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Autore: ely_trev    21/08/2013    1 recensioni
[Hélène e i suoi amici]
Avviso subito che la storia sarà comprensibile anche a chi non conosce questo telefilm che Mediaset ha improvvisamente sospeso per non si sa quale motivo ormai più di dieci anni fa. Quest'estate, girovagando su internet, ho scoperto che ne sono stati fatti ben tre seguiti (l'ultimo dei quali, per giunta, in patria, ancora in programmazione a distanza di 20 anni dall'inizio della serie) mai arrivati in Italia; dopo essermi informata a grandi linee sullo svolgimento della storia, ho deciso di riprenderla dal punto di vista di uno dei miei protagonisti preferiti - Christian - provando a portare avanti un mio personalissimo "e se...?".
E se il suo amore verso la fidanzata storica non fosse mai svanito?
E se quell'inaspettato ritorno avesse risvegliato tutti i suoi sentimenti?
E se si fosse reso conto di non essere innamorato della sua attuale fidanzata?
Alcuni personaggi sono stravolti rispetto all'ambientazione originaria, altri (che non conosco bene, non avendo avuto modo di vedere il telefilm tradotto) sono stati eliminati per semplificarmi un po' la vita (anche perché i protagonisti della mia storia sono Johanna e Christian).
Per chi non ha conosciuto la serie, prenda il mio racconto come un originale. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si allontanò, riluttante, dall’incubatrice, salutando la sua bambina con un bacio lanciato da lontano. Non poteva fare di più, non poteva prenderla in braccio, stringerla e portarla con sé, a conoscere la sua mamma, quella mamma pronta a dare la vita, per donarla tutta a lei. Aveva paura, sinceramente. Aveva paura che le fosse successo qualcosa. La parte rischiosa dell’intervento l’aveva tenuta tutta per lei. Fino a quel momento, i medici erano stati molto abili, ma le incognite erano tante.
Cosa è successo?” chiese, avvicinandosi all’amica.
Non lo so” rispose Hélène, scuotendo il capo. “Ci aspettano di là”.
E, su quelle parole, ripresero la via in direzione della terapia intensiva. C’era il dott. Miller ad attenderli, insieme a Kate. Il medico aveva lo sguardo serio, circostanza che alimentò ancora di più l’angoscia provata. La distanza che li separava dal medico e dal responso che aspettavano era infinita. Ma il dottore spezzò immediatamente la tensione, sapeva che erano tutti estremamente preoccupati.
L’operazione è stata lunga e complicata, ma è andato tutto bene” affermò subito con un sorriso che riportò nuova forza nella mente e nel cuore di tutti i presenti.
Abbiamo dovuto faticare molto e c’è stata anche qualche complicazione, ma alla fine siamo riusciti a rimuove ed estirpare l’intera massa, e senza dover recidere nessun nervo. L’operazione è perfettamente riuscita” continuò, donando la gioia e la speranza. “Ora, dobbiamo solo aspettare, fare in modo che riprenda le forze e sperare che i sintomi comparsi possano regredire nel più breve tempo possibile. Ma non sarà una cosa semplice” disse, rivolgendosi prettamente a Christian. “Il cammino della riabilitazione è lungo e quello che mi preoccupa di più è il problema del linguaggio. La lesione di quell’area del cervello è molto particolare. Però, considerando che siamo intervenuti subito dopo l’insorgenza dei sintomi, prima che la situazione entrasse in una fase cronica e di consolidamento, nutro buone speranze che, con un po’ di buona volontà, anche la comunicazione possa tornare normale. Ma dobbiamo aspettare che si svegli e che tutte le funzioni tornino nella norma, prima di poter effettuare questa verifica”.
Possiamo considerarla fuori pericolo?” chiese Christian con un misto di terrore e speranza sul viso.
Non ancora. La fase acuta dell’intervento è stata superata, e direi anche piuttosto bene, ma ci sarà bisogno di qualche giorno prima che possa svegliarsi e che i suoi organi possano tornare a funzionare come si deve. Solo allora sarà ufficialmente fuori pericolo” rispose, serio, il dottore.
