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Autore: Phantom13    16/08/2013    7 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 1
-SITUAZIONI-

 

Shell The Seagull si lasciò cadere sulla sedia girevole del suo ufficio, dando un’affranta occhiata alla tetra piramide di fogli che troneggiava sulla sua scrivania. Si sentì male. Tutto quel lavoro solo e soltanto per lei? Ma dov’era andata a finire la giustizia?
Le sue colleghe passavano le giornate a limarsi e laccarsi gli artigli mentre lei, povero pennuto di mare, si ritrovava sommersa di lavoro! Fece schioccare una volta il becco arancione con stizza. Ma che palle!
-Salve, gabbianella! Come te la passi?-
-Taci e crepa, Nut.-
Il furetto viola a strisce arancioni le sorrise. –Dolcissima come sempre.-
Le penne azzurro chiaro sulla sommità del cranio di Shell si rizzarono, battagliere. –Stai rischiando la coda, Nut.-
-Lo so!- rise lui. –Ma che gusto c’è senza un po’ di pericolo?-
-Parlate di meno e lavorate di più!- ruggì Jack, un umano dal pelo biondo e gli occhi azzurri.
Il furetto e la gabbiana si voltarono di scatto, tornando ognuno al proprio daffare.  Essere vicini di scrivania poteva essere un problema e nella redazione di una rivista, le scrivanie erano tutte appiccicate l’un l’altra. Quindi, il suo “ufficio” consisteva in uno spazio assai ristretto e rettangolare che a stento comprendeva l’area per la sedia. E insisteva a chiamarlo “ufficio” per auto illudersi di avere un’importanza, lì dentro.
Purtroppo il suo compito consisteva nell’impaginazione del giornale, quindi doveva decidere dove mettere il tale articolo e quanto spazio concedergli, poi il suo lavoro passava nelle zampe di qualcun altro e poi, dopo un ultima supervisione dei massimi capi, veniva pubblicato. Il suo sogno di giornalista si era bruscamente infranto, schiantato contro la freddezza del capo redattore, un umano dal pelo nero, che le aveva appioppato quell’incarico scomodo a tutti.
Ad impedirle di raggiungere la finestra e buttarsi di sotto (cosa inutile essendo lei provvista di ali) erano i suoi colleghi, che con la loro allegria, a volte eccessiva, le impedivano incontrollabili attacchi di frustrazione e ira. Nut The Ferret, Rosie The Panda, Joy The Cockatoo, Bob Tomson (umano), Natalie Lane (umana), Shon Drake (umano). Tutti loro (escludendo i vari fotografi e i cameraman), insieme ai due redattori Jack Games e Crimson The Barnowl davano vita al “MT News”, un giornale mensile a cavallo tra Mobius e la Terra, che ora erano collegati da un ponte spazio-temporale permanente, che permetteva alle due razze di convivere e viaggiare e stabilirsi in un pianeta o nell’altro. Come aveva fatto Shell.
Con tutti questi collaboratori al suo fianco, spaccarsi la schiena di lavoro era un piacere, specialmente quando l’aspirazione della tua intera vita era affidata tra le zampe di una deliziosa topolina color mandarino, il cui nome era appunto Orange (accuratamente tralasciata in precedenza dalla lista degli “alleati-amici”). Lei si occupava della cronaca nera, la struggente ossessione di Shell. Purtroppo, il seducente fondoschiena e la sinuosa coda del ratto avevano avuto la meglio su Crimson The Barnowl, un arruffato barbagianni bianco e rosso, screziato, che aveva scelto la roditrice come giornalista in tale ambito piuttosto che lei. Ironico, no, che un gufo si innamorasse della preda che Madre Natura gli aveva allegato come pietanza principale!
Ma, per quanto paradossale, così era andata e ora Shell si ritrovava a rodersi il fegato occupandosi di semplici decisioni estetiche. Pure Nut si occupava di articoli, nell’ambito politico, così come Joy di quelli sportivi e Rosie di quelli economici. Insomma, lei era una nullafacente pagata quando avrebbe invece pagato pur di andare là fuori a stanare notizie fresche fresche.
Il destino e l’universo erano contro di lei.
Era partita da una semplice rivista mensile per donne disperate, terrestri e non. Lì almeno aveva la possibilità di scrivere un qualche articolo, anche se di argomenti insignificanti come la miglior dieta da seguire per donne di mezza età, o quale abito aveva indossato tale modella a tale sfilata. Da quando l’avevano assunta al MT News si era sentita ad un passo dal cielo (cosa non improbabile, per un gabbiano). La sua gioia era stata disintegrata sul nascere dalla topolina color mandarino, ma Shell non si era mai arresa sebbene tutt’ora il suo futuro non dava ancora bagliori di risalta. Sarebbe stata destinata a rimanere nell’anonimato per sempre?
La risposta arrivò quel giorno, quando Crimson la chiamò nel suo ufficio.
Due parole che le stravolsero la vita.
-Sei licenziata.-
Il mondo le crollò addosso, il cielo si sgretolò come vetro infranto, il suo sogno venne ammazzato lì, con una bastonata sulla nuca.
-Cosa?- balbettò.
-Già.- il rapace notturno stirò il becco in un sorriso forzato. –Tra tre settimane voglio la tua scrivania sgombra.-
Un fulmine a ciel sereno, che aveva deciso di usare il suo cranio come pista di atterraggio. Shell non riusciva  parlare, né a far null’altro.
 
