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Autore: Himechan    16/08/2013    0 recensioni
Asso è un egoista.
Asso è nato solo, vive solo e morirà solo.
Solo con il suo cielo infinito.
Lontano dalla terra che tanto ti aveva fatto del male.
Ti rinchiudevi in quel tuo guscio volante, e scappavi via, lontano dai sentimenti, da chi ti aveva ferito, ma anche da chi ti aveva amato e continuava a farlo in silenzio.
§Capitoli I-II: terza classificata e vincitrice Premio giuria al "Le fleurs du Mal contest", indetto da Pagliaccio di Dio§
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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E sto abbracciato a te, senza
Chiederti nulla, per timore
Che non sia vero
Che tu vivi e mi ami.

Pedro Solinas


La visita nella casa di James nello Warwichshire, avvenne prima del previsto. Stranamente era stato lui a proporglielo solo pochi giorni dopo essersi incontrati, e Lee non se lo era fatto ripetere due volte: aveva una voglia matta di conoscere quell’uomo così complicato un po’ più da vicino, e l’idea di trascorrere anche solamente una giornata in sua compagnia la elettrizzava particolarmente.    
Manor House era una specie di villa che probabilmente in passato aveva visto tempi migliori, ma se la casa era ancora da risistemare, l’hangar che le stava a fianco era stato praticamente rimesso a nuovo da cima a fondo.
Tipico di James aveva pensato Lee la prima volta che aveva visto il netto contrasto tra la casa e la rimessa. Quest’ultima era la prima cosa che lui le aveva mostrato con fierezza.
Entrarono da una porticina laterale, e Lee rimase senza fiato di fronte al piccolo, grazioso aereo al quale lui fece una lunga carezza affettuosa, rivolgendogli un sorriso pieno di orgoglio. Poi, raggiante, aprì lo sportello per mostrarle la carlinga. Aveva apportato diverse modifiche, tra cui l’allargamento del retro della fusoliera di modo che ci si potessero infilare comodamente almeno due persone.
-Jamie ma è fantastico!- Lee non se ne intendeva minimamente di aerei e roba simile, ma adesso, per la prima volta, sentì come un brivido di eccitazione correrle lungo la schiena. Era opera di James, ed era un apparecchio splendido. Lui allora le tese una mano e la aiutò a salire nella carlinga, dedicando una mezz’ora buona a mostrarle tutto il possibile e a spiegarle come funzionavano i meccanismi di pilotaggio. Non aveva mai perso troppo tempo a descrivere cose del genere a un novellino, e si stupì profondamente accorgendosi che Lee imparava molto rapidamente e con grande entusiasmo. Lo ascoltava con attenzione e ricordava quasi tutto di quello che lui le spiegava. Chiacchierando con lei, James aveva come la sensazione che tutt’intorno a loro si stessero spalancando le porte del suo cuore e nuovi mondi, che mai avrebbe immaginato, potessero esistere realmente. Inaspettatamente si era accorto che dividere tutto questo con Lee gli piaceva enormemente, perché in fondo questo era il suo mondo esclusivo, gli aerei la sua vita, e farglielo scoprire passo dopo passo era addirittura più emozionante per lui di quanto lo fosse per lei.
-E allora, te la senti di fare un giro su questo giocattolo?- le chiese James dopo un po’ con fare compiaciuto, per provare la sensazione di come ci si sentisse una volta staccatisi dal suolo.
-Non aspettavo altro!- esclamò eccitata dal posto di comando rivolgendogli un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. Non avrebbe potuto desiderare regalo più bello. Anche solo girare intorno al velivolo con lui per esaminarlo dall’esterno era stata un’esperienza meravigliosa. L’abituale riservatezza e il modo di fare burbero che James assumeva quando era a terra scomparivano appena si avvicinava ad un apparecchio: era come se si sentisse capace di allargare le ali, come un grande uccello maestoso, per librarsi in aria, e a Lee questo suo aspetto piaceva enormemente.
