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Autore: Phantom13    25/08/2013    7 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Salve, miei lettori! È un piacere risentirvi così presto, mai mi sarei immaginata di riuscire ad aggiornare con una tale velocità, dico davvero ^.^ ma non fateci troppo l'abitudine, tra pochissimo ricomincia la scuola e lo studio ruberà gran parte del mio tempo (Agrh!) quindi farò più fatica ad aggiornare :( ma finchè è ancora estate ci darò dentro ^.^ confido nella vostra comprensione futura ^^ 
e ora vi lascio alla lettura! spero che anche questo capitolo vi piaccia. Io, come sempre, ce l'ho messa tutta!
Enjoy! 


CAPITOLO 3
-IPOTESI- 




-Sembrerebbe tutto a posto, signorina.- aveva detto l’infermiera, con un dolce sorriso, finendo di bendarle la sbucciatura al gomito causata dalla caduta sull’asfalto. –Tranne qualche graffio, lei sta benissimo.- disse, affabile, prima di salutare e uscire dalla porta.
Shell non se n’era stupita affatto. L’aveva detto fin da subito che non era ferita, ma nessuno sembrava averle creduto, nemmeno i suoi amici. Risultato, aveva passato il resto della notte in ospedale per farsi fare tutti i controlli possibili immaginabili. Del resto, si contavano sulle dita di una mano coloro che avevano avuto (è il caso di dirlo) uno scontro frontale con il temibile Shadow The Hedgehog e che potevano vantarsi di aver subito solo una spellatura ad un gomito. Anche per questo motivo, tutti si erano messi in allerta, convinti che lui le avesse fatto una qualche sorta di “danno invisibile ad occhio nudo”. Tutti i suoi amici e il suo futuro consorte erano stati appostati appena fuori dalla porta per tutto il tempo e ad ogni andirivieni di infermiere e dottori, avevano sempre trovato il modo per infiltrarsi nella spoglia stanza d’ospedale. Ora però non sarebbero più rientrati, l’orario delle visite era finito.
Shell sbuffò. Aveva protestato con tutte le sue forze ma i dottori, i suoi famigliari e i suoi amici l’avevano praticamente obbligata con la forza a rimanere ancora un po’ in ospedale, per le ultime osservazioni. Possibile che nessuno capisse che Shadow non le aveva fatto assolutamente niente e che, anzi, quello ferito era lui?
L’aveva già detto sia alla polizia accorsa sul posto a controllare, sia ad un trio di giornalisti che le avevano posto qualche domanda sugli avvenimenti. Sbuffò di nuovo. Quasi fosse cascata la luna! Non era successo nulla di strano, no? Forse sì, ammise. Era la prima volta che incontrava faccia a faccia un personaggio famoso, sebbene non per meriti positivi.
Si lasciò ricadere sul letto, sprofondando nel cuscino rigonfio. Almeno, era comodo. La luce mattutina che osava infiltrarsi tra le tapparelle era stata spietatamente soppressa da queste ultime, in alleanza con le tende verde chiaro lasciando nella stanza una piacevole penombra. Pian piano le si chiusero gli occhi. Era tardissimo, o meglio, prestissimo, e lei moriva di sonno (aveva passato la notte tra cinema e controlli medici, ora era giorno e lei non aveva neppure chiuso occhio), ma ad addormentarsi non ci riusciva. Cadde piuttosto in uno stato di dormiveglia, nel quale i suoi pensieri continuavano a correre come impazziti nella sua testa, sbattendo da un lato all’altro del cranio causando non pochi problemi. Tra robot, ricci neri ed occhi rossi ne avrebbe avuto fino a notte!
Il cigolio della porta che si apriva le fece spalancare gli occhi; le palpebre si lamentarono, assonnate. Gli orari per le visite erano finite da un pezzo e le infermiere le avevano detto che non sarebbero tornate per un po’, lasciandola riposare. Ma allora chi …?
