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Autore: Merigold    02/09/2013    2 recensioni
L'anima di Melanie è l'uragano di emozioni che si nega di provare dal giorno in cui i suoi genitori sono morti. Viene affidata a William, un caro amico di suo padre, che la trascina in Inghilterra portandole via la voglia di vivere. Lacerata e sola, l'unico modo per non sentirsi morta è ascoltare i The Script.
Tutto inizia a cambiare il giorno in cui Danny O'Donoghue le parla in un pub, e da quel momento lui e la sua musica le faranno capire che l'unica in grado di cambiare la sua vita è proprio lei.
Ma può una sola persona riuscire a farti aprire la bocca per respirare quando stai affogando, e darti una ragione per tentare di rimettere insieme le schegge di una vita ormai priva di ogni senso?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
Good Ol’ Days
 
Londra, 3 novembre.
 
Diluvia.
Il cappuccio della mia felpa ormai è completamente zuppo e anche i miei capelli iniziano a bagnarsi. Questa non ci voleva proprio. Sono in ritardo e non farò mai in tempo e come se non bastasse ho freddo e le gambe iniziano a farmi male. William si arrabbierà. Mi aveva dato un paio d’ore per uscire; mi restano tre quarti d’ora, ma se non inizia a spiovere non basteranno.
Sono le sei e mezza e tutti i negozi iniziano a chiudere, quindi la mia unica speranza è il “tree’s pub” anche se è un po’ distante.
Spero che si tratti solo di un acquazzone momentaneo o questa volta sono davvero nei guai.
Dopo circa un quarto d’ora mi trovo davanti al locale completamente bagnata e infreddolita. Da fuori si sente della musica, ma non riesco a capire quale sia la canzone. Qualcuno sta suonando dal vivo; molta gente applaude e agita le mani travolta dall’euforia.
Apro la porta infilandomi dentro di corsa. E a quel punto riconosco la canzone.
Good Ol’ Days.
“Play a sad song, ye, sing it from the hearth.
Tell a sad story, ye, tell it from the start.
Pass me on that pain that you made into art, ye.
Pierce it through my skin like a heroin dart.”*
La voce di Danny riempie tutta la stanza trapassandomi come una spada. È la prima volta che lo sento cantare dal vivo. Cerco di intrufolarmi tra la folla per vedere se è davvero lui, e soprattutto per scorgere anche Mark e Glen.
Un signore anziano mi lascia passare davanti e lo ringrazio silenziosamente.
I The Script sono sopra la pedana dove solitamente il sabato sera si esibiscono delle piccole band locali; suonano come se fossero nel bel mezzo di un concerto in uno stadio con migliaia di persone. Eppure dentro il locale saremmo al massimo una cinquantina, di cui la maggior parte vecchi alquanto brilli che passano il tempo giocando a carte.
“We’ll remember this night when we’ll old and grey,
‘cos  in the future these will be the good ol’ days.
We’re arm in arm as we sing away.
In the future these will be the good ol’ days.”*
In quel momento inizia a cantare Mark saltellando come suo solito e continuando a suonare senza perdere la concentrazione nemmeno per un attimo mentre Danny gli fa da supporto mentre balla anche lui. Glen alla batteria picchia senza sosta i tom diffondendo un beat da capogiro nella stanza.
Sono senza parole. Non avrei mai creduto di potermi sentire in questo modo. Così piena. Così viva. Sapevo che vederli suonare mi avrebbe sconvolta, ma non pensavo fino a questo punto.
D’un tratto Danny mi vede e senza fare una piega mi rivolge un mezzo sorriso come aveva fatto più di due settimane prima. Sono ancora a bocca aperta.
Dopo qualche altro verso le gambe iniziano a tremarmi minacciando di cedere e decido che forse è meglio godermi lo spettacolo seduta, così mi intrufolo in mezzo al gruppo di ragazze urlanti alla mia destra e vado a sedermi su uno degli alti sgabelli in legno di fronte al bancone togliendomi gli occhiali.
- Sorpresa, vero? -
Dave mi porge come sempre una tazza di tè fumante e ricomincia a pulire.
È il proprietario del locale e anche una delle rare persone qui a Londra che sembrano preoccuparsi un minimo di come va la mia vita da quando mi sono trasferita circa 10 mesi fa dall’Italia. Ha superato i 65 ma i suoi occhi sono ancora vispi e luminosi come quelli di un ragazzino e si dà un gran da fare per aiutare i figli a cui ha ceduto la gestione del locale. Mi ricorda vagamente mio nonno.
