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Autore: Miss Fayriteil    02/09/2013    1 recensioni
Questa storia è nata un po' per caso, volevo provare a scrivere un romanzo rosa, nello stile di Lauren Weisberger o Sophie Kinsella, che mi piacciono molto. Mi sono ispirata un po' anche alla coppia che amo di più in Grey's Anatomy. Capirete perchè. La trama... è un romanzo, una storia d'amore. La donna single che trova l'amore della sua vita. Spero vi piaccia!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Associazione genitori

Un mese esatto dopo il matrimonio, Ali e Dana erano ancora in luna di miele e in quel momento in particolare erano stese a prendere il sole su una spiaggia di Santo Domingo. Erano partite due giorni dopo il matrimonio e Ali avrebbe voluto che quei momenti non finissero mai. Voleva stare in viaggio di nozze in eterno, non voleva più tornare a casa e riprendere la solita vita. In quel momento davanti a loro passò una coppia con una bambina per mano. Ali sospirò e Dana si voltò di scatto verso di lei.
  «Che hai?» le chiese con sguardo interrogativo. Ali la guardò a lungo e le sorrise.
  «Ho appena visto una famigliola passare. Non abbiamo più parlato dei figli da prima del matrimonio. Allora, che ne dici?» le rispose. Dana le prese una mano.
  «Tu vuoi avere un figlio, giusto?» le chiese. Ali annuì. «Allora parliamone. Stasera». Le si avvicinò e la baciò sulle labbra, poi tornò a sdraiarsi e Ali la imitò con un gran sorriso stampato in faccia. Finalmente ne avrebbero parlato davvero, sua moglie era d’accordo con lei e avrebbe potuto sottoporle la sua idea dell’adozione. Le piaceva così tanto l’idea di crescere un bambino che magari non aveva i genitori, o che era stato abbandonato da una madre troppo giovane... Sperava che questa idea sarebbe piaciuta anche a Dana, quanto piaceva a lei. Mentre stava stesa con gli occhi chiusi godendo del calore del sole e della lieve brezza pensò a cosa avrebbe detto. Le piaceva anche il pensiero di portare un bambino in grembo, ma se ce ne fosse stata la possibilità, preferiva senz’altro adottare. All’improvviso non vedeva l’ora che arrivasse la sera.
  Alla fine la sera arrivò e dopo cena le due donne decisero di uscire a fare una passeggiata. La camera d’albergo era molto bella, ma il fuori era decisamente meglio e infatti stavano al chiuso solo per dormire e a volte per mangiare. Arrivarono fino alla piazza principale e si sedettero su una delle panchine. Dopo un attimo Dana si voltò a guardare la moglie. Le prese una mano e disse: «Allora... i figli. È arrivato il momento di parlarne vero?»
  «Direi di sì» rispose Ali sollevata. «Sono felice che finalmente hai deciso di parlarne. Non hai idea di quanto voglia avere un figlio. Non vedo l’ora che succeda».
  «Adesso che siamo sposate e che quindi non posso più abbandonarti facilmente, posso dirtelo. Anch’io non vedo l’ora di averne uno» rispose Dana, baciandola dolcemente sulle labbra. Un paio di persone le guardarono infastidite, ma loro non ci fecero caso. «Allora cosa vuoi fare? Quando torniamo a casa, dico. Ci mettiamo a cercare un donatore?»
  «Dana...» cominciò Ali esitante e lei la guardò interrogativa. «Non so cosa ne pensi tu, ma io vorrei tanto adottare un bambino. Non è per il fatto della gravidanza, assolutamente, anzi è un’esperienza che vorrò fare prima o poi, ma questa è una cosa che mi piace moltissimo».
