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Autore: suni    27/02/2008    4 recensioni
E’ passato molto tempo, eppure non li ho mai dimenticati. [...] Anche se i miei ricordi e i loro visi sono pallide figure sfumate e imprecise, tranne pochissime immagini straordinariamente nitide che mi accompagnano da sempre, ricordo ancora. Perché ai tempi di Hogwarts io e loro due, anche se non avevamo niente in comune, condividevamo un segreto.
Solo che loro non lo sapevano.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo Brano

Malata e febbricitante, penso lo stesso a voi.

Che martire…

(avete il permesso di zittirmi a ciabattate)

suni

 

 

 

 

Secondo Brano

 

 

Mi rifiutai strenuamente di rivolgere lo sguardo il tavolo dei Grifondoro, durante la cena. Avevo l’assurda sensazione che quei tre ragazzi si sarebbero accorti che li guardavo e avrebbero capito tutto, avrebbero scoperto che nel pomeriggio li avevo spiati e che avevo appreso cosa nascondessero due di loro. Era impossibile e lo sapevo, ma ugualmente non riuscivo a evitarmi di pensarlo.

Impiegai secoli ad addormentarmi. La mia mente era invasa dall’immagine delle mani di Remus Lupin sui capelli di Black e di quel bacio cui avevo rubato l’intimità. Neanche badavo al ciarlare di Julia che tentennava sulle modifiche da apportare al suo vestito o all’eccitazione per l’invito che Meg, nostra compagna di stanza, aveva ricevuto da Mark Brown.

Ripensavo al sorriso che tendeva le labbra dei due ragazzi mentre si congiungevano e al motivo per cui quella scena potesse avermi tanto toccata.

Vedevo gente che si baciava ogni giorno.

Julia e i suoi saltuari fidanzati si lanciavano in acrobatici incontri di lingue anche sotto il mio naso e soltanto tre giorni prima, al rientro delle vacanze, avevo visto in corridoio lo stesso James Potter coinvolgere Lily Evans in un bacio così mozzafiato che persino quel ghiacciolo di Snape, che evidentemente non apprezzava simili dimostrazioni d’affetto in luogo pubblico, era diventato più bianco e tirato del solito, mentre accanto a lui Regulus Black mimava un convincente conato di vomito.

Insomma, non avevo una grande esperienza personale in merito, ma di baci ne avevo visti parecchi. Non avevo mai visto, però, due persone dello stesso sesso che si baciavano.

D’accordo, Julia e Christine l’avevano fatto una volta per scommessa, ma era stato uno scherzo. Non era affatto la stessa cosa e non solo perché erano due ragazze.

Il bacio che avevo visto quel pomeriggio non gli somigliava affatto.

A distanza di tanti anni mi capita di pensare che forse avere davanti un pezzo di carne qual’era Sirius Black con un altro uomo, e io lì a guardare comodamente come a teatro, potesse essere una situazione con delle sue attrattive più meno perverse per una ragazzina in piena fase puberale. E forse in parte è così.

Ma c’era, soprattutto, la sensazione di aver colto qualcosa di raro. E adesso so che il tipo di amore che avevo davanti era qualcosa che io non potevo raggiungere. Io, che ho sposato un uomo tranquillo e per bene, che ho messo su la mia comoda casetta nei sobborghi e dato alla luce due figli, sempre felicemente accanto al mio compagno cui sono legata da un enorme affetto ma con cui forse non ho mai conosciuto la vera passione, non ero fatta per un tipo di amore assoluto e totalizzante. Quei ragazzi vivevano le loro vite in modo epidermico e viscerale, attingendo ad ogni attimo come se fosse stato quello definitivo, attraversando le sensazioni con ogni microscopica parte di sé. E il modo in cui si amavano – il modo in cui sono vissuti e in cui sono morti – era quella stessa corsa folle nel buio, al di là di qualsiasi vincolo e di ogni logica. Lo stesso Remus, reputato razionale e riflessivo, non sapeva impedire del tutto a se stesso di seguire l’onda delle emozioni come se nella vita non ci fosse stato altro. Ed era questo modo di essere, tanto lontano dal mio, questo modo di amare che mi aveva affascinata, qualcosa che traspariva dal semplice modo in cui si baciavano. Anche se impiegai del tempo a capirlo.

Non so se il modo migliore fosse il loro o il mio e non mi è mai interessato saperlo. Potrei dire che io oggi sono viva e loro no, e che questo potrebbe significare qualcosa, ma d’altra parte, forse, se loro non fossero morti non sarei viva io, la sanguesporco.

Non ha molta importanza, adesso che l’erba cresce intorno alle loro lapidi.

