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Autore: Trick    06/08/2013    4 recensioni
«Il mondo non è diviso in brava gente e Mangiamorte».
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot di mediocre pretesa spudoratamente a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Vipera
Remus Lupin, Andromeda Tonks
211 parole

C'era una vecchia storiella di taverna che raccontava di una suocera morsa da una vipera. Si concludeva con la morte della vipera e gli amici di tuo padre ne ridevano sempre un sacco.
Da bambino non la capivi mai davvero – e in realtà non la capisci nemmeno ora che sei adulto, nemmeno ora che sei sposato, nemmeno ora che tua suocera affonda le lacrime nella tua camicia lisa.
«Non è vero, non è vero, non è vero...».
È una litania che non puoi fermare, che non vuoi fermare, eppure ogni singhiozzo è un morso peggiore del precedente, e il veleno non cessa di scorrere nelle tue vene e di ribollire come lava incandescente.
La pagheranno. Ti limiti a pensarlo, lo annoti mentalmente perché non è il momento per parole di vendetta, ma la pagheranno cara.
«Riportamelo indietro... ti prego, Remus, riportamelo indietro».
Stringi Andromeda in un abbraccio più stretto, tremi all'idea che tua moglie ne è ancora allo scuro e riposa nel vostro letto con una mano appoggiata sul pancione.
Trattieni un fremito: non vuoi farti sentire dalla donna che sta morendo fra le tua braccia, e ti torna in mente quella storia, quella ridicola, sciocca storia... e ti chiedi chi fra la vipera e Andromeda sia stata più fortunata.
Tu avresti preferito essere la vipera.

*
Immagine
Hagrid
272 parole

Le Creature Magiche ti piacciono da così tanto tempo che non sei mai riuscito a capire per quale motivo non piacciano a tutte le altre persone. Hai sempre amato i draghi – ricordi Norberto? Ricordi il tuo amico?
È ancora lì, da qualche parte fra i tuoi ricordi.
E Fufi, ricordi Fufi? Amavi ognuna della sue tre teste e non capivi come il resto della comunità magica potesse trovarle tanto spaventose.
Ricordi? È ancora lì, aspetta che torni a suonare per lui.
Ricordi la tua Acromantula?
La ricordi? Lei ti sta aspettando davvero, si domanda perché non torni più a trovarla.
E tutto il resto, Hagrid, ricordi tutto il resto?
Ricordi Silente? Ti ha detto che sarebbe tornato a prenderti, ti ha detto di non dimenticare niente, di non farlo mai.
Lui sta arrivando e tu devi ricordarlo.
E Harry? Ti ricordi di Harry? Ti ricordi di Ron e Hermione? Ricordi Thor, ricordi la sensazione della sua lingua ruvida sul tuo faccione barbuto?
Lui si ricorda del suo padrone. Aspetta accucciato davanti alla vostra capanna, alza il muso a ogni rumore e poi lo riabbassa. Non sei mai tu, quello che va carezzarlo.
Ricordi il fruscio del vento fra gli alberi? La luce del sole sulle acque del Lago Nero? Ricordi Hogwarts, ricordi la tua vita?
Resisti, Hagrid. Ricorda.
Ricorda, perché le porte di Azkaban si riapriranno e potrai rivedere l'oceano, e le nuvole, e il cielo sopra la tua testa.
Ricorda, Hagrid, perché quel giorno sarà come volare via, e niente – niente - potrà mai farti dimenticare le mille cose che tanto gelosamente hai ricordato per tutti quei mesi.