Rouge voltò la pagina della rivista. Una modella umana indossava una meravigliosa collana di diamanti e degli orecchini allegati mettendoli in risalto con una lieve torsione del collo. Gli occhi della pipistrella scintillarono raggiungendo lo stesso splendore della pietra. Voltò pagina. Collana e anelli incastonati di smeraldi. Nulla di comparabile a quelli del Chaos, comunque.
Una luce fin troppo famigliare si accese a mezz’aria, al centro della stanza, accompagnata da un lievissimo ronzio. Il Chaos Control le fece sbattere la palpebre con il suo bagliore improvviso, un lieve tonfo sul pavimento metallico l’avvisò che il suo compagno di squadra era appena tornato.
Rouge sorrise, mentre gli occhi rossi di Shadow si voltavano verso di lei. Ecco due rubini che non potrò mai avere, pensò la ladra.
-Ciao, tesoro!- lo salutò, accavallando le gambe. -Com’è andata?- chiese, chiudendo all’istante la rivista e lasciandola sul bracciolo della poltrona.
-Altri robot.- fu la risposta sbrigativa. Shadow le voltò la schiena, uscendo dalla stanza che aveva scelto come luogo terminale del teletrasporto, lasciando la pipistrella con un palmo di naso. Ma non prima che gli attenti occhi di Rouge non avessero scorto un lembo di ombra nello sguardo scarlatto del suo compagno.
Shadow era un enigma dalla punta degli aculei a quella dei piedi, incomprensibile per tutti. Tranne che per lei. Lui non era tipo da manifestare apertamente ciò che gli passasse per la mente, anzi, sembrava fare il perfetto opposto, seppellendo i suoi pensieri, o le sue emozioni, tanto in profondità dentro di sé da risultare irraggiungibili. Quindi, comunicare con lui era oltremodo complesso, impossibile per molti. Eppure, stando al suo fianco, lavorando con lui per anni, vivendo con lui, Rouge aveva imparato a decifrare l’intricato codice di Shadow, o almeno quanto bastava a farle intuire, se non capire, come si sentisse il riccio nero o cosa gli frullasse nel cervello senza che lui ne parlasse apertamente.
Già, vivere con lui, ora.
Attualmente si trovavano in una vecchia base abbandonata di Eggman, o forse dimenticata, la più piccola che lo scienziato avesse mai creato; munita di un solo hangar che al massimo poteva ospitare un aereo grande oppure due di piccole dimensioni; perduta sotto terra nei meandri di un bosco a cinque minuti di corsa dalla città (trenta minuti di volo per lei); attrezzata di tutti i sistemi di sicurezza immaginabili compresa l’immunità ai satelliti e ai radar. Piccola sì, ma troppo grande per due sole persone.
Inizialmente, Shadow vi era andato per sfuggire ad un gruppetto di robot (il primo che diede inizio alla sua persecuzione), poi Rouge aveva deciso di raggiungerlo quando un agente segreto in tuta mimetica notturna con mitra in mano si era introdotto in casa sua. La vicinanza con la Forma di Vita Perfetta, nonché l’essere più forte in circolazione, può aiutare se si è braccati dalle autorità.
Quindi, il loro rapporto era sempre al livello di mera collaborazione, nulla di più, nulla di meno. Tacito accordo, tacita fiducia.
Quando aveva scoperto che il suo compagno di squadra era messo peggio di lei in quanto a problemi, non ci aveva pensato due volte a stabilirsi definitivamente lì con lui. Una promessa le era tornata alla mente. Se il mondo intero si fosse messo contro di lui, lei gli sarebbe rimasta a fianco. E così intendeva fare, ma l’introspezione del riccio nero di certo non aiutava. Per quanto lei fosse diventata abile ad intuire i suoi pensieri e i suoi sentimenti, quando Shadow non voleva far trapelare qualcosa, crollasse il cielo nessuno avrebbe potuto capire cosa fosse quel qualcosa.
Rouge schizzò il piedi, seguendo a passo serrato le orme di Shadow. Superò la porta metallica ancora aperta e raggiunse il riccio, affiancandolo.
-Altri robot?- tentò di estorcere informazioni.
-Già.- non ottenne altro.
Rouge socchiude gli occhi. Sospirò. –E il problema allora qual è?- domandò.
-Cosa ti fa pensare che ci sia un problema?-
-Ti conosco.-
Shadow, che stava andando in camera sua, si fermò guardando la pipistrella bianca. –Non c’è nessun problema. Tranne il solito.-
Rouge abbassò gli occhi, senza sapere che altro dire.
-Preparo cena.- riuscì a dire la pipistrella dopo un interminabile silenzio. –Hai fame?-
-No.-
Un’altra cosa che Rouge aveva scoperto era che Shadow aveva necessità minori di cibo e riposo rispetto alle altre persone. Un magro pasto al giorno per lui era più che sufficiente, così come in tre ore di sonno si rigenerava completamente.
Sospirò di nuovo, guardandolo sparire dietro ad un’altra porta meccanica.
La luce al neon sul soffitto del corridoio lastricato di metallo lampeggiò.
 
