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Autore: Mattimeus    03/09/2013    0 recensioni
Raccolta di brevi racconti.
Questo è il mio lavoro più serio, almeno per soggetti e intento. Molti dei testi sono ispirati a episodi accaduti realmente.
In generale sono presenti soggetti piuttosto diversi, situazioni che possono accadere comunemente, ma che mi sembra abbiano qualcosa di speciale. La traccia che li accomuna è tuttavia sottointesa, e nelle mie intenzioni si coglie dalle atmosfere e leggendo tra le righe.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fame



Il Campione iniziò a pedalare come solo lui sapeva fare.

Fu uno scatto fulmineo: un attimo prima era seduto sulla sella, un attimo dopo era in piedi sui pedali, pronto a distaccare tutti.



I suoi rivali provarono a stargli dietro. Dopo un paio di chilometri, il gruppetto in fuga era composto da quattro corridori e l'andatura la dettava il Campione. Seguiva, ad una distanza sempre crescente, il primo gruppo di inseguitori, formato da una dozzina di atleti. Questi tentavano di non rimanere troppo indietro, in modo da avere qualche possibilità di riprendere i quattro di testa nel caso avessero ceduto.

Ancora più indietro stavano tutti gli altri: un grosso e colorato grumo di biciclette.



Al Campione piaceva molto quella competizione, ed in particolare quella tappa.

Il percorso scelto dall'organizzazione attraversava le contrade più disparate: da nord a sud, da est ad ovest, i paesaggi variavano tra montagne, colline, campagne, metropoli e città costiere. Si incontrava ogni tipo di clima; non come al Giro, dove era sereno oppure pioveva forte, senza vie di mezzo. Qui c'erano giorni ventosi ma caldi, oppure capricciosi e gelidi; poteva piovere e subito dopo uscire il sole; poteva essere caldo e asfissiante per tutto il giorno e poi scrosciare proprio all'arrivo.

Era insomma una gara completa, totalizzante. Vincendo quella avresti saputo di essere il padrone di ogni tipo di terreno e clima, e di aver battuto gli avversari situazione.

La tappa di quel giorno era in campagna. Era una tappa per velocisti: chilometri e chilometri di asfalto liscio tra campi ordinati, con pochissime curve e dislivello praticamente nullo.



Dopo un'ora di fuga, solamente uno dei rivali resisteva dietro al Campione. Ogni tanto si scambiavano di posto per riposarsi nella scia dell'altro, ma era ancora il Campione a dettare il ritmo.

Le tappe di campagna erano forse le sue preferite: c'era poca gente ai bordi della strada, poco di quel tifo inutile ed entusiasta. Si respirava di nuovo, specialmente in giorni piovosi come quello, la solitudine del correre, nonostante l'invadente moto del cameraman.

E poi si vedeva la vita della gente, luoghi fatti non per sembrare ma per essere: fattorie, mulini, granai.

Questi erano pensieri del Campione quando, a quarantasette chilometri dall'arrivo, si alzò nuovamente sulla sella per staccare l'ultimo rivale. Quest'ultimo, che non si aspettava quella partenza improvvisa, rinunciò dopo poco all'inseguimento.

Dietro di lui nel frattempo era molto avanzato il gruppetto di inseguitori, a cui si erano aggiunti anche i due fuggitivi che erano stati in testa.

Questo gruppo andava veloce e in poco tempo raggiunse anche il terzo fuggitivo.

Tra questi era presente un compagno di squadra del Campione.



Chilometri più avanti, il Campione aveva abbassato la testa e spingeva. Non pioveva più, ma il vento era freddo e gli gelava addosso l'umidità della mantella.

Ma lui, essendo il Campione, continuava a spingere.

Non era una situazione semplice: si era staccato molto presto, correndo il rischio di non portare a termine la fuga; ora che era solo poi non aveva nessuna scia da seguire, nessun rivale con cui condividere il peso del vento.

