Rieccoci qua!
Iniziata in Germania e terminata a Venezia, mi sento molto in
sintonia coi personaggi di questa storia, che pure loro si sono fatti un bel
viaggetto e, nel caso di Naruto, pure un bel bagnetto (come la sottoscritta di
tanto in tanto).
Mi scuso per l’abnorme ritardo con cui questo epilogo arriva,
ma la sintesi non è mai stata la mia specialità e poi si sono messe di mezzo le
vacanze, fornendomi la pausa necessaria per trovare finalmente il modo di
concludere questa storia. Teniamo incrociate le dita! XD
Ora che siamo arrivati alla fine, vi confesserò che avevo in
mente un finale molto più drammatico, ma … che volete, già mi ero sfogata con
le terrible endings in un’altra mia storia, non me la sentivo di fare un
immediato bis … Inoltre, la mia consulente personale sa essere mooolto
persuasiva … ;-)
Mi dispiace battere la parola The End, un po’ perché mi
accomiato dai personaggi – mi ci affeziono, alas – un po’ perché mi mancheranno
i bellissimi commenti che mi hanno sempre spronato a migliorare capitolo dopo
capitolo.
Ringrazio quindi tutti i miei lettori e recensori, in
particolare: Cucciola Blu; April88; Mary
Uchiha, Lady_Loire e Sagitta72. Le cui recensioni risponderò a breve, in
quanto di recente non ho avuto molto accesso al mio computer. Sappiate però che
le ho sempre apprezzate!
Ringrazio
poi: Sagitta72, Arya; Selly_Luna; MalandrinaElly;
e Holy96 per aver messo questa
storia tra le preferite.
Ringrazio:
11 Novembre, Babel, Arya e ShoKei89 per aver messo questa storia
tra le ricordate.
Ed
infine, ringrazio: 11 Novembre; Itanuno;
Angel_Dark_Light; April88; Black_Thunder; Cucciola Blu; Iris1996, LaDyDeBbs,
Lady_Loire, Mary Uchiha, Phoenix17, Serenere98, Sophie Charlotte e Titticullen4ever per averla messa tra
le seguite.
Se
qualcuno avesse voglia di lasciare una piccola recensione di commiato, faccia
pure, siamo aperti 24/7! XD
H.
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24 Giugno 2037
Uzumaki
Tadja si contemplava estasiata davanti allo specchio, lisciando le pieghe del
suo abito da sposa e assaporando coi polpastrelli la morbidezza della seta e i
ghirigori dei merletti del pizzo chantilly. Si sistemò vezzosamente infastidita
una ciocca ribelle dietro l’orecchio, ammiccando al riflesso ridente di una
sposa pronta ad unirsi all’uomo che ama.
Ce
n’era voluto di tempo, accidenti accidenti!, per persuaderlo, ma alla fine Sabaku
Gaara si era deciso a parlare con suo padre e, in seguito alla conversazione
più ostica che i due giovani avessero mai sostenuto in vita loro, finalmente
avevano ottenuto la benedizione paterna e Gaara, tra la commozione generale,
aveva estratto dalla tasca il
prezioso pegno preparato per Tadja - un anellino d’oro bianco con annesso un
diamante – assieme alla solenne promessa di convolare a nozze e di appartenersi
per tutta la vita, finché morte non li avrebbe separati.
A quel
pensiero, di solito così scontato da sorvolarci allegramente sopra, un piccolo
brivido freddo smorzò il sorriso altrimenti raggiante della fanciulla, la quale
si voltò, certa di aver avvertito una presenza alle sue spalle.
“Porta
male vedere la sposa prima delle nozze!”, esclamò ad alta voce la giovane,
voltandosi di scatto.
Niente.
Nessuno.
Era
completamente sola nella sua cameretta.
Eppure,
eppure …
La
finestra era sempre stata aperta?
Beh,
era il caso di chiuderla, nevvero?
“Ah!
Sei tu! Santo cielo, mi hai spaventata!”, sospirò Tadja assai sollevata, mentre
stendeva le braccia e si apprestava a serrare la finestra – aveva sempre fatto
così freddo? - sennonché la voce alle sue spalle, soave come un dolce zefiro
primaverile e al contempo più gelida della bora invernale, le sussurrò
malinconica l’orecchio:
Posso raccontarti una storia?
