Associazione
genitori
Un
mese
esatto dopo il matrimonio, Ali e Dana erano ancora in luna di miele e
in quel
momento in particolare erano stese a prendere il sole su una spiaggia
di Santo
Domingo. Erano partite due giorni dopo il matrimonio e Ali avrebbe
voluto che
quei momenti non finissero mai. Voleva stare in viaggio di nozze in
eterno, non
voleva più tornare a casa e riprendere la solita vita. In
quel momento davanti
a loro passò una coppia con una bambina per mano. Ali
sospirò e Dana si voltò
di scatto verso di lei.
«Che
hai?» le chiese con sguardo
interrogativo. Ali la guardò a lungo e le sorrise.
«Ho
appena visto una famigliola passare. Non
abbiamo più parlato dei figli da prima del matrimonio.
Allora, che ne dici?» le
rispose. Dana le prese una mano.
«Tu vuoi
avere un figlio, giusto?» le chiese.
Ali annuì. «Allora parliamone. Stasera».
Le si avvicinò e la baciò sulle
labbra, poi tornò a sdraiarsi e Ali la imitò con
un gran sorriso stampato in
faccia. Finalmente ne avrebbero parlato davvero, sua moglie era
d’accordo con
lei e avrebbe potuto sottoporle la sua idea dell’adozione. Le
piaceva così
tanto l’idea di crescere un bambino che magari non aveva i
genitori, o che era
stato abbandonato da una madre troppo giovane... Sperava che questa
idea
sarebbe piaciuta anche a Dana, quanto piaceva a lei. Mentre stava stesa
con gli
occhi chiusi godendo del calore del sole e della lieve brezza
pensò a cosa
avrebbe detto. Le piaceva anche il pensiero di portare un bambino in
grembo, ma
se ce ne fosse stata la possibilità, preferiva
senz’altro adottare.
All’improvviso non vedeva l’ora che arrivasse la
sera.
Alla fine la sera
arrivò e dopo cena le due
donne decisero di uscire a fare una passeggiata. La camera
d’albergo era molto
bella, ma il fuori era decisamente meglio e infatti stavano al chiuso
solo per
dormire e a volte per mangiare. Arrivarono fino alla piazza principale
e si
sedettero su una delle panchine. Dopo un attimo Dana si
voltò a guardare la
moglie. Le prese una mano e disse: «Allora... i figli.
È arrivato il momento di
parlarne vero?»
«Direi
di sì» rispose Ali sollevata. «Sono
felice che finalmente hai deciso di parlarne. Non hai idea di quanto
voglia
avere un figlio. Non vedo l’ora che succeda».
«Adesso
che siamo sposate e che quindi non
posso più abbandonarti facilmente, posso dirtelo.
Anch’io non vedo l’ora di
averne uno» rispose Dana, baciandola dolcemente sulle labbra.
Un paio di
persone le guardarono infastidite, ma loro non ci fecero caso.
«Allora cosa
vuoi fare? Quando torniamo a casa, dico. Ci mettiamo a cercare un
donatore?»
«Dana...»
cominciò Ali esitante e lei la
guardò interrogativa. «Non so cosa ne pensi tu, ma
io vorrei tanto adottare un
bambino. Non è per il fatto della gravidanza, assolutamente,
anzi è
un’esperienza che vorrò fare prima o poi, ma
questa è una cosa che mi piace
moltissimo».
«Adottare
un bambino?» le fece eco Dana
pensierosa. «Non ci ho mai pensato, ma sai che è
una bellissima idea? Hai
ragione, facciamo così. Quando torniamo a casa, richiediamo
i moduli per poter avere
un bambino in adozione e... speriamo vada bene». Rimasero
sedute su quella
panchina ancora per un po’ e alla fine si alzarono e
tornarono in albergo. Molto
più tardi Ali era ancora sveglia e pensò alla
conversazione avuta con Dana
quella sera. Cercò di immaginarsi come sarebbe stato il suo
bambino. “Se sarà
una bambina si chiamerà Erica”.
