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Autore: Dont_Cry_Kla    16/08/2013    3 recensioni
Vecchia storia, vecchio titolo. Perchè postarla di nuovo? Non è più pratico correggere semplicemente i capitoli della vecchia storia? No! Semplicemente perchè erano orribili e pieni di errori, gli errori di una ragazzina che non sono più. Spero dunque che qualcuno sia disponibile a leggere (di nuovo) questo parto di una mente malata (o semplicemente troppo sognatrice). Giusto un paio di precisazioni prima di cominciare:
1. La trama è mooooolto OOC, è probabile quindi che i personaggi possano essere diversi da quelli che vi immaginate e che possano fare o dire cose che nella versione originale non sarebbero possibili.
2. A causa del punto 1 potrebbero esserci linguaggi scurrili e/o temi delicati.
Il passato ci trova sempre, anche sull'Isola che non c'è e Peter questo non lo ha ancora capito.
Non è possibile fuggire dalla vecchia vita, nemmeno sull'Isola che non c'è, e questo Wendy dovrà capirlo da sola.
La verità è che l'Isola può essere un posto molto poco ospitale per un bambino che non accetta di essere cresciuto e per una ragazza che vuole cambiare le cose senza cambiare se stessa.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Campanellino, Capitan Uncino, Peter Pan, Wendy Darling
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Faccio schifo, sono un mostro avrei dovuto postare secoli fa e non l'ho fatto, ma per disperazione ho riscritto questo capitolo e tra l'esame e altri casini che sono successi non ho avuto tempo di scrivere. Beh eccolo qui. Buona lettura

