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Autore: Cathy Earnshaw    31/08/2013    3 recensioni
"Era una calda serata estiva, di quelle che restano incollate addosso con il loro profumo di fiori e di rosmarino, con il frinire delle cicale, con le risate degli amici. Tutta la popolazione della piccola cittadina di Pothien si era riunita nella piazzetta principale. La musica colorava con le note eteree dell’arpa le serate del Nord della Terra dei Tuoni, e i cantori narravano le loro storie affascinanti a chiunque le volesse ascoltare."
Non è un'introduzione, lo so..ma credetemi se vi dico che è ancora tutto troppo vago anche per me per poter scrivere un'introduzione coerente ;) Vi piaciono i racconti con maghi, elfi, duelli e lunghi viaggi in terre desolate? Benvenuti nella Terra dei Tuoni, amici!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Sophia sapeva essere davvero veloce, e Liam se ne rallegrava. Non aveva tempo da perdere, orchi o non orchi non avrebbe rallentato né deviato il suo itinerario. Se anche qualcuno avesse avvistato i due cavalli e i loro cavalieri e avesse pensato di seguirli, non sarebbe mai stato in grado di tenere il passo. Quanto alla possibilità di capitare a tiro di freccia, la cosa non lo impensieriva: non sarebbe stato troppo impegnativo proteggersi. Abigail era taciturna, e la cosa non lo faceva sentire troppo tranquillo. Temeva che stesse architettando qualcosa alle sue spalle. Ma in ogni caso era certo che non sarebbe riuscito a scoprirlo, se non troppo tardi.
Avrebbero cavalcato fino al tramonto e non si sarebbero fermati neppure quando il cielo si fosse riempito di stelle. Liam era stanco, ma non osava nemmeno pensarlo. Ora che il traguardo era tanto vicino, sarebbe stato disposto a sfinirsi pur di raggiungerlo con mezza giornata di anticipo.
 
Le strutture basse del porto di Riva avevano un aspetto semplice e rassicurante, pensò Chloé sbarcando. Per tutto il resto del viaggio, James non si era fatto vedere. Si era chiuso nella propria cabina, e la ragazza non desiderava scoprirne il motivo, anche se una parte di lei si augurava che volesse semplicemente riposare. Era ricomparso solamente al momento dell’attracco, e sembrava abbastanza lucido, ma i suoi movimenti erano più lenti e leggermente scoordinati.
“Scacco matto”, pensò Chloé con amarezza.
Ruben ci aveva visto giusto, su quel luogo: il ricordo degli elfi era ancora vivido nei cuori dei cittadini, e gli amici degli elfi erano considerati amici della città. Il Governatore accolse fraternamente il Maestro e lo introdusse nel suo palazzo, che più che un centro del potere sembrava una comunissima abitazione. James, invece, prese il suo posto d’onore al centro della piazza e attaccò con il solito discorso, provato e riprovato, ma che riusciva sempre ed immancabilmente a far apparire spontaneo. Chloé non aveva voglia di ascoltarlo, ormai lo conosceva. Chi erano, perché erano lì, com’era la situazione al di fuori dalle mura della città X, che cosa pensavano di fare per risolverla… Non che avesse molta importanza stare lì a discuterne, quella gente si beveva ogni parola! Forse perché l’oratore descriveva i progetti di Ruben in toni estatici e lievemente euforici. La ragazza si limitava a sorridere e ad annuire ogni tanto distrattamente, consapevole solo dei raggi caldi del sole che ogni tanto filtravano dal cielo nuvoloso, e della brocca d’acqua che teneva tra le mani, a disposizione di mastro-pipa. Inutile bere, doveva evitare di fumare. Riemerse da quel torpore solo quando l’applauso della folla esplose, svegliandola.
«Ti senti bene?» domandò James porgendole il bicchiere perché lo riempisse.
Chloé sbatté le palpebre, colta da un lieve giramento di testa.
«S-sto bene» mormorò.
James la squadrò, scettico.
«Sì, certo. E io sono un drago. Dai, vieni con me, devi mangiare qualcosa, sei verde.»