Spalancò gli occhi e si sedette sul letto,
stupita. Non era un pensiero cosciente. Aveva pensato a un bambino
qualsiasi e
le era venuta in mente quella frase. Una cosa era evidente: qualcuno
aveva
fatto sì che lei sapesse questo particolare in anticipo.
«Dana!»
sussurrò nel buio, scuotendo la
moglie per una spalla. «Dana, svegliati!»
«Mmh...»
mugugnò l’altra, ancora mezza
addormentata. «Che vuoi?»
«Se
adotteremo una bambina la chiameremo
Erica. Segnati questo nome!» replicò Ali. Dana si
voltò verso di lei con uno
sguardo assassino che Ali ignorò.
«Erica?
Di che diavolo stai parlando?»
gemette Dana, dando un’occhiata all’orologio.
«Amore, sono le due di notte, te
ne rendi conto? Non possiamo discuterne domani mattina?»
«No non
possiamo! Io stavo pensando a
tutt’altro, poi mi è saltata alla mente questa
frase. Non può essere solo un
caso, vuol dire che è destino che adotteremo una bambina e
la chiameremo così! Avanti
prendi carta e penna e segnati questo nome!»
«Schiavista»
borbottò Dana, accendendo la
luce e cercando qualcosa per scrivere. Alla fine scrisse il nome e
tornò a
letto. «Adesso dormi. Non voglio più sentire una
parola fino a domani mattina».
Spense la luce e le voltò le spalle. Ali invece
continuò a pensare. “Erica. Non
avevo mai pensato a questo nome per mia figlia. Però... mi
piace. Mi piace un
sacco”. Si voltò su un fianco e mise il suo
braccio attorno alla vita di Dana,
poi finalmente si addormentò.
Una
settimana dopo tornarono a casa. Taylor che era al corrente della data
e
dell’ora di rientro telefonò dieci minuti dopo che
loro erano entrate in casa. Ali
corse a rispondere.
«Pronto?»
disse e la voce acuta di sua madre
le perforò un timpano. Non sentivano nessuno della famiglia
da ben cinque
settimane e non fu facile tornare alla normalità.
«Aliana!»
esclamò col solito tono d’urgenza.
«Siete tornate a casa?»
«Señoras
no en
casa, escusame» replicò Ali con il naso tappato
per mascherare la voce. Taylor
sospirò. «Aliana, per favore, fai la persona
seria. Siete tornate?»
«Mamma,
certo che siamo tornate!» esclamò lei
esasperata. «Dal momento che tu chiami al telefono fisso e io
rispondo, vuol
dire che siamo tornate! Piuttosto, è successo qualcosa?
Papà, Benji... stanno
tutti bene? Tu stai bene?»
«Sì,
stiamo bene, Aliana. Non è successo
niente. Volevo solo essere la prima a sentirvi.
Com’è andato il viaggio? Dana è
scappata con qualche ragazza caraibica?»
«No,
mamma. È tornata a casa con me. E anzi,
abbiamo deciso di adottare un bambino. E abbiamo anche deciso che se
sarà una
bambina la chiameremo Erica».
«Tesoro,
che bella notizia!» disse Taylor
deliziata. Sembrava che l’idea che sua figlia crescesse un
bambino con un’altra
donna, non la turbasse più di tanto se il risultato sarebbe
stato che lei
poteva avere un nipote. «E quando pensate di andare a
chiedere? Presto spero. Lo
sai i tempi per un’adozione possono essere lunghissimi e voi
due non siete più
delle ragazzine. Volete adottare un neonato? Se sì, dovete
sbrigarvi, perchè
dopo una certa età non ve li daranno più. Mi
piace il nome Erica». Ali sospirò,
ma sorrideva. Era un discorso normale, che avrebbero affrontato in ogni
caso e
le piaceva che il suo matrimonio non avesse cambiato niente. Dopo la
reazione
di Taylor all’inizio della sua storia con Dana, Ali non era
mai del tutto
tranquilla a parlare con lei. Ma questa telefonata era la dimostrazione
che le
cose erano tornate alla normalità. Poco dopo riattaccarono e
Dana le si
avvicinò.