Capitolo primo
 Roba da pirati 

Fui sorpresa di trovarmi Spugna davanti che mi avvisava che il capitano voleva vedermi, innanzitutto perché in due settimane di permanenza su quella nave non aveva mostrato nessun interesse particolare nei miei confronti. Nonostante fossi sicura che non fosse il tipo di persona che agiva senza un motivo, faticavo ancora a capire come mai mi avesse voluta lì, su quell’isola.
La cabina del capitano era quella più distante dal ponte, scelta insolita visto che da quel punto era completamente isolato dal resto della nave, nel caso succedesse qualcosa.
Camminai a passo svelto per i corridoi fino a giungere davanti alla sua porta, dall’interno si sentiva un pianoforte suonare una strana melodia, simile ad una vecchia canzone un po’ stonata, esitai un attimo in più a bussare e qualcuno dietro di me mi urlò ridendo di non starmene lì impalata, ero certa che il capitano mi avesse sentito perché smise di colpo di suonare e poco dopo mi invitò con poca gentilezza ad entrare. Spinsi la pesante porta in legno e mi ritrovai in un ampia scala tutta in penombra, illuminata da poche candele poste sullo scrittoio e su un tavolo ricoperto di scartoffie. Uncino si trovava su una sedia vicino al pianoforte, seduto in maniera scomposta con la schiena appoggiata ad un bracciolo ed i piedi che pendevano dall’altro. Era a petto nudo e questo metteva in evidenza le numerose cicatrici che aveva sul torace, un sigaro pendeva dalle labbra, emettendo un sottile filo di fumo. Era bello, non bello nel senso comune del termine, insomma le mie compagne di classe lo avrebbero definito un barbone, tuttavia inserito in quel contesto era perfetto.
Ero intimorita da quella presenza così austera, anche se molti avrebbero detto semplicemente “pericolosa”,  e non sapevo esattamente come comportarmi, limitandomi a ciondolare su un piede, comportamento che doveva risultare particolarmente buffo, perché per un attimo nei suoi occhi apparve una scintilla di divertimento.
-Che stai facendo?- mi chiese. In quel momento avrei voluto sprofondare, avevo fatto la figura della bambina spaventata
-Io…Niente signore, perdonatemi- mormorai abbassando la testa mortificata.
-Bene, ne sono felice- continuò disinteressato a dare boccate di sigaro, noncurante della mia presenza.
-Beh, in realtà avrei una cosa da dirvi- azzardai intimidita, il capitano alzò la testa e per la prima volta ebbi l’impressione che fosse davvero interessato a quello che avevo da dire – Francamente sono un po’ confusa, signore. Insomma, mi avete fatta chiamare qui, quindi eccomi, eppure mi state facendo fare la figura della cretina perché non ho la minima idea di cosa vogliate, né tantomeno sembrate minimamente interessato alla mia presenza nella vostra cabina. Cosa volete da me?- sbottai innervosita, di tutta risposta il capitano si limitò ad alzarsi per prendere da un mobiletto una bottiglia di rum da cui prese a bere. Non ero una persona calma e soprattutto non avevo molta pazienza, quindi la rabbia cominciò a salire quando mi resi conto che mi stava ignorando, di nuovo.
-Capitano!- urlai.
Finalmente si girò a guardarmi.
-Giusto, che maleducato- tirai un sospiro di sollievo –Ne vuoi un po’?- e mi allungò la bottiglia.
-Mi state prendendo in giro?-
-È così divertente vederti arrabbiata ragazzina, su vieni, accomodati- Impacciata mi sedetti sulla sedia dove prima era seduto lui e attesi che finisse di bere.
-Vedi, Wendy, ci sono delle cose importanti di cui dobbiamo parlare, riguardo la tua permanenza qui- si avvicinò lentamente a me mentre ancora sorseggiava il rum.
-Beh questo lo avevo intuito, capitano- provai a dire, purtroppo il mio cervello fu distratto da una gocciolina di liquore che gli scendeva sulla gola al petto.
Posato il bicchiere, dovette aver deciso di essersi preso gioco di me abbastanza quel giorno, dato che divenne finalmente serio.
-Dobbiamo stabilire delle regole- Uncino si appoggiò al tavolo ed accese un altro sigaro e, mentre fumava, continuò a parlarmi. Io annuii.
-Innanzitutto non potrai lasciare la nave senza il mio permesso. Avrai ben capito che l’isola non un posto per ragazzine ingenue come te-
-Emh…devo…prendere nota?- dalla faccia che fece mi resi conto che forse era meglio stare zitta e continuare ad ascoltare.
-Se io dico di fare una cosa, tu la fai. Se ti dico “scappa” tu scappi! Se ti dico “combatti” tu combatti! Ci siamo capiti?-
-Si signore- Non ero esattamente sicura di aver capito la parte del combattere visto che le poche volte che mi avevano dato un’arma in mano ero riuscita a ferire solo me stessa, ma capii che era meglio non commentare.
-Per ultima cosa, hai bisogno di imparare a difenderti, e visto che le poche volte che hanno provato ad insegnarti hai fatto solo danni, credo che ci voglia un approccio più diretto. Sta sera, dopo cena torna qui, ti spiegherò i fondamentali della scherma.
Non mi sarei mai aspettata un comportamento del genere da parte sua, in realtà non mi sarei aspettata perfettamente nulla da lui, fino a pochi minuti prima ero fermamente convinta di non essere nulla di meno di un mozzo, invece se voleva insegnarmi a combattere poteva significare solo che voleva rimanessi viva quindi o gli importava di me oppure, cosa ben più probabile, gli servivo e da morta non sarei stata un granché utile. La domanda era: a cosa gli servivo?
Mi congedai dopo poco dalla cabina del capitano e mi diressi alle cucine a dare una mano al cuoco a preparare il pranzo, come oramai facevo ogni giorno.
Ad attendermi con un sacco di patate da pelare c’era William, un altro mozzo che, come me, aveva il sogno di diventare un vero pirata. Oh lui si che oggettivamente bello, occhi azzurri e capelli tanto biondi da sembrare quelli dei putti che disegnavano i pittori seicenteschi, forse un po’ troppo mingherlino per essere un pirata ma nessuno faceva mai caso a quel particolare.
-Wendy Moira Angela Darling, sei in ritardo- Mi salutò allegramente quando mi vide entrare. Senza nemmeno darmi il tempo di dargli delle spiegazioni mi allungò un coltello ed il sacco di patate. -Dai che ho dovuto fare io gran parte del lavoro. A proposito mi devi un favore, se non ti avessi coperto forse Cuoco ti avrebbe già sgozzata e messa nel brodo- Sorrisi, era sempre così disponibile William. -Grazie Will, ma non ce n’era bisogno, vedi ho fatto tardi perché Uncino mi ha convocata- d’un tratto smise di pelare patate ed assunse una buffissima espressione stupita. Tanto che scoppiai a ridere rumorosamente, tanto rumorosamente che Cuoco mi urlò di “chiudere quella maledetta fogna”.
-Non c’è niente da ridere, è strano che il Capitano ti abbia voluto parlare, che ti ha detto?- chiese.
-Ma niente mi ha solo detto che dovevo starlo a sentire e che dovevo obbedire-
-Strano, molto strano- mormorò più a se stesso che a me.
-Cosa è strano?-
-È che di solito non gli importa molto di chi lavora su questa nave, men che meno degli sguatteri-
-Non so che dirti- e non lo sapevo davvero, l’unica cosa di cui ero certa era che su quella nave chiunque avesse qualche scheletro nell’armadio, compresi Uncino e William.
-Ah la gente è strana…-
-Prima si odia e poi si ama- canticchiai automaticamente dopo che il mio compagno pronunciò quella frase.
-Cosa…?-
-Ah lascia perdere è una canzone delle mie parti- lo zittii e ricominciai il mio lavoro, attenta a non tagliarmi.
-Da dove vieni tu?- Dopo una manciata di secondi di silenzio arrivò la fatidica domanda.
-Sono nata in Italia, ma mio padre è inglese, e tu non hai idea di cosa sto parlando, vero?-
-Già- sorrise timidamente -Quindi, tu un padre ce l’hai. Di solito chi arriva qui non ha nessuno-
-Beh è una lunga storia- “che non ho voglia di raccontarti”, aggiunsi mentalmente sperando di non essere costretta a dirlo ad alta voce senza nessuna cortesia.
-Tu invece? Di dove sei?- il suo viso si incupì per un attimo prima di rispondermi e le mani strinsero forte il coltello che aveva in mano.
-Io non ricordo molto del luogo dal quale vengo, sono un cosiddetto “bambino sperduto”-
-Bambino sperduto?-
-Si sai, quando i bambini in carrozzina si perdono ed i genitori non li cercano più allora vengono portati qui, non chiedermi di spiegarti come perché, te l’ho detto, non ricordo nulla della mia vita prima di arrivare qui-
-Mi dispiace- provai a dire credendo che spiegarmi quelle cose potesse averlo fatto stare male in qualche modo, invece subito mi sorrise allegro e cominciò a fischiettare la stessa melodia che suonava prima Uncino.
-Come si chiama questa canzone?- “la curiosità uccise il gatto” mi ripetevano sempre da bambina, ma era una lezione che non ero mai riuscita ad imparare.
-È un canto di battaglia degli indiani- mi rispose sbrigativo. Indiani, avevo sentito parlare di loro, ma quella non mi sembrava una canzone da Pellerossa. Era troppo melodica, troppo tranquilla. Ma forse gli indiani dell’ Isola erano diversi da quelli che avevo studiato a scuola.
-Non sapevo che a Uncino piacessero queste cose-
-Beh, a lui no ma a Peter Pan si- Peter Pan? -Era un vecchio rivale di Uncino, da quando l’ha battuto usa quella canzone come sorta di inno alla vittoria-
-Roba da pirati, insomma- dissi ridendo.
-Già- e ridendo ridendo, finimmo finalmente di pelare le patate per il pranzo.