Una figura silenziosissima le si avvicinò rapidamente. Il cuore di Shell si rilassò appena quando si accorse che tale personaggio indossava un camice da dottore (si sarebbe tranquillamente aspettata di veder spuntare Shadow). Troppo stanca, non si accorse che tale camice non apparteneva all’ospedale nel quale era ricoverata. Si limitò a guardare il nuovo venuto con occhi vagamente sospettosi.
-E lei chi è?- domandò, passando dritto al sodo.
Una voce femminile, piuttosto tremolante, rispose. –Mi chiamo Meredith Lonney e mi perdoni per l’intrusione, ma dovevo proprio parlarle.- disse, rimanendo sempre nella penombra, a debita distanza per non farsi vedere in viso.
Un velo di sospetto si formò in Shell a quelle parole appena bisbigliate. Quella donna umana non le piaceva, visceralmente la metteva in allerta.
-E perché mi doveva parlare?- chiese ancora Shell, allungando il collo nella speranza di vedere in faccia la donna. –Lo sa che ore sono? Sono stanchissima, vorrei riposare.-
-Sì, sì. Lo so.- la donna si strinse le mani. –Ma io dovevo parlarle di persona.-
L’istinto animale che albergava in lei la mise ancor più in allerta. Quella Meredith proprio non le piaceva, sebbene non avesse fatto nulla di male, a parte parlarle con quel tono insicuro e tremante. Le metteva addosso angoscia, anche se capirne il motivo era attualmente fuori dalla sua portata.
-Questo l’ha già detto.- ringhiò Shell, facendo schioccare il becco, osservando la figura ingobbita e schiva della donna. –Ma io ancora non so che cosa vuole da me.-
-Solo farle quale domanda.- rispose prontamente, ripetendo la stessa solfa di prima, con un tono difensivo che fece preoccupare ancor più la gabbianella.
-E allora sputi il rospo e mi lasci dormire.- la spronò, desiderosa di togliersela di torno. L’aura che quella figura emanava non era … normale. Era maligna, in un qualche modo. Sbagliata.
Meredith parve rimanere scossa dal brusco tono di voce della mobiana pennuta. Si affrettò a rispondere. –Se non le è di troppo disturbo- cominciò –Volevo chiedere com’è stato il suo incontro con Shadow.-
Shell sbattè le palpebre. Quella non era la domanda che si sarebbe aspettata da un’infermiera. Gliel’avevano chiesto i poliziotti e i giornalisti ma non i medici.
Le piume sulla sua nuca le si drizzarono involontariamente. –Ma cosa significa questo? Non dovrebbe importare a lei tutto ciò. L’ho già detto alla polizia come sono andati i fatti.-
La donna scosse la testa, rimanendo sempre ferma a qualche passo di distanza. –Io non le ho chiesto dei fatti. Le ho chiesto com’era lui.-
Shell si tirò su a sedere, ora seriamente spaventata. –Intende Shadow?- 
-Chi altri, sennò?- la voce di Meredith era radicalmente mutata. Ora era aggressiva, prepotente. A Shell non piaceva.
-Io non le devo rispondere. Lei non dovrebbe essere qui.- tentò.
-Ma io devo sapere!- sbottò la donna, fendendo l’aria con le mani. –Devo sapere com’era lui!-
Shell tremò. –Se ne vada!- urlò.
-Prima mi deve rispondere! Mi dica tutto. Tutto! Mi descriva come si muoveva. Le sembravano movimenti naturali, i suoi? Cammina scioltamente? Aveva problemi di equilibrio? La sua postura era normale? Le sembrava una persona o qualcos’altro? La luce nei suoi occhi?-
Shell continuava a scuotere la testa. Non capiva. Non capiva!
-Lei è pazza!- gridò. E lo disse forte apposta, sfoderando le sue possenti corde vocali da pennuto, sperando che qualcuno la sentisse ed arrivasse a scacciare quella psicopatica.
-No, non sono pazza. Sono solo una ricercatrice.-
-Ricercatrice? Ricercatrice di cosa, santo Dio?- gridò Shell, scossa da violenti tremiti. Tremiti di cosa non lo sapeva, ma quella donna la faceva rabbrividire dentro.