«Che ti
ha detto?» le chiese. Ali sorrise.
«Prima mi ha chiesto se eri fuggita con qualche cubana, o
cose del genere. E
poi che dobbiamo sbrigarci con l’adozione perchè
se aspettiamo troppo poi
invecchiamo e non possiamo più avere bambini appena
nati». Dana ridacchiò. Però
Ali pensò che comunque Taylor aveva ragione e che non vedeva
l’ora di
cominciare la procedura. Lo disse a Dana che le fece sapere che anche
lei non
aspettava altro, quindi decisero che il giorno dopo sarebbero andate a
chiedere
informazioni in un’agenzia di adozioni per sapere cosa
dovevano fare e altre
cose.
Purtroppo non
andò subito tutto liscio come
avevano sperato. Il mattino seguente in possesso dei certificati di
nascita di
entrambe, del contratto di matrimonio e di tante buone intenzioni, si
recarono
alla principale società di adozioni di Seattle. Erano
entrate in un ufficio e
la giovane impiegata aveva detto ad Ali di accomodarsi.
«Ma io
veramente...» aveva cominciato
indicando Dana. La donna le aveva lanciato uno sguardo interrogativo.
«Sono
venuta con lei. Siamo... siamo sposate. Vogliamo adottare un
bambino».
«Voi
due?» fece l’impiegata allibita. «Beh,
noi... seguiamo una politica molto rigida... solo le coppie legalmente
sposate
possono adottare».
«Noi
siamo legalmente sposate!» esclamò Dana.
Si avvicinò e appoggiò il contratto sulla
scrivania. «Da sei settimane. Ma
credo che lei intenda dire che solo una coppia sposata formata da un
uomo e una
donna può adottare». Lo sguardo della donna
rispose al posto suo.
«Andiamo
Ali» riprese, prendendo sua moglie
per un braccio. «Qua non siamo gradite». Uscirono
dall’edificio e rimasero in
piedi a guardarsi.
«Sinceramente
non pensavo che sarebbe andata
così» osservò Ali. «Adesso
cosa facciamo?»
«Andiamo
da un’altra parte» rispose Dana
freddamente. «A Tacoma. Speriamo vada bene».
Andarono verso la loro auto e si
misero in viaggio per Tacoma. Strada facendo Ali disse: «E
cosa facciamo? Dico
se a Tacoma non si fanno problemi. Ci iscriviamo subito?»
«Facciamo
che per ora chiediamo solo
informazioni» rispose Dana. «Per capire cosa
dobbiamo fare eccetera. Poi ci
penseremo. Io vorrei anche conoscere una coppia che ha adottato un
bambino.
Cioè, penso che sarebbe interessante sapere la loro
esperienza».
«Hai
ragione, sì è una bellissima idea»
approvò Ali. «Possiamo chiedere anche questo
all’ufficio. Se possono metterci
in contatto con una coppia». Sorrise e appoggiò
una mano sul ginocchio di Dana
che la strinse con la sua. Poco dopo erano arrivate a destinazione ed
entrarono
subito nell’edificio. Sedettero una accanto
all’altra dopo aver preso un numero
da una macchinetta e dopo un po’ dal cubicolo di fronte a
loro un uomo chiamò
il loro numero. Si avvicinarono e l’impiegato sorrise
affabile. «Buongiorno,
signore» disse. «Prego accomodatevi».
Loro sedettero nelle poltrone davanti
alla scrivania. «Quindi voi vorreste adottare un
bambino?»
«Sì»
rispose subito Ali. «Noi due. Insieme.
Siamo sposate». L’uomo sorrise ancora e
annuì, con aria leggermente confusa.
«Mi scusi, è solo che a Seattle ci hanno fatto
problemi. Ci hanno detto che
solo le coppie legalmente sposate potevano fare la richiesta e noi lo
siamo, ma
poi l’impiegata ha fatto capire a mia moglie che in
realtà accettavano solo le
coppie eterosessuali. Per quello siamo venute qui».
