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Autore: Berenice88    25/08/2013    3 recensioni
Bryce è alla ricerca della bara perfetta dopo che i lavori per il suo mausoleo sono quasi terminati. Morton gli porta la notizia di una nuova bottega di intarsiatori che sembra promettere proprio quello che Bryce cerca. Peccato che l'artista non sia disposto a lavorare a domicilio, e così Bryce si scuote dalla propria indolenza per andare ad ordinare quella che sembra la bara perfetta per lui... peccato che la bottega sembri nascondere 1000 stranezze e che il mastro che vi lavora non sia proprio chi dice di essere...
Genere: Dark, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alfred Mortimer Morton, Bryce Vandemberg
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Cosa posso fare per voi mio principe?” disse Klaus facendo un inchino profondo che minacciava di strappargli le braghe di lana consunta sul sedere.
Bryce varcò con un guizzo della narice l'ingresso. “Potreste dare una pulita alla vostra bottega tanto per cominciare,” disse avvicinando il mantello al fianco per non farlo toccare con dei braccioli lignei da poltrona che sporgevano da un basso scaffale, il cui lucido dall'odore penetrante stava ancora asciugando, “e poi mettere dei vasi di fiori e dei sali profumati per rendere l'aria respirabile.”
“Scusate sire,” disse Klaus con aria compunta, abbassando la testa e guardando i piedi “ma il mastro non permette che si usino altri lucidi che quelli di sua preparazione per i vari tipi di legno, e nessuno di essi ha un buon odore, sebbene rendano qualsiasi legno eterno.” disse a mo' di scusa, alzando appena la coda dell'occhio per vedere il principe tapparsi il naso col lembo del mantello, ma accarezzare con occhi adoranti l'intarsio a forma di rosa che si allungava sui braccioli maleodoranti.
“D'altronde la bellezza merita pur qualche sacrificio.” bisbigliò Bryce, aspirando appena l'area circostante, inorridito dal lezzo, ma incapace di staccare gli occhi da quel disegno divino. Il mogano chiaro sull'ebano del bracciolo disegnava, petalo per petalo, la corolla vivida della rosa completamente aperta, al massimo del suo fulgore, un attimo prima che volgesse a sfiorire. La base dello stelo, di mogano scuro, sembrava proteggere l'attaccatura dei petali, e un gioco di sottili strati di noce scuro e betulla chiara disegnava i colpi della luce che veniva da destra sul fiore. Bryce ricordò un istante una favola che una volta sua madre gli aveva raccontato...

Era una sera fredda ma lui non aveva voluto saperne di dormire e una cameriera lottava per acciuffarlo mentre correva per la sua camera al castello di Aldenor. Le sue gambette di bambino di appena tre anni non sembravano trovare pace e si arrampicavano sui mobiletti e sugli sgabelli, poi eccola. La magnifica figura di sua madre aveva fatto capolino dalla stanza. I capelli ramati, lisci e vaporosi, incorniciavano un volto ovale dal colorito eburneo. Labbra rosee ed occhi azzurri, come i propri, erano atteggiati in un ghigno di rimprovero. Lui sorrise ergendosi sopra un mobiletto e azzardando un salto che fece sobbalzare la cameriera, ma il cui atterraggio fu più che perfetto.
“A letto.” disse sua madre, in un tono asciutto che nessuno al castello avrebbe contrariato. La bellezza di quella donna e il suo cipiglio incutevano soggezione.
“No!” Aveva detto lui con una linguaccia.
“Non accetto rifiuti da te principino, o vuoi che ti trasformi in una bestia?”
“Non ne saresti capace!”
“Io no, ma nel mio regno ci sono molte maghe che mi darebbero volentieri una mano, come Madama De Boumont.”
“Non è vero!”
“Sai cosa ha fatto lei al suo figlio disobbediente?”
“No, che gli ha fatto?” aveva risposto lui in tono di sfida.
“Te lo racconto se ti metti sotto le coperte.”
Bryce aveva messo il broncio, ma era andato a passo marziale, come se andasse al patibolo, sul letto, si era seduto e aveva buttato le coperte appena sopra le ginocchia.
La madre, con il suo ghigno sempre più addolcito si era avvicinata con il suo incedere cadenzato ed elegante, fino al bordo del letto su cui era seduta.
