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Autore: wawaring    07/08/2013    1 recensioni
Amelia intraprende un viaggio per scoprire il mistero celato dietro all'assassinio della madre, cui ha assistito da bambina. Nel frattempo incontra Zel, assorbito dall'ennesimo tentativo di trovare una cura. Ma l'aggressione da parte di un misterioso uomo-lucertola li condurrà ad un'oscura verità, con la quale Amelia sarà costretta a fare i conti...
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amelia, Naga, Un po' tutti, Zelgadis Greywords
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte i miei amici ed io ci accampammo nella capanna di Karin, in attesa che la luce del nuovo giorno illuminasse il nostro cammino; nel frattempo, nel regno di Kalmart, una donna trascorreva la notte sdraiata davanti ad un fuoco, fissandolo come ipnotizzata, incapace di dormire.
 
Percepiva, ormai da tempo, di trovarsi sulla soglia di un evento epocale. Sentiva che le forze del male erano state chiamate a raccolta, e che un tale arsenale non vedeva luce da quando... Beh, non avrebbe saputo dire da quando. Forse dai tempi della guerra al Gran Demone. Forse addirittura dello scontro epocale tra Cephied e Shabranigdo. Forse mai, nel corso della storia del nostro mondo.
 
I troll sono esseri perlopiù solitari, privi di un vero proprio linguaggio, in grado a malapena di emettere versi gutturali, privi di significato. Eppure lei li aveva visti muoversi in branchi verso Nord, come se un’intelligenza collettiva li stesse radunando. Taluni si portavano appresso enormi e pesanti clave sulle loro spalle, altri massi in pietra pronti ad essere usati come armi rudimentali.
 
Le era giunta voce che nel Regno di Elmekia alcuni degli stregoni più moralmente deprecabili, la feccia, coloro che in passato erano stati banditi dall’Ordine dei Maghi, si erano riuniti nell'intento di costituire un esercito di Golem; guerrieri di pietra, ma vuoti al proprio interno; senza un’anima.
 
I demoni erano irrequieti, anche se lei non percepiva, contrariamente ai troll, l’esistenza volontà unanime. Sempre, nel corso delle Ere, i Demoni avevano lottato contro i Draghi perché il modo sprofondasse nelle tenebre. Eppure gli ultimi eventi, sebbene li avvicinassero al raggiungimento del loro obiettivo esistenziale, spaventavano anche una parte consistente di loro.
 
I Draghi mantenevano la neutralità, troppo cauti e pavidi per prendere una posizione. Questo non la meravigliava. I Draghi, ai suoi occhi, erano forse anche peggiori dei cosiddetti “Paladini della Giustizia” del regno di Sailoon. Bravi con le parole, eccellenti nell'autocelebrazione; non disdegnavano il genocidio come mezzo per promulgare i propri intenti. Tuttavia si rivelavano molto meno efficienti quando si trattava di mettere a repentaglio le proprie vite in nome di una causa, per quanto nobile.
E, a suo avviso, era stata proprio questa la ragione del loro declino: i Draghi Perduti erano caduti in uno scontro fratricida con i Draghi Dorati, i quali a propria volta erano periti - si erano estinti - all'improvviso risvegliarsi delle loro coscienze, di fronte all’avvento della Dark Star, che loro stessi avevano contribuito a cagionare. Ma non riusciva a provare pena per loro. Esistono tante tipologie di criminali, oh sì; lei stessa per molti versi rientrava in quella categoria. Ma la vigliaccheria a suo avviso era il peggiore dei crimini.
A determinare il declino della specie dei Draghi non era certo stati la mancanza di forze, o lo svantaggio numerico; era stata la mancanza di risolutezza. Avevano smarrito il significato delle loro esistenze, e avevano anteposto la propria sopravvivenza e il proprio benessere alla lotta del bene sul male.
 
