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Autore: verichan    25/08/2013    1 recensioni
Fu una cosa piuttosto veloce: il giorno prima completava il suo Tormento, il giorno dopo lasciava il Circolo.
Ma partiamo dal principio.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sollevò le palpebre, lentamente, senza fretta. Strano. Era nella tenda, vuota, ma il tipo di dormita che si era fatto era stata talmente singolare che... Aveva dormito come un sasso. Zero demoni, zero incubi, zero rigirarsi nel letto, insomma una dormita divina. Dopo aver subito tormenti psicologici e fisici nello spazio di poche ore s'era aspettato una nottata infernale e invece aveva avuto la tranquillità di cui aveva bisogno per ricaricare le energie. Merito del sangue di prole oscura? Beh, se aveva questi effetti sul sonno, come mago ci avrebbe fatto un pensierino. Tsk. Battute scialbe a parte, si sentiva finalmente riposato e lucido.

Si tirò a sedere ma il parlottio all'esterno lo convinse a non uscire. Erano Sereda e Alistair, dal rumore di stoviglie suppose stessero consumando la colazione. Non aveva la minima voglia di vederli o rivolgergli la parola, non prima di essersi organizzato. Ad ogni modo non aveva nulla da fare, il Comandante non aveva dato istruzioni per la giornata, meglio usare il tempo libero per adoperare il suo famoso protocollo per arrivare a decisioni sensate, in sintesi farsi coraggio, analizzare il più oggettivamente possibile la situazione e darsi una mossa.

Si ristese sul lettuccio e chiuse gli occhi, entrando gradualmente in meditazione profonda. Al sicuro nei recessi della sua mente, visualizzò l'avvelenamento di Daveth e la sanguinosa fine di Jory, con occhio critico esaminò l'incubo sul drago e analizzò le azioni di Duncan e Sereda. Non fu difficile accettare l'omicidio dei due ex compagni, bastava indurire il proprio cuore e relegare la scena nel suo personale cassetto dei decessi finché il ricordo non sbiadiva, inoffensivo. Anche i maghi morivano ingiustamente nella Torre, non ogni giorno, certo, ma i templari tra paranoia e odio collezionavano le loro vittime, vittime che Elmer spesso aveva conosciuto per ben più di due miseri giorni. Solo quell'anno ce n'erano state ventidue, suicidi compresi, un numero non da poco se si considerava che lì vi abitavano due centinaia scarse di anime. Inevitabilmente si doveva convivere con i propri carcerieri. La ribellione era fuori discussione, perciò si tenevano a freno i sentimenti e si tentava di rimanere sani di mente, altrimenti, se si rifletteva troppo sulla propria condizione... In sostanza, se non ti rassegnavi al tuo destino o se non avevi abbastanza autocontrollo commettevi errori fatali e gliela davi vinta ai tuoi aguzzini, e non dare soddisfazione era l'unica cosa di cui un prigioniero si poteva vantare.

Daveth e Jory erano morti, la cosa non gli piaceva né aveva intenzione di passarci sopra, come avrebbe fatto un rassegnato. Accettava la rabbia che ne derivava e avrebbe tratto le dovute conclusioni, che non riguardavano le persone di Daveth e Jory, riguardavano lui. Loro ormai erano passati oltre e la vendetta per gente che conosceva appena era ridicola, lui era vivo e vegeto e ci teneva a rimanerlo.

L'incubo sul drago era una sciocchezza. Aveva avuto sogni peggiori.

Duncan e Sereda.

Di Duncan non si fidava più. Col cavolo che si sarebbe beccato una spada in pancia a tradimento. Non capiva ancora la ragione dell'uccisione di Jory e se prima, in balia delle emozioni, aveva desiderato scrollare Duncan per le spalle e spremergli fuori il motivo di quell'atto spregevole, ora la priorità era mettere una salutare distanza tra se stesso e il barbuto. E pensare che se il Comandante gli avesse detto fin dal principio cosa lo attendeva, Elmer non avrebbe fatto tante storie. Era un mago del Circolo, era abituato ad avere costantemente un cappio attorno al collo e una botola malfunzionante sotto i piedi. Forse la gratitudine per aver avuto salva la vita avrebbe indorato la pillola e avrebbe accolto l'Unione come una medicina cattiva e con la ferma convinzione di scamparla (perché era troppo bello, intelligente e unico per morire), nonostante dipendesse tutto dalla fortuna o dal Creatore. O se la sarebbe data a gambe levate nonostante l'aiuto della Chiesa e del filatterio di cui Duncan si sarebbe sicuramente avvalso, ma lo credeva improbabile, d'altronde non era mai fuggito nemmeno dalla torre, e di ragioni valide ce n'erano state.

“Perlomeno avrei avuto un mese per assimilare ciò a cui andavo incontro.” protestò.

Se per entrare nel club esclusivo doveva affrontare la morte, voleva saperlo in anticipo, si trattava di correttezza, coscrizione o non coscrizione. Con che coraggio Duncan l'aveva guardato in faccia ogni mattina? Il peso di ciò che sarebbe accaduto durante l'iniziazione non gli gravava sulla coscienza? Che razza di uomo era? Si sbatteva tanto per un carrettiere incontrato per caso, la preoccupazione per la persona che potrebbe entrare a far parte della sua ristretta cerchia di compagni dov'era? Ma erano tutte riflessioni inutili, queste, perché si rendeva perfettamente conto che non tutti avevano lo stesso modo di ragionare. Sicuramente Duncan non pensava di essere nel torto, magari gli dispiaceva, però non se ne pentiva. Certo, era convinto che la verità allontanasse chiunque, oppure era regola indiscutibile dell'ordine dei Custodi non rivelarla.

“Allora, i nani?”

Sereda, il re e magari tutti i nani erano al corrente della verità, eppure si sottoponevano ugualmente al rito.

Oh, chissenefrega, 'fanculo l'Unione, 'fanculo tutti, specialmente Duncan e Sereda. La donna, spinta da forti valori che lui non condivideva affatto, gli aveva appioppato una ramanzina colossale minacciando di ucciderlo se si fosse ribellato. Ma se ricordava correttamente l'arrivo di Duncan al Circolo, già lì il Custode aveva desiderato reclutarlo ed Elmer rammentava bene cosa aveva pensato e detto: che in fondo non gli sarebbe dispiaciuto lasciare la torre e combattere per mettersi alla prova. Quindi la coscrizione non valeva un cazzo, erano solo parole, perché il mago avrebbe scelto l'ordine piuttosto che rimanere rinchiuso. Lui non apparteneva a nessuno tranne che a se stesso, la coscrizione non era un fottuto guinzaglio e lui non era un fottuto cane.