Scambiò qualche parola con uno degli uomini del Maestro, e se la trascinò dietro, fuori dalla folla.
Chloé lo seguiva meccanicamente, con le gambe molli. La testa non la smetteva di girare. Si accorse appena delle mani di James che la spingevano a sedere su un muretto e dei suoi occhi che la fissavano preoccupati.
«Hai pranzato, oggi?» domandò.
La ragazza scosse cautamente il capo.
«In nave mi viene la nausea…» gemette.
«Hai un calo di zuccheri. Non cadere» le disse, mentre frugava nella bisaccia che portava a tracolla ed estraeva un grosso involto.
«Che cos’è?» farfugliò quando le porse una specie di mattonella appiccicosa.
«Si chiama croccante. È fatto con le nocciole caramellate. Dai, mangia, starai meglio» disse gentilmente.
Chloé morsicò, obbediente, e masticò a fatica. Era troppo dolce, troppo colloso, e decisamente troppo faticoso da mangiare.
«E se mi rompo un dente? È troppo dura sta roba. Se me lo romperò e sarò orribile sarà solo colpa tua» protestò dopo il terzo boccone.
James ghignò.
«Se la tua acidità è proporzionale al tuo livello di salute, direi che sta passando…ma non devi saltare i pasti, Clo. Non puoi stare in piedi sotto il sole tutto il giorno a stomaco vuoto.»
Chloé deglutì l’ultimo pezzo e constatò che la testa non girava più. Si pulì le mani in un fazzoletto, sistemò la gonna e si passò le dita tra i capelli, cercando di reprimere l’istinto che la portava verso litigio certo. Ma non le riuscì.
«Bel coraggio, hai, a farmi la morale! Credi che non mi sia accorta che ti sei fatto di nuovo?» sbottò infine.
James si irrigidì.
«Non sono affari che ti riguardano» sibilò.
La ragazza si impose di non perdere le staffe più del dovuto.
«Tecnicamente lo sono. Io e te lavoriamo insieme, che ci piaccia o no. E come può creare problemi a te che io svenga e cada come una pera matura, così non rende tranquilla me sapere che tu potresti restarci secco con una dose sbagliata, oppure-»
«Basta! hai già detto abbastanza!»
Imprecando a mezza voce, James se ne andò, lasciandola sola e depressa. Tuttavia, Chloé non riuscì ad arrabbiarsi. Era preoccupata per lui, era così difficile da capire? Si prese la testa tra le mani e sospirò.
«Vorrei davvero riuscire ad odiarti, Jamie» gemette.
Prese un respiro profondo prima di obbligarsi a scendere da quel muretto e tornare al lavoro.
Il pomeriggio trascorse con lentezza estenuante. Ruben si unì a loro per festeggiare il suggello dell’alleanza, in occasione del quale il Governatore aveva fatto chiamare il miglior musico della città perché si esibisse in piazza. Così, dopo aver potuto apprezzare l’arpa e le focacce al miele tipiche della zona, qualche cittadino improvvisò delle danze popolari. Gli abitanti di Riva non si fecero pregare e scesero in pista. La notte buia era rischiarata dalla luce calda delle torce e la musica vivace sembrava rimbalzare sul tetto di nubi e tornare giù amplificata.
«Non balli, bionda?»
Ruben si lasciò cadere sullo sgabello accanto a Chloé. Aveva il fiatone.
«Non sono dell’umore giusto, capo» rispose quella con un sorriso tirato.
Il Maestro si asciugò la fronte con una manica della camicia.
«Capisco. Sei stanca, vero?»
La ragazza lo guardò perplessa. Sembrava un po’ alticcio.
«Non temere, potrai rifarti domani!»
«Domani?»
Ruben annuì.
«Domani, a Spleen, ci sarà un ballo in onore delle future nozze del figlio del Governatore, e noi parteciperemo.»
Chloé storse il naso. Non aveva vestiti abbastanza eleganti con sé.
«Ci saranno anche Oliandro e Rowena» aggiunse alzandosi e lasciandola sola.