L’indomani mattina, quando mi svegliai, dissi a me stessa che per nessuna ragione sarei tornata in quell’aula. Mi sembrava che la notte mi avesse schiarito le idee. Ero sempre stata – e sarei stata in  seguito – una persona discreta e per nulla impicciona, in una parola: riservata. Qualunque cosa legasse quei ragazzi non mi riguardava minimamente: il giorno prima era successo per caso, ma non si sarebbe ripetuto.

Disgraziatamente la situazione caotica della scuola era, se possibile, ancora peggiorata. Avevo di nuovo bisogno di un angolo silenzioso in cui appartarmi.

Potevo infilarmi in qualunque altra aula vuota del castello, ce n’erano a bizzeffe; ma mentre camminavo in corridoio sentivo che la stanzetta del giorno precedente mi attirava, quasi chiamandomi sottovoce. Non capivo perché e forse una parte di me voleva anche resistere a quell’impulso sconsiderato, ma in fondo sapevo che non l’avrei fatto.

Quel giorno non venne nessuno. Studiai per più di tre ore seduta allo scrittoio di legno scuro, senza che il minimo suono turbasse la mia concentrazione. Ogni tanto mi sorprendevo a tendere inconsciamente l’orecchio, in cerca del ritmo dei loro passi e delle loro voci, e immediatamente mi rimproveravo per quell’ardire scorretto e morboso. Avevo vergogna di me.

Quando me ne andai per tornare a cena ero sollevata: il mio stupido gioco era finito ancor prima di cominciare e la mia sciocca fissazione si sarebbe dissolta da sé entro pochi giorni, lontana dall’oggetto dei miei assurdi pensieri.

A cena, mi permisi il lusso di gettare un paio di occhiate veloci al tavolo di Grifondoro: Sirius Black e James Potter ridevano, con Lily che svolazzava loro intorno e Peter Minus che pendeva dalle labbra di entrambi. Remus sedeva all’estremità del piccolo clan, sorridendo quasi tra sé.

Era la sera della vigilia della festa e tutti ne approfittavano per gli ultimi inviti e gli accordi sugli appuntamenti. Appena posato il cucchiaino del dolce, Sirius si alzò da tavola e fece qualcosa che sul momento mi riempì di sconcerto ma che, col senno di poi, era soltanto quel che nella sua posizione andava fatto per non destare sospetti: marciò con fare disinvolto e seducente attraverso i tavoli, puntò deciso l’estremità di quello di Corvonero, calibrò il più sensuale dei sorrisi – da svenire, diciamocelo – e senza esitazioni si parò davanti a Candice Murton.

La bella Candice, la ragazza più popolare della scuola. Candice, dai grandi occhi azzurri e i capelli di filigrana dorata, il sogno della fauna maschile di Hogwarts, la fanciulla che non degnava di attenzione nessuno che non fosse scrutato con adorazione da almeno il quaranta percento degli altri studenti. E che, a sentire Meg, aveva all’attivo ventidue inviti per il Ballo rifiutati perché, parole sue, i pretendenti non erano all’altezza.

Fu come se qualcuno avesse messo il silenziatore alla Sala Grande, tanto fu repentino il silenzio che piombò quasi ovunque.

Vidi distintamente il Prefetto di Serpeverde posare la forchetta nel piatto e puntare gli occhi intensi sulle due figure, senza riuscire a rendere del tutto convincente il suo sguardo sprezzante, fisso su un Sirius straordinariamente signorile e altero. Probabilmente gli ricordava la persona che suo fratello avrebbe dovuto diventare, se le cose fossero andate come previste.

Candice, da parte sua, dedicò al nuovo venuto un distratto sguardo cordiale, raddrizzando appena il capo per ricevere i giusti omaggi.

Io avevo sporto la testa in avanti e li fissavo sfacciatamente. Julia non aveva nemmeno finito di masticare e li osservava a bocca aperta, col budino spiaccicato tra le fauci.

“Buonasera, Murton.”

“Black…”

Candice inclinò appena il collo, civettuola e distaccata.

“Spero di non disturbarti, e in caso contrario mi scuso sentitamente,” esordì il Grifondoro, drappeggiandosi la divisa con fare casuale.

“Nessun disturbo.”

Lei sorrideva vagamente, sensuale.

“Naturalmente sono certo che hai ricevuto dozzine di inviti per domani e da parte mia è imperdonabile farmi avanti così tardi…”

“In effetti ho parecchie richieste,” lo interruppe Candice, con vaga freddezza.

“Ne ero sicuro. Ma se per caso non avessi ancora scelto, aggiungerei il mio nome alla lista. Mi farebbe piacere se venissi al ballo con me, Candice,” concluse, con una nota profonda e graffiante della voce baritonale.

Fu come se un unico, enorme sospiro femminile fosse stato emesso dalle pareti stesse della Sala. Almeno la metà delle ragazze presenti sognavano da giorni che Black rivolgesse loro quelle stesse, precise parole.