- Non immagini quanto. Perché non mi hai detto che sarebbero venuti?-
Scrolla le spalle e piega leggermente la testa di lato. - Si sono presentati qui oggi pomeriggio chiedendomi se potevano suonare un po’ come ai vecchi tempi. Potevo dirgli di no? –  Poi indica la mia tazza. - Quando sei entrate ero sicuro che fosse una giornata da gelsomino. Ma a quanto pare i ragazzi l’hanno fatta diventare da vaniglia. – Mi strizza un occhio.
Annuisco sorridendo. – Decisamente vaniglia. –
Da quando mi sono trasferita vengo circa una volta ogni 2 o 3 giorni al “tree’s pub” e ordino sempre una tazza di tè cambiando il gusto in base al mio umore. Dopo il primo mese non c’è più stato bisogno di dirgli come lo volevo: secondo lui basta una sola occhiata per capire di quale tipo di tè ho bisogno.
Pesca: per quando sono agitata o qualcosa mi preoccupa. È il più difficile da riconoscere secondo Dave, perché a quanto pare c’è sempre qualcosa che mi mette in ansia ma non tanto da tè alla pesca.
Vaniglia: per quando sono di buon umore. Lo prendo di rado.
Gelsomino: per le giornatacce, quelle nere dove non si vede via d’uscita. È il gusto che scelgo più di frequente e ci vuole solo un attimo per capire quando ne ho bisogno.
Verde: per quando sto per cadere a pezzi. Quelle giornate in cui non mi levo mai gli occhiali.
“These are my people, these are my crowd
and I’m never too proud to sing about”*
- Cosa intendi per “vecchi tempi”? -
Smette di nuovo di pulire e guarda verso la pedana assorto.
- Eh cara, conosco questi ragazzi da molto tempo, ancor prima che diventassero i The Script, quando erano solo tre giovani di Dublino in cerca di fortuna. Si incontravano qui quasi ogni sera. Dovevi vederli, erano pieni di sogni e progetti e a quanto pare sono finalmente riusciti a realizzarli. Se lo meritano, ne hanno passate tante. – si ferma un attimo per dare un paio di boccali di birra ad un signore con una camicia rossa evidentemente ubriaco. Io lo ascolto rapita sorseggiando il mio tè. Potrei bere tè alla vaniglia per sempre. – E sai una cosa? Nonostante ora abbiano coronato i loro sogni e ottenuto il successo continuano a venire qui di tanto in tanto quando non sono pieni d’impegni. Entrano, si siedono qui, proprio dove sei tu, oppure su quel tavolo all’angolo sotto la finestra e passano la serata parlando e bevendo come tanti anni fa. Alcune volte si mettono anche a buttar giù qualche idea per i loro pezzi. Non sembra passato neanche un giorno. A quei tempi venivano a esibirsi spesso, esattamente come ora, su quella pedana. Sono sempre quei tre ragazzi pieni di sogni, ma hanno già cominciato a realizzarli. -
“We’re arm in arm as we sing away.
In the future these will be the good ol’, the good ol’ days.”*
La canzone va verso le sue ultime e note e il pubblico esplode con un boato in una serie di applausi, fischi e urla facendomi venire voglia di unirmi a loro.
- Come ti sono sembrati? -
Non riesco ancora a credere che stiano suonando qui. Mi volto e credo che Dave sia rimasto alquanto sorpreso di vedermi radiosa. Non sono mai stata così felice in tutta la mia vita.
- Grandiosi. –
Fa un lieve sorriso, più per loro che per me, e si rimette al lavoro, ma pochi attimi dopo alza lo sguardo e assume un aria divertita. - A quanto pare il nostro caro Danny non ha ancora bevuto abbastanza oggi. -
Una leggera risata calda e profonda risuona alle mie spalle – No infatti. –
Mi ritrovo a nascondere il viso nella tazza mentre finisco silenziosamente il tè. Danny si siede sullo sgabello accanto al mio sorridendo. La mano destra mi trema leggermente.
Oh, andiamo Melanie. Non vorrai perdere il controllo proprio ora!?
- Solo una birra. Grazie Dave. -
Lui invece riempie tre boccali. Uno glielo passa mentre gli altri li posa davanti agli ultimi due sgabelli liberi accanto a quello dove è seduto Danny.
 - Allora, siete riusciti a finire quel pezzo che stavate scrivendo qualche giorno fa? -