La ragazza tornò a guardare la piazza. La gente ballava e rideva, e lei stentava a riconoscersi. In altri momenti non sarebbe mai rimasta ai margini in quel modo. Sbuffò.
Un’ombra le si parò davanti, costringendola ad alzare gli occhi. Un uomo le tendeva la mano.
«Un ballo?» disse.
Chloé distolse un momento lo sguardo, cercando di elaborare un rifiuto garbato. Per un momento intravide James in compagnia di una ragazzina dallo sguardo adorante. Reprimendo una fitta di irritazione tornò a guardare l’uomo che le stava davanti. Gli dedicò il migliore dei suoi sorrisi e prese la mano che le offriva.
 
La sponda del Lago Otre, ancora lontana, era costellata dai fuochi degli accampamenti. Fermarono i cavalli per mangiare qualcosa e riposare.
«Se tutto andrà secondo i piani, domani a quest’ora potremmo essere intenti a guadare il Morgael, a Ovest di Bosco Lossar» disse Abby.
«Conto le ore, strega.»
Abigail ghignò.
«Forse è meglio che inizi a pensare ad una scusa con cui presentarmi dai miei amichetti.»
Liam si domandò, ancora una volta, se non ci fosse stato sotto qualcosa che lui non riusciva a vedere. Va bene la carenza di stregoni e tutto il resto, ma come poteva essere così rilassata? Nonostante la stanchezza e l’emicrania, il mago insistette per ripartire subito. Mentre cavalcava era certo di non addormentarsi, e mentre era sveglio era certo che lei non sarebbe fuggita con il suo prezioso bagaglio, lasciandolo, come il più fesso dei fessi, solo e circondato dagli orchi.
La notte di viaggio sembrava non finire mai. Senza la luce della luna, coperta da uno strato di nubi che si faceva via via più spesso, Liam non riusciva a valutare lo scorrere del tempo. E non poteva fare a meno di porsi e riporsi gli stessi interrogativi, destinati a non trovare risposta. Per esempio, che cosa avrebbe deciso di fare Irthen una volta risvegliato? A quello stato dei fatti, Liam non poteva pretendere da lui che se ne tornasse a Pothien senza fiatare, luogo che, per altro, non sarebbe stato più sicuro di Natìm. La guerra era alle porte, e nonostante si andasse verso i mesi freddi dell’anno era evidente che il conflitto non avrebbe atteso la nuova primavera. Ma Irthen non era un mago, e non era di certo una folgore con la spada. Se avesse scelto di combattere, avrebbe potuto imporgli il proprio volere e impedirglielo? Una volta, forse, ma non dopo quello che era accaduto. E di Abby che cosa gli avrebbe detto? Che gli aveva fatto credere di essere interessata a lui solo per fregare suo fratello? Oppure che era davvero infatuata, ma la sua natura intimamente e irreversibilmente stronza l’aveva spinta a raggirarlo comunque? Forse, il meglio che poteva fare, da responsabile fratello maggiore, era dirgli la verità, e nulla più. E se Ir era davvero innamorato di lei, poteva decidere di lasciare lui, Amina e tutti gli altri per schierarsi con gli stregoni? Quello era un dubbio atroce che fino a quel momento era riuscito ad ignorare. Ma ora, nel silenzio della campagna buia, si era insinuato nel suo cuore, dandogli le vertigini.
 
Nonostante la nausea persistente, Chloé rimase al sicuro da incontri nefasti nella propria cabina fino all’attracco nel porto di Spleen. Dopo di ché, si limitò al minimo indispensabile di interazioni personali, anche con Ruben, che pagava così il fio di colpe altrui, e Chloé lo sapeva bene ma non poteva fare a meno di essere acida.
La festa di Riva si era conclusa come prevedibile: fiumi di birra e lei che, mezza sbronza, si era lasciata trascinare in un vicolo da un tizio di cui non ricordava nemmeno la faccia. Incredibile come riuscisse ancora, dopo tutti quegli anni, a guardarsi allo specchio.