Meredith fremette, come se si fosse pentita di aver parlato. I suoi occhi luccicarono per un attimo, nella penombra che la nascondeva dallo sguardo acuto della gabbianella che però la vide scuotere la testa. Sorprendentemente, la donna girò sui tacchi. Quasi correndo raggiunse la porta e se la filò per il corridoio. Due secondi dopo entrò il medico, sull’attenti. –Che è successo? L’ho sentita gridare. Chi era quella donna che ho visto uscire?-
-Fermatela! Fermate quella donna! Non so chi fosse ma non era benintenzionata. Mi ha fatto strane domande … ha detto di chiamarsi Meredith Lonney, ma era un nome falso, probabilmente.-
-Ma lei sta bene?- le chiese invece il medico, mentre un’infermiera partiva all’inseguimento.
-Sì, io sto bene.- rispose piano Shell, mentre la tensione si scioglieva e i muscoli cominciavano a rilassarsi.
Si strinse contro lo schienale del letto, tremando.
Shadow doveva davvero fare i conti con simili pazzoidi?
 
-Lo sai, vero, che quei ragazzi racconteranno a tutti di averti incontrato e che continueranno a vantarsene finchè campano, vero?- domandò Rouge, continuando a ricucire con il filo da sutura la spalla del riccio.
-Raccontino pure quel che vogliono. È il minore dei nostri problemi.- la secca risposta del compagno non la stupì.
Ricucire con fili di sutura le ferite di battaglia ormai non era più un problema per lei (aveva fatto apprendistato direttamente sul campo, per così dire) ma rattoppare i propri amici la metteva comunque a disagio. E a chi piacerebbe richiudere con ago e filo la spalla al proprio collega?
Shadow da parte sua non sembrava nemmeno accorgersene, troppo immerso nei suoi pensieri. Meglio così, pensò Rouge, del resto avevano finito gli anestetici. Si impose mentalmente di andare a comprarne al più presto degli altri, sebbene al riccio nero non sembravano servire.
Con un ultimo brivido, la pipistrella terminò il punto finale. Estrasse l’ago dalla schiena del riccio e tagliò il filo rimanente. –Ecco fatto!- proclamò.
Shadow parve riscuotersi. La prima cosa che fece fu, ovviamente, ruotare la spalla per saggiarne la mobilità, cosa che procurò non pochi brividi alla sua compagna.
-Ma che fai, cretino?!- sbraitò quella. –Non puoi! Aspetta almeno un po’, lascia il tempo alla ferita di rimarginarsi!-
Shadow sbuffò, sprezzante. –Questa notte andremo al punto nel quale si è fermato il robot, ferita rimarginata o no. E credo proprio che entro sera lo sarà.-
-Ferite del genere non si rimarginano in un giorno!- insistette Rouge, esasperata.
Shadow le scagliò un sorrisetto tagliente. –Tu dimentichi con chi stai parlando.-
Rouge sospirò. –Lascia riposare quella ferita, ti prego. Dai, almeno per qualche ora.- 
Il riccio nero piegò la testa di lato, osservando meglio la pipistrella bianca. –Sbaglio o sei più pallida del solito?-
-Zitto!- esclamò lei, ora arrossendo.
Shadow la guardò con l’aria di chi ha fatto una grande scoperta. –Non ti facevo così impressionabile.-
-Sai, con le tue ferite ci ho fatto l’abitudine ma ricucire la gente fa sempre un certo effetto!-
-Capisco.- il tono di Shadow avrebbe potuto sembrare il solito di sempre, ma a Rouge non sfuggì la vena ironica. Sbuffò arrabbiata, gonfiando le guance.
Rimasero un attimo in silenzio.
-Secondo te cosa troveremo laggiù, Shady?- domandò Rouge, indicando con un movimento della testa lo schermo con il puntino lampeggiante del cip sul robot, mentre riponeva ago e filo e cominciava a ripulire gli strumenti dal sangue.