***

Le allegre signorine del saloon il pomo d’oro erano un bel diversivo ai dispiaceri della vita quotidiana, avevano bei sorrisi e le gonne sempre pronte ad alzarsi e soprattutto stavano zitte se non interpellate. Le gioie del sesso erano alcuni dei lati positivi del crescere, lati che avevo conosciuto da troppo poco tempo, se non fosse stato per Campanellino che mi aveva mandato a cercare quella ragazzina forse non sarebbe mai successo.
Dopo due giorni di ricerche si poteva benissimo dire che avessi gettato la spugna. Non che prima mi fossi effettivamente impegnato, giusto qualche domanda qua e la, mentre facevo conoscenza con il mio corpo (e con quello delle “signorine” del porto!). I ricordi andavano svanendo mentre i vapori dolci della pipa indiana riempivano la sala, all’improvviso nulla aveva più importanza, non esisteva Campanellino, non esisteva  Uncino, lì nessuno avrebbe potuto riconoscermi, mi davano tutti per morto, avrei potuto fare quello che mi pareva…

***

-Ahi!- urlai mentre provavo a schivare l’ennesimo colpo del capitano, meno male che stava usando una spada finta, altrimenti mi avrebbe già ucciso da un pezzo.
-Sei lenta Wendy!- mi sgridò per l’ennesima volta -Possibile che dopo due settimane tu non abbia imparato nulla?- mi appoggiai ad una botte, sfinita dall’allenamento che ormai si protraeva da ore. Dopo la prima lezione puramente teorica, in camera sua, erano subito seguite quelle pratiche, che prevedevano l’uso di armi vere. Fino a quel momento ero riuscita a colpire Uncino solo due volte, per pura fortuna e dopo che avevo rischiato di fare seriamente male sia a me che a lui decise di fare fabbricare delle spade in legno per fare pratica.
Il mio riposo durò giusto il tempo di riprendere fiato, poi subito mi colpì di nuovo ed io fui costretta a rotolare di lato per evitare la colluttazione: pessima mossa. In un attimo avevo i suoi piedi ai lati della testa e la spada puntata in fronte. -Non hai ancora capito che non devi mai metterti in posizioni di inferiorità rispetto all’avversario.- innervosita dall’ennesima sgridata feci l’unica cosa che mi venne in mente di fare. Gli morsi più forte che potevo il polpaccio sinistro ed approfittai del momento in cui lui era distratto dal dolore per fuggire e recuperare l’arma poco distante da lì, gliela puntai alla nuca ed attesi una sua reazione, finalmente ero riuscita a batterlo e questo mi riempiva di orgoglio.
Dal ponte si sentiva sommesso un applauso e vidi William incitarmi con i pollici in su.
-Era ora, ragazzina! Domani vedremo come te la cavi con un’arma vera- detto questo sparì dietro la porta che portava all’interno della nave.

***

P.S. Tenete d'occhio William, io lo adoro, ma generalmente i personaggi che amo di più sono quelli più controversi. 

P.P.S. La canzone di cui parlo è quella che si sente all'inizio del cartone quando appare per la prima volta Peter Pan. (mi scuso, non sono riuscita a trovare il link della musica)

  
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