Sbarcò in compagnia dell’altrettanto prevedibile mal di capo e si accodò alla carovana di gente che lasciava la nave. Alla maggior parte di quelle persone non si era mai nemmeno preoccupata di domandare il nome, e non le interessava minimamente. Perché si era andata a cacciare in quel viaggio assurdo? A volte stentava a ricordare, sopraffatta dalla preoccupazione per la guerra incombente, per Irthen moribondo, per Joel tutto solo a casa, per quell’idiota permaloso di Jamie che credeva che la sua vita appartenesse solamente a lui, e invece non aveva capito un accidente! Le ci voleva poco, però, perché tutti i suoi buoni propositi riemergessero di colpo: era per Liam che si era lanciata in quel casino improponibile, per aiutare lui, che da bravo pseudo-pacifista qual era non era stato capace di prendere una posizione definita. E per Liam poteva sopportare qualunque cosa.
Spleen era una città grande quanto Effort, e il Maestro aveva suddiviso la giornata sulle piazze principali, quelle che intendeva far visitare loro. Chloé sapeva che sarebbe stata un’altra giornata pesante, fatta di sorrisi falsi, rassicurazioni vuote, e di James con quell’aria da mastino stitico che si era incollato sulla faccia il giorno prima e che le faceva venire voglia di prenderlo a calci. Il cielo, però, minacciava pioggia: se non altro non avrebbero preso un’insolazione. Meglio bagnati, dopotutto. E poi, la prospettiva della serata la rallegrava lievemente, non tanto per il ballo in sé quanto per la presenza di Rowena, che di certo avrebbe condiviso con lei la sua sofisticata acidità.
 
«Sicura che sia una buona idea, Abby?»
Alle prime luci dell’alba era stato evidente che la situazione sarebbe peggiorata ulteriormente. Le campagne erano bruciate, le cittadine sprangate, e gli accampamenti di orchi andavano via via aumentando.
«Vorrei tanto sapere da dove sono sbucati tutti quelli…» mormorò la ragazza storcendo il naso.
«Abby?» insistette Liam. «Sei certa che sia una buona idea buttarci nella mischia? Una volta che ci avranno avvistati non avremo la possibilità di ripararci, se non con la magia. Potremo solo proseguire. E non abbiamo dormito, siamo stanchi, sia noi che i cavalli…»
Abigail annuì. Si scostò le treccine dagli occhi e misurò lo spazio a disposizione con la mano aperta. Liam si domandò se ci riuscisse davvero o se fosse solo coreografia.
«Siamo pronti, mago, sì?»
Liam aprì la bocca per protestare, ma non gliene lasciò il tempo. Lo stregone spronò Luce, e a lui non rimase altro da fare che seguirla e pregare di uscirne vivo.
Erano ancora lontani quando i primi orchi si accorsero della loro presenza e diedero l’allarme. Tuttavia, il mago notò con sollievo di aver valutato male le distanze. Lo spazio a disposizione per il passaggio tra i due accampamenti era maggiore del previsto. Gli orchi si erano già riversati fuori quando imboccarono la strettoia.
«Quelli di destra sono orchetti, Li’, occhio alle frecce!» gridò Abigail, parando con la magia i primi attacchi.
Liam seguì il suo esempio e si riparò. Decine di dardi cozzarono sul suo scudo, spezzandosi e mandando scintille. Da sinistra, gli orchi correvano verso di loro, cercando di intercettarli. Allontanò quelli più vicini con una scarica di energia, e vide Abby estrarre la spada. Nella giornata  nuvolosa, la pietra nera sembrava assorbire ogni residuo di luce.
Nei momenti che seguirono, Liam non poté fare altro che smettere di pensare e lasciarsi guidare dall’istinto: frecce e lance piovevano su di loro ininterrottamente, e qualche orco armato di spada tentava di aggirare le loro difese. I due cavalli galoppavano veloci, senza esitazioni, verso Nord.