-Non ne ho idea.- fu la schietta risposta.
Rouge socchiuse gli occhi. –Cosa ne pensi di tutta questa faccenda?- aveva voglia di scambiare idee con il suo compagno di squadra, condividere pensieri. Cosa assai difficile quando tale compagno era Shadow. A volte, però due teste sono meglio di una e dire le cose ad alta voce può essere più utile che tenersele tutte dentro. E il riccio nero sembrava d’accordo, per una volta. Ma non rispose subito.
–Penso che sia molto più pericolosa di quanto immaginiamo.- disse lentamente.
Rouge sospirò. –Secondo te davvero quella banca non è stata svaligiata?- era evidente che il riccio si fosse fatto le sue teorie in proposito, con un po’ di aiuto, forse le avrebbe condivise con lei. La fiducia non era il punto forte di Shadow, non lo era mai stato. Ma nessuno era meglio di lui in quanto ad intuito. Loro due facevano proprio una bella squadra.
-Sì, lo credo. Ne sono praticamente certo.-
Rouge lo guardò, con occhi preoccupati. –E se fosse stato davvero un ladro incredibilmente delicato?-
-No.- la voce autoritaria di Shadow la fece lievemente sobbalzare. –Non c’è stato nessun ladro. Loro vogliono dare la colpa a me.-
Uno strano silenzio cadde tra loro. Rouge tremò.
-Come mai pensi questo?- riuscì a chiedergli.
Shadow pensò un attimo, prima di rispondere, valutando accuratamente quali parole usare. –Dubito che per davvero un riccio nero a strisce rosse mai visto prima sia saltato fuori all’improvviso spacciandosi per me. Alla tv avevano detto che il ladro era “un riccio incredibilmente veloce”. Le probabilità di un impostore, dunque, crollano. Non ti sei chiesta allora come mai abbiano dato direttamente la colpa di tutto a me e non anche a Sonic? Visto che io e Sonic siamo molto simili e siamo entrambi “incredibilmente veloci”, perché accusare solo e soltanto me e non prendere minimamente in considerazione il riccio più famoso al mondo?- fece una pausa. –E se si pensa a “riccio incredibilmente veloce” il primo che dovrebbe balzare in testa sarebbe Sonic. È il più appariscente tra noi due, quello sempre sotto i riflettori. E allora perché non valutare nemmeno la possibilità che sia stato lui e invece puntare tutto su una pista evidentemente falsa che avrebbe condotto a me?-
-Forse non l’hanno accusato perché lui è l’eroe.- azzardò Rouge, mentre al contempo capiva sempre meglio il ragionamento di Shadow.
-La scusa dell’eroe non tiene. L’avevano accusato di un crimine simile, in passato, appena dopo che lui li aveva salvati tutti. Non hanno riconoscenza.-
-Vero.- concesse Rouge. –Quindi?-
-Quindi loro volevano dare la colpa a me. Era il loro obbiettivo. Se non si è sicuri, ci si pensa due volte prima di incolpare qualcuno di un atto simile. La loro è stata tutta una messa inscena per incolpare me. Niente ladro, niente furto. Solo un colpevole. -
-Ma a quale scopo?- chiese Rouge, lievemente confusa. Capiva il ragionamento di Shadow ed era d’accordo con lui, ma non capiva per quale fosse lo scopo finale di tutto ciò. Aveva solo ipotesi in mente, una meno bella dell’altra.
-Vogliono ottenere una scusa ufficiale per darmi la caccia apertamente, una caccia indiscriminata.- Shadow socchiuse gli occhi.
-E perché l’hanno fatto solo ora e non prima? È da tempo, ormai che ti stanno dietro.-
Shadow dovette pensarci un attimo, ma Rouge rispose da sola alla sua stessa domanda, battendolo sul tempo di pochi secondi. –Perché solo ora hanno cominciato a combattere con l’artiglieria pesante. Prima nascondere le tracce era ancora possibile, adesso non più. Questa è la prova del nove che non giocano pulito.-
Shadow sospirò, picchiettando con un piede contro la gamba del lettino.