  «Adottare un bambino?» le fece eco Dana pensierosa. «Non ci ho mai pensato, ma sai che è una bellissima idea? Hai ragione, facciamo così. Quando torniamo a casa, richiediamo i moduli per poter avere un bambino in adozione e... speriamo vada bene». Rimasero sedute su quella panchina ancora per un po’ e alla fine si alzarono e tornarono in albergo. Molto più tardi Ali era ancora sveglia e pensò alla conversazione avuta con Dana quella sera. Cercò di immaginarsi come sarebbe stato il suo bambino. “Se sarà una bambina si chiamerà Erica”. Spalancò gli occhi e si sedette sul letto, stupita. Non era un pensiero cosciente. Aveva pensato a un bambino qualsiasi e le era venuta in mente quella frase. Una cosa era evidente: qualcuno aveva fatto sì che lei sapesse questo particolare in anticipo.
  «Dana!» sussurrò nel buio, scuotendo la moglie per una spalla. «Dana, svegliati!»
  «Mmh...» mugugnò l’altra, ancora mezza addormentata. «Che vuoi?»
  «Se adotteremo una bambina la chiameremo Erica. Segnati questo nome!» replicò Ali. Dana si voltò verso di lei con uno sguardo assassino che Ali ignorò.
  «Erica? Di che diavolo stai parlando?» gemette Dana, dando un’occhiata all’orologio. «Amore, sono le due di notte, te ne rendi conto? Non possiamo discuterne domani mattina?»
  «No non possiamo! Io stavo pensando a tutt’altro, poi mi è saltata alla mente questa frase. Non può essere solo un caso, vuol dire che è destino che adotteremo una bambina e la chiameremo così! Avanti prendi carta e penna e segnati questo nome!»
  «Schiavista» borbottò Dana, accendendo la luce e cercando qualcosa per scrivere. Alla fine scrisse il nome e tornò a letto. «Adesso dormi. Non voglio più sentire una parola fino a domani mattina». Spense la luce e le voltò le spalle. Ali invece continuò a pensare. “Erica. Non avevo mai pensato a questo nome per mia figlia. Però... mi piace. Mi piace un sacco”. Si voltò su un fianco e mise il suo braccio attorno alla vita di Dana, poi finalmente si addormentò.

 

 
Una settimana dopo tornarono a casa. Taylor che era al corrente della data e dell’ora di rientro telefonò dieci minuti dopo che loro erano entrate in casa. Ali corse a rispondere.
  «Pronto?» disse e la voce acuta di sua madre le perforò un timpano. Non sentivano nessuno della famiglia da ben cinque settimane e non fu facile tornare alla normalità.
  «Aliana!» esclamò col solito tono d’urgenza. «Siete tornate a casa?»
  «Señoras no en casa, escusame» replicò Ali con il naso tappato per mascherare la voce. Taylor sospirò. «Aliana, per favore, fai la persona seria. Siete tornate?»
  «Mamma, certo che siamo tornate!» esclamò lei esasperata. «Dal momento che tu chiami al telefono fisso e io rispondo, vuol dire che siamo tornate! Piuttosto, è successo qualcosa? Papà, Benji... stanno tutti bene? Tu stai bene?»
  «Sì, stiamo bene, Aliana. Non è successo niente. Volevo solo essere la prima a sentirvi. Com’è andato il viaggio? Dana è scappata con qualche ragazza caraibica?»
  «No, mamma. È tornata a casa con me. E anzi, abbiamo deciso di adottare un bambino. E abbiamo anche deciso che se sarà una bambina la chiameremo Erica».
  «Tesoro, che bella notizia!» disse Taylor deliziata. Sembrava che l’idea che sua figlia crescesse un bambino con un’altra donna, non la turbasse più di tanto se il risultato sarebbe stato che lei poteva avere un nipote. «E quando pensate di andare a chiedere? Presto spero. Lo sai i tempi per un’adozione possono essere lunghissimi e voi due non siete più delle ragazzine. Volete adottare un neonato? Se sì, dovete sbrigarvi, perchè dopo una certa età non ve li daranno più. Mi piace il nome Erica». Ali sospirò, ma sorrideva. Era un discorso normale, che avrebbero affrontato in ogni caso e le piaceva che il suo matrimonio non avesse cambiato niente. Dopo la reazione di Taylor all’inizio della sua storia con Dana, Ali non era mai del tutto tranquilla a parlare con lei. Ma questa telefonata era la dimostrazione che le cose erano tornate alla normalità. Poco dopo riattaccarono e Dana le si avvicinò.
