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Autore: Phantom13    07/09/2013    5 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buona sera, ciurma! 
sono reduce della prima settimana di scuola (qui da noi si comincia presto) ma sono sopravissuta, Circa.
behh, insomma, sono riuscita a ritagliare per voi lettori un po' di tempo per scribacchiare il nuovo capitolo. Vi avevo promesso che vi avrei dato, d'ora in avanti, guerra e azione, ma temo che dovremo rimandare di un capitol ^.^ perchè prima, bisogna fare la dichiarazione di guerra ;) 
vi confesso che ho fatto una fatica immane a scrivere questa nuova parte. in tutta sincerità non so come sia uscita, alla fin fine :/ spero che i dialoghi, in particolar modo, siano sensati (quelli che maggiormente mi hanno fatta penare >.<) ... ho deciso di postare ora il capitolo altrimenti sarei impazzita tra correzioni e altro!
ora vi lascio alla lettura, sperando che sarà di vostro gradimento. io come sempre ce l'ho messa tutta!
Enjoy!

 
Capitolo 5
-Dichiarazioni- 


Shadow si lasciò cadere sul divano malconcio nella piccola base dimenticata sotto il bosco. Piegò la testa indietro e chiuse per un attimo gli occhi permettendosi per la prima volta da ore un sospiro degno di questo nome.
Incredibile come gli fosse balzata in mente tutta di colpo l’intera vicenda dell’ARK, con tutte le sue capsule, i suoi esperimenti genetici, gli scienziati, Robotnik … e Maria. Il viso della sua dolce amica d’infanzia gli balenò davanti alle palpebre, rimanendovi come sospeso per qualche istante. Shadow strinse le mani a pugno. La cicatrice rimarginata già da qualche tempo che aveva marchiata sul cuore palpitò di nuovo, come a volte accadeva. Maria gli sorrise un’ultima volta, prima di scomparire.
Il passato di Shadow sembrava aver deciso di risorgere, dopo un periodo di calma, tornando con forza ma trasfigurato e reincarnato in una nuova forma, infinite volte più orribile, oscura e imbrattata di sangue, molto più di quanto non fosse stata l’ARK stessa. Una nuova forma, infinitamente più cruenta, che era riuscita a trovarsi un corpo fisico, ma questa volta indipendente da lui. Almeno fino ad un certo punto.
In un remoto angolino della sua coscienza, Shadow aveva sempre covato intimamente il sospetto che qualcuno, prima o poi, si mettesse in testa di tentare nuovamente di creare la vita artificiale, se non addirittura la Vita Perfetta.
Ma non così presto.
Non in quel modo.
Ciò che fu il nobile intento, almeno in origine, di Robotnik di sconfiggere la morte e dare un aiuto immortale all’umanità, in quel laboratorio nel deserto era stato brutalmente mutilato, ridotto a quel … quel …
Non riusciva proprio a togliersi dalla mente le immagini che parevano essergli rimaste appiccicate al cervello. Tutte quelle vasche, quei corpi … e per cosa? Per dei soldatini di carne? Qual’era il loro scopo? A suo tempo Robotnik ne aveva avuto uno ben preciso, ma questi pazzi a che cosa miravano? La conquista del mondo? Tipico ma probabile.
Il fatto che non si stessero limitando ad una creatura ma a molte creature lo inquietava non poco. Almeno ora aveva la conferma del perché lo cercavano. E ciò non era affatto rincuorante.
Shadow riaprì gli occhi, guardando ora il cupo soffitto. Anelavano a lui e al suo carico genetico non indifferente. Questo era certo, ormai.
Sapeva che era diverso da tutti gli altri, che niente e nessuno era simile a lui nell’intero universo e proprio per questo aveva già messo in conto che qualcuno prima o poi lo temesse, o ne fosse geloso. L’immortalità … un sogno che coltivava al suo interno la peggiore delle maledizioni. Come poteva l’umanità, con il suo scarso giudizio, non anelarvi? E guarda cos’era saltato fuori! A che punto si erano spinti per prolungare di qualche decennio la loro già misera vita!
I sentimenti di Shadow in quel momento?
Rabbia.
Rabbia cieca mista a qualcos’altro di più nero.
Le immagini di quelle creature gli tornavano alla mente. Erano vite instabili, una peggio dell’altra. Incontrollabili sotto tutti i punti di vista. Colme di quella debolezza tipica di chi non è saldo sulle proprie gambe. E non poteva essere altrimenti.
La chiave per la soluzione di quei problemi era lui stesso, Shadow. O meglio ciò che si portava nel sangue, nel DNA. Era questo ciò che quegli scienziati, o meglio quei macellai che giocavano a fare gli dei, volevano: quella chiave genetica. La bramavano. E per ottenerla gli davano la caccia, con il proposito ultimo di sputare direttamente in faccia alla vita e alla sua gemella nera. Speravano, catturando lui, di scoprire i più remoti segreti della biomeccanica e della genetica per rendere stabili e autonome quelle … cavie, che per ora rimanevano legate alle macchine per poter sopravvivere e continuare ad esistere. Già.