La fanciulla, astutamente, non rispose.

“Sempre nel caso in cui la cosa ti interessi, ovviamente” aggiunse lui, senza scomporsi.

“Nel caso, te lo farò sapere,” ribattè Candice, noncurante. Ma un leggero sorriso le increspava le labbra e quando Sirius si voltò indietro, con un breve cenno di omaggio, sul suo viso era dipinto il trionfo: sapeva già quale sarebbe stata la risposta. Lo sapevamo tutti.

Quasi senza che me ne rendessi conto, i miei occhi corsero al tavolo di Grifondoro, ai posti occupati dai ragazzi.

Remus Lupin non c’era più.

Sirius si risedette, mentre James Potter gli riempiva il bicchiere.

Non sembrava molto felice.

L’indomani la scuola era immersa nella psicosi collettiva più dilagante di cui abbia memoria. Seb non era riuscito a conquistare la sua bella e io ovviamente avevo accettato volentieri di fargli da dama per la serata. Nel pomeriggio Julia mi avrebbe stirato i capelli e si sarebbe presa cura del trucco, ma avevo insistito perché non occupasse la mattinata che intendevo, ufficialmente, dedicare allo studio.

Mi fiondai nella mia stanzetta prima ancora di aver deglutito l’ultimo boccone della mia colazione. Era una cosa ridicola e mentre quasi correvo per arrivarci in fretta ridacchiavo tra me, chiedendomi che ne fosse stato del mio buonsenso. Era ovvio che nessuno sarebbe venuto lì e ad ogni modo era stupido anche solo che lo sperassi, perché, per l’ennesima volta, non erano fatti miei. Eppure continuavo a ripensare alla silenziosa scomparsa di Lupin dalla Sala Grande della sera prima e a chiedermi cosa fosse successo dopo, se ne avessero parlato e cosa li legasse esattamente.

Lasciai accuratamente la porta socchiusa e sistemai tutti i miei libri e le mie cose sul tavolo. Avrei dovuto studiare, ma l’ansia involontaria che mi percorreva e il desiderio che i due Grifondoro arrivassero mi deconcentravano completamente. Allora presi ad aggiornare il mio diario, questo stesso diario che ho davanti ora e da cui cerco di rimettere insieme i pezzi di questa storia scompigliata e lacunosa.

Non passò un’ora che sentii la porta dell’aula aprirsi, e dei passi avanzare oltre la soglia. Udii distintamente alcuni rumori e dei movimenti rapidi, poi lo stridio di una sedia che veniva spostata e il fruscio delle pagine voltate.

Avevo paura persino a respirare. C’era una persona, nella stanza accanto, ed era da sola.

Poteva trattarsi di qualcuno che non c’entrava nulla, ma mi sembrava improbabile che un simile traffico affollasse una comunissima aula così fuori mano; inoltre Black aveva detto solo due giorni prima che non ci veniva mai nessuno.

Pensai che doveva essere per forza  uno di loro due.

Con tutta la lentezza di cui ero capace mi alzai in piedi – ero seduta con il corpo lontano dal tavolo apposta per non dover fare rumore se mi fossi alzata – e avanzai in assoluto silenzio fino alla porta, trattenendo il fiato. Esitai, inglobai aria e puntai gli occhi oltre la fessura.

Dovetti storcermi un pochino e cambiare posizione, perché il ragazzo si era seduto in un altro banco, più indietro, ma alla fine lo vidi: era Remus Lupin.

Leggeva attentamente dallo spesso volume che aveva aperto davanti a sé. Aveva un gomito puntato sul tavolo e la guancia appoggiata mollemente nel palmo della mano, con la testa leggermente piegata. Le sopracciglia erano appena corrugate, con concentrazione.

Rimasi immobile ad osservarlo. Di tanto in tanto distoglieva lo sguardo dal libro e lo portava sulla pergamena accanto ad esso, scribacchiando velocemente qualche appunto. E faceva continuamente un gesto istintivo con la mano, quando non scriveva: ravviava rapidamente i capelli castani che gli ondeggiavano sul viso, ma quelli ricadevano immediatamente davanti agli occhi costringendolo a ripetere il movimento all’infinito. Era buffo, in un certo senso.

Studiava alacremente, ma non dava l’idea di essere davvero avvinto da quel che stava leggendo. Sembrava piuttosto molto malinconico. Pensai che dovesse avere a qualcosa a che fare con quell’oca patentata di Candice Murton. Scoprii che mi dispiaceva per lui.

Se il suo ragazzo preferiva una sventola biondastra e senza cervello a una persona tanto assennata e interessante, aveva davvero poco di cui stare allegro.

