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Autore: xirefrommars    31/08/2013    1 recensioni
...Poi si girò, e per un millesimo di secondo i nostri sguardi si incrociarono. Quegli occhi. Quell'azzurro ghiaccio pieno di terrore e angoscia. Gli occhi di quel demone-angelo sui miei.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ma che diavolo…?” esclamò Jared entrando nella camera e aprendo le braccia in segno di non capire. Io ero immobile e lo fissavo a bocca aperta molto probabilmente con un’espressione totalmente idiota, ma non riuscivo a muovermi. Mi aveva come ghiacciata. Appena lo avevo visto avevo mollato il diario a terra pregando con tutto il cuore che non lo avesse visto anche se era impossibile, lo sapevo.
Si avvicinò a me e chiuse la porta dietro di sé. Mi accorsi di avere addosso ancora solamente l’asciugamano, e mi sentii le guance avvampare.
“Aspetta. Non puoi essere quella di stanotte…era bionda, ne sono sicuro. E anche più alta. E più bella. E ora che ci penso erano in due.” capendo ciò che stava pensando lui mi “sghiacciai”.
“Oh no! Io….io mi chiamo Valentina. Sono..quella di ieri sera, cioè, voglio dire…ti ricordi, ti ho aiutato prima del concerto quando hai avuto…mmh si insomma ero lì.” Dissi tutto d’un fiato con gli occhi piantati a terra. Quando mi accorsi del silenzio tombale che era calato alzai lo sguardo ed incrociai il suo. Fu come un guizzo. Un lampo. Io vidi che lui si era ricordato. Glielo leggevo negli occhi. E vidi anche che si ricordava di me. Accennai un sorriso. Lui mi stava fissando con occhi gelidi.
“Non ho la più pallida idea di chi tu sia.” Disse poi secco.
“E ora esci subito dalla mia stanza, se vuoi restare qui come minimo devi toglierti qualche strato di dosso, tra l’altro di mia proprietà, ma al momento non mi sembra il caso.” Capii che alludeva all’asciugamano.
Lui aveva indosso un pigiama che sembrava troppo grande per il suo corpo magro, piedi scalzi e capelli arruffati. Perfino in un momento del genere non riuscii ad evitare di pensare a quanto dannatamente bello fosse.
Sentivo i suoi occhi puntati su di me, con forza, e mi avviai verso la porta così com’ero. Lui rimase immobile anche quando gli passai affianco, senza neanche degnarmi di uno sguardo.
“Jared ma io non posso uscire così, fammi almeno prendere i miei vestiti ti prego.” Lo implorai. Non sapevo cosa fare.
“Esci immediatamente da questa stanza. Immediatamente significa in questo cazzo di istante!” esclamò rabbioso sempre mantenendomi le spalle girate. Aveva tutti i motivi del mondo per odiarmi, e lo sapevo bene. Aprii la porta ed uscii nel corridoio con ancora solo quell’asciugamano azzurro addosso e i capelli gocciolanti. Non potevo tornare a casa così.. mie sedetti per terra affianco alla porta della stanza di Jared sperando che uscisse e ragionasse. Era tutto silenzioso, non sentivo neanche un rumore. Era strano, ed anche una situazione abbastanza ironica. Io mezza nuda chiusa fuori dalla camera di Jared Leto che mi odiava. Pasavano i minuti uno dopo l’altro ma non succedeva niente.
Decisi di alzarmi. Per grazia di Dio trovai una sorta di sgabuzzino dove tenevano le scope e i detersivi e anche una divisa da cameriera che riuscii a farmi stare. Non appena la indossai mi venne una grandissima voglia di piangere. Che ci facevo lì? Una delle persone più importanti per me mi odiava. Avevo scoperto com’era veramente, o menglio credevo, e poche ore dopo avevo scoperto che in realtà non era così. Mi sentivo frastornata e in colpa. Una parte di me mi stava implorando di tornare da Jared e aspettare ancora, un’altra invece di andare da Tomo e Shannon, ma la realtà era che non potevo più stare lì.