Quelli là, quei corpi di metallo, non erano certo corazze da combattimento. Non ne avevano né la forma, né la stazza, né la robustezza. Avevano tutta l’aria invece di essere dei sostegni per le vite di quei poveracci. Quando le ossa non reggevano, ci pensava il metallo; quando i muscoli non scattavano, ci pensavano i cuscinetti a sfera; quando il cervello non si metteva in moto, ci pensava il computer. Proprio com’era capitato alla Biolizard: instabile, era stata costretta a supportare la propria sopravvivenza con una macchina.
L’ARK stava risorgendo, ma nel peggiore dei modi, nel peggiore dei momenti, e con i peggiori intenti nelle mani dei peggiori scienziati immaginabili.
Quelle che creavano erano vite malferme di esseri che non avrebbero nemmeno dovuto esistere, programmate dall’uomo e non dalla Natura.
Parlare dunque di vita non era del tutto corretto.
La loro non era vita. Come a suo tempo, agli inizi,  non lo era stata la sua. Le loro erano esistenze. Pure e semplici esistenze, nate dall’unione di battiti cardiaci, attività celebrale, colpi di diaframma e nulla più. Non era concesso loro null’altro. E quel “null’altro” lui sapeva cos’era, quelle cavie no.
Shadow chiuse di nuovo gli occhi. L’unica vera cosa certa era che quei pazzi non dovevano per nessuna ragione al mondo mettere le mani sul suo DNA. Non dovevano scoprire quale fosse il segreto che separava la Forma di Vita Definitiva da quegli obbrobri informi.
Non dovevano assolutamente scoprire che nelle sue vene scorreva anche il sangue di Black Doom.
Non che rintracciare il padrone della Black Comet fosse possibile, ma comunque in tal proposito i brutti presentimenti del riccio nero non facevano altro che aumentare.
Non osò immaginare cosa sarebbe successo nel caso in cui il sangue di Black Doom fosse finito in mano loro. E l’unica dose ancora in circolazione e a portata di mano ce l’aveva addosso proprio Shadow.
Il riccio sbuffò.
Attualmente, le forze che quei pazzi stavano schierando in campo non erano neanche lontanamente degne di metterlo in difficoltà. Tuttavia, a giudicare dalla ferocia esplosiva di quella bestia-cyborg dal pelo rosso, forse, questo divario si sarebbe ben presto minimizzato. Ma mai abbastanza da poter competere faccia a faccia con lui, Shadow. Eppure, il riccio nero aveva il dubbio che i suoi avversari, questa volta, avessero in serbo molti più assi nella manica di quanti non ne mostrassero apertamente. Doveva fare attenzione.
Cambiò lentamente posizione.
 Prima di andarsene, lui e Rouge erano riusciti a vedere arrivare quel camion carico di nuovi corpi. Voleva dire che da qualche parte vi era un laboratorio più grande, la stazione base di tutti quegli atroci esperimenti.
Ma davvero quella gente ancora non aveva capito che stavano vivisezionando e sbudellando esseri senzienti?
Tutto parte della natura umana.
Un lievissimo ticchettio di passi annunciò che la sua collega era appena entrata. Shadow tirò su la testa, guardandola nello stesso modo in cui lei guardava lui. Lentamente Rouge andò a sistemarsi dall’altro lato del divano, il più lontano da Shadow senza però guardarlo direttamente, accoccolata contro il bracciolo. I suoi occhi erano persi in un angolo imprecisato della sala esageratamente grande per un divano e un televisore.
-Vogliono il tuo DNA.- non era una domanda, non era un’affermazione.
-Sì.- rispose comunque.
-Ti danno la caccia per questo.- di nuovo, non era una domanda.
-E non si arrenderanno.- concluse il riccio.
Rouge rabbrividì. –Che faremo?-
Sospirò. -Torniamo là, nel deserto, e facciamo saltare il laboratorio con tutto ciò che contiene. Se ne troviamo, distruggiamo anche altri eventuali laboratori. Poi andiamo a cercare la loro base centrale e anche lì facciamo piazza pulita.-
-Li distruggiamo prima che distruggano noi?-
-Esatto.-
 Rouge aggrottò la fronte. –Moriranno?-
-Muoiano.-
Rimasero in silenzio.