“Tadja?
Sei pronta? Su, bambina mia, ti stiamo tutti aspettando! Non vorrai mica far
attendere Gaara più del dovuto, spero? Dai, che sennò scappa!”, la richiamò scherzando
sua madre, Uzumaki Hinata, bussando alla porta ben serrata. Non ricevendo
risposta, la donna si risolse ad entrare forzatamente nella stanza della
figlia, preoccupata per quell’insano silenzio, foriero di tristi ricordi. Solo
per amore di suo marito aveva acconsentito, quasi cinque lustri fa, di tornare
a vivere a Villa Nakano, sebbene la notte ancora giurasse di scorgere, nei
lunghi corridoi ovattati dai tappeti, sinistre ombre, leggiadre come il vento
che ingravidava le tende.
“Tadja,
tesoro, ti senti bene? Tadja, che succ- … Oh mio Dio, no!”, gridò Hinata,
tappandosi la mano e barcollando all’indietro alla terribile vista offertale,
non appena mise piede nella camera da letto della sposa. “Naruto! Tadja! Oh mio
Dio! Ma perché? Me lo avevate promesso!”, prese a ridere, attirando di
conseguenza l’attenzione degli ospiti al pianoterra, in particolare lo sposo, il
quale corse istintivamente verso la fonte di quella risata sconquassante.
Giuntovi
infine, Gaara rimase dapprincipio pietrificato sul posto, per poi sciogliersi
anch’egli in una calda risata. “Il lupo perde il pelo ma non il vizio, signora
Hinata, si rassegni!”, la consolò, proteggendo col palmo della mano gli occhi
alla vista della sua futura moglie in abito da sposa e del suocero che, seduti
sul canapè, si stavano scodellando una ciotola di ramen a mo’ di segno di buon
augurio.
“E dai,
Hinata!” , protestò Naruto a bocca piena. “Non vorrai mica negare ad un povero
papà l’ultimo ramen con sua figlia, spero?”
“E
raccontarmi la storia dietro la Ballada
della Sposa Mancata”, aggiunse la loro figlia, addolcendo le ultime parole
al ricordo di quella favola della buonanotte, che suo padre, in barba a quelle
tradizionali, soleva narrarle prima di spegnere la luce, sistemarle il suo
corvetto di peluche e rimboccarle le coperte. Niente di male, quindi, l’estremo
congedo dall’infanzia. Peccato che Hinata, a giudicare dall’occhiata sulfurea
che lanciò al consorte, non la pensava ugualmente, anzi, lo pigliò per un
orecchio e lo trascinò fuori dalla stanza di Tadja.
“Naruto,
razza di delinquente”, borbottava, “Quante volte ti ho ripetuto che non voglio
mai più sentire quella ballata? Specie in questo giorno? Sei proprio uno scemo,
un beota, una testa quadra, un cervello da gallina in gelatina …” e via così,
fino al pianoterra.
Tadja
si sposò il giorno del solstizio d’estate, perché secondo la saggezza popolare
di Suna, la città natale di Gaara, chi si sposava a giugno festeggiava come
minimo le nozze d’oro.
Quando
a marzo aveva comunicato questa sua decisione ai genitori, i signori Uzumaki
Naruto e Hinata, per poco quest’ultimi si erano visti sfumare la prospettiva di festeggiare il loro
di cinquantesimo anniversario di matrimonio, poiché la data prescelta dalla
coppia – il 24 del mese – aveva risvegliato nel nuovo patriarca della famiglia
ricordi non propriamente allegri e un doloroso batticuore. Si era limitato
quindi a lanciare alla consorte una breve occhiata, quei segreti lampi d’intesa
visiva in cui solgono indugiare madre e padre quando certi argomenti tabù
vengono inconsapevolmente menzionati dagli ignari figli.
“Non è
un po’ presto? Perché non vi sposate in primavera? Magari ad aprile o a maggio
del prossimo anno! Come sapete, qui nel giardino fioriscono certe magnifiche
rose …”, aveva tentato Hinata di temporeggiare, servendo un tea che non venne
accettato da nessuno e che fu costretta a riappoggiare sul tavolino.