Improvvisamente, la pioggia di dardi si placò. Orchi e orchetti grugnivano imprecazioni nella loro lingua gutturale, ormai impossibilitati ad attaccare. I due fuggitivi erano fuori tiro, e Liam sì compiacque della velocità di Sophia, e ovviamente non poté fare a meno di sentirsi in colpa nei confronti del suo povero Baio. Tirò un respiro di sollievo, senza pensarci nemmeno a guardarsi alle spalle.
«Mettiamo quante più leghe possibile tra noi e loro, Abby» gridò affiancandosi a Luce.
Abigail annuì, ma uno spasmo di dolore le attraversò il viso.
«Che ti prende?» domandò Liam, sentendosi stringere lo stomaco dall’ansia.
La ragazza scostò il mantello: la camicia era macchiata di sangue.
«Sei ferita?!» esclamò Liam. «Dobbiamo fermarci subito!»
«No! Non sarebbe di nessuna utilità. E poi mi ha colpita solo di striscio. I poteri stanno già rimarginando la ferita, perciò zitto e vai!»
Il mago avrebbe voluto obiettare ma si trattenne. La solita vocina cattiva nel suo cervello proruppe in una risata isterica.
“Ci pensi, Li’? Con tutti gli orchi che ci sono tra qui e Natìm devi pregare con tutta l’anima che sopravviva…e tra poche settimane dovrai cercare di farle la pelle!”
La sorte, a volte, sapeva essere davvero meschina…
Quando fu assolutamente certa di essere abbastanza lontana dai nemici appena incrociati e, al contempo, riparata da eventuali occhi indiscreti, Abigail acconsentì a fermarsi. Lasciò che Liam esaminasse la ferita al fianco, e il mago non poté fare a meno di rabbrividire: nonostante non fosse affatto il graffio che lei aveva dipinto, era già quasi completamente rimarginata. Erano dunque quelli i poteri degli stregoni? Oppure era una particolare attitudine della sola Abigail? E come poteva porle a bruciapelo una simile domanda senza che si insospettisse? Tre di quei cosi che si autoguarivano alla velocità della luce, in una guerra, potevano costituire un bel problema… Ruben non ne sarebbe stato per nulla contento.
«Allora?» sbottò Abby. «Soddisfatto, adesso?»
«Sì» mugugnò. «Come ha fatto a colpirti?»
Abigail si strinse nelle spalle.
«L’ho sottovalutato. Ho aspettato un secondo di troppo ad innalzare lo scudo. Possiamo ripartire ora, sì? Non possiamo perdere altro tempo se vogliamo attraversare il Morgael prima dell’alba…»
Liam la aiutò a rimontare in sella.
«Senti, ma…questa cosa delle ferite che si rimarginano…» tentò.
«Non ci pensare, tesoro. Ho perso un po’ di sangue e la mia camicia preferita è da buttare, ma non sono ancora così rincoglionita!»
Liam sbuffò, imprecando mentalmente.
Nel corso della giornata, si trovarono costretti ad altre fughe simili. Aggirarono le cittadine, per non perdere troppo tempo e non rischiare di restare bloccati in un coprifuoco o in un assedio. E accolsero con sollievo il profilo del Bosco Lossar, che dal primo pomeriggio divenne una compagnia confortante. Tuttavia, qualcosa rendeva Liam inquieto. Per prima cosa, ogni traccia di presenza nemica sembrava scomparsa. E ricordava bene che, mentre era in viaggio verso Lumia, aveva captato l’eco di una battaglia. Sapeva che sarebbe stato sciocco confidare in una vittoria schiacciante, che era molto più probabile che le truppe accampate nei paraggi si fossero spostate in prossimità della zona calda. Ma se questa si fosse trovata sulla sua strada, che cosa avrebbe dovuto fare? In secondo luogo, poteva essere matematicamente certo di non trovarci anche un drago, in compagnia degli orchi?
 
Rowena la guardò, con la testa inclinata di lato e un ciuffo – deliberatamente lasciato libero dalla crocchia – che le cadeva sul nasino a punta. Dopo un lungo momento annuì e accennò un sorriso.
«Ma sì, sei mortale e un po’ cicciottella, ma non sei male.»
Chloé la guardò storto.