Shadow parlò, dopo qualche minuto. –Quello che stanno facendo non è accettabile, Rouge. Io non lo posso accettare. Dobbiamo eliminarli. O per lo meno ridurli all’impotenza.- fece una pausa. -Sarà dura.-
-Sarà dura.-
-Sarà guerra.-
-Sarà guerra.-
-Sei con me?-
-Sono con te.- sorrise. -Fino in fondo, qualunque cosa accada- Rouge si voltò verso il riccio per la prima volta da quando si era seduta. –Muoiano.-
 
Sonic incrociò le braccia, appoggiandosi contro la parete dell’ascensore, che era per altro di uno scintillante color rame lucidato a specchio. Si era deciso a salire quei maledetti gradini tra la porta d’entrata e il marciapiede, costringendo a forza tutto il suo essere a compiere quel piccolo spostamento. Il giornale gli si era accartocciato in mano, strategicamente buttato prima di entrare nel 77 di River Street.
Centoventidue morti!
Centoventidue!
Sonic chiuse gli occhi. L’ultima accusa, quella di rapina, si era rivelata una farsa. Anche questa lo sarà stato. No?
No?
Shadow non avrebbe mai fatto una cosa del genere, questo era accertato. Il punto era: quelle persone erano morte per davvero o tutto quanto era stato magistralmente architettato da qualche mente malata? Eppure le fotografie allegate sembravano così reali … raggelò.
La spia lumonosa dell’ascensore si spostò dal quindicesimo, al sedicesimo piano.
Giù a terra, una segretaria umana dall’aria indicibilmente avvizzita gli aveva detto che lo stavano aspettando al diciassettesimo piano. Non avendo trovato le scale, il riccio si era dovuto adattare all’ascensore.
Sonic si grattò un orecchio. Realizzò di essere spaventosamente nervoso, e furioso per la notizia letta sul giornale. Di nuovo, si ripetè mentalmente immaginari dialoghi, si impose certi comportamenti e ne cancellò altri. In particolare, si costrinse a non ammazzare all’istante lo stronzo a capo di tutta quella trappola infernale. O chiunque per lui si sarebbe fatto vedere.
La porta dell’ascensore si aprì, finalmente, e Sonic ne uscì con il suo solito passo spavaldo, mascherando alla perfezione l’agitazione interna.
Un mobiano dall’aria truce gli si parò davanti a braccia conserte. Era un cane, di un grigio scurissimo quasi nero, con le orecchie spaventosamente dritte e il muso affilato. Di stazza sembrava piuttosto robusto, sebbene fosse slanciato e palesemente agile, più alto del riccio di almeno dieci centimetri.
-Sei Sonic?- chiese con un ringhio.
-No. Sono Shadow!-
Il cane gli mostrò i canini affilati, assottigliando gli occhi, palesemente infastidito. –Seguimi, roditore.-
Detto questo girò sui tacchi, seguito dal riccio blu. Il pavimento di marmo screziato ticchettava ai suoi passi, stranamente il canide non faceva rumore alcuno. Passarono davanti alla scrivania incorniciata da piante in vaso della segretaria d’ufficio, umana pure lei. Le pareti bianche in unione con le grandi finestre velate di sottilissime tende turchesi davano allo spazio un’aria fresca e aperta, ma Sonic dentro si sentiva soffocare. Il corridoio passava proprio accanto alle vetrate, sfilando davanti alle scrivanie dei dipendenti e alle porte degli uffici dei capi, in legno rossiccio. Si fermarono di fronte a quella che recava la targa “direttore”.
Il cane ringhiò –Qui dentro.-
Sonic esitò. –Tu non vieni?-
-Il capo vuole parlare solo con te.-
-Oh, e tu resti fuori a fare la guardia, vero, cagnolino? Non temere, non scappo mica. E anche se lo facessi, di sicuro non saresti tu a riuscire a fermarmi, nemmeno a sfiorarmi, figurarsi catturarmi.-
Gli occhi gialli del cane si socchiusero. –Non farlo aspettare oltre.-
Sonic ridacchiò, mantenendo in apparenza la sua solita tempra mentre privatamente moriva dalla voglia di spedire quel rognoso tirapiedi fuori da una di quelle enormi finestre. Gli sarebbe bastato un solo Spinn Dash.
Sospirando aprì la porta ed entrò.
Libreria in legno massiccio sulla destra, cassettiera colma di documenti sulla sinistra, lampada elaborata di vetro e metallo pendente dal soffitto, tappeto spesso e lanoso, scrivania stagliata contro le finestre poste sull’altro lato del palazzo. Vicino al ciuffo verdeggiante di uno smilzo alberello da appartamento, stava un uomo voltato di schiena, intento a guardare fuori, giù in strada. Il rumore dei clacson riusciva a raggiungerli pure a quell’altezza.
-Benvenuto.- disse cerimoniosamente l’uomo, voltandosi non appena la porta si richiuse alle spalle del riccio.
Sonic piegò la testa di lato. –Benvenuto? E benvenuto dove, di preciso?- chiese, con una punta di iroinia, sottolineando il fatto che nessuno si era ancora remunerato di concedergli una qualunque informazione.