-Però- cominciò piano Rouge. –Un semplice furto in banca non è sufficiente per giustificare una caccia tanto assidua.-
La risposta di Shadow la fece raggelare. –Ecco perché ho ragione di credere che da questo momento in avanti non faranno altro che addossarmi un crimine dopo l’altro. Dai furti passeranno senza problemi agli omicidi.-
Rouge trattenne involontariamente il fiato, gli occhi di Shadow erano puntati sul pavimento.
-Spero di sbagliarmi.- disse lui. –Ma ho come l’impressione che chiunque loro siano, non si faranno problemi a versare sangue che non c’entra nulla con tutta questa storia.- fece una pausa. –Dobbiamo andare laggiù questa notte, Rouge. Non abbiamo più tempo.-
La pipistrella annuì, seria, richiudendo la valigetta del pronto soccorso. Si decise solo in quel momento a porre la domanda che davvero le premeva di fare. –Ma perché dar la caccia proprio a te?-
Shadow si voltò a guardarla, socchiuse gli occhi. Esitò un attimo, prima di decidersi a parlare –Perché hanno paura.- uno strano silenzio attonito cadde tra i due. -È solo una congettura, ma questo potrebbe essere un motivo. Hanno paura di me e non mi vogliono più tra i piedi. Quindi stanno tentando di farmi fuori.-
Rouge fissò il riccio negli occhi, senza sapere che dire o che pensare. Di una cosa però era certa: quella di Shadow era stata una risposta ragionata. Aveva l’impressione che il riccio ci avesse meditato su a lungo. Abbassò la testa.
Come se lui non avesse ancora sofferto abbastanza! Pure questo, ora!
 
Sonic rimase interdetto. Sulla soglia di casa Prower stava un individuo stranissimo mai visto prima, ammantato in giacca e cravatta, occhiali da sole, cappello in testa e ventiquattro ore alla mano. Il tutto ovviamente di un tetro color nero.
-È lei il signor Sonic The Hedgehog?- chiese, con voce cupa.
-Ci sono forse altri ricci blu con questo nome?- la battuta prese in contropiede l’agente, il sopraciglio del quale tremò appena.
-Allora le devo assolutamente parlare.-
Sonic fendette l’aria con un colpo di coda. –A qual proposito?- domandò incrociando le braccia e appoggiandosi allo stipite della porta, impedendo volontariamente il passaggio per l’interno.
L’agente esitò un attimo. –Noi le vorremmo chiedere il vostro aiuto.-
Questo non le lo aspettava, confessò il roditore. –“Noi” chi?-
-Siamo un’associazione che non dovrebbe esistere. Non vi posso fornire informazioni in merito fino a quando non accetterà di collaborare con noi.-
Il fatto che il tizio in nero desse per scontato che lui gli avrebbe aiutati irritò non poco il riccio. –Passiamo oltre, allora. Vi serve il mio aiuto per cosa, esattamente?-
Qui l’agente si diede una rapida occhiata in torno. –Non sarebbe meglio parlare di questo all’interno?- domandò.
-Non sono solito portare in casa mia gente sconosciuta.- replicò il riccio, inglobando la casa di Tails a sua proprietà.
-D’accordo, allora.- l’agente tossicchiò. –Se proprio insistete … noi vorremmo il vostro aiuto per liberarci di una certa minaccia che potrebbe a breve scatenarsi sul nostro pianeta.-
-Tale minaccia ha un nome?- domandò ancora il riccio, stufo di dover estrarre da quel tale le informazioni una a una.
L’agente esitò di nuovo. –Si chiama Shadow, Shadow The Hedgehog.-
La tentazione di fracassare quel tizio con uno Spin Dash fu forte. –Sparisci da casa mia.- ringhiò il riccio. –Ora!-
-Ma…- tentò ancora quello.
Un’occhiata di Sonic bastò a farlo zittire e ritirare con tutta fretta.