Non appena Shell riuscì ad inserire e girare la chiave nella serratura, cosa non evidente visti i suoi occhi gonfi di lacrime, si slanciò dentro come un tornado andando dritta al divano del salotto. Là, come tutti i giorni l’aspettava il suo amore: Wind The Eagle.
-Ciao tes…- l’aquila reale non fece a tempo a salutare la sua futura moglie (nozze programmate per fine estate) che se la ritrovò al collo, piangente a fontana.
-Mi hanno licenziata!- strillava quella, con il viso affondato tra le sue piume. –Licenziata!-
Preso in contropiede, Wind fece l’unica cosa che il buonsenso gli suggerì: abbracciare la fidanzata e cercare di capire cosa fosse successo. Ma la disperata gabbianella non voleva sentir ragioni.
Mentre Shell sfogava su di lui tutte le lacrime a stento trattenute per tutta la giornata, i due finirono abbracciati e accoccolati l’un l’altro. Stesi sul divano. Piume bianco-azzurre finirono per mischiarsi a quelle marroni scuro, in un unico morbido arruffo.
Shell tirò su con il naso. Aveva passato il giorno intero a maledire nei modi più fantasiosi il barbagianni e la tua topolina (realizzando solo ora che se un gufo provava attrazione per i roditori, lei, gabbiano, si stava per sposare con un aquila). Scosse appena la testa, tralasciando il pensiero a ficcando la testa nell’incavo della spalla di lui, mentre lo abbracciava, avvolgendolo nelle sue ali. Lui faceva lo stesso.
-Ora me lo vuoi dire cos’è successo?- azzardò Wind, con tono dolce, donandole un bacino sulla fronte.
-Quello stronzo mi ha cacciata per fare posto ad una pantegana viola, con i tacchi da tredici e la minigonna! Una pantegana!- si voltò per guardare negli occhi il suo consorte. –Ma che cosa ci trova quel gufo pervertito nei ratti schifosi dalla coda viscida?-
Wind sogghignò. –Peggio per lui che non sa cosa significa essere affiancati da un magnifico gabbiano, re del mare e del cielo, limitandosi a roditori baffuti.- la baciò delicatamente. –Non ci pensare.-
Lei singhiozzò. –Lo odio.-
-Se lo odi tu, lo odio anch’io.-
Fuori si sentì il boato di un tuono. Cominciò a piovere.
-Perché non ti togli le scarpe, amore, mentre preparo qualcosa da mangiare?-
Shell annuì, sfilandosi i sandali e allargando le dita palmate facendole scrocchiare. Le scarpe  e le zampe da uccello non andavano d’accordo, specie se quest’ultime erano appunto palmate. L’aquila sorrise, scivolando via da lei e andando in cucina, anche lui a piedi nudi con gli artigli che picchiettavano sulle piastrelle.
-Ti va di guardare un film mentre mangiamo?- propose Shell, tirando su con il naso.
-Certo, mia cara. Quale preferiresti?-
-Uno pieno di sangue e massacri.-
L’aquila rise di nuovo. –Come vuoi, tesoro.-
Il menù prescelto fu pesce, una pietanza amata da entrambi.
Mentre lui portava i piatti sul tavolino davanti alla tv, lei afferrò il telecomando e accese. La faccia di un uomo presentò il telegiornale. Wind tornò in cucina per prendere posate e bicchieri. Shell guadava distratta le immagini sullo schermo, senza ascoltarne le parole.
Una rapina in banca le fece drizzare le antenne, mentre il suo martoriato spirito giornalistico si ridestava. Un certo Shadow The Hedgehog quel giorno aveva rapinato da solo una banca e fatto sparire quasi venti milioni di contanti. Un’immagine del furfante occupò lo schermo: un riccio nero a strisce rosse. Shell piegò la testa di lato.
-Caro, hai visto?- chiese al rapace appena arrivato dalla cucina con posate, bicchieri e tovaglioli. Lui alzò distrattamente lo sguardo.
 