  «Che ti ha detto?» le chiese. Ali sorrise. «Prima mi ha chiesto se eri fuggita con qualche cubana, o cose del genere. E poi che dobbiamo sbrigarci con l’adozione perchè se aspettiamo troppo poi invecchiamo e non possiamo più avere bambini appena nati». Dana ridacchiò. Però Ali pensò che comunque Taylor aveva ragione e che non vedeva l’ora di cominciare la procedura. Lo disse a Dana che le fece sapere che anche lei non aspettava altro, quindi decisero che il giorno dopo sarebbero andate a chiedere informazioni in un’agenzia di adozioni per sapere cosa dovevano fare e altre cose.
  Purtroppo non andò subito tutto liscio come avevano sperato. Il mattino seguente in possesso dei certificati di nascita di entrambe, del contratto di matrimonio e di tante buone intenzioni, si recarono alla principale società di adozioni di Seattle. Erano entrate in un ufficio e la giovane impiegata aveva detto ad Ali di accomodarsi.
  «Ma io veramente...» aveva cominciato indicando Dana. La donna le aveva lanciato uno sguardo interrogativo. «Sono venuta con lei. Siamo... siamo sposate. Vogliamo adottare un bambino».
  «Voi due?» fece l’impiegata allibita. «Beh, noi... seguiamo una politica molto rigida... solo le coppie legalmente sposate possono adottare».
  «Noi siamo legalmente sposate!» esclamò Dana. Si avvicinò e appoggiò il contratto sulla scrivania. «Da sei settimane. Ma credo che lei intenda dire che solo una coppia sposata formata da un uomo e una donna può adottare». Lo sguardo della donna rispose al posto suo.
  «Andiamo Ali» riprese, prendendo sua moglie per un braccio. «Qua non siamo gradite». Uscirono dall’edificio e rimasero in piedi a guardarsi.
  «Sinceramente non pensavo che sarebbe andata così» osservò Ali. «Adesso cosa facciamo?»
  «Andiamo da un’altra parte» rispose Dana freddamente. «A Tacoma. Speriamo vada bene». Andarono verso la loro auto e si misero in viaggio per Tacoma. Strada facendo Ali disse: «E cosa facciamo? Dico se a Tacoma non si fanno problemi. Ci iscriviamo subito?»
  «Facciamo che per ora chiediamo solo informazioni» rispose Dana. «Per capire cosa dobbiamo fare eccetera. Poi ci penseremo. Io vorrei anche conoscere una coppia che ha adottato un bambino. Cioè, penso che sarebbe interessante sapere la loro esperienza».
  «Hai ragione, sì è una bellissima idea» approvò Ali. «Possiamo chiedere anche questo all’ufficio. Se possono metterci in contatto con una coppia». Sorrise e appoggiò una mano sul ginocchio di Dana che la strinse con la sua. Poco dopo erano arrivate a destinazione ed entrarono subito nell’edificio. Sedettero una accanto all’altra dopo aver preso un numero da una macchinetta e dopo un po’ dal cubicolo di fronte a loro un uomo chiamò il loro numero. Si avvicinarono e l’impiegato sorrise affabile. «Buongiorno, signore» disse. «Prego accomodatevi». Loro sedettero nelle poltrone davanti alla scrivania. «Quindi voi vorreste adottare un bambino?»