Senza più pensarci presi un pezzo di giornale dallo sgabuzzino e con un pennarello ci scrissi sopra “THANK YOU. GOODBYE” e lo mollai davanti alla porta della camera.
Poi corsi via fuori da quell’hotel, lontana da quello che da un sogno si stava trasformando in un incubo, da quel pezzo di paradiso che in realtà era nel bel mezzo dell’inferno.
 
Le settimane successive furono decisamente le più strane e difficili di tutta la mia vita. Non facevo altro che pensare a cosa mi era successo ed era come un chiodo fisso che non riuscivo a rimuovere. Non potevo più concentrarmi su nient’altro. Mi stava portando a pensare che stessi impazzendo. Pensavo a loro, a cosa avessero detto del mio biglietto, se si erano già dimenticati di me, o se magari ero passata, anche solo di sfuggita, come un lampo nei loro pensieri qualche volta. Pensavo a lui, pensavo a Jared. A come si sentisse. Al fatto che mi odiava. Non riuscivo a darmi pace.
La cosa strana e inquietante invece era un’altra. I Mars stavano annullando sempre più date del tour. Erano cancellazioni del giorno stesso le prime, e poi avevano iniziato ad annullare anche quelle più lontane nel tempo senza dare alcuna spiegazione. Gli Echelon erano tutti in subbuglio e preoccupati, e lo ero anche io, come se i miei porblemi non bastassero. Solo che non avrei mai potuto immaginare quello che stava accadendo.
Un giorno mi svegliai urlando con il sudore che mi gocciolava dalla fronte e con il cuore in gola. Avevo fatto un incubo terribile. Avevo sognato che Jared raccontava a Shannon che io, proprio io, avevo fatto cose orribili alla loro famiglia; poi mi ritrovavo su un palco con tutte le luci puntate addosso e gli Echelon con i fratelli Leto e Tomo che mi gridavano cose bruttissime come “devi morire!” e mi lanciavano di tutto addosso.
Andai a bere un bicchiede d’acqua in cucina per calmarmi. Erano le due e mezza di notte, ed era passato esattamente un mese da quell’incontro che mi aveva stravolto la vita. Presi il cellulare, uno nuovo dato che quello che avevo lo avevo lasciato nella camera di Jared insieme ai miei vestiti, e trovai un sms da mio padre.
“Ciao Vale ho preso l’aereo dal Giappone e ora sono atterrato da poco in Italia. Possiamo vederci domani se vuoi. Chiamami appena vedi il messaggio.”
Sospirai. Mi era arrivato un quatro d’ora prima, quindi composi il numero e lo chiamai subito. Via il dente via il dolore, pensai.
“Papà ciao sono io.”
“Tesoro. Come mai sveglia a quest’ora? Io sono…”
“Si si lo so ho letto il tuo messaggio. Domani a pranzo va bene comunque, passami a prendere te.” Dissi frettolosa.
“D’accordo. A domani allora.”
“Si.” Riattaccai. I nostri discorsi erano sempre così freddi e brevi, ma ormai ci ero abituata. Tornai a dormire sperando solo di non sognare niente e che il resto della notte passasse liscio e vuoto.
Così fu, e a svegliarmi fu una sensazione che ero sicurissima di aver già provato. Quando mi venne in mente quando, sorrisi; mi ero svegliata allo stesso modo il giorno del concerto. Mi alzai mentre un velo di malinconia mi cadeva addosso. Mi aspettava un’altra, nuova, lunga, dannata giornata.
Mi preparai bene per il pranzo con mio padre con un vestito che mi aveva regalato lui qualche anno prima ma che stranamente mi andava ancora bene. I nostri incontri erano dannatamente formali nonostante fossimo padre e figlia.
Finito tutto mi buttai sul divano in attesa che arrivasse.
Non avevo voglia di uscire con lui. Non avevo mai voglia.
Neanche due minuti dopo squillò il campanello. Mio padre aveva proprio spaccato il minuto, non mi sarei mai aspettata che fosse così puntuale. Almeno questa cosa mi fece piacere. Presi la borsa ed andai ad aprire la porta.
“Hi Valentina!”
“Shannon??”
  
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