A Sonic andò di traverso il succo d’arancia. Il povero riccio blu, mezzo strozzato, tossiva e sputacchiava a più non posso, mentre il suo volto asfissiato prendeva una buffa colorazione rossa e viola. Riassestato il sistema respiratorio con un ultimo colpo di diaframma, il ricco scattò in piedi, fissando ad occhi sgranati lo schermo della tv.
-Che cos’ha fatto Shadow?!- chiese a tutti e nessuno, sbalordito; sullo schermo la notizia della rapina.
Anche Tails aveva in viso la sua stessa espressione, Amy fece capolino dalla cucina.
-Cosa?- chiese.
Sonic continuava a guardare la televisione. –Non è possibile!- esclamò. –Non era passato definitivamente dalla nostra parte?!-
-Calma, Sonic.- disse piano Tails. –Qualcosa qui non quadra.-
-Ah, sì? Il nostro presunto alleato se ne va a spasso a svaligiare banche e tu mi dici che “qualcosa non quadra”?! Che arguzia. -
-Ascolta, hanno appena detto che è successo di mattina, no? Beh, Shadow quel giorno è stato con noi dall’alba fino a mezzo giorno, mentre eravamo alle prese con quel robot di Eggman lanciarazzi. Ed è rimasto con noi sempre. Non si è mai allontanato.-
Sonic cominciò a capire. -Ma allora …-
-Allora non è possibile che sia stato lui.- sentenziò il volpino, appoggiandosi i gomiti alle ginocchia. –Qualcuno non la racconta giusta.-
Ora sia riccio che volpino guardavano con più attenzione le immagini, mentre un vago senso di colpa per aver dubitato del riccio nero prendeva forma nel cuore di Sonic.
-Le telecamere non hanno ripreso nulla, dicono che sono state neutralizzate.- fece notare Tails. –Non si vede effettivamente Shadow che ruba. Hanno solo messo una sua foto alla fine.-
-Potrebbe essere stato chiunque.- mormorò Sonic. –Non faker di sicuro.- sospirò. –Ma cos’hanno bevuto i ragazzi della TM News?-
Tails gli scoccò un’occhiata, preoccupato.
Dalla cucina arrivò Amy, con aria inquieta. Aveva sentito tutto e la faccenda non le piaceva. Ma che cosa stava succedendo?
 
Rouge guardava dubbiosa il piccolo schermo posato su una credenza, nella piccola cucina della base di Eggman. Era un ambiente spoglio e freddo che però, lei e il suo tocco femminile si erano impegnate a rendere più accogliente, per quanto possibile. Una base militare abbandonata restava sempre e comunque una base militare abbandonata di freddo metallo polveroso.
-Shadow!- chiamò forte.
Ovviamente, non un suono venne emesso dal riccio, ma lei sapeva che lui stava ascoltando.
-Hai fatto per caso una visita ad una banca senza avermelo detto?- chiese.
Silenzio prolungato.
Shadow andò da lei.
-Cosa?- domandò, cupo.
-Alla tv dicono che ti sei intascato venti milioni.-
Shadow aggrottò la fronte.
Rouge lo guardò, capendo tutto. –Mentono?-
Shadow piegò la testa di lato, guardando con occhi indecifrabili lo schermo. –Mentono. Non sono mai stato là.-
Rouge sospirò.
 
