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Autore: Yandeelumpy    18/08/2013    2 recensioni
Ispirata alla creepypasta di Jeff the killer. Perché non continuare la storia della sua vita ora che è diventato uno spietato assassino ricercato in America? No, la sua famiglia non è stata la sua unica banda di vittime. Conterà corpi come pecore, a ritmo dei tamburi di guerra.
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Prima di tutto, mi scuso con tutti per il tremendo ritardo...in questo periodo ho avuto molto da fare, e di conseguenza, non ho potuto lavorare a questo secondo capitolo. Mi impegnerò per pubblicare al più presto gli altri, così da non deludervi per questo, beh...detto questo, spero che questo secondo capitolo valga l'attesa! ;u;


Quel patetico idiota sembrava non voler smettere di implorarmi. Chiedeva pietà con la voce, con gli occhi, con il respiro e con quel misero battito che si ritrovava.
Piegai il capo a destra, osservandolo mentre pregava sotto il mio sguardo, e quella vista…mi fece di ridere. Letteralmente crepare dal ridere, a momenti.
Quanto sanno fingere le persone quando la loro vita non è appesa ad un filo, quanto sanno essere false se il loro destino non è tra le mani di qualcun altro. Fingono di avere coraggio, mentono, mentono, mentono…

Ma c’era in lui qualcosa che non andava. Solitamente le mie vittime avevano uno sguardo diverso, lui sembrava quasi dirmi…”uccidimi, e fallo subito.”. Non che la cosa mi importasse particolarmente, il mio unico pensiero ora era quella donna, colei che mi aveva condotto qui, riducendomi in questo pietoso stato.
Cominciai a girargli intorno, come un leone pronto ad attaccare una gazzella già ferita, lento ma deciso. Aveva gli occhi puntati su di me: Era terrorizzato, di questo ne ero sicuro. Pochi passi e mi fermai davanti a lui.

- No, aspett…! –
Roteai il braccio, colpendolo con la spranga proprio sulla guancia, con una tale forza da scaraventarlo a terra.

*

Stavo osservando tutto dalla telecamera, e per la prima volta in vita mia, quasi volevo rinunciare al mio mestiere da agente. Mi sentivo abbattuta per quanto stava succedendo a quel detenuto suicida, che coraggiosamente si era fatto avanti per permetterci di testare le capacità di Jeff the killer.
Lo vedevo urlare e venir colpito ripetutamente a varie zone del corpo, impotente sotto le grinfie di quello psicopatico. Desideravo voltarmi e andarmene: Avevo concesso ad un uomo una morte tanto atroce e adesso me ne stavo pentendo. Io, così orgogliosa e forte. Chiusi per un attimo gli occhi, portando la mano destra ai miei capelli biondi per poterli sistemare un po’, rivolgendomi all’agente al mio fianco.

- Cosa ne pensi? -
- Incredibile, miss Mitchell. Non si sta facendo scrupoli. Ha una crudeltà fuori dal comune, mai vista una cosa simile.-
Fissai l’uomo accanto a me per qualche secondo, notando che in quel poco tempo aveva cambiato espressione: Aveva uno sguardo terrificato e disgustato allo stesso tempo, ed istintivamente rivolsi nuovamente l’attenzione allo schermo davanti a me.
Era uno spettacolo agghiacciante, in quel poco tempo gli aveva letteralmente spaccato la testa in due: Quell’uomo era morto. Pressai il pollice e l’indice contro le mie tempie, abbassando lo sguardo, così da distrarmi da quell’orribile vista.

- Riprendetelo e portate via quel cadavere. -
- Si, miss Mitchell. -
Mi risposero in contemporanea, per poi sgattaiolare via dalla stanza, colma della mia colpa: Ora quello psicopatico lo odiavo ancora di più. Mi misi alla scrivania, analizzando la situazione per poterla scrivere al comandante.
 
