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Autore: xirefrommars    18/08/2013    1 recensioni
...Poi si girò, e per un millesimo di secondo i nostri sguardi si incrociarono. Quegli occhi. Quell'azzurro ghiaccio pieno di terrore e angoscia. Gli occhi di quel demone-angelo sui miei.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sembrava notte nella mia stanza; in realtà non lo era, penso fossero le tre circa. Ero rannicchiata in un angolino del mio letto sotto le coperte calde con il mio Ipod, e stavo ascoltando a ripetizione la stessa  canzone da due ore a quella parte; era la “mia” canzone, lunica che in un certo senso riuscisse a salvarmi ogni volta, Alibi. Una volta finita premetti di nuovo il tasto play, e le prime note mi invasero di nuovo.
Chissà se loro erano già lì. Una piccola lacrima coominciò a scorrermi sulla guancia. Sicuramente erano già arrivati. Faceva male, malissimo sapere che loro, proprio loro che erano la mia salvezza, erano la mia felicità, la mia forza in quel momento si trovavano a neanche venti minuti di distanza da dove ero io. Così vicini e così lontani, irraggiungibili. Quella sera ci sarebbe stato il concerto dei Thirty Seconds To Mars, ed io non potevo andarci. Asciugai un’altra lacrima. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato quel giorno, ma non avevo mai immaginato che avrebbe potuto fare così male.
E mi ritrovavo lì, rinchiusa nel mio piccolo appartementino con i miei ventitre anni e senza biglietto per il concerto che non potevo permettermi dato che facevo già i salti mortali per pagarmi l’università.
Alibi era finita un’altra volta. E un’altra volta premetti il tasto play.
 
Lo squillo del telefono mi fece sobbalzare. Mi ero addormentata ed avevo totalmente perso la cognizione del tempo. Mi tolsi le cuffiette che avevo ancora nelle orecchie e scivolai fuori dal letto allungando un braccio per prendere il telefono sul comodino, che però aveva già smesso di suonare. Sbuffai, chiunque fosse poteva richiamarmi di nuovo dopo dato che era un numero sconosciuto.
Alzai leggermente la tapparella della finestra, di quel poco che mi permise di notare che stava iniziando ad essere buio. Sospirai, ed il mio pensiero volò di nuovo a loro. Jared, Shannon e Tomo erano nella mia città e io ero a casa. Ero legata a loro in una maniera che non riuscivo a spiegare, gli volevo incondizionatamente bene, erano gli “uomini della mia vita” coloro che riuscivano a farmi sorridere in ogni momento, che mi facevano stare bene. Erano il mio mondo, la mia salvezza. Shannon con le sue braccia possenti, la sua sicurezza, il suo aspetto da duro che poi si rinnegava  in quel sorriso che era capace di sciogliere i ghiacciai. Tomo con la sua allegria, le sue risate, ma allo stesso tempo la sua determinazione ed il suo impegno in tutto quello che faceva. E poi c’era lui, l’uomo dagli occhi color cielo che brillavano illuminati da tutti i suoi sogni. Lui che mi aveva completamente stregato con quella voce perfetta in ogni singolo accento.  Lui che anche se non avevo mai visto dal vero, non ci avevo mai parlato e lui che non sapeva neanche della mia esistenza sulla faccia della terra era riuscito a rubarmi il cuore.  Il telefono squillò di nuovo.
“Pronto?” dissi.
“Ciao tesoro.”. il mio cuore saltò un battito. Era mio padre.
Lui e mia mamma avevano divorziato anni fa, dopo lunghe e terribili litigate che non potrò mai dimenticare ed io non avevo mai avuto un buon rapporto con lui, anche perché il suo lavoro lo portava ad essere all’estero per la maggior parte dell’anno, mesi in cui non si faceva mai sentire né con un messaggio o una telefonata, e quindi lo vedevo così poco che per me era diventato quasi un estraneo.
Dall’ultima volta che lo avevo visto erano passati quattro mesi e mezzo.
“Ciao papà.” Dissi piano.
“Valentina sono tornato qualche ora fa, sto venendo dall’aereoporto e ti passo a prendere così andaimo a mangiare qualcosa nel risstorante dellultima volta.”.