Tutto considerato, tagliare la corda restava la soluzione migliore. Il come era la parte complicata.

A suo parere c'erano due possibilità. La prima era attendere diligentemente, come l'eccellente scolaro che era, di guadagnarsi il favore dell'ordine e ottenere incarichi solitari e duraturi lontano dai membri. Non sarebbe stato un fuggitivo, avrebbe avuto il permesso dell'uomo che voleva evitare e avrebbe vissuto come più gli garbava senza la supervisione di nessuno. Tuttavia, nel ripeterselo in testa, vedeva già ora un grosso problema: va bene che era un grande attore, però era un piano di lunga realizzazione, non si sarebbero fidati di lui dall'oggi al domani, e dal canto suo doveva dimostrare falsa cordialità verso il barbuto e una lealtà notevole al gruppo. Sinceramente non era convinto di avere così tanta pazienza, prima o poi sarebbe esploso.

La seconda e, a questo punto, sola possibilità era cogliere la prima buona occasione da qui in avanti e svignarsela.

Adesso non era il momento, con la battaglia alle porte e l'attenzione concentrata su chiunque si avvicinasse al campo, un disertore sarebbe stato scoperto subito. Doveva agire durante lo scontro o in seguito, nel mezzo della confusione generale, o dopo ancora.

“Potrei approfittarne mentre ci dirigiamo alla torre di Ishal.”

Alistair avrebbe certamente preferito assicurarsi di accendere il segnale piuttosto che corrergli dietro, no? Mmh, impossibile fare previsioni precise. Dopo la battaglia rimaneva un'opzione accettabile. Se non fosse riuscito a scappare immediatamente dopo, avrebbe vissuto un po' con l'ordine, esplorato l'ambiente di Denerim (se non errava il re ospitava là i Custodi) e usufruito del comodissimo porto. Sì, non male, aveva tutto il tempo per pianificare la sua partenza. Ehi, perché non inscenare la sua morte come in Fuga d'amore? Sarebbe stato perfetto! A Ostagar poteva essere una delle tante vittime di guerra, a Denerim... ehm, una vittima in un incendio? Ma sì, i corpi bruciati erano pressoché irriconoscibili.

C'era da sperare che Sereda non fosse una presenza costante nella sua ombra. La nana lo prendeva troppo a cuore, ormai per lei erano amiconi, figurarsi dopo il terribile atto di codardia che lei gli aveva altruisticamente impedito di commettere. Maledetta, lei e i suoi discorsi sulla libertà, argomento di cui era sicuro avessero una visione molto differente, dato che era cresciuta nel lusso e nel potere. Stronza, hmph.

Terminata l'analisi, rassicurato dalla sensazione di avere di nuovo il controllo del proprio futuro nelle sue mani e non in quelle altrui, sciolse la meditazione. Non era solo nella tenda. Alistair stava rovistando tra le cose dei due defunti, dandogli le spalle. Furbo, il giovane templare.

«La scostumata strega delle Selve non si sbagliava nel suo giudizio, in fondo sei un piccolo avvoltoio.»

«Gah!»

Alistair batté il sedere a terra per la sorpresa. Si voltò con un'occhiataccia tra il colpevole e l'accusatorio.

«Mi sto occupando dei loro averi.» si giustificò. «Non volevo svegliarti.»

«Lo vedo.»

«Non è come pensi. Solitamente gli averi delle reclute che...» si bloccò a disagio. «Quello che apparteneva a loro diventa proprietà dell'ordine, però se c'è qualcosa che possiamo riportare alle famiglie lo facciamo volentieri.»

«Che generosità.»

Il biondo esibì una smorfia ma non raccolse la provocazione e tornò al suo compito. Peccato, così in forma a Elmer non sarebbe dispiaciuto umiliare qualcuno in uno scontro verbale, tanto per cominciare bene la giornata.

«Dov'è Duncan?»

L'ex templare sollevò la testa col naso all'insù e contemplò l'aria con sguardo assorto, un'espressione che non avrebbe mai associato al suo viso.

«Vicino. È nell'accampamento, dalle parti della tenda reale.»

«Hai appena annusato l'aria per sapere dov'è Duncan? Cosa sei, un cane?» domandò stranito.

«No.» ebbe la faccia tosta di deridere. «È roba da Custodi, te ne accorgerai anche tu tra un paio di settimane. Possiamo percepirci tra noi.»

«Come con la prole oscura?»

«Sì... ma la sensazione è diversa, credimi.»

«Buono a sapersi.» commentò, gli ingranaggi del suo magnifico intelletto all'opera sulla preziosa informazione in vista dell'astuto piano di fuga. «Altre capacità?»

«Perché non chiedi a Duncan? Sono sicuro che gli farà piacere parlartene.» buttò lì con una disinvoltura talmente falsa che se ne sarebbe accorto perfino Horlon, l'asino di Leon. Tentava di riappacificarli?

«Ho qui te, perché disturbarlo.»

Alistair smise di armeggiare con lo zaino di Daveth e si voltò verso l'innocentissimo visetto di Elmer. Non vide malignità nei suoi occhi viola (un vero asso della recitazione) perciò decise di accontentarlo. Si sedette rivolto verso di lui e si rese disponibile a ogni domanda. Il mago non si fece pregare e lo torchiò su svantaggi e vantaggi. Svantaggi: presunta totale sterilità, incubi sulla prole oscura, conto alla rovescia dai dieci ai trentanni sulla durata vitale che terminava con la Chiamata, percezione che funzionava a vantaggio anche del nemico, appetito all'incirca triplicato. Vantaggi: percezione del nemico e dell'amico, forza e resistenza aumentati, immunità alla corruzione fintanto che non schiattavi.

«Non abbiamo una vita facile ma non la scambierei con niente al mondo.»

«Non ti spaventa avere una scadenza di morte? O morire di fame?» chiese il mago, seccato enormemente da parecchi dettagli.