L’altro sorrise, un falsissimo sorriso d’occorrenza. –Ma alla nostra base operativa, ovviamente. Noto che lo spirito non vi manca, Sonic. Siete proprio come vi hanno descritto.-
-E come altro dovrei essere?- Il riccio roterò gli occhi, spostando il peso sulla gamba destra.
Il sorriso dell’altro persistette. –Sarà un piacere lavorare con voi. Apprezzo la vostra vivacità.-
-Frena, amico. Non ho mai detto di voler lavorare con te. Sono qui solo per sapere esattamente chi siete, cosa volete e perché avete bisogno di me. Fatto ciò, deciderò se stare dalla vostra oppure no.- sbottò il riccio, tralasciando volontariamente ogni traccia di formalità.
-Ma certamente.- disse l’uomo, indicandogli accondiscende la poltroncina di fronte alla sua scrivania. Il riccio osservò dubbioso il morbido sedile di pelle imbottito. Normalmente non avrebbe accettato ma … sicuri che quel tale stava invitando un riccio, colmo di aculei, a sedersi su una simile meraviglia? Trattenne a stento un sorriso di malcelata vendetta, accomodandosi con tutte le premure. Badando bene che ogni sua punta graffiasse almeno una volta quella splendida poltrona, senza ovviamente farlo notare al proprietario, che stava raggiungendo solennemente la sua cattedra.
Sonic si appoggiò di schiena (e con tutto ciò che tale manovra comportava), gettando un braccio oltre lo schienale. –Potrei almeno conoscere il nome del mio interlocutore?- chiese con indifferenza.
-Ma certamente.- lo assecondò l’altro. –Perdona la mia maleducazione. Io sono James Hennor e conoscerla di persona è un piacere.-
Sonic sorrise facendogli un cenno con il capo, incapace di rispondergli con il “piacere mio” di rito. Quel James gli faceva semplicemente orrore. Pensare a ciò che quell’uomo aveva fatto e aveva in progetto di fare lo rendeva a dir poco furioso. Ma questa volta non bastavano tre pugni e due calci a risolvere la situazione. No, si doveva stare fermi, buoni e tranquilli. Doveva raccogliere informazioni, punto e basta, nulla di diretto e aggressivo. Doveva giocare come avevano sempre fatto Rouge e Shadow, studiando da vicino il nemico, silenziosamente, e raccogliere informazioni. E per fare ciò non doveva assolutamente farsi scoprire. Era la prima volta che faceva il doppio gioco. Cosa che lo agitava oltremodo. Si sentiva le mani sudate, aveva appena raggiunto lo stato supremo di quello che comunemente viene chiamato “nervosismo”.
James parlò, riallacciandosi al discorso precedente. –Voi mi avevate chiesto chi siamo noi. Mi rincresce, ma io non posso proprio rispondervi. Il nostro agente avrebbe dovuto avvertirvi che non forniamo informazioni a chi non…- venne interrotto.
-Fossi in te la smetterei di essere così pignolo con l’unico che possa realmente darvi una mano.- ringhiò piano Sonic, fulminando James con lo sguardo. –Voi non avete proprio la più pallida idea di chi vi siete scelti come nemico, vero? No, certo che no. Come potreste altrimenti permettervi di dettare condizioni quando invece dovreste riverire chiunque sia in grado di fornirvi una qualunque sorta di aiuto. E ne avrete bisogno eccome, di aiuto. Dichiarare guerra a Shadow The Hedgehog non è uno scherzo, amico.- fece schioccare la lingua. –Si da il caso che abbiate scelto l’avversario più difficoltoso in circolazione e l’elenco dei vostri possibili alleati è ridotto ad una sola persona in grado di fare effettivamente qualcosa. Quindi, se volete davvero riuscire anche solo a sfiorare Shadow, dovreste almeno rispondere alle mie domande, non vi pare?- 
Lo sguardo del riccio s’era fatto d’acciaio. Attese, pazientemente, che Hennor si decidesse a parlare.
-Effettivamente.- concesse, misurando attentamente le parole. –L’unico in grado di tenere testa alla Forma Di Vita Definitiva attualmente siete voi.-
Due cose preoccuparono Sonic: il fatto che James avesse chiamato Shadow in quel modo, il che lasciava presagire tutto uno studio approfondito sull’ARK o comunque sulla vera natura del riccio nero (entrambe faccende che una persona normale non avrebbe dovuto conoscere); e la parola “attualmente”. Che diavolo intendeva dire?
Allo sguardo dell’uomo la confusione del riccio non passò sotto silenzio. –Solo voi, signor Sonic. Per ora.- ripetè, confermando al riccio che sì, aveva sentito giusto.  