«Cicciottella?! Guarda che sei tu quella fuori categoria! Gli umani non sono esili come gli elfi» sbottò.
«È quello che intendevo dire. Ti aspetto fuori.»
Chloé aspettò che l’elfa uscisse prima di concedersi un lungo sospiro. Troppe notizie in pochi minuti. Quando Rowena e Oliandro erano arrivati a Spleen, Ruben aveva convocato una riunione strategica. Le notizie non erano granché buone: si combatteva ad Est e ad Ovest del Lago di Nebbia, e i due minuscoli contingenti, seppur a fatica, sembravano in grado di resistere. Liam si dirigeva velocemente verso Natìm, e presto sarebbe stato al quartier generale con tutto l’occorrente per rimettere Irthen in sesto, ma con lui c’era uno stregone, e non era ancora chiaro come avesse intenzione di toglierselo dai piedi. La trattativa con gli Unicorni non era ancora andata in porto, nonostante gli sforzi diplomatici di Horlon e di suo nipote. Di Lukas più nessuna traccia, e Micael si stava accaparrando la fedeltà delle città dell’Est e del Sud. La mattina successiva, quindi, Oliandro sarebbe andato in soccorso ai maghi stanziati ad Ovest, Rowena a quelli ad Est, James e Chloé sarebbero rientrati a Natìm in attesa di ordini, mentre Ruben sarebbe passato da suo padre a Phia. La loro presenza al ballo di quella sera, invece, aveva come scopo fare bella mostra dei due elfi e far parlare del Maestro in termini d’ammirazione. Perciò, sorriso finto e modi cordiali. Chloé sospirò di nuovo. Non aveva mai avuto così poca voglia di partecipare ad un ballo in vita sua.
«Il tuo ingresso nell’alta società, bionda. Dovresti esserne entusiasta…» mormorò rivolta allo specchio della stanzetta che il padre del futuro sposo aveva messo a disposizione sua e di Nana.
Se non altro, aveva rimediato un vestito. Non era decisamente nel suo stile, troppo serio, di un rosso così scuro, con il collo alto, i bottoncini di perle e le maniche ai gomiti. Più si guardava, più si sentiva vecchia. Forse, la colpa era delle occhiaie che il trucco faticava a mascherare, e dei capelli di quell’assurda tonalità biondo rame che faceva a pugni con l’abito.
“Cara grazia che ho trovato qualcosa che ti va bene tra la mia roba!” aveva detto Rowena.
Bello sforzo, faceva lei! Con un sacco di patate toglieva il respiro…
Tentò, invano di legarsi i capelli. L’emicrania non le dava tregua da un paio di giorni. Razionalmente sapeva che la causa era la carenza di sonno, ma una parte di lei non poteva fare a meno di addossare la colpa a James. Ci rinunciò, e uscì dalla stanza domandandosi se qualcuno si sarebbe scandalizzato della sua indecenza.
Le sale allestite per la serata di gala erano troppo addobbate per i suoi gusti. Una serie di ambienti circolari, decorati con nastri e ghirlande di fiori, perché sembrasse un susseguirsi di padiglioni in un ricco giardino. Persino l’aria sembrava satura del profumo di fiori di campo. Chloé storse il naso. Il futuro sposo stava al centro della sala principale a scambiava convenevoli con tutti gli invitati che gli capitavano a tiro. La ragazza girò alla larga, augurandosi di non incapparci per disgrazia. Sarebbe stato imbarazzante spiegargli che non aveva la minima idea di chi fosse…
«I balli, a Lumia, sono molto più raffinati» sussurrò Rowena quando Chloé l’ebbe raggiunta.
Sorrise.
«Anche gli elfi organizzano balli, Nana?» domandò.
«Perché non dovrebbero?» rispose scandalizzata.
«Perché non sembra un passatempo da immortali, è evidente!» intervenne Oliandro, comparendo alle loro spalle. «Tuttavia, Clo, non tutti siamo antipatici come mia sorella, quindi a qualcuno fa piacere stare in compagnia in modo un po’ meno…”formale”, e farsi quattro salti ogni tanto.»