Essere un Custode Grigio non era così bello come decantavano i libri. I difetti superavano i pregi: ti trasformavi in un'eccellente macchina da guerra contro un nemico dimenticato che l'umanità non vedeva da quattrocento anni e nel frattempo potevi schiattare di qualsiasi altra cosa, e se non schiattavi di qualsiasi altra cosa l'ordine aveva la regolina anche per quello, cioè seguire la Chiamata e concludere in bellezza i tuoi giorni uccidendo quanti più mostri possibile nelle Vie Profonde. Non era vivere, era un rimanere in attesa dell'invisibile linea del traguardo. Il moro non era per niente d'accordo.

“A saperlo, e se Jowan non avesse rovinato tutto come suo solito, me ne sarei rimasto a casa.”

L'ordine dei Custodi Grigi era praticamente obsoleto, oggigiorno bastava un esercito per sbarazzarsi della prole oscura, re Cailan ne era una prova sfolgorante. Cosa avrebbe fatto mentre aspettava la fine? Si sarebbe girato i pollici? Quante volte capitava un Flagello? I Custodi erano storia vecchia, apprezzava il fascino di un ordine antico con un curriculum di tutto rispetto però non c'erano sbocchi dove incanalare la sua preziosa ambizione. Era nato per combinare qualcosa di grande, lo sentiva, e i Custodi minacciavano di tarpargli le ali.

“Tanto me la squaglierò.” si rincuorò.

«No. Non sono solo, ci sono i miei fratelli con me.»

La candida risposta di Alistair lo spiazzò. Che ingenuità.

«Tu conoscevi già la verità sull'Unione prima di essere reclutato o ti hanno informato dopo come noi?» curiosò.

«Non lo sapevo, come voi. Duncan non lo dice a nessuno, è la regola.»

«Sembrate molto legati, avrei scommesso che per te avrebbe fatto un'eccezione.»

«Oh no, Duncan tratta tutti alla stessa maniera, non fa preferenze.» si imbarazzò.

«Ma non ti sei arrabbiato quando te l'ha rivelato?»

«No. Mi fido di Duncan.»

“Oh Creatore, la fede cieca del mabari che segue il suo padrone fin nei meandri dell'inferno.”

«Duncan mi ha dato una possibilità, è stato il primo a credere in me, ad aiutarmi. È stato l'unico a cui sia davvero importato qualcosa di un orfanello, di quello che desiderava. Gli devo tutto e se fossi morto non gliene avrei fatto una colpa.»

“Certo che no, saresti morto.”

«Però comprendo che non tutti la vedono come me. Tu, per esempio... non mi sembri molto felice.»

“Felice? Felice?!”

«Non voglio passare per la vittima patetica di turno, sia chiaro, ma prova a metterti nei miei panni.» si infiammò. «Sono cresciuto nella Torre del Circolo dei maghi, e non mi interessa se la gente crede che ce la tiriamo e che le lamentele sui templari sono capricci esagerati per ottenere ciò che desideriamo e conquistare il mondo con una miriade di improbabili magie proibite; lì non si sta bene. Ci sono persone che si lasciano volutamente morire di fame, capisci? E non venirmi a dire che suicidarsi in questa maniera è da vigliacchi perché ci vuole una volontà di ferro per non cedere alla fame.»

Il mago si fermò con la bocca mezza aperta, pronto a perorare la sua causa. Di che diamine stava parlando? Alistair lo fissava con tanto d'occhi. Porca Andraste, pessimo tempismo per uno sfogo onesto. Non credeva di averne così tanto bisogno. O forse la necessità era volata alle stelle dato che aveva davanti un ex templare. In un certo senso era l'equivalente dello sputare in faccia il suo veleno ai cani della Chiesa senza però incorrere nelle normali ripercussioni che alla torre tale fegato avrebbe comportato. Alistair era il candidato ideale per diventare lo sventurato ricevente della sua ira funesta. Affascinante.

«Comunque.» si schiarì la voce recuperando la questione principale. «Uscito dalla torre mi prospettavo un salto di qualità, e questo mese di viaggio con Duncan lo è stato, non c'è niente che mi abbia deluso. Perciò, quando ha confessato che per entrare nei Custodi avrei dovuto affrontare una prova assurda... Insomma, ero preparato a dimostrare le mie capacità in una sfida mortale, un incontro all'ultimo sangue, attraversare un tratto delle Vie; invece, dopo tutto quello che ho passato nella mia vita, dopo tutta la fatica che ho fatto per arrivare dove sono, scopro che tutto dipende non da me ma da quanto sono fortunato. Ti sembra giusto?» domandò costernato. «A quest'ora potevo essere polvere. Mi avreste bruciato al posto di Daveth o Jory, o saremmo morti tutti e tre, chissà. E sapere che quel mucchietto di cenere e ossa potevo essere io, sapendo che non avevo alcuna chance di cambiare il mio futuro...» preso dal discorso, si accorse di essere arrivato ad una conclusione diversa da quella in meditazione. «Il problema non è Duncan.» affermò rapito dall'inaspettata scoperta. «È il tipo di test. Ti fa sentire... impotente. La tua volontà non conta. Se togli a un mago la sua volontà, che cosa resta? La gente è convinta che siamo potenti. Scateniamo piogge di fuoco dal cielo, creiamo fulmini dalle dita, facciamo tremare la terra, ma senza volontà non c'è magia.» spiegò. «Se la tua volontà non conta, tu non conti. Non sei niente. E io non voglio essere niente.» dichiarò con foga.

Oh, sarebbe potuto andare avanti per ore, peggio della Leliana di Lothering, tuttavia mise un freno alla lingua e non disse che in assenza di volontà un mago non sopravviveva nella torre, non disse che ne aveva abbastanza di ingiustizie, non disse di aver afferrato finalmente la sua paura più grande e non disse che di conseguenza, informato prima o dopo, sapeva che la sua reazione spaventata non sarebbe cambiata.

«Mi dispiace.» arrivò la voce sofferta del biondo, come se a Elmer servisse la sua compassione.

Alistair e il suo atteggiamento casto e puro. Gli ricordava Jowan. Il vecchio Jowan, quello che non era un mago del sangue, quello che non lo avrebbe mai ingannato, quello che lo ascoltava senza interrompere, quello che sarebbe rimasto per sempre fedelmente al suo fianco, non importava a che vagina si sarebbe concesso.

«Lascia perdere.» disse sbrigativo, affatto vergognoso di essersi espresso liberamente.