James avviò il motore che si accese con un rombo improvviso, senza difficoltà, poi si diressero fuori dal piccolo hangar, rollando lentamente.
D’un tratto però, le venne improvvisamente in mente qualcosa di inquietante: la specie di pista che avevano davanti a loro era lunga meno di cinquecento metri, dopodiché vi erano solamente prati e un boschetto, il che voleva dire che James avrebbe dovuto staccare l’apparecchio almeno in un tempo e in uno spazio ragionevole perché non si andassero a sfracellare contro il bosco poco distante. Tutto d’un tratto, l’adrenalina che aveva provato nel salire dietro all’uomo di cui si fidava ciecamente, svanì per far spazio al puro e autentico terrore di schiantarsi da qualche parte.
Respirò a fondo, concentrandosi sulla nuca di James che le sedeva davanti, e pregando che non stesse cercando in qualche modo di ammazzarsi assieme a lei per le sue manie di grandezza.
Ma la manovra d’asso che fece pochissimi secondi dopo la lasciò senza fiato. Praticamente in quello spazio ridottissimo era riuscito a calibrare perfettamente la velocità e il tempo di distacco, e infatti mezzo minuto dopo, Lee aprì gli occhi senza riuscire completamente a credere di ritrovarsi in aria, assieme a lui.
-Di' un po’ non soffrirai mica di mal d’aria, per caso?- rise James per prenderla in giro, voltandosi dietro di sé, dalla sua parte. Aveva capito che quella bravata l’aveva spaventata a morte, così cercò di tranquillizzarla.
Lei scosse la testa, ma era pallida come un cencio.
-Finché ci sarò io non devi avere paura, okay?- le gridò per farsi sentire oltre il frastuono del motore e del volo.
-Se ci sfracelliamo verrò a cercarti nell’aldilà, hai capito?!- gli rispose lei di rimando, maledicendolo con tutte le sue forze e aggrappandosi istintivamente ai lati della carlinga, ma allo stesso tempo, nonostante l’autentico terrore che aveva provato pochi istanti prima, non poté fare a meno di sentire un tacito rispetto e un’ammirazione sconfinata per quell’uomo magnifico.
Perché James era esattamente come lo aveva sempre immaginato: coraggioso, pacato, forte, abile, nel pieno controllo dell’apparecchio che aveva costruito, padrone dei cieli. Era come se fosse nato per volare, e lei finì per convincersi che non ci fosse nessun altro al mondo che sapesse farlo meglio. Il fascino che incuteva era irresistibile; quell’uomo rappresentava per Lee tutto quello che aveva sempre sognato e ammirato. Perché James era potenza e forza, libertà e gioia e passione infinita. James era il cielo e le nubi e il sole splendente e il vento che rincorreva scherzoso quelle nuvole, ma, per quanto lo desiderasse con tutte le sue forze, non riusciva mai a prenderle.
-Dio, è stato così perfetto! Grazie Jamie- mormorò quando tornarono di nuovo sulla terra, ormai a sera inoltrata.
Era stata quasi una profonda esperienza religiosa per entrambi, e per Lee era stata la cosa più folle e splendida che avesse mai compiuto in tutta la sua vita.
-Sono felice che ti sia piaciuto- mormorò pensando che se lei avesse reagito diversamente ne sarebbe rimasto deluso.
-Non mi è solo piaciuto, è stato fantastico!- replicò Lee in tono solenne. Trovarsi nei cieli con James non solo glielo aveva fatto sentire più vicino, ma lei stessa si era sentita più vicina a Dio.
-Era proprio ciò che speravo, e dì un po’ ti piacerebbe imparare a volare?- indagò lui con aria interessata.
-Moltissimo!- gli rispose lei con gli occhi che le brillavano, togliendosi gli occhialoni da aviatore. Era stata un’esperienza che l’aveva commossa ed emozionata profondamente.