*
                                                                
L’avevo ucciso, finalmente. Finalmente aveva chiuso la bocca, quella sporca bocca che si ritrovava…parlava troppo. Decisamente troppo. Si, parlava…parlava…ma non reagiva. Perché non reagiva? Né si muoveva? No, era strano…davvero strano.
Mi voltai per un attimo a guardare l’uscita spalancata della cella, udendo perfettamente il rumore dei passi veloci di altre fastidiose mosche. Mi girai per guardare la mia vittima priva di vita, poi ci pensai su: Un piano? Qualcosa per sfruttarmi a loro favore? Astuto…ma non abbastanza da mettere me nel sacco. Ho promesso che mi sarei vendicato, e Dio, IO LO FARO’.
Presi un grosso respiro, di quelli che si prendono solo quando sei pronto a suicidarti morendo soffocato, per poi emettere un urlo che si propagò sicuramente in tutto il carcere. Mi lasciai andare a terra, lasciando cadere la spranga insanguinata proprio davanti a me, restando immobile sul pavimento freddo, anch’esso sporco di rosso.

- Cos’era?! Un urlo!? Roman, muoviamoci! –
Riuscivo perfettamente a sentirli avvicinarsi. Fingersi svenuti non è una cosa fantastica, anzi. Mi sembra di dormire, e io ODIO dormire per non potermi guardare…ah, da quanto non guardo la mia bellissima faccia. Ho perso il conto del tempo, un’altra cosa da segnare sulla mia lista immaginaria della vendetta.
- E’ svenuto! Dobbiamo recuperarlo, così lo rimetteremo sulla sedia. -
- Pensiamo prima a recuperarlo, poi contatteremo miss Mitchell per sapere cosa fare. –
Rimasi immobile, ora che riuscivo a vedere le loro scarpe mi resi conto che mi stavano girando intorno, e poi…uno di loro emise qualche conato di vomito, non so se per me, per la puzza di sangue, o per la testa adorabilmente sfracellata di quel rifiuto umano.

- No, non adesso Roman…lo so, ma pensiamo a recuperare lui, adesso. -
- Si, lo so, scusami. -

Sentivo già le loro sudice mani addosso, uno mi prese stringendomi la felpa sulla schiena, l’altro invece mi sfiorò soltanto, concentrato a fissare quella che era l’unica vittima della stanza…forse non sapevano che di lì a poco ce ne sarebbero state altre due.
Mi lasciai sollevare per appena dieci centimetri, poi, con uno slancio mi gettai sulla sbarra, sentendo i sospiri di sorpresa sincronizzati dei due. Afferrai il lungo pezzo di ferro, colpendo fortemente quello che prima mi stava recuperando dritto allo stomaco, che emise un lamento. L’altro mi si avventò contro afferrandomi la felpa all’altezza delle spalle. Quando stava per sbattermi al muro e per afferrare la pistola, rigirai la spranga colpendolo prima ai poveri gioielli di famiglia, così da farlo chinare, e poi dritto alla testa.
Cadde a terra dolorante, mentre mi posizionai con prepotenza su di lui, prendendogli la pistola nella sacca che portava intorno ai fianchi. Mi rialzai e la puntai al primo che ormai si era ripreso, deciso ad afferrarmi, ma subito dopo aver premuto il grilletto, si lasciò cadere a terra, inerme.

- WOH! Dritto alla testa! Ho una mira da…-

Mi rivolsi stavolta a quello più vicino a me, che con sguardo terrorizzato osservava il compagno, poi subito dopo la mia faccia. Sorrisi apertamente, così da mostrarmi in tutto il mio splendore, dovevano sicuramente piacergli i miei meravigliosi squarci rossi e la mia dentatura perfettamente visibile ai lati. Per non parlare delle bruciature intorno ai miei occhi. Ma bando alle ciance…ora dovevo occuparmi di cose molto più importanti.