-Casomai cambiasse idea.- tentò miseramente l’agente, già oltre il cancello in fondo al viale. –Ci può trovare all’indirizzo: River Street, 77.-
Con ancora il pelo ritto sulla schiena, Sonic rientrò in casa, sbattendosi la porta alle spalle. –Tails!- chiamò, andando dritto sparato al laboratorio del volpino, che emerse da dietro una scrivania annegata sotto pile di fogli, progetti, scatole di viti e bulloni.
-Sì?- rispose.
-Hai finito di potenziare il localizzatore di Smeraldi?-
-Finito proprio ora ma …- Sonic non lo lasciò finire.
-E hai trovato faker?-
-Sì, è qui.- disse il volpino, indicando tre puntini vicinissimi in leggero movimento nel bel mezzo del nulla. –Ma…-
Senza nemmeno il tempo di finire la frase, Tails si sentì strappare dalle mani l’aggeggio meccanico. Una forte corrente d’aria annunciò che il riccio era sparito. Il volpino sospirò, rassegnato. Quella di usare il localizzatore per trovare Shadow era stata una grande idea, avuta da niente popò di meno dell’insospettabile cervello di Knuckles.
Dopo l’ultimo tentativo da parte di Eggman di conquistare il mondo, Sonic e gli altri si erano accordati con il Team Dark per dividersi i sette Smeraldi e di tenerli in custodia, escludendo al contempo Robotnik dai giochi. Quattro erano ora nelle mani di Sonic e compagni, tre in quelle di Shadow e Rouge. Un buon sistema che permetteva loro di rimanere costantemente pronti ad ogni minaccia particolarmente ostile e di tenere le pericolose Gemme sott’occhio. Questa tattica, ovviamente, era basata sulla collaborazione instaurata tra i due ricci, collaborazione che prima non c’era mai stata. Quei tre puntini sullo schermo rappresentavano proprio i tre Smeraldi di Shadow e Sonic ora stava correndo dritto da lui.
 
LUOGO SCONOSCIUTO – CIRCA NELLO STESSO MOMENTO
Lucy tremava dalla testa ai piedi come una foglia, mentre passava l’aspirapolvere sul pavimento metallico. La sua attenzione però era concentrata su tutt’altro, non di certo sulle pulizie per le quali veniva pagata. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalle capsule.
Erano dodici, disposte in due file parallele, piene di un liquido bluastro leggermente fosforescente. Ma era il contenuto delle capsule che la preoccupava spaventosamente.
Quella era la sala dove si conservavano quelle cose. Erano orribili, semplicemente orribili! E disgustose.
Odiava il lunedì perché doveva ripulire le sale operatorie e il sangue sui muri e sul pavimento non se ne andava facilmente. Odiava il martedì perché era il turno delle celle di contenimento, e lì non si sapeva mai cosa trovarci dentro. Odiava il mercoledì perché toccava alle capsule delle creature senzienti, ed era straziante vederle incapsulate, tutte terrorizzate per la loro sorte, alcune già morte o morenti. Detestava il giovedì, cioè quel giorno, poiché le toccava quella sala ripugnante nella quale erano conservate tutte le … parti delle creature. Era la sala dove venivano assemblate e purtroppo l’unico modo possibile era farlo a fasi, come in un macabro gioco di anatomia (lo sviluppo dei feti non aveva prodotto i risultati sperati, per una ragione ancora sconosciuta). I loro corpi in via di assembramento si trovavano proprio lì, in quelle dodici capsule. Quindi si partiva dallo scheletro e vi si attaccava tutto il resto, partendo dal sistema nervoso per poi aggiungere viscere, muscoli, pelle e tutto ciò che occorreva, coltivati ovviamente in luoghi separati. Era innaturale comporre a quella maniera esseri viventi, ma sembrava la maniera più efficace per renderli più forti e micidiali. Ed era più veloce, come sistema, ed anche più disumano.
Ma i loro occhi erano la cosa peggiore. Alcuni di questi obbrobri malformati erano già svegli! E la seguivano con gli occhi nel suo atto di pulire, mentre il loro corpo frammentato galleggiava in quel liquido senza peso! Le veniva da vomitare solo a guardarli. Possibile che, sventrati e malfatti come loro, non soffrissero? Possibile che non provassero dolore? Ma lei sentiva, nel loro sguardo, che il dolore c’era.