La donna sdraiata di fronte al fuoco rabbrividì, nonostante non avesse affatto freddo. Le erano tornate in mente delle parole che aveva pronunciato sua madre, in un periodo che pareva distante di secoli, citando uno scrittore dei tempi antichi.
Le aveva detto che “Quando odiamo qualcuno, odiamo nella sua immagine qualcosa che è dentro di noi”. E, anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente con anima viva, talvolta, in notti come quella, in cui si sentiva così sola, non riusciva più a celarsi quel dubbio.
Era davvero diversa? Era davvero migliore?
Ripeteva a sé stessa che in fondo non poteva arrivare a contrastare quella che era la condizione umana, a metà strada tra la luce e le tenebre. Ma, a volte, e sempre più di frequente, sentiva molto più vicine le tenebre; al punto da percepire dentro il suo cuore un gelo che la mente umana non poteva concepire.
 
Ricordava a malapena la sua altra vita, un dove ed un quando in cui lei viveva entro le mura di un castello, nell'agio e della ricchezza; un mondo dove aveva una famiglia; un dove in cui portava un nome il cui suono le sembrava ora arcaico, ad indicare una ragazza che ormai non esisteva piú.
 
Gracia...
No, non più. Sono Naga, ora.
 
Naga del Serpente Bianco era diversa. Era anticonformista e provocatrice. Sfidava le leggi umane e della natura. Non aveva casa; qualunque fuoco di bivacco, o letto malconcio di locanda, erano la sua casa. Né famiglia, né affetti; qualunque compagno occasionale era in grado di regalarle il calore di cui aveva bisogno.
 
Ma chi è Naga?
 
La domanda risuonò laconica nella sua essenza.
Tutto ciò che sapeva era che era sola; e che era incapace di scegliere una sponda, incapace di trovare il proprio ruolo in quella battaglia, il cui destino appariva già segnato.
 
E poi, ovviamente, c’era Lui, che, come si aspettava, dopo tanti anni, era tornato a farle visita.
Il Serpente, nella mitologia e nell’immaginario popolare, é sempre stato descritto come un essere viscido e tentatore. Un essere che ti ipnotizza, che ti seduce, che ti induce a raccogliere un piacere effimero oltre il limite dei consentito, ricavandone, dopo un sublime appagamento iniziale, eterna dannazione. E la storia di Naga del Serpente Bianco non faceva eccezione.
 
Nessuno comprese mai a fondo perché il Serpente scelse una bambina per ordire le sue trame. Qualcuno potrebbe ipotizzare che insinuarsi in una mente così giovane sarebbe stato più semplice. Che aizzare il malcontento di una figlia verso il proprio genitore sarebbe stato un giochetto di poco conto. Quello che forse nemmeno il Serpente sapeva, era che la mente di Gracia non era così facile da plasmare, e che le sue reazioni non potevano essere prevedibili. Critica verso gli ideali della sua terra e delle sua famiglia, senza dei valori di riferimento; un tempo un saggio aveva detto che era più facile sottomettere colui che non crede in niente.
Ma la mente di Gracia non era invasa dalla calma piatta, dalla prevedibilità di una parte già presa; era qualcosa di molto più dinamico ed indomabile, perfino da lei stessa.
Ma allo stesso tempo, in fondo, Naga non si era evoluta molto dalla ragazzina confusa che era scappata in lacrime dal castello di Sailoon. Certo, aveva coltivato la magia nera, un'arte la cui pratica a Sailoon era bandita, anche se con alcune eccellenti eccezioni. Ma a parte quello, non era riuscita a colmare il suo senso di perdita, un vuoto che era sempre stato latente dentro di lei, ma che si era espanso a dismisura con la morte della madre.
 