  «Sì» rispose subito Ali. «Noi due. Insieme. Siamo sposate». L’uomo sorrise ancora e annuì, con aria leggermente confusa. «Mi scusi, è solo che a Seattle ci hanno fatto problemi. Ci hanno detto che solo le coppie legalmente sposate potevano fare la richiesta e noi lo siamo, ma poi l’impiegata ha fatto capire a mia moglie che in realtà accettavano solo le coppie eterosessuali. Per quello siamo venute qui».
  «Capisco» osservò l’uomo con un piccolo cenno del capo. «Beh, vedrete che noi siamo molto più... aperti. L’importante è che siate sposate. Posso vedere i documenti? I vostri certificati di nascita e il contratto di matrimonio per favore». Dana gli passò i fogli e lui li studiò per qualche istante.
  «Bene, è tutto a posto» annunciò alla fine. «Ora... un paio di domande... volete iniziare subito la procedura? E siete interessate all’adozione internazionale? Perchè per quella l’iter è un po’ più lungo, ci sono degli step in più. Volete sapere qualcosa?»
  «Veramente per ora volevamo solo delle informazioni» replicò Ali. «Cioè sapere un po’ come funziona la procedura, che cosa dobbiamo fare... e soprattutto volevamo chiederle se potevate metterci in contatto con una famiglia. Vogliamo parlare con qualcuno che ha fatto questa esperienza».
  «Credo di potervi aiutare» disse l’impiegato prendendo un pacco di fogli da un cassetto. «Naturalmente dovrete tener conto che non tutte le famiglie saranno disposte a parlare. Alcune vorranno mantenere la privacy, ma troviamo sempre qualcuno di disponibile. Allora, vediamo... ecco la famiglia Brown, abitano a Seattle, siete fortunate. Hanno adottato un bambino di nome Ethan, tre anni fa. Vi lascio l’indirizzo, va bene?»
  «Perfetto, grazie mille» rispose Dana, prendendo un foglio che l’uomo le porgeva insieme ai loro documenti. Dopodichè le due si alzarono e uscirono dall’agenzia. «Allora che ne pensi?» chiese.
  «Penso...» disse Ali. «Penso che non vedo l’ora di parlare con questi Brown e di poter adottare un bambino tutto nostro. Anzi... non vedo l’ora di adottare Erica».
  «Ma questa è una tua idea» disse Dana mentre tornavano alla macchina e si mettevano in viaggio verso casa. «Non è affatto detto che adotteremo una bambina. Se succederà la chiameremo come vuoi tu, ma magari ci danno un maschio, che ne sai?»
  «Secondo me invece era un segno» ribattè Ali ostinata. Era sicura che quel pensiero non fosse suo, ma del destino. «Te l’ho detto non l’ho pensato apposta, non stavo pensando ai nomi che mi piacevano... pensavo a un’altra cosa e poi è venuta fuori quella frase... vorrà pur dire qualcosa!»
  «D’accordo, come vuoi...» rispose Dana alzando le mani dal volante. L’auto sbandò paurosamente a destra e Ali, terrorizzata, si aggrappò al cruscotto.
  «MA SEI PAZZA?» esclamò furiosa non appena Dana, altrettanto spaventata, ebbe rimesso le mani sul volante. «Per poco non ci schiantavamo contro il muro!»
  «Scusami» disse Dana, ansimando. «Non so cosa mi sia preso». Riprese a guidare tranquillamente e poco dopo arrivarono sane e salve a casa loro. Ali aveva ancora una certa voglia di litigare per l’incidente mancato per un soffio, ma la vista di Dana, ancora così dispiaciuta e spaventata per l’accaduto, le fece cambiare idea. Decise invece di riprendere a parlare dell’adozione.
  «Allora? Che facciamo?» chiese. «Ci mettiamo in contatto con i Brown?»
  Dana non rispose subito. Si sedette sul divano con lo sguardo fisso. «Stavo per causare un incidente. Saresti potuta morire e sarebbe stata tutta colpa mia, non ci posso credere. Davvero non so a cosa stessi pensando quando ho lasciato il volante» disse con voce incredula. Ali si sentì sciogliere e in un attimo le passò tutta la rabbia.