«Capisco»
osservò l’uomo con un piccolo cenno
del capo. «Beh, vedrete che noi siamo molto più...
aperti. L’importante è che
siate sposate. Posso vedere i documenti? I vostri certificati di
nascita e il
contratto di matrimonio per favore». Dana gli
passò i fogli e lui li studiò per
qualche istante.
«Bene,
è tutto a posto» annunciò alla fine.
«Ora... un paio di domande... volete iniziare subito la
procedura? E siete
interessate all’adozione internazionale? Perchè
per quella l’iter è un po’
più
lungo, ci sono degli step in più. Volete sapere
qualcosa?»
«Veramente
per ora volevamo solo delle
informazioni» replicò Ali.
«Cioè sapere un po’ come funziona la
procedura, che
cosa dobbiamo fare... e soprattutto volevamo chiederle se potevate
metterci in
contatto con una famiglia. Vogliamo parlare con qualcuno che ha fatto
questa
esperienza».
«Credo
di potervi aiutare» disse l’impiegato
prendendo un pacco di fogli da un cassetto. «Naturalmente
dovrete tener conto
che non tutte le famiglie saranno disposte a parlare. Alcune vorranno
mantenere
la privacy, ma troviamo sempre qualcuno di disponibile. Allora,
vediamo... ecco
la famiglia Brown, abitano a Seattle, siete fortunate. Hanno adottato
un
bambino di nome Ethan, tre anni fa. Vi lascio l’indirizzo, va
bene?»
«Perfetto,
grazie mille» rispose Dana,
prendendo un foglio che l’uomo le porgeva insieme ai loro
documenti. Dopodichè
le due si alzarono e uscirono dall’agenzia. «Allora
che ne pensi?» chiese.
«Penso...»
disse Ali. «Penso che non vedo
l’ora di parlare con questi Brown e di poter adottare un
bambino tutto nostro.
Anzi... non vedo l’ora di adottare Erica».
«Ma
questa è una tua idea» disse Dana mentre
tornavano alla macchina e si mettevano in viaggio verso casa.
«Non è affatto
detto che adotteremo una bambina. Se succederà la chiameremo
come vuoi tu, ma
magari ci danno un maschio, che ne sai?»
«Secondo
me invece era un segno» ribattè Ali
ostinata. Era sicura che quel pensiero non fosse suo, ma del destino.
«Te l’ho
detto non l’ho pensato apposta, non stavo pensando ai nomi
che mi piacevano...
pensavo a un’altra cosa e poi è venuta fuori
quella frase... vorrà pur dire
qualcosa!»
«D’accordo,
come vuoi...» rispose Dana
alzando le mani dal volante. L’auto sbandò
paurosamente a destra e Ali,
terrorizzata, si aggrappò al cruscotto.
«MA SEI
PAZZA?» esclamò furiosa non appena
Dana, altrettanto spaventata, ebbe rimesso le mani sul volante.
«Per poco non
ci schiantavamo contro il muro!»
«Scusami»
disse Dana, ansimando. «Non so cosa
mi sia preso». Riprese a guidare tranquillamente e poco dopo
arrivarono sane e
salve a casa loro. Ali aveva ancora una certa voglia di litigare per
l’incidente mancato per un soffio, ma la vista di Dana,
ancora così dispiaciuta
e spaventata per l’accaduto, le fece cambiare idea. Decise
invece di riprendere
a parlare dell’adozione.
«Allora?
Che facciamo?» chiese. «Ci mettiamo
in contatto con i Brown?»
Dana non rispose
subito. Si sedette sul
divano con lo sguardo fisso. «Stavo per causare un incidente.
Saresti potuta
morire e sarebbe stata tutta colpa mia, non ci posso credere. Davvero
non so a
cosa stessi pensando quando ho lasciato il volante» disse con
voce incredula.
Ali si sentì sciogliere e in un attimo le passò
tutta la rabbia.
«Tesoro,
non importa» mormorò Ali sedendosi
accanto a lei e prendendole una mano. «Vedi? Sono qui con te
e non è successo
niente. Non pensarci più». Dana si
voltò verso di lei e la guardò come se la
vedesse per la prima volta. Ali sorrise e la baciò.