QUELLO STESSO GIORNO – LUOGO SCONOSCIUTO – DA QUALCHE PARTE SULLA TERRA
Il suo mondo era tutto nero. Sapeva che aveva degli organi progettati per la vista, ma non riusciva ad usarli. Il suo mondo era buio. Tutto quello che poteva percepire dall’esterno erano i suoni. Il proprio cuore che batteva, lento, ritmato; il sangue che scorreva nelle vene; il proprio respiro, lento pure quello; il suono vagamente risucchiante dell’aria che tramite il tubo gli entrava in gola; il rumore delle bolle del liquido nel quale era immerso.  Il loro glu-glu, ad ogni suo respiro, ogni volta che uno dei tubi che gli entravano in corpo gli conduceva direttamente dentro le sostanze di cui necessitava; il soffice tocco dei grumi d’aria quando, casualmente, nella loro disperata risalita gli sfioravano la pelle. Avrebbe tanto voluto vedere, come fossero fatte queste bolle.
Il suo mondo era quello. Buio, suoni, bolle, dolore e voci, a volte.
Qualcuno parlava, suoni distanti, ovattati, esterni. Dicevano parole, parole di cui lui conosceva il significato ma che, per una qualche ragione a lui sconosciuta, non facevano presa sul suo cervello. Non aveva memoria. Aveva un’autonomia di meno di tre ore. Sapeva altrettanto bene che tra meno di un quarto d’ora, tutte le sue conoscenze sulle bolle, sul battito del cuore e sul suono dei tubi si sarebbero annullate e lui avrebbe ricominciato ad imparare tutto da zero. Quello lo sapeva, non era a conoscenza del come ma sapeva che qualcosa non funzionava nel suo sistema di database.
Suoni che aveva imparato a collegare alla presenza delle voci si avvicinarono al luogo chiuso nel quale si trovava lui. Si fermarono. Piccoli rumori intermittenti annunciarono che la voce stava facendo qualcosa.
Un altro suono metallico, sopra la sua testa, gli suggerì che qualcosa di importante stava per accadere.
Le voci aumentarono considerevolmente, fuori. La macchina, o meglio, il suo braccio meccanico, sopra di lui, si tuffò nel liquido nel quale era immerso. Moltissime bolle vennero create.
Qualcosa gli appuntito gli si conficcò nella nuca, entrandogli nel midollo spinale. Il suo cervello venne invaso dal segnale “dolore” mente tutti i suoi muscoli si contorcevano di botto, senza che lui potesse farci nulla. L’ago che aveva nel collo cominciò ad inviargli scariche elettriche. I suoi muscoli si contrassero di nuovo, incontrollabili. Il dolore aumentava, non riusciva a pensare ad altro.
Altri aghi penetrarono la sua cute, infilzandoglisi nella spina dorsale ad altezze e profondità diverse. Il dolore di quadruplicò.
Un impulso eletrico-magnetico prese il possesso di lui. I suoi sensori visivi si attivarono. Le palpebre vennero fatte alzare. Il risultato fu deludente.
Il mondo che tanto avrebbe voluto vedere, con le sue bolle e quelle misteriosi voci, era tutto una miriade di macchie in movimento. Guizzi di bianco, di grigio su uno sfondo di impenetrabile nero.
Una voce, poco più di una macchia sbiadita, disse. –Non va bene. Sistema visivo danneggiato. Signore, la creatura è cieca.-
Qualcuno emise aria con il classico significato di mostrare frustrazione. –Siamo sicuri?-
-Sì, signore. I suoi occhi non vedono. Il suo cervello non riceve gli impulsi. Il nervo ottico non pare funzionare correttamente.-
-È riparabile?-
-Non so signore. A livello celebrale, il soggetto aveva già mostrato carenze. Sia a livello percettivo, sia a livello mnemonico. Che facciamo, signore?-
-John! Hai cinque minuti, dimmi dove sta l’errore.-
Il silenzio cadde. Rimasero solo le bolle, il cuore, il respiro, gli schiocchi delle scariche elettriche e le macchie bianche e nere che gli ballavano davanti agli occhi.
-I neuroni, signore. Sono sconnessi. Hanno delle interferenze nell’assone, le sinapsi non funzionano bene come dovrebbero, gli impulsi non passano o vengono persi lungo il percorso. Diciamo pure che il suo cervello è da buttare.-
Silenzio.
-E allora buttatelo.-
L’elettricità tornò. Ma molto più forte. Una voce uscì anche dalla sua, di gola. Non sapeva di esserne capace, non sapeva di possedere una voce.  Questo fu il suo ultimo pensiero, mentre i suoi muscoli si contraevano tutti insieme, mentre i suoi arti andavano a cozzare contro i limiti della capsula di vetro e il suo cervello veniva bruciato.


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Ed ecco il primo cap!
Che ve ne pare?
Per ora non è successo nulla di eccezionale: solo una panoramica sui personaggi principali ^.^
Per l'azione vera e propria dovrete aspettare ancora un po' 
come vi ho già detto, non ho idea di come andare avanti quindi pregate tutti insieme che l'ispirazione resti con me (ammesso che volete vedere come va avanti, beninteso)
e con questo vi lascio!
come sempre, un commentino è più che gradito.
un salutone
vostra sempre
Phantom13

 
 
  
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