Quella proprio non me l'aspettavo. E sicuramente quella sera non avevo voglia di uscire e parlargli, avevo in mente solo i Mars e gli Echelon al concerto. Tuttavia risposi di si e in dieci minuti mi ritrovai ad aspettarlo fuori di casa mia. Forse il mio subconscio voleva avere una distrazione o che so io. Forse avevo solo voglia di vederlo, nonostante tutte le delusioni che mi aveva dato.
Sentivo il vento freddo come una frusta sulle guance, mentre cercavo di coprirmi al meglio con cappello e sciarpa di lana. 18:17 e lui non arrivava. Era in ritardo. Aspettavo. 18:28. Aspettavo. 18:40. Squillò il cellulare, era lui.
“Valentina tesoro io non so come dirtelo ma mi hanno chiamato, per lavoro sai, e devo subito prendere il primo volo per Londra, mi dispiace.” Eccola lì, l’ennesima delusione che mi colpiva violenta come una mazza da baseball. Avevo sperato invano. Come sempre. Non potevo sentirmi peggio in quel momento, e sentii le prime lacrime scorrermi sulle guance.
“Mi dispiace, scusami. Sta arrivando Dave da te, l’ho mandato a portarti una cosa.” Persino le sue misere scuse sembravano fredde, false, ghiacciate come quella giornata. Riuscii a pronunciare un debole “okay” prima di buttare giù. Nello stesso momento vidi la macchina di Dave avvicinarsi e mi asciugai in fretta le lacrime al meglio. Avevo solo voglia di ritornare in casa a spararmi The Kill nelle orecchie fino ad addormentarmi in qualche modo.
“Ciao” mi salutò lui. “ho appena visto tuo padre, mi ha detto di darti questa” mi porse una busta bianca.
“Okay.” Dissi anche questa volta, girandomi ed entrando in casa.
Buttai la busta sul tavolo, sicuramente sarano stati soldi o una lettera, ma non lo volevo sapere.
Presi l’Ipod e ritornai a letto, sotto le coperte come se in qualche modo cercassi  di ripararmi dalle onde della vita che mi travolgevano così forte, troppo forte. Solo loro sarebbero potuti essere la mia ancora di salvezza. In loro ritrovavo  tutto ciò di cui avevo bisogno, dal coraggio alla forza, ad un senso di appartenenza. Li amavo in una maniera fuori dal comune a volte credevo veramente che il mio cuore potesse scoppiare. Erano la mia fortezza personale.
“Bury me, bury me, I am finished with you”
Incredibilmente mi addormentai di nuovo, mentre The Kill sprofondava nella mia anima, nel mio cuore fino in fondo.
A svegliarmi un’ora dopo non fu un rumore, ma una sensazione. Una sensazione che non provavo da così tanto tempo, una sensazione di pace, di gioia, di tranquillità con il mondo. Era così strano. Guardai fuori , ormai era totalmente buio e mancavano venti minuti alle nove. L’unica cosa che pensavo era che dopo venti minuti  avrebbero iniziato a suonare. Pensai che molto probabilemente erano in ritardo, e mi sfuggì un sorriso. Sarebbe iniziata quella magica serata per tutti gli Echelon che erano lì ad espettare, chi arrivato la mattina presto, chi addirittura lì già dalla sera prima. Chissà per quanti sarebbe stata la prima volta, il loro primo concerto ed il sogno sarebbe diventato realtà. Doveva essere così anche per me, ma non lo sarebbe stato.
Andai in cucina a bere un bicchiere di latte dato che per qualche strana ragione avevo lo stomaco chiuso e non riuscivo a mangiare niente.  Quando mi sedetti sulla sedia mi cadde lo sguardo sulla busta bianca di mio padre e un’onda di rabbia nei suoi confronti mi colpì. Però la presi in mano ugualmente. Forse per curiosità o forse per istinto ma la aprii. Fu allora che lo vidi.
 Non erano soldi. Era un pezzo di carta. Un semplice pezzo di carta giallo in cui era racchiusa la mia gioia, i miei sogni. Iniziai a tremare. Stavo tenendo in mano il biglietto dei 30 Seconds To Mars per il concerto di quella sera.
  
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