L’altra la ricambiò
timidamente e le appoggiò la testa sulla spalla.
«Come farei senza di te?»
mormorò. Ali la strinse con un braccio.
«Non lo
so, è meglio non chiederselo neppure»
rispose. Dana alzò gli occhi e la guardò per un
paio di secondi, accigliata,
poi scosse la testa.
«Hai una
capacità incredibile di togliere
tutto il romanticismo da una conversazione»
osservò. Ali ridacchiò e la baciò
di nuovo. Rimasero sedute per un po’ abbracciate,
finchè Ali decise di
riprendere il discorso che le premeva di più:
l’adozione. «Senti, Dana, sul
serio. Cosa facciamo adesso? Ci mettiamo subito in contatto con i
Brown, o
aspettiamo?»
«No, va
bene. Facciamolo subito, prendo il telefono»
rispose Dana alzandosi dal divano, di nuovo padrona di sè.
Prese il foglio dove
c’era scritto il numero di telefono e lo compose sul
cordless, poi se lo
appoggiò all’orecchio e attese. Dopo qualche
istante disse: «Salve! Mi chiamo
Dana Rogers... no, signor Brown, non voglio venderle niente
è solo... no mi
lasci parlare! Ho parlato con... no ascolti, è importante.
Ho parlato con
l’agenzia di adozioni di Tacoma e visto che io e mia moglie
vogliamo adottare
un bambino ci hanno messo in contatto con voi per parlare della vostra
esperienza. D’accordo... metto in vivavoce».
Allontanò il telefono, schiacciò
un pulsante e una voce maschile invase la stanza.
«Salve...» disse. Ali si alzò
e rispose al saluto.
«Salve!»
disse. «Sono Aliana Donnell, la
moglie di Dana. Che ne direbbe di parlare un po’ con noi? Lei
e sua moglie...
sa per capire un po’ come funziona il processo e cosa
fare...»
«Certo»
rispose Richard Brown con voce
cordiale. «Potreste venire a pranzo con me e Judy. Diciamo...
martedì prossimo
all’una? Che ne dite? Venite a casa nostra, così
parliamo un po’».
«Perfetto,
grazie signor Brown» disse Dana,
dopodichè riattaccò. Si voltò verso
Ali e le sorrise emozionata. «Finalmente!
Questa cosa diventa sempre più reale!»
«Non
vedo l’ora di conoscerli!» rispose Ali.
«Così sapremo tutto quello che ci serve e potremo
cominciare davvero il
processo! Presto Erica arriverà in casa nostra!»
«Non
servirà a niente dirti di smettere di
dirlo, vero?» sospirò Dana. Ali scosse la testa e
la baciò poi accese il
computer e cominciò a guardare siti specializzati
nell’educazione dei bambini.
Stampò un paio di pagine e si alzò.
«Oggi è sabato» disse. «Vuol
dire che il
pranzo dai Brown è fra tre giorni. Pensi che dovremmo
prepararci in qualche
modo?»
«Non lo
so...» rispose Dana pensierosa.
«Magari potremmo scriverci qualche domanda da fare, sai
giusto per
sicurezza...»
«Hai
ragione» rispose Ali. Quindi presero un
blocco per gli appunti e si misero a scrivere le domande che potevano
essere
utili porre a chi aveva già fatto
quell’esperienza. Quella sera alla fine
andarono a letto felici e decisero di celebrare la cosa con del sano,
buon
sesso. Avevano iniziato ufficialmente a usare i biglietti delle
montagne russe
da finire prima che arrivasse un bambino.
Tre giorni
dopo erano ormai pronte per andare a pranzo dai Brown. Si erano vestite
ed
erano appena uscite di casa. Ali teneva in mano i fogli con le domande
da fare.
Arrivarono alla casa giusta, che era molto carina, simile alla loro. I
padroni
di casa erano sull’ingresso ad aspettarle. Si presentarono e
sia Richard che
Judy fecero alle due un’ottima impressione. Durante il pranzo
chiacchierarono
molto e le domande che Ali e Dana si erano preparate in
realtà non servirono.