Mi sorpresi di quel pensiero irragionevole, ma dopotutto era vero: Remus Lupin, o meglio l’immagine che mi sono costruita di lui, mi sembra tuttora una persona interessante. Aveva un bel modo di sorridere e una voce sempre cordiale che difficilmente s’inaspriva, e i suoi occhi riflettevano sempre una certa ironia piuttosto arguta. Ma tutto questo l’avrei focalizzato dopo, la mia era una simpatia cutanea.

Quando ritenni di averlo sufficientemente consumato con lo sguardo tornai a sedermi al mio scrittoio e rimasi pietrificata, senza fiatare. Non potevo leggere perché mi avrebbe sentita sfogliare le pagine, non potevo scrivere perché lo avrebbe udito. Non potevo fare niente.

Era noioso da morire.

Dopo non so quanti lentissimi minuti stabilii che sarei uscita dalla porta e gli avrei fatto notare che ero lì. In fondo stavamo studiando tutti e due e non vedevo che fastidio avrebbe potuto trarne. Gli avrei spiegato che quella mattina in biblioteca era impossibile studiare e che mi ero cercata un posticino isolato. Non avrei fatto menzione del pomeriggio di due giorni prima.

Mi rialzai in piedi e tornai finalmente verso la porta con la coscienza sollevata all’idea di non nascondere più quel dannato segreto. Ma non avevo fatto i conti con il grande assente, che scelse quel preciso momento per catapultarsi nella stanza, trafelato e scomposto.

“Moony.”

“Sirius.”

Maude, pensai di dire io tanto per non sentirmi esclusa, interrotta sul punto di spalancare la porta.

“Ti…cercavo.”

“Eccomi. Mi hai trovato, bravissimo.”

Non ci voleva un genio a capire che Lupin non aveva molta voglia di parlargli. Non aveva nemmeno alzato gli occhi dal libro, come se fosse stato completamente assorbito dallo studio.

“Dove sei sparito ieri sera?”

“Non sono sparito. Si vede che non mi hai cercato bene.”

No, decisamente non invidiavo Sirius Black, in quel momento. A dirla tutta ero piuttosto offesa con lui, dal momento che aveva invitato Candice al Ballo nonostante fosse impegnato. A quel pensiero irragionevole quasi scoppiai a ridere: non era mica impegnato con me, poteva fare quel che gli pareva.

“Sono venuto persino qui.”

“Infatti non ero qui.”

Logica ferrea.

Sirius Black sembrava essersi rassegnato alla freddezza dell’altro ragazzo, ma si tormentava le labbra tra i denti e le sue dita giocherellavano nervosamente con la giacca della divisa. Non disse più nulla. Lo guardava soltanto, e la mia stizza immotivata nei suoi confronti svanì in pochi secondi. Aveva uno sguardo talmente colpevole e dispiaciuto che poteva commuovere anche un sasso.

Un sasso, forse, ma evidentemente non Remus Lupin, il quale continuò a studiare, apparentemente imperturbabile.

Dovetti aspettare un paio di minuti perché si decidesse a sollevare lo sguardo dalla pagina, con aria esasperata.

“Ti serve qualcosa?”

“Cosa volevi che facessi?”

Black non aveva molti peli sulla lingua, a quanto pareva.

“Di cosa stiamo parlando?”

Lupin era piuttosto testardo. Dovevano esserlo entrambi.

“Di ieri sera.”

“Ieri sera? Non ricordo sia successo nulla di particolare, ieri sera.”

Mi faceva tenerezza. Aveva il viso perfettamente serio e la voce calma e controllata, ma evidentemente non sapeva come comportarsi e si dibatteva nell’arrabbiatura, non trovando un modo per - o forse non osando - sfogarla.

“Ma sì che te lo ricordi, Remus, ho invitato la Murton al Ballo.”

 “Ah. Quello. Sì, certo.”

Black era stato piuttosto brutale e aveva parlato con un tono sbrigativo, quasi sistemando ordinaria amministrazione. Lo guardava con leggera sfida, ma Lupin reagì con una scrollata di spalle e una smorfia indifferente. Tornò anche a guardare il libro ed ebbe persino l’accortezza di voltare pagina, come se stesse davvero leggendo.

“Merlino, cosa credevi che facessi?”

“Non credo di avere capito la domanda, potresti esprimerti più chiaramente?”

“Dovevo invitare una ragazza a questo stupidissimo Ballo, lo sai benissimo. Te l’avevo anche detto.”

“Ricordo con precisione che non l’hai fatto. Giorni fa hai accennato che sarebbe stato strano se non avessi invitato nessuna e poi la cosa è morta lì.”

Lupin aveva sollevato la testa di scatto e serrato le labbra, incollerito. I bagliori emessi dai suoi occhi mi parvero alquanto minacciosi.

“Esattamente! Ho mezza Hogwarts che mi sbava sulle scarpe, vado al Ballo e non invito nessuna? Tanto varrebbe appiccicarsi un cartello fosforescente sulla fronte con scritto ‘gay’ a caratteri cubitali!”