Una cosa aveva imparato, nei lunghi anni di peregrinazione. Ad osservare.
E Naga osservava l’ossessivo via vai degli esseri viventi. Credevano nel proprio libero arbitrio, ma lei li vedeva come delle marionette appese a dei fili, ad interpretare un ruolo in una grottesca rappresentazione senza trama e senza scopo. Così prevedibili, così schiavi della propria natura. Quando non li disprezzava, poteva quasi provare pena per loro.
Una volta anche lei era schiava delle ridicole regole degli uomini, ma si era ribellata, ed ora era libera. Fin da piccola era ostile agli insegnamenti del proprio precettore, imbattendosi nei rimproveri dei propri genitori. Da sempre le erano stati imposti restrizioni e divieti. Non ridere sguaiatamente. Non ammiccare agli uomini. Perfino quando, ad undici anni, sul suo petto sbocciò un ragguardevole armamentario, le fu imposto di mascherarlo. Lei ora non nascondeva più nulla del suo corpo, rifletté, concedendosi ad un sorrisetto malizioso e compiaciuto. Parlava come le pareva; rideva come più le aggradava. Amava, quando le andava di farlo, ma più spesso odiava, e si guardassero bene coloro che istigavano la sua ira. Ma più di tutto adorava scopare; oh sì, le piaceva da matti. Aveva amato innumerevoli uomini, ed un considerevole numero di donne. Non aveva vincoli. Era libera.
 
Libera di fare cosa?
 
Naga si alzò dal suo giaciglio, colta da un’improvvisa consapevolezza. Non era sola. Qualcuno la spiava, qualcuno l’aveva trovata, e si era insinuata nel flusso dei suoi pensieri.
 
Esci dalla mia testa, mi ammonì, e avvertii, attraverso il contatto telepatico che ci aveva legate fino a quel momento, a sua insaputa, tutta la sua rabbia.
Tentai di rispondere, ma un’improvvisa fitta alla testa fece vacillare il nostro collegamento.
Tu, sentii esplodere nella mia testa, come hai OSATO? Vattene… VATTENE SUBITO!
Retrocessi in quel tunnel che fino a quel momento ci aveva collegate, ci aveva rese vicine come non mai nella nostre vite.
 
Tentai di ridestarmi dallo stato di trance indotto dall’incantesimo di localizzazione.
I miei poteri, dopo anni di stallo al termine dell’apprendimento, stavano subendo un’accelerazione esponenziale. Ma questo più che rallegrarmi innestava in me un senso di preoccupazione, perché, nonostante sarebbe stato molto allettante credere che fosse merito mio, ne conoscevo bene il motivo. Era lei, Iress, la presenza oscura dentro di me, la fonte di quei poteri. E sebbene in quel momento ne traessi vantaggio, sapevo che quella luna di miele non era destinata a durare; che presto avrei dovuto pagarne il prezzo, e sarebbe stato alto. Sebbene io mi sentissi più forte, non significava affatto che lo fossi; al contrario, significava che l’altra stava prendendo il sopravvento su di me. Mi portai le mani al volto, in un profondo senso di sconforto.
La buona notizia era che avevo localizzato Naga, e che sapevo qualcosa di più di lei. La cattiva era che aveva scoperto l’invasione di campo, e la cosa l’aveva notevolmente irritata.
 
 
Quando riaprii gli occhi, mi colsero degli spasmi dolorosi alle gambe. Avevo trascorso un periodo indefinito, forse delle ore, a gambe incrociate, assorta nella meditazione. Il dolore era accecante. Qualcuno mi venne in soccorso, prendendo a massaggiarmi le gambe, praticando un incantesimo di guarigione, che mi permise, dopo qualche tempo, di attenuare il dolore.
“Allora? Sei riuscita a localizzarla?” Chiese Karin-san.
“ Tu…? Come fai a sapere…?”
La giovane maga mi concesse un sorriso enigmatico “So che posso sembrare una pasticciona… ed in effetti lo sono…” fissò i suoi occhi rosa nei miei “Ma se il mio dolce nonnino mi ha scelta come apprendista, non è certo perché mi ha favorita in quanto parente.”
Scossi la testa. Quanto mi circondava continuava a sembrare annebbiato, ai miei occhi. Una parte di me non si era ancora del tutto dissociata da Naga. Vedevo le braci del suo bivacco. Vedevo le sua mani, nascoste da un paio di guanti neri, raccogliere le sue poche cianfrusaglie e riporle nella bisaccia. Sentivo le sue lacrime amare sulle mie guance, mentre stringeva al petto la sua controparte del medaglione. Percepivo la sua enorme collera nei suoi confronti, e non sapevo se si sarebbe mai placata.
 