“Madama De Boumont era una maga molto potente e molto ricca, e arrivato suo figlio all'adolescenza, egli era tanto bello da sembrare un principe e così lei adoperò la sua enorme ricchezza e i suoi poteri per comperargli un regno e farlo prosperare. L'arroganza del fanciullo di fronte a tanto potere e ricchezza si accrebbe fino a diventare crudeltà verso i suoi sudditi, ma la dolce madre nulla credeva se non che la grande bellezza di suo figlio fosse anche del cuore e non solo del volto. Per far vedere ciò a tutti gli altri sudditi del regno di suo figlio, decise che si desse una grande festa, dove tutti sarebbero stati invitati e lì si sarebbe trasformata in una mendicante chiedendo ad un principe tanto generoso di ospitarla nella sua reggia di oro ed argento.
Ella così fece, a metà della festa sparì, andò fuori dal palazzo e cambio le sue sembianze di potente maga in quelle di mendicante. Il principe appena la vide inorridì, e ancor più inorridì della sua richiesta di pernottare nel castello d'oro ed argento. La madre allora vide che non vi era bellezza d'animo sotto quella del volto, e al colmo della disperazione maledì il suo stesso figlio, condannandolo a prendere le stesse orribili sembianze del suo animo. Egli divenne una bestia orribile e spaventò tutti gli invitati e gli abitanti del castello con ruggiti disumani. Riavutasi dall'ira, la maga si pentì della maledizione scagliata e cercò di porvi rimedio.
Evocò gli spiriti del tempo che la servivano e chiese loro di far germogliare una rosa che rimanesse fiorita un anno e un giorno. Preso nelle mani il fiore vermiglio ancora in boccio lo porse al figlio e gli disse 'Figliolo, ti dono questa rosa. Il suo ultimo petalo cadrà quando compirai ventun anni. Se per quel giorno avrai trovato una fanciulla che ami la bellezza del tuo cuore, allora, quando quest'ultimo petalo cadrà, ritroverai le tue sembianze umane, se non accadrà morirai da bestia come ora sei, col corpo e col cuore.' La bestia lanciò un latrato disumano e sua madre disparve, le porte del palazzo si aprirono, e l'inverno gelido penetrò nel castello, spegnendo i focolari e facendo fuggire gli invitati. Tutti fuggirono e il principe rimase solo, a regnare su un misero regno di tavoli imbanditi e solitari e di bicchieri vuoti.”
“E poi?” chiese Bryce vedendo un guizzo di incertezza negli occhi adorati della madre.
“Venne una ragazza da un regno lontano, attraversò le eterne tormente che avvolgevano il regno del principe. Nella sua bisaccia aveva solo un tozzo di pane e un libro di favole che magicamente sembravano non finire mai man mano che il suo cammino andava avanti. Arrivò al castello del principe ed era davvero il luogo ove ella desiderava arrivare. Entrò e vide lo sfacelo in cui giaceva il bel castello d'oro e d'argento, camminò per i saloni una volta fastosi e giunse nella stanza dove il principe si rintanava. Lo ammansì con parole dolci e sagge, lo convinse che grazie a lei ogni maledizione si sarebbe spezzata, che lei veniva da molto lontano solo perché aveva sentito la sua storia e tutto ciò che voleva era amarlo e liberarlo. Egli all'inizio era diffidente, ma pian piano credette alle parole della fanciulla, che man mano si accompagnavano agli atti, gesti di gentilezza verso di lui, una sera ella arrivò persino a baciare una delle orribili zanne che gli fuoriuscivano dalla bocca. Il gelo nel suo cuore si sciolse e egli credette che l'amore trovasse posto nel petto della fanciulla come nel suo. Contava i giorni che mancavano allo scadere dell'anno e del giorno e dalle sue giornate da bestia era sparita ogni tristezza.”
“E lei lo liberò?”
“Aspetta Bryce... ella una sera girovagava per il castello, che oramai era tutto a sua disposizione. In uno stipo brillava la rosa vermiglia forgiata dagli spiriti del tempo di cui ella aveva udito solo nella leggenda. Ella scostò la porticina di vetro e prese in mano la rosa. Era tutta fiorita, meravigliosa, profumata come le altre rose non sono, e fra pochi giorni avrebbe cominciato a sfiorire. Senza dire una parola la fanciulla sorrise, accarezzo con una mano la corolla piena ed aperta, strinse forte nel pugno quel fiore tanto delicato e in attimo strappò tutti i petali...”
“Ma mamma...”