«No, non dire “lascia perdere”! È una cosa importante!» si accalorò il giovane. «E ne sono veramente felice, sai? Cioè, non felice perché ti sei sentito impotente- Oh, scusa, mi sa che non era il caso di ripeterlo. Ehm. Intendo che, voglio dire... siamo compagni adesso, perciò sono felice che mi racconti questo genere di cose personali e profonde, capito? Siamo una famiglia, e in famiglia ci si confida i segreti a vicenda. Siamo praticamente fratelli!»

Che aveva detto? Elmer lo inchiodò con un'occhiata raccapricciante. Aveva pronunciato il vocabolo proibito. Col cazzo che Alistair si sarebbe trasformato in un Jowan Due.

«Okay, ora basta. Il momento delle smancerie è finito. Fuori.»

«Cosa? Ma non ti ho ancora raccontato niente di me.»

«Tranquillo, non voglio udire una sola parola.»

«Non è giusto! Perché tu puoi e io no? Dovrebbe essere uno scambio reciproco.»

«Te lo puoi scordare. Esci dalla mia tenda.»

«Tua? Da quando?»

«Da quando sono arrivato, ora fuori.»

«Non puoi cacciarmi via, è anche la mia tenda.»

«Alistair, hai cinque secondi per toglierti dalle palle: conto fino a cinque, dopodiché ti frizzo.»

«Mi che?»

«Uno.»

«Che significa frizzare?»

«Due.»

«Scommetto che non esiste il verbo frizzare. Frizzare, tsk.»

«Tre.»

«Non è doloroso, vero?»

«Quattro.»

«Qualsiasi roba sia, dimmi che stai scherzando. Dimmi che-»

«Cinque.»

Fu così che Alistair venne scaraventato fuori dalla tenda a suon di fulmini nel didietro, emettendo versi non classificabili come virili. “Ideale ricevente della sua ira funesta”, definizione impeccabile.

Con l'ex templare eliminato, rovistò lui tra gli averi dei defunti. All'ordine sarebbero probabilmente andati denaro, equipaggiamento e vestiti, quindi tenne per sé l'astuccio del cucito di Daveth, un bel ricordo del furto insieme, molto meno avvilente dello sgraziato ciondolo dell'Unione. Ser Jory aveva conservato una lettera non ancora spedita e una ricevuta, per e dalla moglie; si appuntò di informarsi sulla procedura con i famigliari, gli sembrava logico restituire le due missive alla moglie accompagnate da una nota sul decesso.

Uscì dalla tenda. Era tardi, mattino inoltrato, il che significava che aveva impiegato più del previsto nella meditazione, tuttavia fu il cumulo di nuvoloni in alto a farlo drizzare sull'attenti. Era autunno, stagione piovosa, eppure non aveva mai notato nuvole tanto minacciose, neanche nel tremendo acquazzone a Redcliffe. Qualcosa gli si rimescolò nello stomaco, un brutto presentimento. D'istinto volle avvertire Duncan.

«Ser Elmer.»

Lanciò uno sguardo sopra la propria spalla, Sereda. Non le badò e tornò a contemplare il cielo, la sensazione di pericolo imminente scavalcava di gran lunga il cianciare dell'ex principessa.

«Qualcosa non va?»

«Il cielo.» disse, e già che c'era... «Avvertite Duncan che ho lo stesso mal di stomaco di Redcliffe.»

La donna formulò un suono di stupore, consapevole del valore dei suoi mal di pancia, e sparì con un breve «D'accordo.», seguito dallo scalpiccio rapido di piedi minuti.

Che cos'era quell'oscurità che avanzava lenta e inesorabile? Non era un normale temporale, lo sentiva. Sicuramente anche i maghi del Circolo se n'erano accorti, presto l'avrebbero saputo tutti. L'esercito doveva prepararsi, poiché le nubi nere avevano tutta l'aria di annunciare un massacro.

 

«Dov'è Duncan?» gridò Alistair per farsi udire nel frastuono delle armi che cozzavano, le urla dei combattenti, il rumore del vento e dei fulmini tonanti e la pioggerellina paradossalmente più fastidiosa di un diluvio.

«Non lo vedremo mai da quassù. Andiamo.» esortò il moro afferrandogli una spalla per smuoverlo dal parapetto del ponte dalla cui sommità si assisteva allo spettacolo sanguinoso.

Non voleva perdere un minuto di più ad ammirare la famelica orda punteggiata da una scia di luminosi fuochi rossi che aveva invaso la vallata, chissenefrega se Duncan era là nella calca!

«ATTENTI!» si sgolò Sereda, e si buttarono di lato giusto in tempo per non farsi uccidere dal proiettile di una catapulta nemica, evento che lo portò a riconsiderare l'auto-aggiunta di Sereda al loro duetto.

«Raggiungiamo la torre!» si irritò il mago.

Cazzo, voleva fingere di crepare, non crepare sul serio! Dovevano attraversare soltanto uno stupido ponte e accendere uno stupido fuoco in cima a una stupida torre nel loro stupido accampamento, possibile che fosse così dannatamente difficile?!

Schivarono gli arcieri disposti sul passaggio e un secondo proiettile e arrivarono a destinazione, solo per scoprire che era stata presa dalla prole oscura grazie a cunicoli sotterranei.

“No ma, stiamo scherzando?” ammutolì il giovane.

La torre era stata praticamente invasa (la bravura dell'armata fereldana nel prenderlo nel didietro era a dir poco impressionante) e loro avrebbero dovuto scarpinare fin lassù combattendo. Meraviglioso. Individuare una scusa plausibile per la sua disfatta e scappare indisturbato evitando di morire per davvero si stava rivelando un'impresa titanica. Il numero dei prole oscura era superiore alle previsioni e la torre di Ishal era più pericolosa del campo di battaglia. Il porto di Denerim pareva irraggiungibile.

“Se rimango a Ostagar non sopravviverò.” concluse tetro, frizzando un genlock.

Il dilemma era rimanere, aggrappandosi alla speranza di non lasciarci le penne per poi attuare il suo piano nella capitale, o cominciare a correre in quel preciso istante tentando la sorte nell'eludere le linee nemiche. Non era ancora un Custode completo, non lo avrebbero percepito. Però, saltando la messinscena tragica, temeva che il duo eroico l'avrebbe riacciuffato, specialmente Sereda. Con quella piccola bastarda non si scherzava.