Danny dimezza il boccale di birra senza batter ciglio. – Quasi. Il testo è praticamente pronto. Solo il bridge va un po’ modificato. Per la parte musicale invece abbiamo qualche problema sul finale. Però sta venendo abbastanza bene. Chissà, magari riusciamo anche a inserirlo nella track list del nuovo album. – e finisce la birra.
Fuori la pioggia sembra essere aumentata e la strada è completamente allagata. Controllo l’orologio. Altri venti minuti. Non penso ce la farò. Spero solo che William sia rimasto bloccato nel traffico.
Dave asciuga i boccali di vetro appena lavati e li ripone uno alla volta sullo scaffale dietro il bancone, accanto ai super alcolici.
- Ei, Dave! Che si dice in giro? -
Mark si accomoda sullo sgabello e si scola l’intero boccale di birra battendo di gran lunga Danny in fatto di velocità. Glen sembra più tranquillo, ma anche lui finisce il suo bicchiere in pochissimo. Irlandesi.
Li sento parlare dei nipoti di Dave, e di come siano svogliati e ovviamente non manca una battuta sarcastica di Mark sui “giovani d’oggi” guadagnandosi la disapprovazione di Dave che scuote la testa mentre prepara un altro paio di drink per una coppia appena arrivata. – Si, si. Continuate pure a prendermi in giro. Un giorno ve ne pentirete. –
Poi lo sguardo gli cade sull’orologio appeso sopra alla porta d’ingresso. Il volto s’incupisce subito e si rivolge a me abbassando il tono di voce: - Quanto hai? –
- Meno di venti minuti mi pare. –
Il suo volto si rabbuia ancora di più. – Non so se ce la puoi fare. Non sembra dar segno di smettere lì fuori. –
Sospiro. – Appena inizia a spiovere un poco esco. Forse se corro … - scrollo le spalle. Non voglio pensare a quello che mi aspetta una volta tornata a casa. È abbastanza ovvio che non arriverò in tempo. Correndo ci metto poco meno di un quarto d’ora per tornare a casa. Ma piove e sono stanca. Anche se uscissi adesso sarebbe inutile.
- Dave, potresti farmi un’altra tazza di tè? -
- Certo. Sempre vaniglia? –
- Sì, grazie. –
- Adesso ti sei dato alle tisane, Dave? – Danny ridacchia sotto i baffi porgendogli il boccale di vetro.
 - Ti farebbero molto bene Danny. Non avevi detto che ne volevi solo una? –
Alza le spalle facendo un mezzo sorriso con aria innocente – Ho cambiato idea. –
Dave scuote la testa. - Tu sottovaluti i poteri lenitivi del tè. -
- E tu quelli di una bella sbornia. –
- Ho avuto trent’anni anch’io. Non dimenticarlo. –
E mi riempie la tazza di tè fumante. Un lampo illumina il cielo scuro precludendomi ogni possibilità di uscire. 15 minuti. Sono nella merda.
- Dalle una birra. Offro io. –
Mi giro verso di Danny sorpresa. Lui mi rivolge il solito mezzo sorriso che tanto lo caratterizza, quello che fanno i bambini quando vengono sorpresi con le dita nel barattolo di marmellata.
- Non credo sia una buona idea. L’ultima volta che si è sbronzata ha dato spettacolo, peggio di voi là sopra. -
Non ha tutti i torti…
- Davvero? Allora sarei dovuto esserci. – Danny continua a guardarmi sorridendo. A quel punto mi porge la mano. – Danny. -
- Non serve, ti conosce meglio di tua madre. –
Abbasso lo sguardo arrossendo violentemente.
Bene, adesso sembrerai sicuramente una di quelle pazze urlanti che si strappavano i capelli sotto il palco. Complimenti Melanie.
Però vedo che lui mi sorride ancora continuando a tendermi la mano. Gliela stringo anche se un po’ incerta. – Melanie. –
- Allora, Melanie, cosa hai fatto di tanto sconvolgente da non permettermi di offrirti una birra? -
- Be’, ecco… - Mi guardo intorno cercando di non arrossire di nuovo. - … non credo di ricordarmi esattamente cosa sia successo… Ero un po’… fuori. –
Scoppiano tutti a ridere e per un attimo anch’io mi unisco a loro.
- Interessante… Dave, vuoi illuminarci tu? -
Lui posa sul bancone un boccale che stava finendo di asciugare e si sporge verso di noi alzando un sopracciglio. – Potresti pentirtene. – poi fa un cenno verso di me e mi strizza un occhio.