  «Tesoro, non importa» mormorò Ali sedendosi accanto a lei e prendendole una mano. «Vedi? Sono qui con te e non è successo niente. Non pensarci più». Dana si voltò verso di lei e la guardò come se la vedesse per la prima volta. Ali sorrise e la baciò. L’altra la ricambiò timidamente e le appoggiò la testa sulla spalla. «Come farei senza di te?» mormorò. Ali la strinse con un braccio.
  «Non lo so, è meglio non chiederselo neppure» rispose. Dana alzò gli occhi e la guardò per un paio di secondi, accigliata, poi scosse la testa.
  «Hai una capacità incredibile di togliere tutto il romanticismo da una conversazione» osservò. Ali ridacchiò e la baciò di nuovo. Rimasero sedute per un po’ abbracciate, finchè Ali decise di riprendere il discorso che le premeva di più: l’adozione. «Senti, Dana, sul serio. Cosa facciamo adesso? Ci mettiamo subito in contatto con i Brown, o aspettiamo?»
  «No, va bene. Facciamolo subito, prendo il telefono» rispose Dana alzandosi dal divano, di nuovo padrona di sè. Prese il foglio dove c’era scritto il numero di telefono e lo compose sul cordless, poi se lo appoggiò all’orecchio e attese. Dopo qualche istante disse: «Salve! Mi chiamo Dana Rogers... no, signor Brown, non voglio venderle niente è solo... no mi lasci parlare! Ho parlato con... no ascolti, è importante. Ho parlato con l’agenzia di adozioni di Tacoma e visto che io e mia moglie vogliamo adottare un bambino ci hanno messo in contatto con voi per parlare della vostra esperienza. D’accordo... metto in vivavoce». Allontanò il telefono, schiacciò un pulsante e una voce maschile invase la stanza. «Salve...» disse. Ali si alzò e rispose al saluto.
  «Salve!» disse. «Sono Aliana Donnell, la moglie di Dana. Che ne direbbe di parlare un po’ con noi? Lei e sua moglie... sa per capire un po’ come funziona il processo e cosa fare...»
  «Certo» rispose Richard Brown con voce cordiale. «Potreste venire a pranzo con me e Judy. Diciamo... martedì prossimo all’una? Che ne dite? Venite a casa nostra, così parliamo un po’».
  «Perfetto, grazie signor Brown» disse Dana, dopodichè riattaccò. Si voltò verso Ali e le sorrise emozionata. «Finalmente! Questa cosa diventa sempre più reale!»
  «Non vedo l’ora di conoscerli!» rispose Ali. «Così sapremo tutto quello che ci serve e potremo cominciare davvero il processo! Presto Erica arriverà in casa nostra!»
  «Non servirà a niente dirti di smettere di dirlo, vero?» sospirò Dana. Ali scosse la testa e la baciò poi accese il computer e cominciò a guardare siti specializzati nell’educazione dei bambini. Stampò un paio di pagine e si alzò. «Oggi è sabato» disse. «Vuol dire che il pranzo dai Brown è fra tre giorni. Pensi che dovremmo prepararci in qualche modo?»
  «Non lo so...» rispose Dana pensierosa. «Magari potremmo scriverci qualche domanda da fare, sai giusto per sicurezza...»
  «Hai ragione» rispose Ali. Quindi presero un blocco per gli appunti e si misero a scrivere le domande che potevano essere utili porre a chi aveva già fatto quell’esperienza. Quella sera alla fine andarono a letto felici e decisero di celebrare la cosa con del sano, buon sesso. Avevano iniziato ufficialmente a usare i biglietti delle montagne russe da finire prima che arrivasse un bambino.