Cercò di distanziarli ma la nana, protettiva nei suoi confronti, gli lanciava un'occhiata tra un'uccisione e l'altra, così che era costretto a castare incantesimi contro i nemici piuttosto che risparmiare mana in vista dell'occasione buona. Stavano andando troppo in fretta, l'entrata era troppo vicina! E se quelle bestie umanoidi gli avessero teso un'imboscata? Se una volta spalancato il portone uno stuolo di frecce sibilanti li avesse trafitti in maniera molto, molto letale?

“Mi serve un miracolo. Uno solo, Creatore, uno solo.” pregò.

Cosa inventarsi per far sì che i compagni lo lasciassero indietro?

Il grosso delle creature pressava i guerrieri quindi ebbe minuti preziosi per esaminare i dintorni. Superato un cancello, si erano ritrovati nello spazio antecedente la torre: la pavimentazione a mosaico era stata invasa da un letto verde e alberi ai lati, in mezzo si intravedeva ancora il sentiero di pietra che risaliva pulito per due volte fino al livello dell'entrata della torre; qua e là i fereldani si erano accomodati con torrette di rinforzo e pire ma essenzialmente niente era stato intaccato, nemmeno i pezzi di muro che si ergevano solitari negli angoli, penose memorie dell'antico splendore architettonico tevinter.

Come sfruttare il terreno? Far crollare un albero o uno dei muri diroccati fingendo di essere spiaccicato? Come in Fuga d'amore, quando il protagonista ingannava lo zio malvagio mettendo un cadavere con i suoi vestiti in posizione e facendovi franare sopra una parete con degli esplosivi nanici. Mmh, gli alberi non erano abbastanza spessi, era difficile farla franca se il suo cadavere non era lì in bella vista e il muro era scomodo: se si doveva posizionare nel lato in cui sarebbe crollato, lui come la dava la spinta dall'altra parte per buttarlo giù? Non aveva ancora il dono dell'ubiquità e comunque dubitava l'efficacia del tranello se non c'era una vera salma tra le macerie. Le costruzioni in legno, al contrario, erano più grandi, più ingombranti. Fissò pensieroso il cielo costellato di fulmini. Se le torrette fossero rovinate a terra per, ad esempio, un imprevedibile disastro naturale...

“Non puoi mica incolpare Madre Natura di averlo fatto apposta.” scherzò.

Non sogghignò per pura scaramanzia. Era un azzardo, non aveva garanzie, ma valeva la pena tentare: se la struttura si inclinava nella direzione giusta bene, altrimenti sarebbe andato avanti con gli eroi senza che sospettassero, pregando di sopravvivere a Ostagar.

Castò un incantesimo di repulsione che avrebbe sbalzato via chiunque volesse aggredirlo direttamente, rinnovò l'armatura di pietra, attivò uno scudo arcano per deviare proiettili vaganti, e bevve una pozione di lyrium per rimpolpare le energie magiche. Sentì il liquido scorrergli giù nello stomaco e il mana diramarsi nel suo corpo, dandogli forza. Socchiuse gli occhi e raccolse la sua concentrazione cantilenando per richiamare un fulmine di una potenza inaudita approfittandosi di quelli già presenti.

Gli ignoranti non conoscevano le formule, per quanto ne sapevano stava evocando una super palla di fuoco o impenetrabili scudi magici che richiedevano più tempo e parole. Se uno dei temibili fulmini che solcavano le nubi fosse accidentalmente caduto sulla torretta alla sua sinistra e lui, impegnato nell'incantesimo, non si fosse scansato... Eh, che sfortuna.

Mancava poco, la magia scorreva sulla punta delle sue dita, dei suoi capelli, del suo bastone che strinse tra le mani davanti a sé, colmo di potere, come un parafulmine. E una lingua accecante guizzò dalle nubi nere e si schiantò sulla torretta dove il mago l'aveva indirizzata con un boato che fece tremare la terra e assordò gli astanti. Lo scheletro di legno si spaccò in due, le spesse travi presero fuoco e si inclinarono verso di lui, lui che simulava di star sgobbando sull'incantesimo nonostante il notevole casino.

«Elmer, attento!» urlò Sereda dopo una manata all'hurlock di turno. «ELMER!»

«Spostati!» si aggiunse Alistair tra una mossa di spada e scudo. «Per l'amor del Creatore, spostati! SPOSTATI, ELMER!»

Che carini a disperarsi per il mago più scaltro del Thedas. Sbatacchiò gli occhi, guardò alla sua sinistra con una faccia adeguatamente sbigottita e si coprì con le braccia mentre mezza struttura si abbatteva su di lui. Inutilmente, c'era da precisare, poiché si era posizionato nello spazio vuoto tra due assi.

“Sono un fottuto genio.” gongolò, per poi soffocare un colpo di tosse nella tunica.

L'armatura elementale lo proteggeva discretamente dal calore del fuoco il cui bagliore e le macerie celavano la sua figura stesa al suolo, immobile, in attesa che i due proseguissero con la manciata di soldati superstiti della torre; però si era scordato del fumo. Se tossiva troppo forte gettava tutto alle ortiche.

“'fanculo il tossire, qui muoio asfissiato!” realizzò dandosi del cretino.

«NOOO!» lo fece sobbalzare il grido straziato di Sereda.

Santa Andraste, quella donna aveva delle corde vocali disumane.

«Potrebbe essere ancora vivo.» non si arrese all'evidenza il biondo.

«È morto, Custodi! Il segnale, dobbiamo accendere il segnale, o tutto è perduto!» grugnì un soldato intento a parare una spadata, a giudicare dal rumore.

Il moro si augurò vivamente che i prole oscura fossero pochini, così che gli eroi se ne liberassero in fretta e continuassero il salvataggio dell'esercito del re.

«No, non possiamo andarcene senza aver controllato!»

Di certo Alistair non aiutava con la sua infantile ostinazione.

«Alistair.» tornò padrona di sé la nana. «Abbiamo una missione. È nostro dovere portarla a termine, anche per Elmer.»

Ecco, appunto, che si sbrigassero lasciandosi dietro ogni speranza.

«Custode, c'è una guerra, non possiamo controllare ogni cadav- argh!»

Oh no, un soldato era morto! Un combattente in meno rallentava la pulizia dell'area e lui necessitava di ossigeno!