-Sei in gamba come secondo pilota, lo sai?- la elogiò. D’istinto Lee aveva capito che cosa domandare, quali commenti fare e quando rimanere in silenzio a gustare la gioia pura e la bellezza del cielo.
C’era da dire che James era anche molto abile a spiegare i principi fondamentali del pilotaggio ed era rimasto particolarmente impressionato dal fatto che per lei alcune cose apparissero naturali, come se avesse innati l’istinto e la capacità di pilotare un aereo.
Le tese entrambe le braccia per farla scendere, ma in maniera poco elegante, Lee inciampò, rovinandogli praticamente addosso con tutto il peso del corpo, e se James non avesse avuto una presa forte e sicura, probabilmente sarebbero caduti entrambi indietro, per terra. Si ritrovarono così, a pochi centimetri l’uno dall’altra, senza dire una parola, occhi negli occhi, mentre il respiro di entrambi si faceva impercettibilmente più veloce. Lo vide deglutire stranamente imbarazzato, mentre la scostava piano piano da sé e si girava a cercare qualcosa all’interno della piccola carlinga del biplano, estraendone un largo telo di plastica che distese a terra, poco più in là, vicino a dove erano appena atterrati, e una vecchia coperta a quadri che le porse con un mezzo sorriso: si sdraiò e con una mano invitò Lee a sedersi accanto a sé, con aria vagamente imbarazzata.
Lei non se lo fece ripetere e si sedette accanto a lui, che la fissava con un’espressione strana, le braccia incrociate dietro la testa e le lunghe gambe muscolose distese davanti a sé. Si buttò indietro i capelli con un gesto della mano e gli osservò a lungo il viso, dalla sua posizione privilegiata, senza dire una parola. Lui se ne accorse, e fissandola di rimando, si accigliò improvvisamente: Lee allora distolse gli occhi e li alzò a fissare la quieta e splendente volta stellata. Era una serata fresca, non troppo rigida, ma nonostante questo, una lieve condensa si formava continuamente al contatto con il loro respiro caldo. Si strinse di più nella coperta di lana che poco prima si era buttata addosso, e alzò il dito indice a indicare un punto lontano, ma incredibilmente splendente.
–Ho deciso che quella sarà la nostra stella. Che te ne pare?- disse dopo un po’, con aria meditabonda -Oggi credo che ci siamo andati molto vicino-
James ridacchiò sommessamente seguendo la traiettoria del suo dito –La nostra stella dici? E sentiamo come la chiameresti?- Anche solo quell’idea stramba di avere una stella in comune insieme, gli metteva addosso una curiosa sensazione di calore e di terrore.
-Uhm…credo…credo che la chiamerei KeeRay-
James inarcò un sopracciglio con aria scettica –E adesso, questa come ti sarebbe venuta?-
Lei era sempre stata un po’eccentrica e fantasiosa, e questa sua qualità, a quanto pareva non era affatto svanita con l’età.
-Sono le lettere iniziali dei nostri cognomi, scioccone che non sei altro. Keegan e Railey. E poi potresti leggerla anche con un altro significato se credi- disse facendo spallucce con aria di falsa noncuranza.
James non riuscì a trattenere una risatina –Okay allora che ne dici di dare anche un nome a quella nuvola lassù, due gradi a est della nostra stella?- rise e lei, capendo che la stava bonariamente prendendo in giro, si offese –Mpf, non mi prendi mai sul serio, tu eh?-
-Non è vero, ti prendo sul serio eccome. Oggi, per esempio, sei stata bravissima- le disse a voce più bassa con un tono incredibilmente carezzevole e stranamente dolce. Il viso di lei si illuminò improvvisamente mentre si girava a guardarlo sorpresa: sentirgli dire certe cose che per lui erano significativamente importanti, era indubbiamente qualcosa che la inorgogliva profondamente. –Più brava dei tuoi allievi al corso di pilotaggio?-
James fece una smorfia, ci pensò un po’ su e poi annuì –Saresti un’ottima allieva. Hai mai pensato di arruolarti nella RAF?-
-Non scherzare con il fuoco, maggiore. Teoricamente sarei ancora in tempo- ribatté lei con l’aria di chi la sa lunga, mentre si distendeva accanto a lui, incrociando le gambe davanti a sé.
