. Non la riconoscevo più, non era più lei stessa. Che le era successo?
L’oggetto affilato venne allontanato dal mio volto. Mi portai le mani sulla palpebra che stava sgorgando un lago di sangue che si liberava poi nell’aria fredda di quel giorno autunnale. Gridai di nuovo. In quell’urlo che traboccava di odio, rabbia, dolore e profonda tristezza. Tornai a guardarla per quel poco che ci vedevo ancora, la mia visuale era leggermente sfocata dalla nebbia.
La attaccai, mordendole violentemente il collo, vicino alla spalla. Avevo il suo sangue dal sapore divino in bocca, si espandeva bene sulla lingua in modo che potessi cogliere ogni minimo gusto e densità. Gridò anche lei, finalmente la sua voce straziata rimbombava nell’aria, faceva quasi paura, pure a me. Quel sangue era dannatamente dolce..
“Ti ricordi cosa eravamo? Ti ricordi?”
  
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