“Potevi almeno evitare di farlo in mia presenza!”

Le voci erano aspre, rabbiose. E io avvertii di nuovo la precisa sensazione che non avrei dovuto assolutamente trovarmi lì.

“Che dovevo fare, aspettare la prossima luna piena così non mi avresti visto?”

“Aspettare che avessi finito di mangiare sarebbe stato sufficiente!”

A parte il riferimento a me al momento incomprensibile alla luna piena, ero di nuovo perfettamente d’accordo con Lupin. Black poteva avere almeno il buon gusto di attendere che lui non fosse lì a guardare. Più tardi avrei compreso che le cose non erano così semplici. Niente lo era, in quella faccenda. Non era una relazione normale, primariamente perché era clandestina, quindi perché era omosessuale e per finire perché avevano diciotto anni. Erano due adolescenti alla prese con qualcosa di decisamente strano da affrontare.

“L’ho fatto appena me la sono sentita, prima che mi mancasse il coraggio!”

Oooh! Oh, Merlino, che eroe!”

La risposta sarcastica di Lupin mi costrinse a tapparmi la bocca con la mano per non ridacchiare.

Black distolse lo sguardo, puntandolo a terra. Era arrabbiato e nervoso, stringeva i pugni con collera e anche con innegabile rammarico.

“Vuoi che le dica che ci ho ripensato? Glielo dico. Sai quanto me ne frega?”

“Ti sfido a farlo.”

Lupin aveva chiuso il libro e osservava l’interlocutore con un sorrisino saccente. Black lo guardò stranito per qualche istante, quindi annuì con fierezza.

“Va bene. Ma poi non venirmi più a dire che dobbiamo stare attenti a non farci beccare.”

Si voltò indietro con fare deciso e fui certa che sarebbe davvero andato dalla Murton e le avrebbe detto di accettare un altro dei suoi ventidue inviti. A quanto ne sapevo, era il tipo che fa cose del genere.

Doveva pensarlo anche Lupin, perché alzò una mano e lo fermò con un brusco “no”. Poi sospirò, passandosi le mani sul viso e stropicciandoselo.

“Hai ragione. Vai…vai al ballo con Candice. Comunque se lo aspettava tutta la scuola.”

Effettivamente sì.

Black sbuffò, passandosi le dita tra i capelli.

“Lo so. Per questo ho invitato lei. E poi diciamocelo, chi altra sarebbe stata abbastanza?”

Era davvero uno sbruffone patentato. E’ proprio quello che ho scritto sul mio diario dopo questa frase, “sbruffone patentato”.

Trascrivevo quei primi incontri cui assistevo quasi alla lettera, come se avessi avuto paura che dimenticando qualche parola mi sarebbe sfuggito qualcosa del puzzle che dovevo aver già deciso inconsciamente di ricomporre.

Lupin preferì non commentare la sua osservazione, ma dall’espressione del suo viso doveva pensare che forse Mirtilla sarebbe stata la più adatta. O magari un Marciotto.

La sua mano si mosse per riaprire il libro, ma Black fu più rapido e piazzò la propria sulla copertina, per tenerlo chiuso. Quindi lo afferrò e lo lasciò cadere a terra senza tanti complimenti.

“Sirius?” protestò Lupin pazientemente.

L’altro non rispose. Sorrise – gli regalava sorrisi splendenti – e si issò a sedere sul banco, andando a posare le gambe accanto ai fianchi dell’amico, come per bloccarlo.

“Leggi me,” esclamò scherzoso.

Lupin gli diede uno spintone, anche troppo violento. Lui si sbilanciò indietro e finì quasi gambe all’aria, e probabilmente si sarebbe rotto la testa sul pavimento se Lupin non avesse avuto la prontezza di afferrare la sua camicia e trattenerlo.

Non dissero nulla. La mano di Lupin rimase stretta sul tessuto, finché quelle di Black non la raggiunsero e la avvolsero per staccarla. La tennero stretta come se fosse stata la mano di un neonato – non mi venne in mente un altro paragone per esprimere quella premura – e Sirius dovette piegarsi faticosamente per arrivare con la testa all’altezza di quella dell’altro e sfregargliela contro.

Distolsi per un secondo lo sguardo, mentre sussurrava qualcosa che nemmeno io riuscivo a sentire. Qualunque cosa fosse ebbe il potere di far comparire un breve sorriso sul viso amareggiato di Lupin, poggiato alla sua tempia. Vidi Remus passargli intorno alla vita il braccio libero e poi spostare il capo, affondandolo nel suo torace reclinato. A guardarli dall’angolazione in cui ero non si distinguevano quasi più i due corpi distinti, ma sembrava di vedere un tutt’uno, una strana creatura anomala e malformata, ma completa.