 

 
Tre giorni dopo erano ormai pronte per andare a pranzo dai Brown. Si erano vestite ed erano appena uscite di casa. Ali teneva in mano i fogli con le domande da fare. Arrivarono alla casa giusta, che era molto carina, simile alla loro. I padroni di casa erano sull’ingresso ad aspettarle. Si presentarono e sia Richard che Judy fecero alle due un’ottima impressione. Durante il pranzo chiacchierarono molto e le domande che Ali e Dana si erano preparate in realtà non servirono. Ethan si sedette a tavola con loro, ma poco dopo si alzò preferendo andare a giocare e i quattro adulti rimasero soli. Ali approfittò di quel momento per chiedere: «Ma Ethan sa di essere stato adottato?»
  «Non ancora» rispose Judy. «Ma glielo vogliamo dire non appena sarà abbastanza grande per capire. Certi genitori non lo dicono, ma io non sono d’accordo. È come se adottare un bambino fosse una cosa negativa da tenere nascosta. Noi non la pensiamo così. Invece, se posso chiedere... perchè tu e Dana avete deciso per l’adozione?» erano passati al tu praticamente subito dopo essersi presentati, era stata una cosa assolutamente naturale, da entrambe le parti.
  «Non c’è un motivo particolare» rispose Ali. «Semplicemente è un’idea che mi è venuta quasi per caso al nostro matrimonio, è maturata durante il viaggio di nozze e mi è piaciuta molto. Sarei davvero contenta di riuscirci».
  «Io ho un buon presentimento» disse Judy e Ali le sorrise. «Non so se lo sapete, ma una volta che avrete fatto la domanda riceverete una visita da parte di un’assistente sociale, per vedere se la casa è adatta ad accogliere un bambino».
  «Davvero? Grazie per avercelo detto. Tesoro» disse alla moglie, «Judy ha detto che prima o poi riceveremo la visita di un’assistente sociale per vedere la casa».
  «Ah sì?» rispose Dana mediamente sorpresa. «Buono a sapersi. Ma non mi preoccupo, tanto lo so che non ci sarà nessun problema. Casa nostra non è pericolosa».
  Poco dopo si alzarono da tavola e andarono avanti a parlare davanti a una tazza di caffè. Utilizzarono un po’ di domande che si erano scritte e quando tornarono a casa erano soddisfatte di com’era andato il pranzo. Finalmente avevano le idee più chiare su quello che dovevano fare e ora l’unica cosa che dovevano fare era pensare di compilare i moduli per entrare in lista d’attesa. Li presero e cominciarono a leggerli. «Li compiliamo adesso?» disse Dana.
  «No aspettiamo» rispose Ali. «Prima voglio leggerli bene, per essere sicura che non ci sfugga niente quando li compileremo definitvamente». E così fecero.

 

 
La settimana successiva proprio nel momento in cui si stavano preparando a compilare i moduli squillò il telefono e Dana andò a rispondere. «Pronto?» disse. Un attimo di silenzio: «Benji!»
  «Mio fratello?» esclamò Ali alzandosi dal tavolo. Sua moglie annuì e mise in vivavoce. «Ciao Benji!» lo salutò meravigliata. «Che succede?»
  «Ho parlato con la mamma» rispose lui. «Mi ha detto che volete adottare un bambino, è vero?»
  «Sì avremmo questo piano» commentò Ali. «Perchè?»
  «Allora ho una notizia che potrebbe interessarvi». Le due donne si fecero più attente e lo incitarono a proseguire. Allora lui aggiunse: «Tre giorni fa è venuta da noi una ragazzina incinta, non poteva avere più di sedici anni... ha avuto una bambina e l’ha lasciata in ospedale. Ora, io non dovrei farlo, però so che volete un bambino e se mi dite che l’idea vi va davvero, potrei fare in modo di facilitarvi le cose. Ho aspettato a dirvelo perchè ho dovuto aspettare le quarantotto ore che, per legge, spettano alla madre per eventualmente cambiare idea. Adesso queste ore sono passate, quindi... che ne dite?»
  «Benji questa è... una notizia fantastica! Davvero potresti aiutarci? Noi cosa dobbiamo fare?»