Ethan si sedette a tavola con loro, ma poco dopo si alzò
preferendo andare a
giocare e i quattro adulti rimasero soli. Ali approfittò di
quel momento per
chiedere: «Ma Ethan sa di essere stato adottato?»
«Non
ancora» rispose Judy. «Ma glielo
vogliamo dire non appena sarà abbastanza grande per capire.
Certi genitori non
lo dicono, ma io non sono d’accordo. È come se
adottare un bambino fosse una
cosa negativa da tenere nascosta. Noi non la pensiamo così.
Invece, se posso
chiedere... perchè tu e Dana avete deciso per
l’adozione?» erano passati al tu
praticamente subito dopo essersi presentati, era stata una cosa
assolutamente
naturale, da entrambe le parti.
«Non
c’è un motivo particolare» rispose Ali.
«Semplicemente è un’idea che mi
è venuta quasi per caso al nostro matrimonio, è
maturata durante il viaggio di nozze e mi è piaciuta molto.
Sarei davvero
contenta di riuscirci».
«Io ho
un buon presentimento» disse Judy e
Ali le sorrise. «Non so se lo sapete, ma una volta che avrete
fatto la domanda
riceverete una visita da parte di un’assistente sociale, per
vedere se la casa
è adatta ad accogliere un bambino».
«Davvero?
Grazie per avercelo detto. Tesoro»
disse alla moglie, «Judy ha detto che prima o poi riceveremo
la visita di
un’assistente sociale per vedere la casa».
«Ah
sì?» rispose Dana mediamente sorpresa.
«Buono a sapersi. Ma non mi preoccupo, tanto lo so che non ci
sarà nessun
problema. Casa nostra non è pericolosa».
Poco dopo si
alzarono da tavola e andarono
avanti a parlare davanti a una tazza di caffè. Utilizzarono
un po’ di domande
che si erano scritte e quando tornarono a casa erano soddisfatte di
com’era
andato il pranzo. Finalmente avevano le idee più chiare su
quello che dovevano
fare e ora l’unica cosa che dovevano fare era pensare di
compilare i moduli per
entrare in lista d’attesa. Li presero e cominciarono a
leggerli. «Li compiliamo
adesso?» disse Dana.
«No
aspettiamo» rispose Ali. «Prima voglio
leggerli bene, per essere sicura che non ci sfugga niente quando li
compileremo
definitvamente». E così fecero.
La
settimana
successiva proprio nel momento in cui si stavano preparando a compilare
i
moduli squillò il telefono e Dana andò a
rispondere. «Pronto?» disse. Un attimo
di silenzio: «Benji!»
«Mio fratello?» esclamò Ali alzandosi
dal
tavolo. Sua moglie annuì e mise in vivavoce. «Ciao
Benji!» lo salutò
meravigliata. «Che succede?»
«Ho parlato con la mamma» rispose lui.
«Mi ha
detto che volete adottare un bambino, è vero?»
«Sì avremmo questo piano»
commentò Ali.
«Perchè?»
«Allora ho una notizia che potrebbe
interessarvi». Le due donne si fecero più attente
e lo incitarono a proseguire.
Allora lui aggiunse: «Tre giorni fa è venuta da
noi una ragazzina incinta, non
poteva avere più di sedici anni... ha avuto una bambina e
l’ha lasciata in
ospedale. Ora, io non dovrei farlo, però so che volete un
bambino e se mi dite
che l’idea vi va davvero, potrei fare in modo di facilitarvi
le cose. Ho
aspettato a dirvelo perchè ho dovuto aspettare le
quarantotto ore che, per
legge, spettano alla madre per eventualmente cambiare idea. Adesso
queste ore
sono passate, quindi... che ne dite?»
«Benji questa è... una notizia fantastica!
Davvero potresti aiutarci? Noi cosa dobbiamo fare?»