“Non smetterei mai di guardarli,” scrissi nella riga seguente del mio diario.

 Black aveva raddrizzato la testa e poggiava il mento su quella dell’altro. La sua mano si muoveva senza fretta sulle spalle del compagno, con piccoli cerchi sghembi e strofinii delicati. Non potevo vedere Lupin in faccia ma ero pronta a scommettere che il trattamento fosse piacevole.

“Tu hai invitato qualcuna?” domandò Black d’improvviso.

Non riuscii a capire il borbottio che si soffocò contro il suo stomaco, proveniente da Lupin, ma la frase successiva di Black me ne diede un’idea.

“Come sarebbe che non ci vieni?”

Di nuovo non capii nulla. Lupin sembrava parlargli direttamente nelle viscere.

“Stai scherzando? E’ il Ballo, del secolo, devi venirci per forza! Sarebbe troppo strano!”

Non si sentiva una parola di quello che Lupin gli rispondeva, e mi domandai come facesse Sirius a decifrare quelle parole biascicate contro la sua camicia. Mi domandai anche se la mia non fosse solo un’impressione ma facessero davvero parte di uno stesso, strano animale.

“Questo che c’entra? Anche se sei un secchione sarà stranissimo. E che dirà James? E Peter? E Frank? E tutti, insomma…”

Lupin sollevò finalmente la testa, sbuffando.

“Io non ho usato la parola secchione… Comunque mi annoierò a morte. Mi piacciono le serate di festa quando sono tra pochi intimi, lo sai.”

“Ma questa non è mica una festa qualunque. Il prossimo millenario di Corvonero è tra mille anni, non due.”

“Per questo si chiama millenario, Pad.”

Risero, poi continuarono a discuterne per qualche minuto. Black non voleva saperne di lasciare che Lupin se ne restasse in dormitorio o da qualche parte da solo, mentre tutti gli altri sarebbero stati insieme a divertirsi. Effettivamente la prospettiva avrebbe atterrito anche me, se fosse stato un mio amico. Figuriamoci se fosse stato la persona che amavo.

Arrivò a minacciare di disertare la festa a sua volta e quando nemmeno quel tentativo andò a buon fine sfoderò un’espressione di assoluto avvilimento.

“Pad, non fare così. Sul serio, a me non pesa affatto non venire, altrimenti lo farei.”

“Ma pesa a me.”

Lupin sospirò, sembrava stanco. Appoggiò il naso contro la pancia di Black e lo abbracciò.

“Certe volte mi piacerebbe che questa cosa non fosse successa.”

“Non mi dire questo.”

La voce di Black era veramente triste. L’avrei sentito parlare con quel tono sordo e impotente altre volte, ma quella fu la prima e m’impressionò.

In giro per la scuola l’avevo sempre visto sghignazzante e baldanzoso, oppure languido e dongiovannesco; e non solo io ma più o meno tutti quanti, loro anche in seguito, avevamo quest’idea di lui come di un essere fondamentalmente leggero e concentrato esclusivamente su se stesso. Adesso sapevo che esisteva almeno una cosa al mondo che poteva cancellare il suo sorriso spudorato.

Lupin accennò una smorfia noncurante che doveva esprimere divertimento, quindi fece spallucce.

“Hai ragione, perché non lo penso.”

E alla fine Black la spuntò. Tanto disse che riuscì a convincere Lupin a recarsi al Ballo, e non solo: a invitare con lui una ragazza perché, disse, persino Peter sarebbe stato in dolce compagnia.

Poi lo vidi saltare giù dal banco e fare un giro intorno a Lupin, posizionandosi alle sue spalle. Si chinò fino a poggiargli il mento sulla spalla e gli mordicchiò un orecchio con dolcezza giocosa. Lupin girò indietro la testa e per la seconda volta vidi i due ragazzi baciarsi. E questa volta non si trattava di una cosa molto casta, ma estremamente incalzalte. Si baciavano in una maniera che mi fece venire in mente che siamo esseri mortali e tutto quel che abbiamo a disposizione sono pochi attimi da impiegare nel modo più fruttuoso possibile – ed avevo solo sedici anni. L’aria intorno a loro dava l’idea di farsi calda e rarefatta, ma non provai il minimo disgusto. Non vedevo perché avrei dovuto, visto che mi pareva si stessero scambiando la linfa vitale stessa. Anzi,avevo ben poco fiato nei polmoni quando Black si staccò da Lupin e borbottò qualcosa che non capii e che finiva con stamberga.

Non ho mai saputo di che parlasse. L’unica Stamberga che conoscevo io si trovava ad Hogsmeade, era infestata dai fantasmi e non aveva niente a che fare con quel momento.

Un minuto dopo erano già spariti.

E io ero contenta. I miei ragazzi avevano fatto pace.