«Oh, stai zitto, Dodo! Sai che rottura l’eternità senza balli?! E poi è un ottimo modo per socializzare» aggiunge con un sorriso cortese accettando l’invito di un cavaliere che la invitava a ballare.
«Se non altro, mentre balla starà zitta» mormorò.
Chloé ridacchiò.
«Che dici, biondina, lo balli qualcosa con me?» domandò l’elfo in tono amichevole.
Chloé si concesse un po’ di tregua dai pensieri negativi. Ballò con Oliandro e con qualche altro invitato. Alcuni la tempestarono di domande su Ruben e i suoi uomini, sui maghi, gli incantesimi che aveva visto loro fare. Un temerario pensò perfino di chiederle che tattica avrebbe adottato in vista della guerra. Cercò di rispondere gentilmente alle domande, eludendo nel modo meno evidente possibile quelle inopportune, e domandandosi che fine avesse fatto il Maestro, che non si era ancora fatto vedere. Intravide un paio di volte James, e si ritrovò inconsapevolmente a domandarsi come potesse essere ballare con lui. Malgrado tutti i suoi sforzi, la serata iniziò a pesarle, l’emicrania si fece via via più insistente, fino al punto di obbligarla a sgusciare fuori dalla ressa, alla disperata ricerca di un angolo, nel parco immenso che circondava la villa, dove potesse ritrovare il proprio autocontrollo. Tutte quelle attenzioni finalizzate unicamente a scoprire i piani di Ruben e della sua allegra combriccola la stavano irritando oltre ogni dire.
«Questa me la paghi, ciarlatano di un mago» sbottò, varcando il portone.
Il giardino era silenzioso, la luna illuminava la grande fontana zampillante con la sua luce bianca. Sospirò. E dire che una volta amava quel genere di feste…stava davvero invecchiando. Chissà che cosa avrebbe detto Liam di lei. Si lasciò cadere su una panchina e lisciò le pieghe dell’abito.
«Che ci fai qui?»
La bionda sobbalzò. Due occhi azzurri erano spuntati dal nulla e la fissavano con aria arcigna.
«J-jamie?» balbettò. «Non ti ho sentito arrivare, mi hai fatto prendere un colpo! Perché sei qui?» domandò. «Mi hai seguita, per caso?» aggiunse timorosa, memore di non averci scambiato una sola parola che non fosse indispensabile nelle ultime dieci ore.
James si sedette accanto a lei.
«Manie di protagonismo, eh? Veramente io ero già qui, sei tu ad aver invaso il mio spazio vitale.»
Chloé si sforzò di sorridere, ma le riuscì solo una smorfia. James si tese un momento verso di lei e le scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
«Non hai un bell’aspetto, sai? Stai bene?»
Un sentore lieve di tabacco le diede un brivido, e chiuse gli occhi, stretti, per obbligarsi a non notare la barba fatta di fresco, la camicia elegante portata con disinvoltura, i capelli ben pettinati. Possibile che non ci fosse nessun altro, in quel dannatissimo giardino?!
«Clo?» insistette punzecchiandole una spalla con l’indice.
Con immenso sforzo, Chloé si costrinse ad aprire gli occhi.
«Non ne posso più di stare là dentro a fare buon viso a cattivo gioco, non ce la faccio, non da sobria! È impegnativo vendere Ruben come migliore alternativa, dal momento che non si è nemmeno degnato di farsi vedere, stasera…e convincere dei poveretti che rischiano di perdere tutto a combattere per lui contro stregoni, draghi, orchi…non ci riesco. Sono cresciuta in un paesino del cavolo, dove la gente è povera, vive nella superstizione e si nutre di leggende, lo so che cosa significa finire catapultati in un mondo di cui non si capisce la logica.»
Sentì la propria voce vacillare, e si domandò che cosa James stesse pensando di lei. Molto probabilmente, pensava di aver avuto ragione a valutarla una ragazzina oca e senza un minimo senso del pericolo. Sospirò, senza osare guardarlo in faccia.