“Perché
non vi sposate affatto?”, aveva al contrario decretato Naruto, assottigliando
gli occhi e fulminando il suo futuro genero, Sabaku Gaara, il quale dal canto
suo non gli diede neppure la soddisfazione di una replica, reclinando solamente
il capo e fissandolo con la medesima imperturbabile sufficienza di chi si trova
dinnanzi ad un babbuino danzante col tutù.
Questa
conversazione era avvenuta nel gazebo del giardino di Villa Nakano, nel primo
soleggiato pomeriggio dopo settimane di pioggia incessante.
L’edificio
appariva totalmente trasfigurato nel suo ritorno agli antichi fasti, grazie
alla cura certosina di Naruto, non appena vi rimise piede in un nebbioso settembre
di venticinque anni addietro. Affari urgenti lo avevano trattenuto a Kiri fino
ad allora, i quali coincidevano col suo ritrovamento mezzo morto sulla spiaggia
e un ricovero coatto, visto che il giovane commissario, una volta ripresosi a
furia di respirazioni bocca a bocca di una procace bagnina e stufo di ripeterle
che stava assolutamente bene, non venne da quest’ultima rincorso per tutto il
bagnasciuga, da essa stordito e trascinato all’antico ospedale nel centro
storico in camicia di forza, dove venne sottoposto ad un infernale giro di
controlli che portarono alla rimozione delle tonsille e della sua appendice
infiammata, giusto perché, come affermato dallo stesso Naruto, se il trenta era
fatto, bisognava fare pure il trentuno. Saputo per caso della sua ubicazione in
seguito alla clamorosa fuga, la dottoressa Tsunade si era chiesta, nel
frattempo che chiamava Hinata per informarla della novità, quale motivo avesse
spinto il commissario Uzumaki a scappare dall’ospedale di Konoha per finire in quello di Kiri, famoso per la sua magnifica
vista sul mare e i tentavi poco ortodossi di farlo fallire per utilizzare lo
stabilimento come hotel di lusso. Arrivata al capezzale del fidanzato insieme
alla sorella minore e al cugino, Hinata s’era molto presa cura di Naruto,
vezzeggiandolo quando si rifiutava di sottoporsi alle analisi e intimandogli di
non infastidire con la sua testardaggine i medici e gli infermieri, ma mai
accennando agli eventi che li avevano separati e spinti a ritrovarsi in
tutt’altro posto che il loro nido d’amore e ciò infastidiva non poco il biondo,
il quale avrebbe preferito di gran lunga sfogarsi con la sua fidanzata e
conoscere la sua versione dei fatti. Hinata, ogniqualvolta egli accennava alla
villa e ai suoi previi abitanti, si limitava a scuotere il capo, sussurrando
un: Non ora, caro e ficcandogli in
bocca un pezzo di mela, frutto assolutamente detestato da Naruto che lo
ingoiava schifato, neanche fosse stato un rospo a scivolargli giù per
l’esofago. Finché un giorno, davanti alle insistenze del giovane, la mora,
sospirando a lungo, gli aveva rivelato il suo intimo cruccio:
“Non
possiamo sposarci, Naruto. Non subito, almeno.”
Chissà
perché, il biondo se l’era quasi aspettata.
“Io …”,
aveva ripreso Hinata, guardandosi vergognosa le unghie laccate di fresco. “Ho
bisogno di tempo. Per dimenticare. Non riesco a …”
“Ti
aspetterò”, l’aveva interrotta allora Naruto, fissandola dolcemente e pur
tuttavia non osando sfiorarla, poiché la vedeva così fragile, di cristallo e
poi ben sapeva quanto quello non corrispondesse ad un addio, bensì ad un
arrivederci. “Prenditi tutto il tempo che ti occorre. Sarò sempre lì ad
aspettarti”, l’aveva rassicurata, ridendo ironico per il modo in cui i giochi
s’erano capovolti rispetto al passato, lui ad attendere lei e non l’incontrario
com’era avvenuto ai tempi del loro innamoramento.
Hinata
gli diede un bacio e da quel momento non si rividero per i successivi due anni.