- Dovete sapere che questa ragazza qui non regge praticamente per niente l’alcool, e dopo un paio di birre comincia a essere già un po’ brilla. Ecco, quella sera aveva bevuto, ma bevuto sul serio, ed era completamente andata. – io inizio già a rimpicciolirmi. Sono sicura di essere diventata viola. – . Arrivata a metà serata ha deciso che voleva ascoltare un po’ di musica, così si è alzata ed è andata al jukebox. I miei nipoti lo aggiornano circa ogni mese aggiungendo gli ultimi singoli in cima alle chart e levando quelli ormai passati di moda. Ovviamente lei lo sa, ma in quel momento non era esattamente in grado di ricordarsene… - Mi accorgo che Danny ogni tanto mi lancia qualche occhiata divertita, come se potessi ripetere la scena davanti ai suoi occhi da un momento all’altro.
- E quindi? Si è messa a tirare calci a quel vecchio coso? Non credo avesse tutti i torti. -
Da quel momento capisco ben poco di quello che dice Dave perché tutto quello che voglio è sparire all’istante. A quanto pare volevo ascoltare i The Script, ma non c’erano fra gli artisti caricati. Così ho iniziato a prendere a calci davvero il jukebox sbraitando e insultando la musica commerciale. Infine, non contenta, ho iniziato a cantare le loro canzoni.
-  Ho posato un cilindro su un tavolo lì affianco, e non potete immaginare quanti soldi ha fatto. Stanno ancora tutti lì. – Dave indica un cappello nero su uno degli scaffali più in alto. – Lo conservo per le eventuali prossime “esibizioni”. – La parte delle “eventuali esibizioni” mi mancava.
- Un motivo in più per offrirle qualcosa. -  questa volta è Danny a farmi l’occhiolino. Vorrei sparire.
Finisce la seconda birra e si gira completamente verso di me.
- Quindi sai cantare, o c’era qualche altro motivo per cui ti lasciavano delle monetine? - quel suo tono malizioso mi fa avvampare ancora di più. Cerco di assumere un’aria vaga. – No, nessun altro motivo. So cantare…più o meno. Non sono particolarmente brava e… -
- Canta con me. -
Mi blocco. Lo guardo a bocca aperta aspettando che si metta a ridere e mi dica che stava scherzando, ma sembra fare sul serio.
E ora?
- Io… io non… -
- E dai, non fare la difficile. Abbiamo promesso che avremmo fatto un altro paio di pezzi più tardi. Vieni anche tu. Tanto a quanto pare le canzoni le sai. Basta che mi vieni dietro. –
Quanto vorrei dirgli di sì. Dopotutto è il mio sogno.
Ma se William venisse a saperlo… i lividi sono quasi scomparsi del tutto. Non ho voglia di ricominciare adesso.
- Io… non posso. Il… medico. Il medico mi ha detto che non posso cantare perché… ho un problema… alle adenoidi; sono infiammate. E anche la gola. Sto prendendo delle medicine che mi rendono roca la voce. E…-
Lui alza un sopracciglio – Le adenoidi? – Io faccio cenno di sì con la testa, ma non sembra molto convinto e chiede a Dave un'altra birra.
La mia voce è ormai un sussurro - Non posso, mi dispiace. -
Do un’occhiata all’orologio. 7 minuti. A questo punto probabilmente se cantassi non cambierebbe nulla…
- Non vedi l’ora di andartene, vero? –
Sobbalzo.
No che non voglio andarmene. Se potessi passerei il resto della giornata, anzi della vita a parlare con te, ma William non approverebbe.
- No, no. In realtà, dovrei essere da un'altra parte… non è che non voglia cantare, è solo che non posso proprio. –
- Faresti tardi? -
Sospiro rassegnata. – In realtà sono già in ritardo. - scrollo le spalle. - Non avrei fato in tempo comunque. –
- Potevi dirlo subito. Stai facendo attendere qualche bel ragazzo? Non dovresti. – quel solito mezzo sorriso gli si incespica fra le labbra.
Le mie guance che avevano appena cominciato a sfiammarsi riprendono colore - No, nessun ragazzo. – lancio un veloce sguardo alla porta a vetri, ma l’acqua non smette di scendere.
Sto quasi per cedere e dire a Danny che forse una sola canzone non mi farebbe poi così male alla gola, quando la porta si apre e viene richiusa con violenza. Metà delle persone nel locale si bloccano. Non c’è bisogno che mi giri per capire di chi si tratta, mi bastano le espressioni contrariate della gente.
Lentamente uno alla volta tutti i presenti spostano lo sguardo verso la porta smettendo di fare qualsiasi cosa. Alcuni guardano anche me, ma con compassione e appena si rendono conto che li ho notati distolgono lo sguardo tornando alle loro faccende facendo finta di niente. Allo stesso modo piano piano tutti nel locale tornano alla loro solita vita.
Tutti tranne me. Non ho più la mia vita da oltre 11 mesi…