  «Compilare i moduli e consegnarli, poi immagino fare quello che si fa di solito. Se le cose vanno bene in tre o quattro mesi dovreste avere la bambina» disse Benji. Si salutarono e Dana riattaccò. Subito dopo si voltò verso Ali e le chiese: «Allora, che ne pensi?»
  Per tutta risposta lei corse al tavolo prese la penna e cominciò a riempire le parti dei moduli destinati a lei con tutti i suoi dati. Dana le si avvicinò di corsa. «Ehi, ehi, ehi!» esclamò. «Che diavolo fai?»
  «Tesoro, tu lo sai vero?» disse continuando a scrivere. «Quella bambina è Erica, sicuramente. Quindi dobbiamo sbrigarci, perchè Benji non può fare miracoli e qualcuno potrebbe passarci avanti! Forza sbrigati, vieni anche tu a scrivere!»
  «Ma non l’abbiamo nemmeno vista, Ali!» osservò Dana. «Magari la vedi e capisci che Erica non è lei. Dobbiamo andare a Portland e vederla prima. Non credi sia una buona idea?»
  Ali smise di scrivere. «Sì forse hai ragione... chiamo Benji». Si alzò prese il telefono e chiamò il fratello maggiore. Lui rispose al secondo squillo. «Ciao Ali!» esclamò sorpreso. «Che succede?»
  «Come facevi a sapere che ero io?» chiese lei e subito dopo aggiunse: «No senti, io e Dana abbiamo pensato che prima di riempire i moduli vogliamo vedere la bambina. Pensi si possa fare?»
  «Immagino di sì» rispose Benji lentamente. «Ma perchè me lo chiedi?»
  «Non è che non mi fidi» disse Ali. «È solo che io sogno di avere una figlia che si chiami Erica. Quindi voglio essere sicura che questa bambina sia quella giusta, capisci?»
  «Certo che capisco» replicò Benji con una leggera risata. «Potete venire domani, se a Dana va bene».
  «A me va bene, aspetta che glielo chiedo». Coprì il telefono con una mano e si voltò. «Ehi, tesoro».
  «Che c’è?» rispose Dana avvicinandosi a lei.
  «Benji ha proposto di andare domani a Portland a vedere la bambina. Per te va bene?» Dana annuì e Ali riferì al fratello che poco dopo la salutò. Ali tornò al tavolo e mise i moduli in un cassetto. Era contenta di come stavano andando le cose. Sarebbero andate a vedere la bambina, ma in cuor suo lei era sicura che sarebbe stata sua figlia, che sarebbe stata Erica. Non vedeva l’ora che arrivasse il giorno dopo. Dana si mise a preparare sandwich per il pranzo, visto che sicuramente sarebbero dovute star via una giornata intera. Portland non era vicina.
  Il mattino dopo si alzarono di buon’ora. Volevano arrivare là presto in modo da avere tempo di fare tutto. Mentre erano in autostrada dopo quasi un’ora di viaggio, Ali teneva d’occhio Dana. «Tieni le mani sul volante, mi raccomando» le disse. Dana annuì seria. C’era rimasta molto male per il quasi-incidente. «Tranquilla. Non ho la minima intenzione di provocare un incidente quando stiamo per andare a conoscere la nostra possibile figlia».
  «Facciamo cambio fra un po’» disse Ali. « Così non ti stanchi» le accarezzò un braccio. «Okay?»
  «Okay» rispose Dana. «Alla prossima stazione di servizio. Devo andare in bagno, sto scoppiando». Ali ridacchiò e annuì. Quando arrivarono andarono in bagno entrambe e Ali si mise al volante. Dopo poco più di un’altra ora di viaggio arrivarono a Portland. Dana chiamò Benji per farsi dire dov’era l’ospedale e ci arrivarono in poco tempo. Lui le aspettava all’ingresso e le affidò subito a una ragazza vestita di rosa, spiegando che lui non poteva accompagnarle perchè non era di quel reparto, ma che la dottoressa Davies era al corrente della cosa. «Però non parlate con altre persone. È meglio che lo sappiano in pochi, visto che non è una cosa del tutto legale».