«Ugh!» subì il medesimo destino un suo collega.

Maledizione, quanti prole oscura c'erano ancora?! Esaminò i dintorni con i suoi sensi di mago: due vite stavano emigrando da questo mondo, ciò significava che restavano un soldato e i suoi due compagni, e che le altre otto tracce vitali non erano umane. Merda. Non gli era sembrato ce ne fossero così tanti...

Ascoltò in trepidazione, con gli occhi che lacrimavano e la gola che bruciava per le esalazioni tossiche. La schermaglia, tre contro otto, non prometteva bene, nonostante gli eroi non fossero dei novellini. Tre prole oscura e il soldato caddero; erano Sereda e Alistair contro cinque. Ce l'avrebbero fatta? Non ne aveva la più pallida idea, ma era assolutamente certo che se lui non respirava alla svelta ci sarebbe rimasto secco.

Gattonò all'indietro tra le fiamme dal calore via via più opprimente attento a non scottarsi e maledicendosi per non avere con sé un efficacissimo unguento contro il caldo. La metà della torretta intatta si manteneva eretta grazie alla porzione di scala fissa al terreno, perciò andò sul sicuro passando di lì e poi strisciando al riparo di un muro in rovina con una triste finestrella al centro.

Tossicchiò e respirò a pieni polmoni, rilasciando gli incantesimi che gli appesantivano lo spirito, grato per la pioggerellina che gli rinfrescava il viso sporco di fuliggine. Spiò dall'apertura ma non vide granché con le macerie fiammeggianti e il fumo di mezzo, e non era abbastanza esperto per comprendere i dettagli dei movimenti del nemico con le sue percezioni, per esempio se in quel momento erano convenientemente girati da un'altra parte.

“Che diamine! O la va o la spacca.”

Occhi puntati là da dove erano arrivati, corse col busto piegato in avanti come un delinquente che tenta di essere inconspicuo a tre metri dalla guarnigione dell'attenta guardia cittadina (Il tesoro di Sher, terzo volume). Sfortunatamente soltanto i ladri dei romanzi se la cavavano con poco.

«AAAHH!» urlò rotolando a terra per un dolore atroce al piede.

Guardò l'arto incriminato e vide una freccia dentro il suo piede. Una freccia, nel suo piede.

«Opporcat-» si morse la lingua.

C'era una freccia nel suo fottutissimo piede!

Perché, Andraste, perché?! Santissima porca di quella trota, perché?! Voleva solamente abbandonare i suoi compagni nel tentativo di salvare la propria vita, che c'era di male in questo?! Sollevò la testa nella direzione da cui intuì era provenuta la freccia e il fottuto hurlock che aveva osato trapassare il suo piede dall'alto di una torretta stava caricando l'arco con un secondo proiettile.

«Col cazzo.» ringhiò.

Evocò uno scudo arcano che deviò il dardo in tempo perché non gli trafiggesse il petto e gli rifilò un cazzotto di pietra che lo fece volare di sotto, sopra l'hurlock impegnato con Alistair. Ma tanto che importava, l'ex templare aveva già gridato un sorridente «È vivo!» dopo che lui aveva cacciato l'urlo di dolore. Imprecò lungamente.

“E questa?” si domandò ammirando la sua prima seria ferita di guerra. “Come la tolgo?”

Saltellò di nuovo al riparo dietro al pezzo di muro e ripassò le nozioni di pronto soccorso imparate al Circolo: anestetizzare, rimuovere il corpo estraneo, medicare. Non avrebbe mai pensato di compiere un'azione del genere su se stesso. Prima di tutto rese insensibile l'area con la magia, poi estrasse il coltello souvenir del Carta e, con fatica, tagliò la dura pelle del bellissimo stivale che in quanto a protezione si era rivelato un fallimento, con gli schinieri che non arrivavano a coprire il piede. Lo gettò da parte e la stessa sorte toccò al calzino.

«Creatore.» si schifò dinnanzi al danno.

In teoria serviva una tronchese per spezzare il legno della freccia; in mancanza di strumenti si adattò: convogliò il calore sull'indice e il pollice e tra loro il legno si sbriciolò pian pianino. Tirò l'estremità intatta del dardo e dalla ferita zampillarono gocce di sangue che lo fecero infuriare. Proprio l'arto che gli occorreva per scappare? Non poteva centrargli un braccio? O una spalla? La spalla era la preferita nei libri, perché no nella realtà? E i nani non potevano regalargli schinieri completi? Era un Custode Grigio, o perlomeno una recluta, cosa credevano che facesse tutto il giorno, pettinare bambole?

Tutta quella situazione era una vera ingiustizia.

Stappò una fiaschetta di pozione di radice elfica e bagnò entrambi i fori da cui si ammirava il colore delle sue carni, poi usò la magia per richiuderli. Non era un gran guaritore, pertanto la tecnica gli bruciò molte energie. Quando Alistair e Sereda lo raggiunsero, frenetici, Elmer era sudato e col fiato corto.

«Elmer! Siete vivo!» sottolineò l'ovvio la donna che, vista la sua brutta cera, non gli buttò le braccia al collo.

«Sapevo che eri vivo.» sorrise l'ex templare, e perfino in quell'inferno i suoi denti erano bianchi e splendenti, il che gli ricordò il sorriso da celebrità del re.

“Spero che sia morto.” pensò astioso.

«Per così dire.» biascicò colto da un giramento di testa.

Non avrebbe bevuto una seconda pozione di lyrium, era deleterio per l'organismo; avrebbe assorbito i residui di mana dei cadaveri. Poggiò il capo alla parete dietro di sé e regolarizzò il respiro. Cavolo, in queste condizioni non andava da nessuna parte, figurarsi fuggire da Ostagar. Era spacciato.

«Riuscite a proseguire?» si informò subito la dolce ex principessa, glissando completamente sul come fosse scampato alla morte.

Proseguire? Proseguire?! Era cieca?!

«Non credo.»

“Sì, certo, Sereda. Ho il fiatone e un piede che non sento più ma sì, ce la faccio a proseguire e farmi ammazzare dai prossimi prole oscura.” fece sarcastico nella sua testa.

«Il piede è a posto? Quanto ti serve per riprenderti?» sollecitò il ragazzo.

«Qualche minuto come minimo.» si spazientì.