-Jamie?-    
-Mmh?-
-Posso farti una domanda?- gli chiese dopo un po’ che erano rimasti in silenzio a guardare il cielo solitario.
-Dipende. Se devi farmi arrabbiare no-
-Ti piace inseguire le nuvole con i tuoi aeroplani?-
Ci pensò qualche istante.
-Non sono così poetico, ma suppongo di sì. Mi piace sentirmi libero e potente, senza impedimenti-
Oh sì, certo che lo sapeva. Aveva imparato a capirlo quel pomeriggio con quel volo indimenticabile, e ciò che aveva appena assaporato l’aveva eccitata profondamente.
-E ti piace correre più veloce del vento?- continuò lentamente.
-Dove vuoi arrivare?-
-Rispondimi-
-Sì, mi piace. Non ho paura, non ho mai avuto paura, perché dovrei averne?-
-Non credo che tu non abbia paura di niente. Ci sarà pure qualcosa che ti intimorisce-
-Sì le ragazze troppo curiose- ridacchiò girandosi a guardarla a pochi centimetri dal suo viso, e cambiando improvvisamente espressione quando si trovò a un soffio dagli occhi grigi di Lee.
-Io, sarei troppo curiosa, maggiore Railey? O sei forse tu che scappi di continuo?- lo sfidò lei.
-Ti pare che stia scappando, ora?- lo sguardo di James era quasi accecante talmente era intenso e profondo.
-Tu credi di tenere sotto controllo tutto, di essere forte come il vento, di poter spostare le nuvole al tuo passaggio così come fai con le persone, ma non funziona così, sai, non con chi ti vuole bene, per lo meno-
-E cosa ne sai delle persone che mi vogliono bene, sentiamo?- le chiese con aria di vaga supponenza.
-Credo di conoscerne qualcuna, forse-
-Bugiarda-
-Non si mente guardando negli occhi una persona, non lo sapevi, maggiore?-
-Se è per questo, io mento sempre con gli occhi- la sfidò.
-E adesso?- gli chiese lei a bassa voce, osservandogli con attenzione e desiderio le labbra morbide e perfette.
James allora allungò una mano verso di lei, e con la punta delle dita le sfiorò il viso con delicatezza, fissandola con espressione intensa, quasi commossa -Tu lo pensi?-
Lee scosse la testa, sentendosi improvvisamente spogliata da quegli occhi spaventosamente grandi e intensi, e vagamente intimidita.
Si fissarono a lungo, come a cercarsi di dire tutto quello che era stato taciuto per anni, tutto quello che avevano nascosto nel cuore, fin da bambini. Lee avrebbe voluto stringerlo a sé e confessargli che lo amava da sempre, da tutta la vita, da quando gli sgambettava intorno e lui cercava di proteggerla dalle brutture del mondo, ma evidentemente James aveva pensieri molto diversi dai suoi. Lui pensava e agiva credendo di fare sempre la cosa più giusta per entrambi. E per questo lei lo odiava.
Si staccò bruscamente, e in quel preciso istante, quel lieve tepore che aveva avvertito sulla guancia al suo tocco, svanì di colpo.
-KeeRay hai detto eh?- mormorò, spezzando quella sottile alchimia che si era creata e tornando a fissare intensamente quel puntino più luminoso degli altri.
-Sì, la stella che porta i nostri nomi. Così quando saremo lontani, nelle notti come queste, potremo guardare la stessa stella nello stesso istante, ed entrambi ci sentiremo a casa- rispose lei malcelando la sua malinconia.
-Mi sembra un’idea geniale. Anche se io non ho mai avuto una casa più piccola del cielo-
-Mpf, il solito esagerato- sogghignò un po’ offesa.