Arrivai a pranzo di buonumore e fui lieta di verificare la loro assenza. Speravo fossero da qualche parte a fare cose che comunque mi auguravo di non dover mai veder avvenire nell’aula incriminata. Perché, ormai ne ero certa, avrei continuato a vegliare su quella strana relazione.

Del Ballo di Corvonero ho dei bei ricordi che non hanno quasi nulla a che fare con Sirius Black e Remus Lupin, ma non è di questo che m’interessa occuparmi. La serata fu sfarzosa e entusiasmante e tutti così decisi a renderla unica che finì per esserlo davvero. Ricordo anche che a metà nottata in Sala Grande esplose una specie di enorme fuoco colorato che si sparse verso tutto il soffitto e portò una raggio rosso ad illuminare il punto in cui, guarda caso, James Potter stava facendo volteggiare Lily Evans per poi prodursi in una romantica dichiarazione. Il ragazzo era davvero plateale. Ci fu persino qualcuno che battè le mani.

E naturalmente ricordo l’entrata in scena del re e la regina del Ballo, dichiarati tali all’unanimità senza bisogno di nessuna proclamazione. Black e Murton erano così divinamente, incredibilmente e perfettamente belli che, se non avessi saputo quel che sapevo, li avrei decretati io stessa la coppia del secolo. E io di cose simili mi interessavo davvero poco. Sembravano appena usciti da uno dei film americani che guardava sempre mia madre, quelli con i violini e le rose e tutte quelle smancerie. Lei era avvolta in un abito bianco e decisamente scollato – in realtà quel vestito un collo non ce l’aveva proprio – e le sue bionde chiome rilucevano in modo quasi innaturale; sembrava una Veela, quella ragazza, e la sua comparsa fece illividire più d’una fanciulla e strabuzzare gli occhi a parecchi maschietti. Seb, accanto a me, emise uno strano suono gutturale e trangugiò d’un colpo il contenuto del bicchiere.

Sirius era in grigio, quella sera. Avanzava con naturale eleganza e mi parve di comprendere appieno il significato dell’aggettivo “aristocratico”. Sembrava quasi finto, tanto era sbalorditivo. Tra tutti e due facevano girare le teste come slot-machines.

Poi ricordo di aver ballato con tutti gli amici e le amiche e penso di aver riso raramente quanto quella volta. Passai ore deliziose a chiacchierare, soprattutto con Seb. Al momento dell’apertura delle danze quasi ci rimasi secca dalla sorpresa quando scoprii che sapeva ballare, e anche bene (al contrario di me, che volteggiavo con la leggiadria di un Dorsorugoso rinchiuso in una cristalleria). Era stupefacente che Sebastian Deval, lo stesso Seb che si alzava da sedere soltanto se costretto, la persona più pigra che fosse mai comparsa nella mia vita, fosse un così bravo ballerino.

In realtà, quella sera notai molte cose di Seb cui prima non avevo fatto molto caso, e questo perché lui era molto più sociale di me. In effetti, Seb divideva il suo tempo in due parti: me e tutti gli altri. Ci era costretto, perché io non amavo stare in mezzo al baccano e alle grosse compagnie più del minimo indispensabile. Ma quella sera scoprii che il mio ozioso amico era più o meno l’anima della festa e intrattenne meravigliosamente tutta la Casa.

Anche io ero diversa dal solito, a sentire quel che ne dice lui. Ero più sciolta e vivace, avevo smesso di “stare rigida come un manico di scopa”. La verità era che tra l’attenzione al problema Black e Lupin, gli inviti ad effetto, lo stiramento dei capelli, la vestizione e tutto il resto, avevo finito per entusiasmarmi anche io per il Ballo.

Non so se sia a causa di quella sera che avremmo iniziato a guardarci con occhi diversi. Immagino che c’entri qualcosa, ma per parecchio tempo non ce ne rendemmo davvero conto.

E di sicuro non pensavo che l’avrei sposato. Questo proprio no.

Ma ci divertimmo molto. Ci siamo sempre divertiti molto, insieme.

Al termine della serata ero sfinita, esausta ed elettrizzata, io che di solito ero l’icona della calma e della pacatezza. Seb mi portava al braccio come una nonna, perché i piedi mi facevano male dal gran ballare, e so che non riuscivo a smettere di sorridere.

Poi sentii qualcuno ripetere il commento che si stava spargendo: Sirius Black e Candice Murton stavano baciandosi nel giardino del castello. Cercai immediatamente Lupin con lo sguardo e lo trovai accanto ad una brunetta graziosa, dirimpetto a Potter. James parlava fitto, con entusiasmo, insieme a Minus ed entrambi indicavano con ampi gesti il parco, dove era sparito Sirius Black.

Lupin era immobile, disattento e composto. Non faceva commenti. Non cambiò nemmeno espressione.

Poi Seb mi trascinò via, era ora di andare a dormire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie a tutti per la gentile accoglienza.