«Compilare i moduli e consegnarli, poi
immagino fare quello che si fa di solito. Se le cose vanno bene in tre
o
quattro mesi dovreste avere la bambina» disse Benji. Si
salutarono e Dana
riattaccò. Subito dopo si voltò verso Ali e le
chiese: «Allora, che ne pensi?»
Per tutta risposta lei corse al tavolo prese
la penna e cominciò a riempire le parti dei moduli destinati
a lei con tutti i
suoi dati. Dana le si avvicinò di corsa. «Ehi,
ehi, ehi!» esclamò. «Che diavolo
fai?»
«Tesoro, tu lo sai vero?» disse continuando a
scrivere. «Quella bambina è Erica, sicuramente.
Quindi dobbiamo sbrigarci,
perchè Benji non può fare miracoli e qualcuno
potrebbe passarci avanti! Forza
sbrigati, vieni anche tu a scrivere!»
«Ma non l’abbiamo nemmeno vista, Ali!»
osservò Dana. «Magari la vedi e capisci che Erica
non è lei. Dobbiamo andare a
Portland e vederla prima. Non credi sia una buona idea?»
Ali smise di scrivere. «Sì forse hai
ragione... chiamo Benji». Si alzò prese il
telefono e chiamò il fratello
maggiore. Lui rispose al secondo squillo. «Ciao
Ali!» esclamò sorpreso. «Che
succede?»
«Come facevi a sapere che ero io?» chiese lei
e subito dopo aggiunse: «No senti, io e Dana abbiamo pensato
che prima di
riempire i moduli vogliamo vedere la bambina. Pensi si possa
fare?»
«Immagino di sì» rispose
Benji lentamente.
«Ma perchè me lo chiedi?»
«Non è che non mi fidi» disse Ali.
«È solo
che io sogno di avere una figlia che si chiami Erica. Quindi voglio
essere
sicura che questa bambina sia quella giusta, capisci?»
«Certo che capisco» replicò Benji con
una
leggera risata. «Potete venire domani, se a Dana va
bene».
«A me va bene, aspetta che glielo chiedo».
Coprì il telefono con una mano e si voltò.
«Ehi, tesoro».
«Che c’è?» rispose Dana
avvicinandosi a lei.
«Benji ha proposto di andare domani a
Portland a vedere la bambina. Per te va bene?» Dana
annuì e Ali riferì al
fratello che poco dopo la salutò. Ali tornò al
tavolo e mise i moduli in un
cassetto. Era contenta di come stavano andando le cose. Sarebbero
andate a
vedere la bambina, ma in cuor suo lei era sicura che sarebbe stata sua
figlia,
che sarebbe stata Erica. Non vedeva l’ora che arrivasse il
giorno dopo. Dana si
mise a preparare sandwich per il pranzo, visto che sicuramente
sarebbero dovute
star via una giornata intera. Portland non era vicina.
Il mattino dopo si alzarono di buon’ora.
Volevano arrivare là presto in modo da avere tempo di fare
tutto. Mentre erano
in autostrada dopo quasi un’ora di viaggio, Ali teneva
d’occhio Dana. «Tieni le
mani sul volante, mi raccomando» le disse. Dana
annuì seria. C’era rimasta
molto male per il quasi-incidente. «Tranquilla. Non ho la
minima intenzione di
provocare un incidente quando stiamo per andare a conoscere la nostra
possibile
figlia».
«Facciamo cambio fra un po’» disse Ali.
«
Così non ti stanchi» le accarezzò un
braccio. «Okay?»
«Okay» rispose Dana. «Alla prossima
stazione
di servizio. Devo andare in bagno, sto scoppiando». Ali
ridacchiò e annuì. Quando
arrivarono andarono in bagno entrambe e Ali si mise al volante. Dopo
poco più
di un’altra ora di viaggio arrivarono a Portland. Dana
chiamò Benji per farsi
dire dov’era l’ospedale e ci arrivarono in poco
tempo. Lui le aspettava
all’ingresso e le affidò subito a una ragazza
vestita di rosa, spiegando che
lui non poteva accompagnarle perchè non era di quel reparto,
ma che la
dottoressa Davies era al corrente della cosa.