Mi volto e non mi sorprendo di vedere William sulla porta che si sta avvicinando. Mancano 5 minuti. È inutile contarli. Non ce l’avrei mai fatta.
William mi squadra, poi fa lo stesso con la tazza sul bancone e infine sposta gli occhi su Danny, ancora voltato verso di me, che ricambia il suo sguardo di sfida senza dare il minimo segno di esitazione. Alla fine è William a cedere.
Continuando a osservare la mia tazza fa un cenno a Dave: - Quanto ti deve? –
Per un attimo lui sembra indeciso, ma poi sceglie di non rispondere facendolo spazientire. Non è mai un buon segno quando inizia a perdere la calma.
- Ei vecchio, non ho alcuna intenzione di mettermi a discutere ora. Quanto ti deve? -
- Nulla. – ma non è Dave a rispondere. Mi volto verso Danny sbigottita. Anche William sembra sorpreso.
- È sul mio conto. Non gli deve nulla. –
No! No, no!
William si acciglia per un attimo. – Sul tuo conto? –
- Sì. Perché, c’è qualche problema? -
Oh sì, tu.
- No, nessuno. - la voce di William è troppo calma. Troppo controllata. Se Danny lo conoscesse se ne renderebbe conto, come sta facendo Dave, ma lui non sa cosa si celi veramente dietro quella maschera di finta pacatezza. Cerco di catturare il suo sguardo per fargli capire che forse farebbe meglio a smettere di ribattere, ma lui continua a fissarlo quasi come per sfidarlo, e a quel punto capisco che non c’è più niente da fare.
Vorrei urlare.
- Daniel O’Donoghue, giusto? -
- Sì, ma non credo di conoscerla, signor… -
- Addnell, William Addnell. No infatti, non direi. Ma forse di nome… d’altronde lavoriamo in campi molto simili signor O’Donoghue. –
Solo io posso scorgere la velata minaccia. William sa essere un mago con le parole.
Danny sembra come assorto in qualche strano pensiero, ma poco dopo risponde – No, non mi sembra. Ma vede signor Addnell, il nostro campo è estremamente vasto. È abbastanza normale non poter conoscere tutte le persone che sono dell’ambiente. – e gli concede un sorriso.
Sento William irrigidirsi. Non credo che qualcuno abbia mai osato tentare di tenergli testa.
- Infatti, ha ragione. -
Tira fuori il portafoglio e lascia 5 pound sul bancone. – Tieni il resto. – e mi tira un braccio per farmi scendere. Ceco di non opporre resistenza, ma lui mi trascina comunque con forza verso la porta.
A quel punto sento la voce di Danny e il sangue mi si congela nelle vene. - Ei, lascia… - ma si blocca. Mi volto di scatto sgranando gli occhi e vedo Mark che lo tiene per una spalla e Dave che gli sta sussurrando qualcosa, mentre William mi lascia per un attimo, giusto il tempo per voltarsi verso di lui. - Come, scusa? -
Danny sta per rispondergli ma prima di farlo mi guarda. E a quel punto mi rendo conto che forse sto  veramente decidendo il mio futuro. Potrei porre fine a tutta questa storia se solo mi lasciassi aiutare. Ma so che sarebbe un gesto egoista, perché William potrebbe distruggere la vita di chiunque facendogli vivere l’inferno che sto passando io e non voglio che accada a qualcun altro. Non voglio che accada a una delle uniche tre persone sulla faccia della terra in grado di rendermi ancora felice. In grado di farmi sentire viva. Quindi faccio l’unica cosa possibile in quel momento. Scuoto la testa.
E lui capisce.
- Nulla. -
Un sorriso trionfante si stampa sulla faccia di William – Bene. –
Arrivati davanti alla porta si ferma.
- È stato un piacere conoscerla signor O’Donoghue. Spero ci rincontreremo presto. - e dopo un ultimo sguardo verso il bancone mi trascina fuori sotto la pioggia.
Arrivati davanti alla macchina sto per parlare, ma William mi da uno schiaffo in pieno viso e tutte le parole che avevo intenzione di pronunciare mi muoiono in gola.
- Ti ho detto mille volte che non devi attirare l’attenzione. E soprattutto non devi farti trattare come una puttanella in cerca di facili prede. Cosa ti è saltato in mente, eh? Filtrare con quel cantante da quattro soldi la cui massima aspirazione è ubriacarsi il sabato sera. -
Cerco di trattenere le lacrime - Mi ha solo offerto un tè… - sussurro.
Un altro schiaffo.
- Sali in macchina. Ne discutiamo a casa. -
Forse se avessi chiesto aiuto non sarei costretta a infilarmi di nuovo gli occhiali da sole.
 