Eppure si divertiva: spingeva e spingeva, era ormai in un rettilineo solitario. Si immaginava di pedalare così forte da lasciare indietro tutto: i cameraman, i pochi tifosi infreddoliti, le fattorie, i campi, gli inseguitori. Solo davanti a tutto, si sentiva incredibilmente vivo.

Proprio mentre il Campione provava queste sensazioni, sentì piano piano gli arti farsi molli, quasi formicolare. Nel suo stomaco sembrò formarsi un buco, ed egli lo sentì brontolare. Tastò la tasca sulla schiena, ma era vuota. Irrimediabilmente, la sua andatura rallentò.



Il compagno del Campione seppe dall'automobile ammiraglia che il Campione stava rallentando. Pareva che avesse alzato un braccio: era il segno che qualcosa non andava. Se ne accorsero anche gli avversari, che si lanciarono all'inseguimento; se ne staccarono tre. Il compagno del Campione, prontamente, li seguì.



I telecronisti delle varie emittenti, gli spettatori e gli esperti appassionati di ciclismo non sapevano spiegarsi quale problema stesse segnalando il Campione. Iniziò la tempesta di congetture: che avesse un problema ai rapporti della bici, o che si fosse forata una gomma, o rotto un pedale. Ma nessuna di queste ipotesi era soddisfacente, dato che la tecnologia del mezzo era la migliore possibile. Doveva esserci un problema con l'uomo, si dissero, ma nemmeno questo era possibile: egli infatti era il Campione.

Comunque stessero le cose, il dubbio sarebbe presto stato risolto: mancavano meno di dieci chilometri all'arrivo e l'andatura del Campione era decisamente lenta.

I quattro inseguitori l'avevano quasi raggiunto.



Inaspettatamente, dal piccolo gruppo all'inseguimento, il compagno del Campione si alzò sui pedali e partì in volata. Stavano andando già molto veloci, quasi al limite delle loro forze; per questo gli altri non lo seguirono: quel pazzo non sarebbe riuscito a mantenere quell'andatura per più di due chilometri.

Ma, al pazzo, tanto sarebbe bastato per raggiungere per un momento il Campione; che ormai era a portata di sguardo.

Mise tutta la forza che aveva nelle gambe in quello scatto, sapendo che poi si sarebbe stancato troppo e che avrebbe dovuto rallentare molto.

Eppure, per quei due chilometri, fu il corridore più veloce della competizione, toccando la velocità massima in pianura.



Il compagno raggiunse il Campione e gli passò una barretta gialla dalla propria tasca sulla schiena. Il Campione la prese, ringraziò e la divorò in due grandi bocconi. Masticò per bene ed inghiottì.

Dopo una ventina di secondi, sentì le braccia e le gambe tornare solide e il buco nello stomaco svanire. Dietro di lui il compagno era già sparito, ma gli altri si stavano avvicinando.

Senza attendere ancora, il Campione spinse sui pedali, ed il distacco smise di diminuire.



Possibile?” si chiedevano i telecronisti, gli spettatori e gli esperti appassionati. “Possibile che fosse solo fame?”

Era una spiegazione scomoda per loro. Rompeva l'incantesimo dello spettacolo, ricordava a tutti che, in fondo, il campione non era che un Uomo come loro.



Il Campione aveva praticamente già vinto la competizione anche prima di quella tappa. Era così in vantaggio che i bookmakers inglesi avevano chiuso le scommesse sulla sua vittoria.

Il Campione vinse anche quella tappa, che non era l'ultima, né la più importante.



Il regolamento vietava agli atleti di rifornirsi dall'ammiraglia negli ultimi dieci chilometri, così i giudici di gara penalizzarono il Campione e il suo compagno di venti secondi. Il distacco del campione era tuttavia molto superiore, quindi la penalità fu ininfluente.

A questo proposito vennero spese molte opinioni: chi riteneva che quello del Campione e della sua squadra fosse stato un comportamento decisamente antisportivo, chi pensava che una situazione così fosse il ciclismo più sincero e antico.



Il compagno era arrivato assieme al colorato grumo di biciclette; risultato questo a cui andava sommata la penalità. Ma lui non aveva mai corso per arrivare primo.

   
 
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