Un brivido gelido gli percorse la spina dorsale. -Per ora?- si azzardò a chiedere, realizzando al contempo che abbassandosi a fare una domanda simile, aveva bellamente mandato al diavolo i suoi sforzi precedenti per condurre la conversazione. Avrebbe voluto mordersi la lingua. Ora era in ballo e doveva ballare. Quindi, continuò la domanda –Conoscete forse un qualche altro mobiano (umano non penso proprio) che riesca a correre a settecento all’ora o stare comunque al passo con Shadow o con me?-
I denti di James tornarono a splendere. –Non ancora. Ma tra poco, forse, se saremo fortunati.-
Tutti i sensi di Sonic erano tesi come corde di violino. Aveva fatto male i conti. Non si sarebbe mai e poi mai aspettato qualcosa di simile a quella rivelazione. A migliorare il tutto, non poteva neanche più giocare la carta della propria unicità come scusa, non poteva quindi più fare il prezioso. Quell’uomo era sempre un passo avanti. Non restava che arrendersi e sventolare bandiera bianca, chiedendo in ginocchio informazioni. –Che significa?- domandò infatti, inghiottendo l’orgoglio.
James Hennor si alzò dalla sedia, con aria trionfale, iniziando a passeggiare dietro la scrivania. –Sono spiacente di dover insistere, mi creda. Ma prima vorrei sapere definitivamente se voi siete dalla nostra parte oppure no.-
Sonic tornò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona, senza distogliere lo sguardo da James. Non che ci fosse molto da fare, arrivati a questo punto. –Sto dalla vostra parte, solo perché non voglio stare dalla sua.- disse con voce fredda.
Gli occhi di James scintillarono, guardando il riccio. –Motivo di tale scelta?-
-Sei tirchio d’informazioni, non vedo perché io dovrei essere generoso di condividere i miei motivi. Ma se c’è qualcuno che va in giro a sterminare interi villaggi, credo che fermarlo sia d’obbligo.- sbuffò lui in risposta, incrociando le braccia e mantenendo fede al suo solito atteggiamento. –A qualunque costo.- aggiunse con tono cupo, fin troppo eloquente.
Fingere di bere ciò che i giornali dicevano gli era sembrata la scelta migliore per rassicurare James, ammesso che ci fosse lui dietro le false notizie alla tv. Avrebbe avuto la sua vendetta, bastava essere pazienti e sopportare in silenzio e giocare bene le proprie carte. In ogni caso, pronunciare ad alta voce quelle poche parole d’accusa rivolte all’amico gli era costata una fatica immensa. Lui e Shadow sarebbero finiti di nuovo sui due fronti opposti. In pubblico. Di nuovo in guerra.
L’uomo si permise una risatina, prendendo per buona la risposta del riccio. –Capisco. Il vostro dunque è un sì?-
-È un sì.- Tre parole, cinque lettere e due accenti. Sonic si sentì come se gli avessero appena messo le manette. Come se avesse appena stretto un patto con il diavolo.
James tornò a mostrargli i denti innaturalmente bianchi. –Magnifico. Una firmetta qui e saremo definitivamente soci.-
-Firma un accidente! Accontentati della mia parola, non otterrai altro da me.- ribattè Sonic, incrociando le braccia. Aveva una vaga idea di che genere di mostri fossero quelle persone, ragione per la quale piazzare la propria firma su un documento appartenente a loro equivaleva a mettersi in guai ben più che seri.
L’uomo mascherò bene il proprio disappunto, ma non abbastanza.
-Come desiderate. A noi basta che diate la caccia a Shadow, ascoltiate le nostre disposizioni e ci facciate rapporto di tanto in tanto.-
Sonic fece spallucce. –Te l’ho già detto che collaborerò. Solo, niente firme.-
James ridacchiò. –Per noi è sufficiente.-
 
 
Shell guardava sbigottita lo schermo del computer, incapace di credere ai propri occhi. Che diavolo significava “nessun risultato trovato”?
Ma che scemenza era mai quella?
Quel database occhi era uno dei più forniti tra quelli disponibili. E come diamine era possibile che non ci fosse neanche uno straccio di notizia sul riccio nero? Dopo il disastro della banca come minimo avrebbe dovuto esserci un’intera sezione su di lui. E invece niente! Schermata vuota!
La gabbiana schioccò il becco, irritata, abbandonandosi contro lo schienale della sedia girevole. In quel momento tornò Nut, con in mano due caffèlatte e un giornale.
-Colazione!- annunciò.
Shell si voltò per metà, afferrando uno delle due confezioni, senza degnare di un’occhiata il giornale.
-Nut, mustelide mio, sto diventando matta!-
-Perché?- chiese il furetto, piegandosi in avanti verso lo schermo.