–Vorresti dire che…uhm…potrebbe esistere qualcosa che assomiglia ad una casa in cui non…non sarei più…-
Solo?
-A te piacerebbe?- gli chiese lei, accorgendosi quasi di trattenere il fiato mentre aspettava una risposta da parte sua.
-Non saprei. E’ una domanda che non mi sono mai posto, onestamente- le rispose pensieroso.
Non ne aveva avuto mai dubbi. Per James la parola casa era sempre stato un concetto astratto, totalmente lontano dalla sua realtà fatta di singole giornate, senza progetti né affetti che non andassero aldilà del suo lavoro. A rifletterci bene a chi sarebbe importato se lui fosse morto? Probabilmente tutti avrebbero pianto il celebre maggiore Railey, l’asso dei cieli, uno degli aviatori più spericolati del Regno Unito, ma in conclusione, a chi poteva interessare di James? Dei suoi sentimenti e di quello che provava? Si voltò a fissare Lee, con aria pensierosa, in silenzio, provando l’impulso irrefrenabile di stringerla al cuore e di confessarle quanto tutto ciò intimamente lo spaventava, ma poi fece finta di nulla e le sorrise, senza dire una sola parola.
-Okay, adesso devi mantenere la promessa- le disse dopo un po'.
Lei gli rivolse un'occhiata vagamente stupita.
-Non dirmi che te ne sei già scordata. Un volo, Lee canta per me- sorrise puntellandosi di fianco sul gomito. Aveva sul viso un'espressione irresistibile e di nuovo lei ebbe l'impulso di mandare al diavolo tutto e di baciarlo, fare l'amore lì sotto le stelle, che cosa romantica, per un uomo tanto pragmatico come il maggiore! Scacciò subito quel pensiero perché era evidente che James aveva in mente tutt'altro che sdolcinatezze varie.
-Credevo te ne saresti dimenticato- sbuffò lei mettendosi a sedere.
-Credevi male, ho una memoria a lunga scadenza- le rispose fissandola con quegli occhi che la mettevano costantemente a disagio.
-Okay, hai qualche preferenza?-
-Uhm...conosci  Easy to love di Billie Holiday?-                          
Lei fece finta di pensarci un po' su e poi cominciò a canticchiarla sottovoce perché era una delle sue canzoni preferite. Chissà perché le parole gli facevano proprio pensare a lui.
James l'ascoltò con attenzione, in silenzio, poi, inaspettatamente la prese tra le braccia e l'aiutò ad alzarsi. Lei si fermò interdetta -No, continua, balla con me stasera- mormorò cingendole la vita e accompagnandola piano con le parole e con i passi. Lei lo guardò stupita mentre James le faceva appoggiare le braccia intorno al suo collo. Era un gesto che mai si sarebbe aspettata da lui, totalmente inatteso, ma non le importava. Stava imparando a capire che con Jamie erano importanti i piccoli gesti, i momenti preziosi e non le parole o i fatti eclatanti.
-I'm sure you hate to hear, that I adore you, dear...That you can't see your future with me, 'cause you'd be oh, so easy to love- Chissà perché quelle parole sembravano destinate proprio a loro.
Fu un momento magico per entrambi, Lee non si era mai sentita al sicuro come in quell'istante che avrebbe voluto durasse per l'eternità -Te la cavi anche con i passi- sorrise lui dall'alto della sua statura -Sicuramente meglio di te- replicò lei con un'ironia che malcelava il suo imbarazzo. -Sarai bravo con i tuoi aerei ma non si può dire che sia un ballerino provetto- lo canzonò garbatamente mentre senza farlo apposta le pestava un piede. -Avevo dimenticato la tua simpatia piccola vipera dalla lingua biforcuta- mormorò lui stringendole di più la vita e attirandola a sé in un gesto perentorio e possessivo che le piacque enormemente.