Karin-san ripetè la sua domanda “Allora, Principessa Amelia… sei riuscita a localizzarla?”
Scossi la testa “No, non con esattezza. In compenso so dov’è diretta…”
“…al Picco del Drago” concluse la giovane maga. Era vero, era molto più scaltra ed intuitiva di quanto il suo atteggiamento maldestro lasciasse trapelare.
Io annuì, e quasi in trance ripetei le parole che la Regina Nera aveva pronunciato nel mio sogno: “Il luogo dove tutto ebbe inizio… e dove tutto avrà fine.”
Seguì un tempo indeterminato di silenzio.
Fu la giovane maga a rompere il silenzio “E così… lui … Hermain… è morto? Per davvero?”
Scossi la testa, incerta. Ciò che era accaduto mentre mi trovavo nel Piano Astrale esulava dalla mia comprensione.
“Come pensi che sia, la morte… per un Dio?”
“Non lo so, Karin-san. Non so se un Dio possa cadere, come tutti noi, o semplicemente dissolversi, prosciugato delle sue energie, svuotato della sua magia, per mantenere il ruolo esistenziale che gli compete.” Senza sapere il perché, forse in preda al nervosismo, mentre rivelavo le mie angosce, sorrisi “Non so cosa ci attenda dopo la morte, non so cosa ci attenderà se il Male dovesse sopraffarci, e gli Universi giungessero il collasso. Non so se, come narrano la leggende degli Antichi, dopo la morte ci attenda un’altra vita, questa volta immortale; o se la nostra anima sia destinata a reincarnarsi in un altro corpo; o svanire per sempre nel nulla. Nessuna di queste ipotesi mi spaventa. Sai cosa mi spaventerebbe veramente?”
“Che cosa, Amelia-san?”
“Che qualora avvenga –quando esaleremo l’ultimo respiro- la nostra anima resti in qualche modo… intrappolata… in un istante eterno… incapace di tornare nel passato, ma allo stesso tempo di proiettarsi nel futuro. Restare intrappolata in un attimo che è già trascorso, nel momento stesso in cui ha luogo; e che per definizione non esiste più… e vagare… vagare per sempre tra cose e persone che non esistono più… ma la cui essenza è rimasta intrappolata in quel momento.”
“Perché questa eventualità ti spaventa, Amelia-san?” chiese, strofinandosi le braccia come per ripararsi da un freddo inesistente, in quella soffocante notte estiva “Io ho perso il mio dolce nonnino, la persona che mi era più cara al mondo, quando ero solo una bambina. Nella mia mente conservo bellissimi ricordi della mia infanzia in sua compagnia. E quando ripenso a lui, mi piace pensare che i momenti più belli restino in qualche modo scolpiti nell’eternità; che al contrario delle persone, il bene, i momenti più dolci e più belli sopravvivano, oltre il tempo, ed oltre la memoria. Non ti piace ricordare tua madre nel fiore dei suoi anni, nei momenti migliori della tua famiglia?”
La mia mente si soffermò sul ritratto di famiglia appeso nella stanza del trono. Certo, i bei momenti ci confortano… ma sono quelli peggiori ad imprimersi maggiormente nella nostra memoria, anche a nostra insaputa. E se in qualche modo il nostro destino fosse l’immobilità, se restassimo intrappolati in un momento oscuro, e fossimo condannati alla ripetizione di un’eterna lotta che siamo destinati a perdere?
 
Quando ripenso a quella conversazione, mi stupisco di quanto, in un modo profetico e fatidico, avessi intravisto il mio destino.
  
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