-Perché Shadow non esiste, secondo questo database arrugginito!-
Nut aggrottò la fronte, facendo fremere le sue dolcissime orecchie tonde. –Un errore di avviamento?-
-Macché errore!- La gabbiana sbattè le ali. –Qui tutti stanno impazzendo!-
-Non ne dubito.- cominciò il furetto. –Ma credo proprio che dovresti dare un’occhiata al giornale di oggi.-
-Non ne ho il tempo!- Shell fu in piedi e furoreggiante marciava verso la porta, scostando la mano del furetto.
-Dove vai?- esclamò Nut, sventolando non visto il giornale incriminato.
-A consultare i dati cartacei raccolti nell’archivio!-
La porta le si richiuse sbattendo alle spalle della gabbiana, lasciando il furetto da solo nella sala computer con il giornale in mano proteso ancora verso l’amica. In prima pagina, un’immagine che mostrava un villaggio mezzo diroccato ancora fumante, con dei pompieri intenti a perlustrare la zona sparpagliati qui e là: ai loro piedi, i veli bianchi dei cadaveri.
Il nasino del furetto fremette, Nut si voltò verso il computer, la schermata ancora nera. Guardò il giornale. Guardò di nuovo il computer.
Possibile che un simile assassino non avesse mai avuto precedenti di alcun tipo negli ultimi decenni? Anche soltanto gli articoli usciti di quei giorni avrebbero dovuto essere inseriti nel database, eppure tutto era vuoto, come se fosse passato qualcuno a fare piazza pulita.
Sbuffò, girandosi per tornate alla sua scrivania, rassegnato. Se Shell non aveva il problema di dover preservare il suo posto di lavoro, per lui era ben diverso. E il barbagianni aveva gli occhi di un’aquila! Avrebbe fatto vedere dopo il giornale a Shell. Ed era quasi certo che leggere quella notizia le avrebbe fatto dispiacere.
 
-Voi sapere cos’è la biotecnica, signor Sonic?-
Il riccio sbattè le palpebre. La sua domanda di poco prima riguardava lo scopo ultimo di catturare Shadow e il significato dell’affermazione precedente, quando James aveva detto che forse Sonic non sarebbe rimasto ancora per molto l’unico essere vivente in grado di contrastarlo. Ma James aveva sviato il tutto con un’altra domanda. Parlare con quel tizio era altamente snervante e impegnativo!
Rassegnato, scosse la testa in segno di diniego in risposta a James. Attendere era l’unica cosa che poteva fare.
-Beh.- cominciò l’uomo, riprendendo a passeggiare avanti e indietro. –La biotecnica è una branchia della scienza nata da poco, grazie all’impressionante sviluppo tecnologico degli ultimi tempi.-
-Arriva al sodo.-
-Quanta impazienza! Lasciate che mi spieghi. La biotecnica, appunto, è nata recentemente e si occupa dello studio e dell’imitazione artificiale delle forme di vita partendo da zero. In pratica, una combinazione di biologia, meccanica, bionica e tecnologia.-
Un brivido di ghiaccio colò lungo la spina dorsale del porcospino. Cosa?
-Ci sono già stati dei tentativi simili in passato. Sia riguardante la creazione di cellule organiche in laboratorio, sia per quanto riguarda la clonazione. Ma questi sono esempi di faccende ben diverse, che non hanno nulla a che fare con la biotecnica o la bionica, sua diretta seconda.-
-E cosa c’entra tutto questo con Shadow?- si azzardò a chiedere il riccio, incrociando mentalmente le dita e sperando di non sentire ciò che sapeva che avrebbe sentito.
Il volto di James si rabbuiò per una frazione di secondo, prima di illuminarsi in un altro sorriso fasullo. -Lui ci serve per la continuazione delle nostre ricerche, poiché gli scienziati che stanno lavorando al progetto sono ad un punto morto.-
Le viscere di Sonic si aggrovigliarono di botto un una morsa dolorosa, ma lui fu bravo a rimanere impassibile. Il riccio rimase in silenzio, aspettando che l’uomo continuasse e dicesse le parole che Sonic temeva, conferma dei suoi dubbi più neri. James, dopo un’eterna pausa, di decise a proseguire il discorso. –Shadow ci serve come modello da studiare, essendo lui l’unica forma di vita artificiale stabile in circolazione.-
Sonic dovette concentrarsi per non chiudere gli occhi dalla disperazione e limitarsi a guardare innocentemente James. Loro sapevano! Sapevano! E volevano faker per i loro esperimenti!
-Ci serve il suo codice genetico.- disse ancora James, ora più infervorato, già che l’argomento pareva stargli a cuore. –Assolutamente. E al più presto. I soggetti creati precedentemente stanno manifestando problemi e disturbi sempre più pressanti. Dobbiamo fare presto.-
-Alt! Quali “esperimenti precedenti”? E perché si deve fare presto?- interruppe Sonic, non sicuro di voler apprendere la risposta.