Ma provar pietà per loro non era fattibile perché sapeva fin troppo bene cosa sarebbero diventati, quegli ammassi di organi e muscoli fluttuanti. Quindi di pietà non ce n’era, solo ribrezzo e orrore.
Una cosa che non le era mai andata giù era il fatto che tutti quegli esperimenti viventi erano creature mobiane. Ovvio, no? Fare esperimenti su esseri umani era illegale, e allora avevano approfittato degli ospiti alieni, rubando loro il dna che si adattava a meraviglia con quello degli animali presenti sulla Terra, con la differenza di essere più intelligenti. Una qualche modifica a livello strutturale per renderli più grandi e forti e il gioco era fatto. “Serviranno per salvaguardare l’umanità” dicevano i capi. Sì, certo, e intanto macellavano la genetica mobiana! Viva l’ipocrisia!
Pensando agli orrori che avrebbe ancora dovuto vedere nei restanti giorni della settimana, si chiese per la milionesima volta per quale sciagurata ragione avesse accettato quel lavoro. Dopo aver visto ciò che aveva visto, di sicuro non l’avrebbero lasciata andar via. Sospirò, rassegnata. Sperava che per lo meno acciuffassero in fretta quel tale …
Senza accorgersene, sfiorò con un gomito il freddo vetro leggermente umido di una capsula. Lucy si irrigidì all’istante, lasciandosi sfuggire un gemito strozzato di paura. L’unico lato positivo di quella sala era il fatto che niente e nessuno avrebbe cercato di ucciderla, perché niente e nessuno era in grado di muoversi. Lentamente si voltò verso la creatura.
Avrebbe dovuto essere un topo mobiano (classica cavia da laboratorio) ma il suo corpo era ancora tanto disfatto che, se non fosse stato per le orecchie e la coda, capirlo sarebbe stato praticamente impossibile. Era composto per ora solo di scheletro, nervi e viscere, con qualche accenno di muscoli sulle braccia e sul volto. Niente pelle, tutto in bella mostra.
Gli occhi gialli del mobiano la fissavano, incuriositi. Lei, paralizzata dall’orrore non riusciva a muoversi. Il topo continuava a guardarla. Lucy tremò fin nell’anima quando realizzò che quella creatura stava pensando. Ragionava! C’erano emozioni in quegli occhi! Tutto un mondo di pensieri e osservazioni che non avrebbero mai importato a nessuno. Sapeva quale fine avrebbe fatto quel poveretto.
La cavia piegò leggermente la testa di lato, sorridendole con gli occhi. Lucy si lasciò sfuggire un altro gemito, ipnotizzata da quello sguardo innocente. Poi, successe la cosa che mai si sarebbe aspettata di vedere.
Lentamente, con insicurezza, il topo alzò piano un braccio (probabilmente era la prima volta che lo faceva) e mosse la mano facendole ciao.
Un timido e insicuro saluto, i suoi occhi sorridevano sempre.
Era troppo. Lucy crollò a terra, svenuta.
Un’ombra di preoccupazione passò nello sguardo del topolino mobiano, mentre si sporgeva in avanti, per quanto gli fosse possibile, sperando di vedere che fine avesse fatto la persona bruscamente sparita dal suo campo visivo.
Una telecamera, incastonata nel soffitto, aveva ripreso tutto.
 
 
Shadow se ne stava appollaiato su di un ramo, appena fuori dalla loro base. Le fronde verdeggianti schermavano piacevolmente il sole, lasciando l’aria sottostante fresca. Con una gamba a penzoloni nel vuoto (la sua posizione preferita), il riccio nero stava rilassato, a tre metri dal suolo, pensando con tutta calma ai soliti problemi che lo assillavano.