  La dottoressa Davies, Martha si chiamava, le scortò fino al suo reparto e al nido, dove le fece entrare dopo aver fatto indossare a entrambi dei camici. Si diresse fino a una delle ultime file e indicò una delle culle. Ali e Dana si avvicinarono entrambe. La bambina che dormiva lì dentro era bellissima. Ali quando la vide si sentì stringere il cuore e mormorò: «Erica...»
  «Hai ragione» rispose Dana con gli occhi lucidi. «Hai ragione, è Erica. È perfetta».
  «Assolutamente perfetta» aggiunse Ali allungando una mano per accazzerarle la testa minuscola coperta da pochi capelli scuri. La bambina mosse una mano e per istinto lei lasciò che le afferrasse un dito. Dana si rivolse a Martha. «Dottoressa Davies, crede... posso prenderla in braccio?»
  «Certo!» rispose l’altra sorridendo, così Dana allungò le braccia e la prese. Nel momento in cui sentì il suo peso addosso, capì cosa significava essere madre. Le scese una lacrima lungo una guancia e la passò ad Ali che la prese subito e si sentì sciogliere. Quella bambina era sua figlia, lo sapeva.
  «Dottoressa Davies» disse, «crede che... se dovessimo avere la bambina... potrebbero esserci dei problemi con la famiglia di origine?»
  «Dubito» rispose Martha. «Dubito perchè la madre naturale è arrivata qui da sola e da quello che ho capito nessuno a parte lei sapeva che era incinta. Lei non voleva saperne quindi non credo che qualcuno rivendicherà la sua presenza».  
  Più tardi tornarono nell’ingresso e si incontrarono di nuovo con Benji. «Allora?» chiese non appena le vide arrivare. «Com’è andata? Avete visto la bambina?» loro annuirono. «Che ne dite?»
  «È lei» disse Ali con gli occhi ancora che brillavano. «È Erica. Senza dubbio». Dana annuì con un sorriso emozionato, mettendole un braccio attorno alle spalle. Poco dopo salutarono Benji e la dottoressa Davies e tornarono a casa. Una volta arrivate si tolsero le giacche e si precipitarono a prendere i moduli e li compilarono entrambi. Una volta finito, visto che era presto, decisero subito di andare a Tacoma per consegnarli, insieme a tutti i documenti necessari. Per una curiosa coincidenza trovarono lo stesso impiegato della volta precedente. Consegnarono il tutto e lui chiese con un sorriso: «Allora avete deciso di entrare in lista d’attesa?»
  «Non proprio» rispose Ali. «Abbiamo conosciuto una bambina. È stata abbandonata dalla madre appena nata nell’ospedale dove lavora mio fratello. L’abbiamo presa in braccio... ed era nostra figlia».
  «Sono contento per voi» rispose l’impiegato prendendo i fogli che Dana gli porgeva. «Spero davvero che ce la facciate ad averla. Se tutto va bene fra qualche giorno vi faremo sapere quando riceverete la visita di una nostra impiegata, per controllare casa vostra».
  «Sì ce l’hanno detto» replicò Dana. «I Brown. Quando siamo stati da loro». L’impiegato sorrise e disse che la notizia gli faceva piacere. Poco dopo tornarono a casa continuando a parlarne. L’atmosfera quel giorno era diversa, da quando avevano visto la bambina all’ospedale erano entrate entrambe nell’ottica materna e improvvisamente si sentivano più adulte. E molto, molto felici
.

 

 

 
NdA: perdono, chiedo umilmente perdono *si inginocchia* Lo so sono schifosamente in ritardo. È stato un capitolo tirannico, poi avevo gli esami... Comunque grazie a tutti! Have fun!

  
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