«Però non parlate con altre
persone. È meglio che lo sappiano in pochi, visto che non
è una cosa del tutto
legale».
La dottoressa Davies, Martha si chiamava, le
scortò fino al suo reparto e al nido, dove le fece entrare
dopo aver fatto
indossare a entrambi dei camici. Si diresse fino a una delle ultime
file e
indicò una delle culle. Ali e Dana si avvicinarono entrambe.
La bambina che
dormiva lì dentro era bellissima. Ali quando la vide si
sentì stringere il
cuore e mormorò: «Erica...»
«Hai ragione» rispose Dana con gli occhi
lucidi. «Hai ragione, è Erica. È
perfetta».
«Assolutamente perfetta» aggiunse Ali
allungando una mano per accazzerarle la testa minuscola coperta da
pochi
capelli scuri. La bambina mosse una mano e per istinto lei
lasciò che le
afferrasse un dito. Dana si rivolse a Martha. «Dottoressa
Davies, crede...
posso prenderla in braccio?»
«Certo!» rispose l’altra sorridendo,
così
Dana allungò le braccia e la prese. Nel momento in cui
sentì il suo peso
addosso, capì cosa significava essere madre. Le scese una
lacrima lungo una
guancia e la passò ad Ali che la prese subito e si
sentì sciogliere. Quella
bambina era sua figlia, lo sapeva.
«Dottoressa Davies» disse, «crede che...
se
dovessimo avere la bambina... potrebbero esserci dei problemi con la
famiglia
di origine?»
«Dubito» rispose Martha. «Dubito
perchè la
madre naturale è arrivata qui da sola e da quello che ho
capito nessuno a parte
lei sapeva che era incinta. Lei non voleva saperne quindi non credo che
qualcuno rivendicherà la sua presenza».
Più tardi tornarono nell’ingresso e si
incontrarono di nuovo con Benji. «Allora?» chiese
non appena le vide arrivare.
«Com’è andata? Avete visto la
bambina?» loro annuirono. «Che ne dite?»
«È lei» disse Ali con gli occhi ancora
che
brillavano. «È Erica. Senza dubbio».
Dana annuì con un sorriso emozionato,
mettendole un braccio attorno alle spalle. Poco dopo salutarono Benji e
la
dottoressa Davies e tornarono a casa. Una volta arrivate si tolsero le
giacche
e si precipitarono a prendere i moduli e li compilarono entrambi. Una
volta
finito, visto che era presto, decisero subito di andare a Tacoma per
consegnarli, insieme a tutti i documenti necessari. Per una curiosa
coincidenza
trovarono lo stesso impiegato della volta precedente. Consegnarono il
tutto e
lui chiese con un sorriso: «Allora avete deciso di entrare in
lista d’attesa?»
«Non proprio» rispose Ali. «Abbiamo
conosciuto una bambina. È stata abbandonata dalla madre
appena nata
nell’ospedale dove lavora mio fratello. L’abbiamo
presa in braccio... ed era
nostra figlia».
«Sono contento per voi» rispose
l’impiegato
prendendo i fogli che Dana gli porgeva. «Spero davvero che ce
la facciate ad
averla. Se tutto va bene fra qualche giorno vi faremo sapere quando
riceverete
la visita di una nostra impiegata, per controllare casa
vostra».
«Sì ce l’hanno detto»
replicò Dana. «I Brown.
Quando siamo stati da loro». L’impiegato sorrise e
disse che la notizia gli
faceva piacere. Poco dopo tornarono a casa continuando a parlarne.
L’atmosfera
quel giorno era diversa, da quando avevano visto la bambina
all’ospedale erano
entrate entrambe nell’ottica materna e improvvisamente si
sentivano più adulte.
E molto, molto felici.
NdA:
perdono, chiedo umilmente perdono *si inginocchia* Lo so sono
schifosamente in
ritardo. È stato un capitolo tirannico, poi avevo gli
esami... Comunque grazie
a tutti! Have fun!