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Autore: silvia_arena    27/08/2013    4 recensioni
Rimasero lì per qualche istante, immobili; entrambi con i respiri pesanti, entrambi spaventati per la sorte dell’altro.
Fu lei a rompere il silenzio.
«Connor.»
Lui levò lo sguardo su di lei, non ancora calmo.
«Credevo che i tuoi incubi fossero finiti.»
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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Nightmares


 

La ragazza fu svegliata da un forte rumore, un tuono accompagnato da un fulmine che squarciò il cielo e illuminò l’intera camera. Sobbalzò dalla paura: un altro rumore giunse alle sue orecchie. Un altro tuono? No, sembrava più uno sparo.

Che gli uomini di Charles Lee li avessero trovati? Eppure la tenuta di Achille sembrava inespugnabile.

Rimase immobile, tremante di paura. Doveva rimanere lì ad aspettare che la trovassero e la uccidessero, o peggio? Oppure avrebbe fatto meglio a uscire allo scoperto e magari tentare una via di fuga?

Mentre il suo cervello farneticava, udì un suono, un gemito di lotta. Connor.

Egli era un Assassino, sarebbe stato sicuramente capace di cavarsela. Ma se fosse stato colto di sorpresa?

Non esitò, uscì da sotto le coperte e spalancò la porta, correndo per le scale alla ricerca del giovane nativo.

I suoni persistevano, provenivano dalla sua camera da letto. La ragazza si armò con ciò che trovò accanto alla porta: un vecchio bastone di legno. Non avrebbe potuto molto contro una pistola, ma almeno sarebbe stata capace di difendersi.

Aprì la porta con tutta la forza che possedeva, puntando il bastone contro... nessuno.

Connor era sul letto, in ginocchio, la schiena piegata in avanti, gli abiti d’Assassino ancora addosso. Stava prendendo a pugni il cuscino con una potenza mortale: se quel cuscino fosse stato un uomo si sarebbe ritrovato col cranio fracassato.

I suoi gemiti erano sempre più forti; la ragazza sapeva cosa doveva fare: impedire che Achille lo sentisse.

«Connor» sussurrò, posando a terra il bastone e chiudendo la porta alle proprie spalle. Lui non la sentì. Era sonnambulo?

Ripeté il nome dell’Assassino più volte, avvicinandosi a lui e toccandogli la spalla, ma nulla: egli continuava a colpire il cuscino, irrefrenabile.

«Ratonhnhaké:ton!» Non sapendo che fare, si sedette sul letto davanti a lui, tentando di fermare i suoi pugni. «Smettila, stai sognando!»

Connor si svegliò di soprassalto, immobilizzando la ragazza per le spalle e facendo scattare la lama celata vicino alla sua giugulare.

Lei trasalì dallo spavento. Nonostante Connor la riconobbe quasi immediatamente, restò lì, ansimante, preso ancora dalla furia del suo sogno.

«Io... lo ucciderò» esalò l’Assassino. «Charles Lee è un uomo morto.»

Poi, come resosi conto solo in quel momento che la persona che stava minacciando non era Charles Lee, ritirò la lama. Tornò in sé, guardandosi intorno.

La giovane era ancora spaventata a morte.

«Che ci fai qui?» le chiese Connor. «Sei pazza?» domandò con più insistenza, guardandola male. Il suo corpo, vestito dell’armatura d’Assassino, addobbato con tutte quelle armi, torreggiava sopra quello esile e quasi spoglio della ragazza, coperta solo da un leggero vestito per la notte.

«Avrei potuto...» continuò Connor, ma poi s’interruppe, incapace anche solo di realizzare che se non si fosse reso conto di chi aveva davanti, avrebbe potuto uccidere un’innocente.

«Credevo... ci fosse... qualcun altro...» ansimò la giovane. «Volevo...»

«Volevi cosa?» la interruppe Connor, adirato. «Gettarti fra le braccia del nemico? Sei una sciocca!» tuonò, per poi sbattere con forza la mano sul letto, facendo sussultare la ragazza.

Rimasero lì per qualche istante, immobili; entrambi con i respiri pesanti, entrambi spaventati per la sorte dell’altro.

Fu lei a rompere il silenzio.

«Connor.»

Lui levò lo sguardo su di lei, non ancora calmo.

«Credevo che i tuoi incubi fossero finiti.»

L’Assassino rimase a fissarla, per poi socchiudere gli occhi e, con un sospiro, liberarla dal peso del suo corpo. Si alzò dal letto e camminò per la stanza, e parlò solo quando la ragazza si mise a sedere sul letto.

«Non riesco a controllarli» confessò Connor. «Ogni notte...» mormorò. «Ogni notte rivedo il mio villaggio bruciare. Mia madre...» strinse gli occhi, preso dal dolore dei ricordi. «I miei amici...»

La giovane si alzò e gli posò una mano sulla spalla. «Allora perché mi hai detto che stavi bene?»

L’Assassino sospirò. «Per non darti ulteriori pensieri.»

La ragazza non esitò: con un sospiro gli gettò le braccia al collo, catturandolo in un abbraccio non subito ricambiato. Connor era immobile per la sorpresa. Poi, come le braccia dalla giovane si stringevano intorno al suo collo, quelle dell’Assassino si strinsero intorno alle sue spalle e ai suoi fianchi. Inspirarono l’odore dell’altro.

Connor sapeva di foresta. Quella da cui era tenuta sempre lontana, per paura che le guardie di Charles Lee potessero trovarla. La foresta che si estendeva davanti alla sua finestra, che bramava da giorni esplorare, odorare. Tutto si realizzò abbracciando Connor.

La ragazza sapeva di casa. Non la sua casa bruciata, che gli fu portata via. Una casa sicura, dove avrebbe sempre trovato conforto, affetto... amore.

La giovane sciolse lentamente l’abbraccio, tenendo le mani sulle spalle dell’Assassino, come una madre in procinto di fare una raccomandazione al proprio bambino.

«Ti voglio bene, Connor» constatò.

L’Assassino si perse nei suoi occhi. «Anch’io» replicò, per poi stringerla di nuovo a sé, facendole poggiare la nuca sul proprio petto e accarezzandole i capelli.

In quel momento entrambi si sentirono al sicuro e protetti.


 


Scrivo cose senza senso e senza trama. Chiedo venia.

   
 
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