-E io non avevo scordato il tuo essere permaloso maggiore- Risero entrambi, nella fredda notte e per un breve attimo fu come se il mondo e l'universo intero si fossero dissolti per far spazio solamente a loro due, alla loro canzone e al sentimento che li univa indissolubilmente da sempre. Lee ne era sicura, il suo era amore, un amore mai provato per nessuno, perché James era suo amico, suo fratello, suo padre e un giorno avrebbe voluto che fosse anche molto, molto di più. Ne era innamorata, ormai non poteva farci nulla. Era bastato quel poco per riscoprirsi di nuovo e capire che quel filo che li aveva legati per anni in realtà non si era mai interrotto.
Si sdraiarono di nuovo, prima di andare e restarono ancora a lungo, in silenzio, a fissare la quieta volta celeste, quando ad un certo punto James si accorse che lei gli si era letteralmente assopita a fianco, così, con un piccolo sorriso l’avvolse meglio nella calda coperta e, senza pensare alle conseguenze, la prese in braccio, mentre lei mormorava qualcosa di incomprensibile, la faccia premuta contro il suo petto.
James sorrise tra sé mentre a passi lenti rientravano in casa, adagiandola delicatamente sul comodo letto che aveva preparato per lei il giorno prima che arrivasse a Manor House.
-Buonanotte piccola- le sussurrò sistemandole per bene la coperta. Era un gentiluomo e non si sarebbe mai approfittato delle sue debolezze. Si era accorto che lei non aspettava altro che un suo gesto, un suo bacio, una sola parola che le facesse capire ciò che le premeva nel cuore, ma in realtà lui non riusciva a lasciarsi andare. Non era giusto. Lei era la sua piccola Lee e non voleva in alcun modo turbarla o darle false speranze. Un giorno avrebbe avuto una brava persona al suo fianco, e magari anche un paio di marmocchi, e comunque un tipo di esistenza che spetta ad ogni donna e che lui non avrebbe mai potuto donarle. La contemplò a lungo, in silenzio, con occhi pieni d’amore, e di dolcezza, azzardandosi solamente a farle una lieve carezza tra i capelli. Solo quel gesto innocente gli diede un brivido di emozione nell'anima.
E guardandola con quegli occhi che in quel momento Lee non avrebbe mai potuto immaginare. Gli occhi di un uomo che ha disperatamente bisogno di quella donna, proprio lei, ma che non ha il coraggio di confessarle quello che sente nel cuore.
-Canta sempre per me...amore- sussurrò senza che lei potesse minimamente sentirlo.
Poi, senza fare altro si alzò e si richiuse la porta alle spalle, cercando di fare il minimo rumore possibile.

Braunshweig, in un posto qualunque


Thomas Wentz fissava il soffitto sopra di sé con aria torva e un’espressione vagamente accigliata, poi qualcosa si mosse e il suo sguardo si spostò verso il giovane Gefreiter accanto a sé con cui aveva appena condiviso momenti di puro piacere. Il ragazzo si spostò su un fianco, nel sonno, mugolando qualcosa: era bello, non c’era che dire, aveva folti capelli biondi e un viso che avrebbe detto quasi innocente se non avesse ricordato quello che era successo tra loro quella notte. Lo aveva abbordato la sera prima, in un locale da quattro soldi di Braunshweig: ultimamente Wentz si sentiva molto solo e quel ragazzo era stato il primo, dopo tanto tempo, che gli aveva rivolto un sorriso. Chissà perché i suoi occhi gli avevano ricordato quelli di un altro uomo.
Joachim Von Scherner.
Il solo pensiero lo irritava e lo eccitava allo stesso tempo.
-Herr Hauptmann io conoscevo quell'uomo. L'ho conosciuto tanto tempo fa. In un orfanotrofio di Londra. Quando era solamente un ragazzino. Ribelle e indomito proprio come adesso-
-Come faceva a conoscere James Railey?- gli aveva chiesto quasi ringhiando.