Lo sguardo di James ruotò su di lui. –Attualmente, alla nostra base sono presenti ventidue esseri viventi artificiali completi, dei quali solo nove sono in grado di muoversi da soli, ma sette di questi hanno problemi o al sistema nervoso, o al sistema circolatorio o a quello intellettivo. Con l’ultima invenzione di unire i soggetti a supporti meccanici, incrementeremo senza problemi il numero di creature funzionanti e potremo procedere. La rapidità con la quale ci procureremo il codice genetico di Shadow the Hedgehog ci permetterà di incrementare le fabbricazioni e ridurre le perdite tra i soggetti. Ma senza Shadow non riusciremo mai nel nostro intento.-
Alla mente sconvolta e sbalordita di Sonic rimasero impresse in particolare tre parole e un numero: creature funzionanti; fabbricazione; ventidue. Gli venne la nausea
-Ma voi chi siete esattamente?- riuscì a chiedere. La stessa domanda posta all’inizio. –Cosa volete?-
James sfoderò un altro dei suoi sorrisi. –Noi vogliamo solo migliorare la vita delle persone, trovare se possibile un rimedio alle malattie o all’invecchiamento. Potremo risolvere innumerevoli problemi e abbattere praticamente tutte le frontiere della medicina.- si umettò le labbra. –Sappiamo che è possibile: il figlio dell’ARK ne è la prova.-
Sonic scosse la testa. Improvvisamente si sentiva soffocare. –Ma chi siete voi?- ancora, la stessa fatidica domanda.
-Noi siamo la BRC: Bionic Revolution Company. E voi, signor Sonic, siete il nostro più prezioso collaboratore. Il vostro compito sarà fornirci al più presto il DNA e il corpo completo della Forma di Vita Definitiva seguendo le nostre direttive.-
Sonic riuscì ad annuire e a trattenersi al contempo dall’ammazzare all’istante quel … quell’essere che gli stava di fonte. -C…come procederemo?- domandò invece, non riuscendo ad impedire alla propria voce di tremare.
James sorrise di nuovo. –Mettendo in campo le ultime “innovazioni” dei nostri scienziati, ovviamente. Vedremo fino a che punto può spingersi la Vita Definitva.-
Sonic deglutì, mentre il suo pensiero correva preoccupato dritto da Shadow. Dannazione!
-Agiremo tra due giorni, signor Sonic.- disse ancora James. –È ora di presentarvi il vostro compagno di squadra. Ci penserà lui a mostrarvi il resto dell’edificio, a fornirvi le attrezzature e ad illuminarvi sui nostri sistemi d’azione.-
Sonic si pietrificò. –Quale compagno di squadra?!-
James rise. –Non possiamo mandarla da solo allo sbaraglio, non vi pare?-
-Ma che sbaraglio e sbaraglio! A parte me nessuno può sperare di star dietro a Shadow!-
-Ma qualcuno dovrà pur coprirvi le spalle.-
-Coprirmi le spalle da cosa, di grazia?!-
James sorrise, enigmatico, tralasciando la domanda. Chiese invece. –Preferivate lavorare da solo, nevvero?-
-Ovvio che preferisco lavorare da solo!- sbottò Sonic.
-Eppure, tutte le vostre precedenti avventure sono state vissute insieme a fidati compagni. Shadow compreso, tempo fa.-
Sonic socchiuse gli occhi. Lamentarsi del compagno di squadra non era stata una bella mossa, ma proprio non lo voleva un pulcioso cane da guardia alle calcagna! Ovvio che quelli della BRC lo volessero tenere sotto controllo!
Il riccio non disse più nulla, si limitò a fissare in tralice l’uomo. Avrebbe dovuto sopportare, stare al loro gioco. Punto e basta. Non si trattava di Sonic questa volta, ma di Shadow. Era lui quello che stava rischiando pericolosamente la vita. Fallo per lui! Glielo devi! Lui ha subito ben di peggio! Dai!
Sonic compì in quel momento uno degli sforzi più ardui di sempre: si arrese, lasciando che loro gli mettessero definitivamente il guinzaglio. Per la prima volta nella sua vita. –Se lo ritenete assolutamente necessario, accetterò questo collega.- disse, buttando fuori a forza le parole.
-Magnifico.- sorrise James, invitando l’ospite ad entrare, che era ovviamente appostato davanti alla porta.
Quando il riccio aveva pensato al cane da guardia, mai si sarebbe sognato che gli affibbiassero per davvero un cane come compagno. Lo stesso odioso, rognoso mobiano di prima fece il suo ingresso, con la sua aria conserta.
-Lui è Anubis The Dog e farà squadra con voi, signor Sonic.-
 
 
Karl sbuffò.
Faceva parte dei pompieri da ben undici anni. Gli era già capitato di vedere palazzine bruciate, case incenerite, magazzini carbonizzati. Ma mai un intero villaggio!