«Non abbiamo qualche minuto, purtroppo.» si dispiacque la nana. «Forse è meglio se aspettate qui.» tentennò, credendo di offenderlo nel ritenerlo troppo debole per accompagnarli.

«No, non possiamo abbandonarlo.» intervenne Alistair ricevendo istantanei insulti mentali dal mago che stava per accettare molto volentieri la proposta. «Saliranno altri prole oscura dai sotterranei e usciranno all'aperto.»

«E qual è la tua soluzione?» criticò, stufo marcio di quell'attaccamento morboso e ingiustificato alla sua persona. «Sarò una zavorra per voi.»

«Morirai rimanendo qui.» s'incaponì l'altro.

«Moriremo tutti se vengo.» ribatté. «Il segnale deve essere acceso, io vi rallenterei. Vuoi che il re muoia perché ti sei lasciato trasportare dalla pietà? Vuoi che Duncan muoia?»

Non avrebbe mai immaginato di trovare una qualche utilità per il dialogo tra il principe Jerem e il generale Mustock. Grazie ricatti morali de Il regno riconquistato capitolo sette.

Alistair era combattuto e aprì la ciabatta per poi richiuderla, come il pesce dall'intelligenza limitata che era, un chiaro segno di bandiera bianca. Era pronto a sedersi, aspettare che entrassero ed estrarre dall'attraente cranio un nuova brillante idea per rimanere vivo, libero da quei due. Fu Sereda, con una facciata solenne e determinata, schiena dritta e petto in fuori, a rovinare i suoi buoni propositi.

«Verrete con noi. Morirete affrontando la prole oscura, come un vero Custode Grigio.»

Spalancò la bocca, scandalizzato da una dichiarazione tanto incongruente con la sua personalità, tuttavia il cervello affaticato era paralizzato dalla battutona della donna e l'apparato linguistico non cooperò di sua iniziativa. E che avrebbe risposto, ad ogni modo? Era certo che lei lo avrebbe trascinato dentro contro la sua volontà. Maledetta. Maledetta, maledetta, maledetta...

«Spero mi concederete l'onore di perire coraggiosamente con due scarpe, almeno.» fu tutto ciò che la sua strabiliante scaltrezza riuscì a sfornare.

La nana annuì e Alistair lo afferrò per un braccio e lo tirò su senza sforzo, come se non avesse appena sterminato una decina di mostri (dove la pescava tutta quella forza?! Stronzo pure lui!). Si infilò il calzino e lo stivale di un defunto, poi scelse di sostituire anche il destro, dato il rinforzo dei calzari del soldato. E perché sinceramente, se proprio lo costringevano a soccombere, preferiva farlo evitando di assomigliare ad un pagliaccio.

Alistair lo sostenne fino al portone, che aprirono (niente benvenuto di frecce infuocate, grazie ad Andraste) e richiusero silenziosamente alle loro spalle. Da lì fu un delirio. Gli schifosi avevano perfino avuto l'acume di piazzare delle trappole! Per tutto il tempo lasciò che i guerrieri lo precedessero mentre lui aiutava alla meno peggio dalle retrovie, con qualche freccia che lo mancava merito dello scudo arcano. Dovette ammettere che la coppia era degna di un romanzo, falciavano nemici a ripetizione senza il minimo sintomo di stanchezza. Il massimo di fatica che compì il mago fu spaccare il cranio di un hurlock a bastonate, una sfacchinata immane con quelle testacce dure.

Superarono un gruppo, ne superarono un secondo, un terzo, poi un altro, insomma, arrivarono al terzo piano senza sapere esattamente come ce l'avessero fatta, e chi trovarono in cima alla torre sfigata con più di metà tetto crollato? Un ogre. La domanda era: come aveva fatto un ogre a giungere fin lassù attraverso quelle porticine- No, non se lo sarebbe chiesto, non ne voleva più sapere nulla, chissenefrega e arrivederci.

Seccato praticamente da tutto, passò ad un'offensiva feroce nella sua semplicità: evocò chiazze su chiazze di unto formando una grande pozzanghera su cui il bestione cornuto scivolò all'indietro; di nuovo evocò la sostanza oleosa sulla creatura dimenante e infine, sotto lo sguardo dubbioso dei compagni, gli diede fuoco. L'ogre diventò un grosso fantoccio infuocato che tentava inutilmente di scacciare via le fiamme sbracciandosi a destra e a manca, scivolando ripetutamente nella pozzanghera. In pochi minuti non si mosse più e le fiamme si estinsero.

«Così si sconfigge un ogre.» declamò in tutta la sua superiorità tattica.

«Metodo semplice ma efficace.» approvò sorridente Sereda mentre Alistair si tappava il naso per la puzza di bruciato e si complimentava.

«Per favore, accendiamo il maledetto fuoco, adesso.» sospirò, sollevato per la conclusione della missione ma fisicamente distrutto e privo di mana.

Il biondo si affacciò a una delle finestre e diede l'okay a Elmer che attizzò la legna accatastata in una sorta di camino che diventò una voluminosa torcia, visibile da chissà quale distanza.

Ecco fatto. Finito. Missione compiuta. Era vivo. Ora il generale Loghain poteva salvare la giornata sconfiggendo la marea oscura nella valle e riconquistando la torre mentre loro si barricavano lì, in attesa dei soccorsi che prontamente-

«C'è qualcosa di strano.» disse Alistair con la fronte corrugata.

«In che senso?» zoppicò verso di lui il mago.

Non ebbe modo di scoprirlo.

Un gemito inaspettato li fece voltare, soltanto per vedere Sereda accasciarsi sul pavimento con una freccia conficcata nella testa, il visino rotondo inespressivo, i prole oscura alla porta. E mentre altre frecce incontravano anche i loro corpi, l'ultimo pensiero di Elmer non fu “sto per morire, mamma aiuto”. Fu il ricordo del borgomastro che diceva alla donna di non avere un elmo della sua taglia.

 

“Cos'è questo odore di erbe?”

Sbatté gli occhi due, tre volte. Sopra di lui un soffitto povero e un po' sporco. Confuso, si chiese dove fosse. Si sorresse sui gomiti, sentendo alcuni punti della pelle stirarsi noiosamente. Era in una piccola casetta, in un letto con coperte calde e accoglienti. Peccato che Morrigan, la strega delle Selve scostumata, stesse rimettendo in ordine la libreria come fosse a casa sua. La fissò istupidito per vari secondi senza capire chi, cosa, dove, come, quando, perché. Come c'era finito lì?