-Perché siamo praticamente cresciuti insieme- aveva risposto Wentz impassibile. -Lui è arrivato al San Francis che aveva neppure cinque anni. Dicevano che la madre si era suicidata e fosse una sgualdrina di infima categoria, del padre invece non se n'è mai saputo nulla. E' rimasto lì fino ai sedici anni poi è scappato per arruolarsi nella Raf-
Joachim aveva avuto uno strano fremito
-Non trova anche lei una somiglianza curiosa Herr Hauptmann con il maggiore Railey? Quando James era arrivato al San Francis andava ripetendo continuamente a noialtri ragazzini che quando sarebbe stato grande avrebbe ritrovato il suo fratellino piccolo che era stato portato via da un uomo che parlava strano, in un posto lontano che si chiamava tipo...Germania...Le dice niente questa storia capitano?-
-Cosa vorrebbe dirmi tenente?- aveva sbottato Joachim sempre più innervosito -Vuole forse insinuare qualcosa? Non devo di certo darle spiegazioni-
-Oh, a me no di certo Herr Hauptmann ma all'alto comando certamente sì. Sarebbe veramente curioso se si venisse a conoscenza che uno dei migliori piloti della Luftwaffe in realtà vanta una nobilissima nascita...uhm...in terra d'Inghilterra. In tal caso dovrebbe dare un bel po' di spiegazioni al nostro amato Fuhrer- aveva ridacchiato accendendosi una sigaretta.
Non si era quasi accorto che un istante dopo Joachim l'aveva preso con violenza per il collo, sbattendolo al muro, facendogli cadere repentinamente la sigaretta dalla labbra -Fai ancora un'altra insinuazione del genere lurido bastardo e ti faccio radiare per sempre dall'esercito, sono stato chiaro?- aveva sibilato a denti stretti, gli occhi ridotti a due fessure. -Una soltanto, mi hai capito?- aveva ripetuto con un tono che non ammetteva repliche.
 -Che c'è la verità fa male, capitano?- aveva mormorato lui con un ghigno sadico pur cominciando a far fatica a respirare. Joachim continuava a stringere implacabilmente, lo sguardo pieno di una rabbia quasi inumana
-Ripetilo ancora e io ti uccido con le mie mani-
Wentz stava diventando quasi viola quando fortunatamente era sopraggiunto uno dei piloti che accortosi della scena era intervenuto a separare i due uomini -Signori ma che diavolo succede qui?-
Joachim si staccò da Thomas con un colpo secco, facendolo caracollare e continuandolo a fissare come un cane rabbioso, senza dire una parola,
-Niente, è tutto a posto. Io e il tenente Wentz stavamo solo chiarendo delle questioni- aveva risposto Joachim riprendendo il controllo dei propri nervi in pochi istanti.
-Sì Breitner io e il capitano Von Scherner ci siamo chiariti- aveva ribadito Wentz sistemandosi il nodo della cravatta continuandolo a fissare con ostinazione. Per poco non lo aveva strangolato a mani nude per quella sua pesantissima insinuazione. Aveva capito che Von Scherner non scherzava affatto; sarebbe stato capace di ucciderlo senza pietà se solo lui avesse detto un'altra parola. Chissà perché sotto certi aspetti, nella parte più recondita e maligna dell'animo, lui e suo fratello si assomigliavano in maniera indicibile.
Lo guardò allontanarsi a passi frettolosi e nervosi, senza più voltarsi e per un momento brevissimo gli parve di rivedere la copia fatta e finita di James Railey.

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So di essere in mostruoso ritardo *si cosparge il capo di cenere*, ma questi mesi sono stati talmente intensi che non ho proprio avuto né il tempo, né la costanza e né tantomeno l'ispirazione per scrivere mezza riga. Spero di essermi fatta un pochino perdonare con il nuovo capitolo.
Grazie come sempre a chi segue la storia, a chi lascerà un commento o a chi semplicemente leggerà.
Un abbraccio e buona estate a tutte voi.
Hime

   
 
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