Periodo
di tempo che non fu assolutamente sprecato dal giovane a piangersi addosso:
dimesso da Kiri in ottima salute, con qualche organo in meno e con una perfetta
padronanza del dialetto locale, Naruto aveva ripreso il suo posto nel suo
ufficio, riaccolto da amici e colleghi col medesimo stupore che riservarono
Marta e Maria alla vista di Lazzaro fuoriuscito dalla tomba col suo putente
sudario addosso. E il colpo di grazia
avvenne nell’udirlo blaterare di ritornare a Villa Nakano e riprendere i lavori
di restauro.
“Sei un
demente”, aveva soffiato Kiba, gli occhi fuori dalle orbite.
Naruto,
per tutta risposta, aveva scrollato indifferente le spalle, oramai abituato a
simili complimenti.
La
ristrutturazione di Villa Nakano lo aveva sollevato dal peso della solitudine,
giacché ogni giorno, terminato il suo turno lavorativo, v’era sempre un angolo
da risistemare, un mobile da disinfestare dai tarli, una siepe da rimodellare,
una lapide da rinominare e ciò lo aiutava a non pensare ad Hinata, la quale,
prima di partire per la sua terapia spirituale, gli aveva recapitato una dolce
e-mail di commiato. Naruto neppure la lesse, cestinandola e bofonchiando:
“Spero che non mi ritorni pelata e vegetariana a furia di ritrovare se stessa.”
Nondimeno, aveva onorato per i primi due mesi i gentili inviti dei suoi
quasi-suoceri e quasi-cognata, venendo a pranzare da loro la domenica.
Dopodiché, smise di visitare gli Hyuuga e si dedicò anima e corpo a Villa
Nakano, la quale rifioriva lentamente, come un ammalato sopravvissuto ad un
delicato intervento chirurgico. Si scoprì in seguito, che il biondo aveva
perfino cancellato i numeri telefonici della famiglia di Hinata e quando Neji,
incontrandolo per caso in piazza la Vigilia di Natale, gliene chiese il motivo,
Naruto replicò serafico: “Se tua cugina vuole ricominciare daccapo, padrona
lei. Quindi, da adesso noi non ci conosciamo più.” Neji spalancò la bocca
sconcertato e la diceria che il commissario Uzumaki Naruto non solo fosse
scemo, ma addirittura pazzo furioso si disperse per tutta Konoha, tant’è che i
criminali pensarono subito di festeggiare gozzovigliando impunemente, per
essere poi prontamente arrestati da Naruto e la sua squadra, il primo che si
chiedeva che accidenti avesse preso alla gente per blaterare simili cacche di
piccione nei suoi confronti. “Tanto scoglionarsi”, grugniva al Ramen Ichiraku. “Tanto scoglionarsi per
la loro sicurezza ed ecco come vieni ripagato: dandoti del beota demente! Che
fottitura, averlo saputo mi sarei dedicato ad un allevamento di porcellini
d’india!” Poi, però, con la flemma olimpica di chi aveva compiuto il viaggio
dall’Aldilà all’Aldiqua, si risolse che decisamente i konohagakuriani erano dei
gran rompipalle pettegoli e che trascorrere il suo tempo libero a contemplare
il fiorente giardino di Villa Nakano lo rilassava di più, appagandolo.
Nessuno
aveva mai osato ventilargli l’ipotesi di dimettersi dal suo posto di
commissario, ma ciò non gli impedì, da scemo e pazzo furioso, di beccarsi
l’ulteriore onorificenza di scemo pazzo furioso e eremita. Questo finché tornò
Hinata, la quale, ripresasi dallo choc che l’aveva per poco spedita nel reparto
rianimazione per triplo infarto, accettò di buon grado l’idea di sposarsi col
suo Naruto, un po’ meno di tornare a vivere a Villa Nakano. Cupi pensieri che
si sciolsero come neve al sole il giorno in cui nacque Tadja, la loro, a causa di
tristi circostanze, unigenita figlia, ma non per questo i due ebbero mai di che
dolersi. E di fatti, nonostante la
giustificata ostilità iniziale, Naruto fu costretto a far buon viso a cattivo
gioco e cedere la sua preziosa figliola a “quel sozzo bifolco d’un sunagacino!”
Il
quale, ironia dalla sorte, lo stava salvando dalle pinze vendicatrici di sua
moglie.