Nel suo mestiere capitava, sciaguratamente, di vedere dei corpi dei poveretti che non erano riusciti a sfuggire dal fuoco o dal fumo. Era sempre una scena da voltastomaco. Vedere pelli annerite e mangiate dalle fiamme, osservare le ossa esposte tra i lembi di carbone, ammirare i denti scoperti da labbra ormai inesistenti, in un volto colato dal fuoco.
Ma i cadaveri di quella volta non erano minimamente intaccati da fuoco o fumo.
Erano semplicemente stati fatti a pezzi.
Lacerati.
Squarciati.
Decapitati.
Sventrati.
Sgozzati.
I pompieri erano stati chiamati per domare le fiamme che aggredivano pigramente le abitazioni, ma quando erano arrivati, i morti giacevano in strada, abbandonati scompostamente qui e là, come nell’atto di fuggire. Il motivo era già stato svelato: erano stati assassinati da un certo Shadow The Hedgehog. Quindi, che si fossero dati alla fuga era più che plausibile. Fuga finita male. 
Karl, mentre guardava alcuni agenti portare via l’ennesimo cadavere, una ragazza di diciassette anni, verso il furgone che avrebbe portato lei e gli altri all’obitorio.
Come si poteva compiere un simile atto?
Come aveva fatto Shadow a sterminare così, senza esitazione, tutta quella gente?
Quale demonio viveva in quell’assassino spregevole? Di cos’era fatto il suo animo? Pietra? No. Di animo quello non doveva avercene più.
Karl distolse lo sguardo, sentendosi male.
Se un individuo capace di ciò era in circolazione, giurò a sé stesso che ci avrebbe pensato due volte prima di uscire di casa la sera, o di far uscire sua moglie, o sua figlia.
Ecco cosa si guadagnava a lasciare libero accesso ai mobiani sulla Terra! Ecco cosa succedeva! Loro con quei poteri bislacchi, con i loro artigli o le loro zanne! 
Qualcuno lo chiamò. Karl alzò di scatto lo sguardo. Con un sospiro, si scostò dall’angolino appartato per dirigersi dal resto della truppa.
Non notò i numerosi fori di proiettile nei muri di legno, non notò i graffi paralleli che intaccavano quel muro laggiù e nemmeno i segni di pesanti pneumatici per terra, che non appartenevano alle autopompe.
Semplicemente, raggiunse i suoi compagni davanti alla distesa di centoventuno teli bianchi che coprivano i centoventuno cadaveri. Pian piano, venivano caricati e portati via. La ragazza diciassettenne era stata la prima.
Ben lontano da quella scena raccapricciante stavano i sopravvissuti, meno di una ventina, tutti raggruppati, tremanti, in fase di shock pesante. Molti non riuscivano nemmeno più a parlare. Non facevano altro che rabbrividire violentemente, guardare fisso davanti a loro senza vedere, sobbalzare puntualmente e gridare di spavento scattando in piedi o rannicchiandosi nel primo anfratto che trovavano, piangendo a dirotto.
Un branco di fantasmi vivi per sciagura.
Karl volse lo sguardo verso di loro. Riconobbe il bambino di dodici anni che aveva parlato per primo, che aveva detto che un essere rosso e nero li aveva attaccati all’improvviso e che li aveva uccisi tutti.
Il pompiere socchiuse gli occhi.
Dopo certi avvenimenti, vivere per quelle povere persone sarebbe stato semplicemente impossibile. Poiché, si sa, i ricordi non si possono dimenticare a comando.
 
 
-E così tu saresti Anubis?- chiese Sonic, di nuovo nell’ascensore, questa volta puntando al piano terra. A quanto pare, avrebbero effettuato uno spostamento. Dove, a Sonic non sembrava concesso sapere. Allora, aveva pensato di sfruttare l’occasione per fare conoscenza.
Il cane ringhiò in risposta, di tutt’altro avviso. –Solo perché dobbiamo collaborare non significa che dobbiamo fare amicizia.-
Sonic sbuffò. –Come vuoi botolo pulcioso. L’importante è che noi due catturiamo lui, no?-
Anubis si voltò rigidamente verso il riccio. –Non chiamarlo “lui”.-
Sonic rimase perplesso. –E perché no, scusa?-
-Perché non è una persona.- fu la sommessa risposta.
Il riccio blu sobbalzò, gelando dentro. –Cosa?!-
-Shadow non è una persona.- ripetè Anubis, voltandosi verso il compare. –Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-


 
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un'infinità di tempo fa, in commento al prologo di questa storia, Terry17 mi fece notare che mancavano riferimenti a Maria. Io risposi che gli avrei aggiunti in seguito, ma fin ora non ho mantenuto la promessa. Proprio perchè volevo aspettare questo momento per "far entrare in scena" l'ARK :) 
quindi, scusa per averti fatta aspettare, Terry!
d'ora in avanti mi farò perdonare!

un bacione a tutti!
vostra
Phantom13
 
  
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