- …PAURA! –
Sparai anche al secondo proprio sulla fronte, che si contorse spaventosamente prima di morire. Non persi tempo: Dovevo evadere da quel posto del cazzo e riprendermi la libertà prima di tutto, a qualunque costo.
Corsi fuori dalla cella, percorrendo in corsa tutto il corridoio principale, raggiungendo le scale. Riuscivo a sentire altri passi, dovevano per certo esserne altri due. Emisi un ringhio di rabbia: Quanto sapevano essere fastidiosi?! Porca puttana! Erano ovunque!
Puntai al muro che portava alle scale per raggiungere il piano superiore, così corsi e raggiunsi le quest’ultime. Rimasi fermo fino a quando le altre due mosche non si fermarono a fissare il piano da cui ero sbucato: Approfittando del fatto che erano messi di spalle, sparai due colpi ad entrambi, così da farli cadere lungo le scale che portavano alla cella d’isolamento.
Senza curarmi troppo dell’accaduto, ripresi la mia frenetica corsa, stavolta raggiungendo una grossa porta di ferro. Alla fine c’era solo quella? Tirai il gancio per aprirla, poi la spalancai: Un’ondata d’aria fresca mi corse addosso, la libertà era qualcosa di perfetto…non quanto me, ovviamente.
Il problema però, era un altro. Facendo qualche passo avanti, mi fermai: Ero sulla terrazza, intorno a me, solo muri poco alti che bastavano a ricoprire la forma quadrata del piano. Strinsi il manico della pistola, raggiungendo uno dei muri per potermi affacciare: Alberi alti, cespugli, luci e…un lago, decisamente lontano, visto da quell’altezza. Saranno stati quindici metri. Per la rabbia, strinsi il pugno libero, battendolo sul muretto della terrazza.

- Dove cazzo vado!? Perché è così alto!? Non va bene! Va male, cazzo! Va dannatamente mal-! -
- NON MUOVERTI, JEFF THE KILLER! –
Mi voltai di scatto e…la vidi. Colei che era riuscita a catturarmi, la famosa “Mitchell” che desiderava tanto condannarmi a morte. Che desiderava tanto fermarmi.
Alta, capelli biondi raccolti, la pelle lattea e gli occhi dal taglio sottile e deciso. Proprio come me la immaginavo con quella dannata benda che mi copriva la vista.
-Non muoverti o apriamo il fuoco, metti le mani in alto e getta la pistola!-

Uno, due, tre, quattro, cinque…cinque mosche pronte a riprendermi a riportarmi lì sotto…no, no, NO! Io non ci sarei finito di nuovo lì sotto, né ora, né domani, e nemmeno in un’altra vita!
Mi lasciai coprire un occhio da un ciuffo di capelli bruciati, leccandomi le labbra secche e meravigliosamente lacerate. Alzai appena le spalle, indietreggiando poco a poco, fino a toccare il muretto.

- Lo sai, Mitchell…hai davvero un bel faccino. Incredibile, una donna così graziosa…mi ha messo alle strette. Me, messo alle strette…-

Sembrava irritata, non accennava a ritirare la pistola, anzi, ne stringeva il manico continuando a tenermela puntata addosso.

- Oh, non guardarmi così, non essere gelosa… -

Lentamente, mi alzai dritto sul muretto, sentendo il vuoto alle mie spalle e il vento che mi alzava la felpa bianca. Era piuttosto freddo e forte, ma almeno, sapeva di libertà. Avrei rischiato la vita, questo è certo, ma mai sarei morto in carcere. Sarei morto libero, libero come l’arte impressa nel mio volto. Libero come il coltello che correva sul corpo delle mie vittime, libero come la paura impressa negli occhi di chi mi guardava e di chi non mi capiva. Libero di lasciar parlare la gente: “Jeff the killer, evaso e mai più ritrovato.”.
Nel caso in cui fossi sopravvissuto, era quello che avrei voluto sentire e leggere sui giornali.

- Un giorno sarai bellissima anche tu. Un giorno…tu andrai a dormire, Mitchell, e lo farai per sempre…GO TO SLEEP! –
Mi lanciai indietro, osservando lo sguardo sbalordito degli agenti (lei compresa), durante la mia caduta. Urlarono qualcosa di incomprensibile, ma l’unico mio pensiero era che ora sarei finito nel lago.
Se sarei morto? Ah, questo non lo so, ma sentire il brivido della caduta e del vento sul mio corpo, era quasi più appagante del sentir correre su di me il sangue: Rosso, caldo e materiale. Invisibile, freddo e impossibile da toccare. Due cose così diverse, il sangue e il vento, ma due cose terribilmente fantastiche a contatto con la mia pelle.
  
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