«Ah, i tuoi occhi si sono finalmente aperti.» lo salutò di buon umore la ragazza. «Mia madre ne sarà contenta.»

Sua madre? La vecchia megera che si spacciava per Flemeth?

«Ciao.» si avventurò a minuscoli passi nel pieno della confusione mentale.

«Ciao.» replicò divertita lei. «Come ti senti?»

«Bene.» disse dopo svariati secondi di riflessione. «Sono stato ferito.» si accorse guardandosi e toccandosi il petto privo di segni ma sensibile.

«Ricordi la battaglia?»

«Sì.» disse dopo un'altra pausa, sforzandosi di rimembrare. «Ero in cima alla torre di Ishal. Ho acceso il segnale.»

«Ricordi mia madre?»

«Tua madre?»

«Ti ha salvato.»

«Mi ha...» iniziò, per poi bloccarsi di fronte al flashback di Sereda con una freccia nella testa.

E lui che si era lamentato del piede.

«Ti ha portato qui e ti ha curato. Le ferite erano gravi e hai avuto la febbre in questi tre giorni. Fortunatamente ti sei risvegliato.»

“Fermi tutti. Come diamine ha fatto?”

«Come ha fatto tua madre a salvarmi?» domandò perplesso.

«Si è tramutata in un grande uccello e ti ha ghermito in un artiglio, portandoti qui.»

«Oh.» commentò sagacemente, il suo cervello indeciso se credere o no a quell'improbabile verità. «Non stai scherzando, vero?»

«No.»

Non sembrava una che scherzava spesso.

Le chiese perché l'aveva salvato. Morrigan non lo sapeva, lei stessa si domandava perché non scegliere il re, più importante e ricco, ma ipotizzò che lui fosse l'unico che la vecchia fosse riuscita a raggiungere. Le chiese se lì, nella capanna in mezzo alle Selve, fossero al sicuro. La ragazza rispose che la magia della madre li proteggeva ma che una volta uscito dall'area sarebbe stato solo. Lo informò anche che parte della prole oscura, dopo aver sterminato l'esercito, aveva proseguito il suo cammino, quindi aveva buone probabilità di non incontrarli nelle Selve se procedeva con cautela. Elmer domandò che diamine era successo e lei fu lieta di soddisfare la sua curiosità. Il generale Loghain non era intervenuto, aveva abbandonato il campo condannando a morte l'esercito e il re; superstiti ce n'erano pochi, i fortunati erano sfuggiti alle grinfie dei mostri che al momento stavano banchettando con i cadaveri, trascinando sottoterra i corpi ancora vivi per ragioni misteriose.

Sinceramente non poteva fregargliene di meno, l'unica cosa che gli interessava era sapere della sorte dei Custodi Grigi poiché man mano che le facoltà intellettive ritornavano, un bellissimo futuro si stagliava al suo orizzonte: niente ordine dei Custodi Grigi, niente prove della sua sopravvivenza, niente cacciatori di teste a inseguirlo per diserzione. Un sogno.

“Sono libero. Il mondo a mia disposizione.” si emozionò, tuttavia si corresse immediatamente. “Siamo sicuri che ho vinto?”

Un ordine vecchio di secoli, esperto nel combattimento con quel particolare nemico, qualcuno doveva essere pur rimasto.

“Però io sono qui da solo, nessuno lo sa.”

«I Custodi Grigi?»

«Soltanto tu e il tuo amico, a quanto sembra.»

«Il mio che?»

«Il tuo amico. Quello con cui mi hai incontrato per la prima volta. Si è svegliato ieri. Continua a piagnucolare, rifiutando di credere a quello che è accaduto e al contempo disperandosi per le perdite e la sconfitta.»

«Alistair.» pronunciò in tono tutt'altro che contento, causando un'alzata di sopracciglio dalla sua interlocutrice, che ebbe l'accortezza di non indagare.

«Mia madre desiderava parlarti appena ti fossi ripreso. È fuori. Dopodiché potrete andarvene.»

Tsk, smaniosa di non avere ospiti tra i piedi, la ragazza. Non che gli importasse, aveva altro per la testa. Ma prima...

«Dove sono i miei vestiti?»



FINE SECONDA PARTE





Note dell'autore:
E ce la feciiiiiiiiii! L'ho riscritto in buona parte e completato durante questa settimana; una fatica immane, però stavolta sono veramente contenta del risultato. Mi sono anche fatta chiarezza io stessa: Elmer, saputo prima o dopo della modalità della prova, se la sarebbe filata ugualmente XD
E ora si ritrova nudo a casa di Morrigan. Eh, questi ragazzi che bruciano le tappe u_u
Ragazzi abbiamo finito Ostagar, ci siamo disfati di Sereda, di Duncan, del re, di tutti i Custodi Grigi del Ferelden, di una marea di altre persone che non conosceremo mai! *tira il fiato* Tranne ovviamente Hawke di Dragon Age 2 che non apparirà mai in questa storia ^^
Che altro posso dire? Che Elmer ha quasi vinto, deve soltanto assassinare Alistair nel sonno ed è a posto! Mwahahahaah! Vedremo quel che accadrà in futuro.

Come ultime cosucce, mi scuso per Flemeth: riguardando i filmati su youtube mi sono accorta che è Alistair a chiedere il nome della strega, dopo il massacro di Ostagar e non quando la incontrano inizialmente nelle Selve. Perciò mi spiace moltissimo per questa imprecisione >.<
Altro possibile errore è il numero di persone che risiedono nel Circolo del Ferelden: non ricordo se era specificato nel libro e non so se ho sparato una cifrona inventata nei capitoli iniziali della storia; spero che due centinaia sia una quantità accettabile se consideriamo che la torre ha cinque piani ed è bella grande. Voi che ne dite?
Poi se qualche buona anima mi dicesse se è più corretto scrivere "possibile" o "possibili" in questa frase "uccidendo quanti più mostri possibile", mi farebbe un grande favore. Ho sempre il dubbio. E occhi aperti per i miei errori di ortografia, conto su di voi!
E... basta XD Mi auguro che vi piaccia anche questo capitolo! Un bacione a tutti, godetevi gli ultimi giorni di agosto ^^
  
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