“Mamma!
Dai …”
“Signora
Hinata! Non ce lo ammazzi … Non oggi, almeno! Chi porterà, altrimenti, Tadja
all’altare?”
“Aiuto,
m’accoppa! Gaara, levamela di dosso! Perché ti vuoi sposare? Sei così ansioso
di rovinarti la vita?”
“Ah,
canaglia! Dunque ti ho rovinato la vita, eh? Vieni un po’ qua, che ti concio
per le feste, caprone!”
“Basta
voi due! Finitela!”
Ma non
si cessava di ridere in quella soleggiata mattina del 24 giugno 2037, il cui
vento ancora fresco s’intrufolava giocoso nelle finestre spalancate, vagando
incuriosito per le stanze ora luminose e decorate con delicata leggiadria,
accarezzando il mobilio e scostando, dispettoso, gli oggetti la cui lieve
consistenza li rendeva assai propensi a lasciarsi da lui spostare. Giunse per
ultimo nella camera abbandonata dal festante gruppetto, alitando il suo augurio
di fortuna tra le coperte sfatte, la vestaglia abbandonata frettolosamente
sulla sedia e scompigliando le pagine di due diari dalle fragili pagine
avvizzite e pacchi di foto legati coscienziosamente con uno spago, un piccolo
regalo che Naruto ci teneva a cedere alla figlia.
“Avete perfettamente ragione, signor Sasuke”, cadde una pagina strappata da
uno dei due diari. “Chiunque, nella sua
vita deve affrontare il mostro dell’Odio, quel pauroso cavaliere che avanza
brandendo lo scudo del Rancore e la spada della Disperazione. Anch’io l’ho
provato, sapete, quando la varicella si portò via il mio bambino.”
“Un’immagine molto poetica,
signora Namikaze.”
“Chiamatemi pure Mayra, signor
Sasuke. E no, non è poetica. È realistica. Chi non ha mai odiato i nostri cari
per averci abbandonato? Per aver tradito il nostro affetto? E quanto soffriamo
quando ci lasciano definitivamente, per sempre, scomparendo coi nostri sogni?
Le nostre aspettative? Ebbene, è in questo momento buio che il nostro tiranno
viene sfidato a duello dal suo nemico più temuto, colui che soccorre chi
rimane, chi non è potuto partire, che deve ancora vivere in questo mondo e
fronteggiare l’Odio: è Amore. Non, però, quell’amore sciocco e carnale e
romantico e mellifluo, che si nutre di superficiale sensualità. No, è l’Amore
armato che para i fendenti della Disperazione con lo scudo della Speranza e
penetra nello scudo del Rancore con la spada della Gioia, le sue armi sono
esse. Perché noi siamo stati amati dai nostri cari defunti e anche se li
abbiamo odiati, non possiamo negare, neppure dal profondo del cuore, che per un
attimo, seppur fuggevole, li abbiamo a nostra volta tanto amati.”
E sopra
il caminetto della stanza ora di Tadja ma appartenuta in passato ad Itachi
stava appeso il suo ritratto assieme al fratello Sasuke, non più mutilato dal
profondo squarcio sulla tela che li aveva divisi, bensì adesso un tutt’uno,
bello e vivido come doveva essere stato il giorno in cui il pittore aveva
appoggiato il pennello, esclamando: Voilà,
terminato!
Si era
rotta finalmente la maledizione di Villa Nakano.
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Se non
ci si è accorti, ve lo dico io: il Prologo e l’Epilogo sono uguali in certi
punti, poiché volevo dare l’idea di un cerchio che si chiude, un cammino di
accettazione e redenzione che ha potuto oltrepassare la cecità dell’odio e
della vendetta. Spero di non avervi dato
la sbagliata impressione d’essere una bacchettona moralista, ma sono dell’idea
che nella vita se si accettano i momenti belli, bisogna saper fronteggiare
anche quelli brutti e che non è mai tardi per chiedere sia aiuto che perdono.
In ogni
modo, adesso possiamo stappare la bottiglia di champagne per festeggiare la
fine, tenendone da parte un po’ per la nascita di altre storie in questo
fandom!
Grazie a
tutti che voi che mi avete seguito!
Alla prossima,
ciao!