Londra, 3 novembre.
Nell’inferno che sto vivendo mi ci sono confinata da sola.

 


Good Ol’ Days
 http://www.youtube.com/watch?v=NvwgzaTM-hg
 
Citazioni
* Good Ol’ Days – The Script
“Suoni una canzone triste, suonala con il cuore.
Racconti una storia triste, raccontala dall’inizio.
Trasmettimi la tua sofferenza che hai trasformato in arte.
bucandomi la pelle come una siringa di eroina.”
 
“Ci ricorderemo di questa notte quando saremo vecchi e grigi
perchè nel futuro, questi saranno i bei vecchi tempi.
Siamo sotto braccio mentre cantiamo insieme
nel futuro questi saranno i bei vecchi tempi.”
 
“Questa è la mia gente, la mia folla
e non mi stancherò mai di cantare di loro.”
 
“Siamo sotto braccio mentre cantiamo insieme
nel futuro questi saranno i bei vecchi tempi.”
 
Danny’s POV -------> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2125309
 
Merigold’s corner
Salve a tutti. Ebbene sì, sono ancora qui.
Come già detto mi ci vuole un po’ per uplodare entrambi i capitoli, quindi pubblicherò circa una volta a settimana, sperando di riuscire a continuare con questo ritmo nonostante la scuola.
Ho tante belle idee per i prossimi capitoli e sono pronte da mesi, ma purtroppo non ho mai messo nulla per iscritto… vedrò di sveltirmi.
Eccoci al ricongiungimento dei nostri due protagonisti. Finalmente Melanie ha l’opportunità di ascoltare i suoi idoli dal vivo, e anche di farci una bella chiacchierata, ma ovviamente non può aprirsi troppo.
Onestamente ci ho messo parecchio per ideare questo capitolo, perché nel progetto originale non c’era, ma serviva come anello di congiungimento con il prossimo. Lì entreremo un po’ più nel vivo della storia.
Grazie a mia sorella (ebbene sì, ringrazio anche te) e ilaperla che hanno recensito il mio primo capitolo e  anche a tutti quelli che hanno seguito o semplicemente letto.
E alla mia beta reader ErisElly :3 (mi sento come uno scrittore che scrive i ringraziamenti alla fine di un suo romanzo u.u)
Spero vi sia piaciuto nonostante la lentezza e soprattutto la lunghezza ;)
Al prossimo capitolo
Sayonara
 
-Mer
  
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