*
Fortunato
Neville Longbottom
262 parole

«Sei un bambino fortunato, Neville».
Neville lo sa. Non replicherebbe comunque.
La nonna lo ripete spesso in mezzo a favole che non terminano mai, perché c'è sempre qualcosa di più importante che Neville deve imparare a tenere a mente.
«Il mondo è pieno di bambini più sfortunati di te».
Sono bambini che Neville non conosce, ma tutti loro vivono e muoiono nelle favole della nonna. Talvolta si perdono, talvolta non tornano a casa, talvolta vengono abbandonati e rimangono soli – e Neville è fortunato, ripete la nonna, e se lo deve ricordare.
«Quando c'era la guerra, i bambini morivano».
Ci sono volte in cui Neville vorrebbe che le storie della nonna finissero in modo diverso – o che finissero e basta, in effetti, perché non conoscere la fine era perfino peggiore di una fine infelice. Ci sono altre volte in cui Neville non vorrebbe nemmeno che iniziassero, in cui non vorrebbe sentire storie di bambini più sfortunati di lui... alla nonna non lo direbbe mai, ma ci sono perfino delle volte in cui si domanda se in un mondo diverso la sua mamma gli avrebbe raccontato le stesse storie brutte.
Se i bambini della mamma si sarebbero persi, sarebbero stati tristi, sarebbero morti perché c'era la guerra... Neville non lo sa. La mamma continua a ballare da sola e a cantare fra i denti, e Neville non capisce le sue parole, la guarda e pensa a tutti quei bambini soli, tristi e morti.
Quelle sono le volte in cui sente molto più sfortunato di tutti quei bambini infelici.

*
Non vedersi per un mese
RemusxTonks
257 parole

Non si era mai ritenuta una di quelle donne pronte ad attendere l'amore per l'eternità, ma era stata costretta a ricredersi fin troppo in fretta.
Non aveva mai fatto attenzione a ciò che capitava in fretta – troppo in fretta, sempre troppo in fretta – e lei non era pronta. Dapprima c'era stata un morsa all'altezza dello stomaco, un rossore imbarazzato celato nella sciarpa di lana, una nuova sensazione di calore nel petto... e poi era esploso tutto e aveva capito di essere davvero una come tante altre, una di quelle che sì, per lui avrebbe atteso l'eternità.
Aveva iniziato con l'attesa di una notte – lui tardava a rientrare da quel dannato turno di guardia all'Ufficio Misteri e lei aveva avuto paura non tornasse davvero. Aveva continuato con l'attesa di una settimana – lui evitava il mondo da quella maledetta battaglia, dal momento in cui Sirius era svanito oltre il Velo e lei aveva avuto paura non tornasse davvero. E poi eccola, l'attesa di un mese – lui aveva gli occhi vuoti, il volto scavato, il puzzo di quella vita dalla quale era sempre sfuggito sugli abiti e lei aveva avuto paura se ne fosse andato davvero.
Non si era mai ritenuta una donna come tante altre, una di quelle pronte ad attendere per sempre. Un giorno, una settimana, magari un mese... ma sempre era troppo tempo.
«Mi dispiace».
Forse fu per quello che alla fine lo prese a pugni: lei non era una come tante altre.

*
Cose che cambiano
Remus Lupin
293 parole


«Ti ho portato il giornale, papà».
L'uomo resta immobile sulla sua poltrona davanti al camino spento. Una volta era la sua poltrona preferita, e Remus si acciambellava ai piedi del padre e lo ascoltava mentre gli raccontava delle buffe creature che animavano i suoi uffici al Ministero della Magia.
Non era la sua poltrona preferita da molto tempo.
Era rimasta solo una poltrona.
«Lascialo sul tavolino».
I passi di Remus risuonano ovattati sul vecchio tappeto. Appoggia la Gazzetta del Profeta sul treppiedi tarmato e rimane per un momento accanto al padre. Sorregge il capo basso con una mano, si fissa le punte delle vecchie pantofole e tace – tace sempre, tace da quando la sua poltrona è tornata a essere una semplice poltrona.
Quando alza gli occhi sul figlio, pare guardarlo senza nemmeno vederlo davvero.
«Hai bisogno di altro, Remus?» gli domanda con vuota gentilezza.
Sì” vorrebbe rispondere Remus, ma non trova il coraggio. “Sì, ma non so di cosa”. Resta fermo con le braccia sottili abbandonate ai fianchi e scuote appena il capo – e fa un po' male, proprio dove durante il plenilunio il lupo ha picchiato contro le grate di ferro della cella stregata nella cantina.
«No, papà».
È solo la poltrona a non essere più la sua preferita” cerca di convincersi Remus. “Forse è il giornale. Forse il camino. Forse è semplicemente il salotto a non piacergli più come prima”.
Ma mentre chiude la porta fra lui e suo padre, nella sua testa rimbomba un'unica verità – quella che alla fine ha attecchito davvero, quella che non è lasciata corrompere dalle illusioni del bambino e lo fa piangere nel cuscino ogni notte.
È colpa mia. Sono io”.
   
 
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