Si stupì parecchio quando un “Da quanto tempo non ci si vede” lo salutò dal basso. Ovviamente, non fece trapelare nulla, si limitò a ruotare gli occhi color rubino verso il riccio blu.
-A cosa devo l’onore?- chiese invece, freddamente.
L’espressione del riccio blu lo fece preoccupare.
-Un tizio è passato dieci minuti fa davanti a casa mia chiedendomi di aiutare la sua associazione a darti la caccia.-
Shadow sussultò impercettibilmente, metabolizzando in fretta le informazioni. Quindi loro volevano mettergli contro pure l’Eroe.
-E tu cos’hai risposto?- chiese.
-Ovviamente no!- il tono offeso del riccio lo fece sorridere.
-Ti ha detto il nome dell’associazione?-
-No!- la voce di Sonic ora era arrabbiata. –Ma si può sapere che caspita sta succedendo? Perché ce l’hanno così tanto con te?- quasi gridò.
Shadow appoggiò la testa contro il tronco dell’albero. –Non so cosa sta accadendo. So solo che è qualcosa di molto brutto. E pericoloso.-
Per qualche minuto non parlarono.
-Noi vogliamo aiutarti.- disse Sonic, tutto d’un colpo.
Shadow se l’aspettava un’affermazione simile. Se c’erano guai in vista, il riccio blu non sapeva proprio starne lontano, troppo egocentrico per rimanere in disparte. –Meno persone saranno coinvolte meglio sarà. La tua buona reputazione potrebbe non bastare a proteggerti, questa volta. Non stiamo più parlando di Eggman. Qui si fa sul serio.-
-Sapevo avresti risposto così.- ridacchiò Sonic. Shadow abbassò lo sguardo sul riccio. –Ma noi ti aiuteremo lo stesso. Come hai detto tu, è una brutta faccenda. Questa volta da solo non te la cavi, faker.-
Il riccio nero sbuffò. Egocentrico e testardo. Dovette impegnarsi davvero per pronunciare le successive parole e ricacciare al contempo il proprio orgoglio in fondo al cuore. –Forse hai ragione, Sonic. Ma se proprio vuoi aiutarmi, non devi farlo apertamente.- a terra, il riccio blu rimase basito. Shadow che accettava così? Ma da quando! E soprattutto: Shadow gli aveva appena dato ragione! Gli occhi rosso fuoco lo fissarono. –Hai capito? Non devi farti mai vedere insieme a me. Non deve sembrare che mi aiuti, o finiranno per attaccare anche te.-
Ora Sonic era perplesso. –Ma come…?-
Shadow sospirò. –Accetta la loro richiesta di aiutarli a combattermi.-
-Mai!- gridò Sonic.
-Accetta, invece. E osserva le loro mosse dall’interno, scopri chi sono e cosa vogliono.- il tono di voce del riccio nero era snervato, come se stesse parlando ad un bambino che non riusciva a seguire il discorso. –Né io né Rouge potremo mai sperare in una simile occasione. Tu puoi. E se vuoi davvero aiutarmi, questo è l’unica cosa utile che tu possa fare.-
Shadow guardava Sonic, valutando se le sue parole avevano avuto effetto. Per un simile vantaggio, era stato disposto a dar ragione a lui e dire addio al proprio orgoglio. Per un simile aiuto, questo e altro.
Sonic stava fissando intensamente l’erba, di colpo alzò gli occhi verde smeraldo ed esclamò. –Ok, Shadow. Andrò a dirgli che ho cambiato idea.-
Shadow sorrise, mostrandogli i denti aguzzi. –Vedi di inventare una scusa decente, almeno.-
Sonic tese il braccio, con il pollice rivolto verso l’alto. –Puoi scommetterci, faker! Conta su di me!-
In un lampo, la scheggia blu sparì in un turbinio d’aria, dileguandosi in una frazione di secondo. Shadow sospirò, portando la mano alla spalla che non aveva smesso di bruciare selvaggiamente neanche per un attimo.
Un alleato come Sonic questa volta gli sarebbe servito, aveva il dubbio.
Gli sarebbe servito eccome.
 
  
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