«Suvvia, non c’è bisogno di prenderla così sul serio. Dopotutto, siamo ad una festa, no? Alle feste si ride, si scherza…si beve» disse James scompigliandole i capelli. «Non mi guardi? Nemmeno per farmi frontino?» domandò in tono più accomodante.
Chloé sorrise tra sé. Forse aveva fatto la figura della sciocca, ma aveva davvero tanta importanza?
Alzò gli occhi e gli fece una linguaccia.
«Tu perché eri qui tutto solo soletto?» mormorò, improvvisamente consapevole della sua vicinanza inopportuna e pericolosa.
James si avvicinò ancora un po’, e lei si perse in quegli occhi così assurdamente limpidi, sopprimendo senza pietà la vocina che, nella sua testa, si domandava che diavolo avesse intenzione di fare. Il sentore di tabacco le diede un altro capogiro, mentre James intrecciava le dita nei suoi capelli. Gli occhi azzurri si posarono per un momento sulle sue labbra prima di tornare a cercare i suoi. Chloé si sentiva sospesa in un limbo, in cui il tempo e lo spazio non avevano nessuno spessore, in cui non esisteva alcuna guerra da combattere, nessuno stramaledetto ballo a cui presenziare. James si chinò su di lei, i loro nasi che si sfioravano.
«Sono qua fuori per il tuo stesso motivo…curioso, no?» sussurrò, prima di baciarla.
Nonostante il cervello desse preoccupanti segnali di avaria, Chloé riuscì a pensare a quanto fosse ridicola quella situazione. A quanto fosse improbabile! Se li avesse visti Ruben, non avrebbe creduto ai suoi occhi.
James le prese il viso tra le mani e la scostò. Aveva l’aria sconvolta.
«Va-va tutto bene?» balbettò la ragazza.
«No, che non va bene!» gemette. «Non va bene per niente, questa cosa non…»
La baciò di nuovo.
«Clo, perché mi hai incasinato la vita? Perché Ruben ti ha spinta tra le mie braccia?»
«Non vorrei contraddirti, Jamie, ma tra le tue braccia mi ci sono ficcata io, e la tua vita era già abbastanza incasinata prima che ci incontrassimo, perciò…ora che si fa?»
James le dedicò un’occhiata maliziosa e Chloé arrossì.
«Visto che il genio ci ha dato buca, temo che almeno noi saremo costretti a tornare alla festa…» disse infine. «Però un ballo, da te, lo esigo!» aggiunse alzandosi e tendendole la mano.
Chloé scosse il capo, sconsolata. Da quanto tempo un uomo non riusciva a metterla in imbarazzo? Prese la mano di James e lo seguì.
 
Liam ed Abigail raggiunsero il guado sul Morgael prima del sorgere del sole. Erano stati costretti ad addentrarsi per qualche miglio nel bosco, perché gli accampamenti si erano fatti troppo frequenti e impossibili da aggirare o evitare senza mettere mano alle armi. Oltre il fiume, solo poche ore di marcia li separavano da Natìm, e dalla loro agognata separazione. Proseguirono in silenzio, il più velocemente possibile, e alle prime luci dell’alba emersero dal Bosco Lossar, ma ciò che videro affacciandosi sulla piana che convergeva verso il fiume Llatas li lasciò senza parole.




*************************
Ok. Adesso potete uccidermi. Mi ucciderei anch'io.
Chloé, uccidimi. 
Liam, uccidimi.
HARETH UCCIDIMI! Era l'occasione buona per liberarci di Abby, lo so, e l'ho sprecata.
Tuttavia...in questo momento è molto più grande il desiderio di uccidere Jamie tra atroci sofferenze...
*James si nasconde sotto al tavolo, tenendo stretto il coltellaccio*
Se non si è capito, mi sono andata ad infilare in un altro immenso casino gestionale auto-indotto, dal quale non so come uscirò. Magari potrei far scoppiare un'epidemia di qualcosa ed eliminare in un colpo solo 4 o 5 personaggi scomodi XD XD
   
 
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