“La bestia emise un latrato fortissimo, tutta la valle coperta dalle tormente risuonò del suo lamento. Egli sentì gli organi interni impazzire e liquefarsi e corse verso la rosa fonte della sua vita e della sua morte. La trovò morta e senza petali a terra e la sua amata accanto ad essa con le mani piene dei petali vermigli. 'Perché mia amata? Perché non hai voluto essere la mia regina? Perché mi uccidi?' gridò la bestia. 'Sciocco, altri non sono io che una maga. Volevo questo castello e questo regno per farne la mia sede, la mia eterna sede, dove regnerò più potente persino di tua madre.' La bestia distolse lo sguardo dalle sembianze della fanciulla che si trasformavano, ella divenne ancor più bella, il volto pallido, i capelli color del fuoco e le labbra dello stesso colore vivace, le vesti di porpora stringevano la sua figura formosa e l'aura del suo potere la rendeva lucente come una dea. Ella vide il principe contorcersi negli spasmi della morte e cadere a terra, soffiò verso di lui col suo alito incantato i petali vermigli che lo avvolsero dandogli la morte e poi ricadendo a terra con lui e ridandogli le antiche sembianze.”
“E poi mamma?”
“Poi nulla tesoro mio. Lei diventa principessa e nessuno osa sfidare il suo regno.”
“Ma il principe...”
“Il principe era uno sciocco crudele, piccolo mio, non meritava di essere amato ed è per questo che muore. Non ha fatto nulla per salvarsi, non è diventato buono e degno, ma ha solo aspettato che un'altra maga come sua madre gli rendesse la vita bella. Qui sta la sua stupidità. Tu farai di tutto Bryce per essere un principe buono e degno?”
“Certo mamma, non voglio che mi odi e mi trasformi in una bestia...”
“Bravo e...”
“...e non voglio nemmeno fanciulle che girino per casa!”
“Ottimo piccolo mio.” rise la madre con le sue labbra eternamente rosee. Gli posò un bacio in fronte e con altri due gli chiuse gli occhi. Gli tenne la mano per un po' finchè Bryce non si addormentò, sognando una rosa vermiglia e bellissima.

“Gradite le rose, mio principe?” disse una voce seducente alle sue spalle. Bryce si scosse dal ricordo e rifocalizzò la rosa sul bracciolo avanti a sé. Si voltò con una grazia fuori del comune e vide una figura incappucciata finire di scendere le scale che conducevano al piano sopra.
“Scusate il lezzo e il gelo maestà, ma i miei intarsi hanno bisogno di questi lucidi e di questo freddo invernale per indurirsi a sufficienza.” disse la voce profonda e dolce.
Le sue mani candide e piene di tagli e calli andarono al cappuccio, abbassandolo, e rivelando una testa di donna assai dimessa. La pelle pallida per il chiuso copriva il tondo del viso, le labbra rosse e screpolate lasciavano sfuggire piccole nuvole di condensa e gli occhi neri lo fissavano stringendosi appena, rivelando la loro miopia. Dei capelli color del mogano scuro erano sistemati in fitte trecce che non permettevano ad una sola ciocca di infastidire il volto.
“Siete un'aiutante del mastro, signora?” chiese Morton, e solo allora Bryce si ricordò del maggiordomo appena un passo dietro di lui.
“No signore, scusate, ma il mio garzone non si è ben spiegato e la parola non è uno dei suoi doni. Io sono Mastro Rosabelle Erven, ma i miei garzoni mi chiamano solo mastro e Klaus deve aver scordato di dirvi che sono la nipote e allieva di mio nonno, il precedente intarsiatore Tobias Erven.”
Bryce la scrutò per un momento. Una fanciulla davvero sciatta... da quelle mani poteva esser venuto il suo meraviglioso ritratto? E quella rosa?
“Avete fatto voi questo?” chiese Bryce tirando fuori da sotto il mantello il piccolo modellino della bara intarsiata.
“Si signore, ho visto un vostro ritratto e ho saputo che eravate in cerca di una bara tra le più magnificenti, e ho pensato di provare a fare un modellino. Spero che il ritratto vi sia piaciuto.”
“Mediocre davvero,” sibilò Bryce, agghiacciando sempre di più per la sorpresa-- era proprio lei l'artefice, “ma è impossibile non notare la vostra abilità coloristica con i legni. Se deciderete di fare un ritratto più degno dell'originale credo proprio che vi affiderò la commissione, premesso che prima dovrete prendere gli accordi con Morton per le misure della bara, odio quelle che stanno strette sulle spalle.”
“Certo signore...” annui lei, sorridendo, “avrò bisogno che posiate per farmi fare uno schizzo. Potervi ritrarre dal vero sarà meglio che da ritratto.”
“Bene, e sia. Tornerò domani e vi prego di rendere la stanza di posa più accogliente della vostra bottega.”

  
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