In Particolare:

   fog: oooh… Tu sempre mi fai tremare le ginocchia. Addirittura mi chiamasti con la S maiuscola. Magari non era intenzionale ma mi toccò. Così come mi ha lusingata la preferenza sulla fiducia… (ma la mail ti è arrivata? Non per altro, ma mi sto iniziando a chiedere se non ho per caso importunato per sbaglio qualcun altro che non c’entra nulla…)

   FireAngel: grazie per la chance allora! Mi fa piacere naturalmente che Maude risulti gradevole. In realtà, comunque, non è davvero mia intenzione farne un narratore onnisciente. Ci sono moltissime cose che lei ignora e continuerà ad ignorare, lei è semplicemente un occhio esterno. Comunque sono contenta che la storia ti piaccia.

   Miki_Tr: ma grazie… che belle parole. dunque, per cominciare sono molto contenta per quello che dici su Maude. Volevo precisamente che fosse così, definita ma senza risultare eccessivamente accentratrice di attenzione, semplice. Quanto al nome, non mi pare di essermi ispirata a qualcosa di particolare. Stavo nel letto prima di dormire e pensavo a un nome da dare a sta creatura, ho cominciato a fare un elenco e tra gli altri è saltato fuori questo. Che libro era, per curiosità? Inoltre, grazie anche per il bacio – ma non è merito mio, sono così perfetti che fanno tutto da soli. E’ merito loro.

   Simply_Switz: grazie! Va avanti discretamente, purtroppo la salute non mi è amica e si fa quel che si può. Spero continuerà a piacerti.

   squizzz: Ti tengo d’occhio… -gulp- è una minaccia? ^__^ Haha, comunque mi hai fraintesa… non sarà affatto quasi lunga come JaB, sarà molto più breve. Ma più lunga delle altre. Mi fa piacere che maude ti sia piaciuta e che anche tu l’abbia trovata concreta ma non eccessiva. Quanto all’immedesimarsi con lei, inevitabile…ahm. Mi fa anche molto piacere che tu abbia notato quella particolare frase, di cui sono stranamente molto soddisfatta. E le mani…ahm. Che dire. Viva le mani di Moony!

   lela: diabolica… No, Maude da brava, onesta Tassorosso non di darà al ricatto e all’estorsione. Comunque, lieta di aver incontrato il tuo favore. Ah, niente occhiali a fondo di bottiglia… quelli li lasciamo a Potter ^__^.

   Briseide: mmmh… Ti amo. Grazie mille per tutte le belle cose, per le lusinghiere parole su Maude – gli originals mi mandano sempre un po’ in crisi – sui “miei” Marauders e sul loro rapporto, sull’ironia – cerco di essere diretta e naturale, mi fa piacere che tu lo veda -  per aver notato il disegno, James e il disegno di James e per l’inchino a cane e lupo, che onorati ringraziano. In effetti poi il personaggio di maude dovrebbe servire proprio a un’analisi più oggettiva, distaccata. Che dire…grazie.

   Elly: orbene. Innanzitutto sentitissimissimi ringraziamenti per il lungo excursus infarcito di complimenti sulla mia precedente produzione. Sono oltremodo onorata di cotanto apprezzamento. Indi, tocchiamo una nota dolente… la morte di Remus. Ahinoi. Avrei ancora esitato, ti dirò, a citarla, perché è stato un durissimo colpo, che ha definitivamente eliminato ogni mia stima residua per JK. E sì che dopo il 5 già di punti ne aveva persi. Comunque, questa citazione vaga mi ha permesso di affrontare la cosa senza soffermarmici e tutto sommato sono lieta di aver superato lo scoglio. Quanto a Snape, chissà, forse il futuro riserva sorprese. I disegnino, a quanto vedo, hanno fatto furore. Ne sono lieta. Per concludere, quante volte Maude… Beh, non saprei. Seriamente, non è così difficile spiare la gente. Tui sai che lei è lì e quindi pare strano, ma loro non lo sanno. E poi mica stanno solo lì dentro… Non temere, insomma, prossimamente si vedrà.

   Jane Gallagher: grazie, cara. In effetti sì, ho un debole per questi due fanciulli. E mi fa piacere che tu abbia posto l’accento sul fatto che dall’esterno i Marauders sono incomprensibili. Gli stessi soprannomi non hanno veramente senso. Insomma, chiaramente Maude qualche… niente. Shh… Il Pensatoio, invece: in realtà, non mi sembra un oggetto che abbia chiunque. Voglio dire, in HP lo vediamo solo a Silente e lui non è esattamente una Tassorosso qualsiasi. Non mi sembrava il caso, ecco, mi pareva fuori luogo. E comunque mi piace di più così, lasciando le cose più vaghe e confuse, come sono i ricordi.

   
 
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