Doveva aspettare. Ancora. Non era ancora finita.
Posso vederla?” chiese, speranzoso. Se non altro, almeno quello: per Christian, l’idea di non potersi avvicinare a lei, nemmeno per un attimo, era inaccettabile.
È in terapia intensiva, non può vederla” gli rispose il medico. Poi, mosso a compassione dal suo sguardo triste e preoccupato, gli concesse qualche minuto al di là del vetro divisorio.
Il cuore prese a battergli così forte da fargli male, nel momento in cui gli si presentò davanti l’immagine di lei con una vistosa fasciatura in testa, un tubo in bocca per aiutarla a respirare, uno nel naso per aiutarla ad alimentarsi, i sensori del monitor cardiaco sul petto e chissà quanti altri tubi e tubicini nascosti alla sua vista.
Non ti arrendere, amore mio” le disse, sussurrando attraverso quel vetro che gli impediva qualsiasi tipo di contatto. Anche con lei. “Lo so che sei forte e ce la puoi fare. Supererai tutto. Supereremo tutto. Insieme. Sei stata tanto coraggiosa e sei riuscita a realizzare un miracolo. La nostra bambina… È viva, sai? E sta bene. Anche se è piccola e se, per ora, ha bisogno di tante cure. Ma la dottoressa ha detto che crescerà sana e forte e, per farlo, ha bisogno di te. Tutti e due abbiamo tanto bisogno di te. Quindi, fatti forza, amore! Non possiamo stare senza di te, ti aspettiamo”.
Era consapevole che non poteva sentire le sue parole. Non con le orecchie, almeno. Ma c’era qualcosa, in quel legame così particolare che li univa da anni, che andava ben oltre i cinque sensi. Sapeva che, in qualche modo, la sua Johanna, in quel momento, lo stava ascoltando.
Ti amo” le disse ancora, prima di essere invitato ad allontanarsi definitivamente. Non erano ammesse visite fuori orario e non poteva tornare prima della mattina successiva.
Vada a riposarsi” gli consigliò il medico “sono giorni che non dorme in un letto”.
Non voleva andarsene, non voleva allontanarsi, neanche per andare a riposarsi. Sì, aveva bisogno di distendersi, il suo corpo reclamava a gran voce qualche ora di sonno, ma come avrebbe potuto dormire tranquillo mentre la sua bambina restava sola, sotto un freddo vetro, e, soprattutto, mentre Johanna si trovava ancora in quello stato?
Christian…” si misero ad insistere anche le sue amiche.
Va’ a mangiare qualcosa e riposati qualche ora!” gli consigliò Kate, quasi ordinandoglielo. “Non puoi fare niente, in questo momento e, poi, come potresti renderti utile, se ti dovessi sentir male?” continuò.
Non poteva certamente darle torto.
Andiamo tutti” propose Hélène. “Domani saremo più lucidi e affronteremo meglio la situazione. Johanna e la bambina non sono sole e il fatto che tu vada a riposare non vuol dire che le stia abbandonando” disse, subito dopo, abbracciando Christian e guidandolo verso l’uscita. Sì, forse andare era la soluzione migliore; sua figlia era ufficialmente fuori pericolo e, quanto a Johanna, non poteva neanche avvicinarla. No, non le stava abbandonando, aveva solo bisogno, se non di dormire, cosa quasi impossibile, almeno di sdraiarsi qualche ora. E anche Kate aveva ragione: se si fosse sentito male, non avrebbe potuto di certo essere utile.
D’accordo, andiamo” rispose, ricambiando l’abbraccio di Hélène. “Torneremo domani”.
E su queste parole si allontanò, incerto, continuando a fissare la porta chiusa dietro la quale era nascosto il vetro che gli aveva permesso di vedere la sua Johanna per un attimo che gli era sembrato troppo breve.

   
 
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