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Autore: _nottedimezzaestate_    09/09/2013    2 recensioni
Come sono nate le canzoni più belle di Ed Sheeran?
Capitolo 1: "Oggi fa troppo freddo fuori perchè gli angeli possano volare."
Capitolo 2: "Sei come il caffè freddo alla mattina, tu."
Capitolo 3: "E tu sei caduta come una foglia autunnale."
Capitolo 4: "Dovrei, dovrei?"
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Un ringraziamento a Felurian. Questa fanfiction è (sebbene inconsciamente) ispirata alla sua.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autumn Leaves



Era malata da tanto tempo, la nonna. Non so cosa avesse, ma ricordo il suo aspetto. Sembrava una nonna: vestiti a fiori, occhiali, tante, tante rughe in cui rischiavi di perderti, capelli corti, mossi e grigi. Gli occhi però erano sempre vispi e vigili. Azzurri, erano, come i miei. Io e lei, gli unici in famiglia ad averli di quel colore. Tutti gli altri li avevano mori.
Ma con questa storia mia nonna – Margareth. Anche il nome era da nonna. – centra relativamente.
Era all’ospedale, e io e mamma avevamo deciso di andarla a trovare. Avevo quindici anni e non sapevo che farmene della vita.
Quell’ospedale ovviamente sembrava un ospedale. All’esterno un grande edificio grigio, davanti a esso un fazzoletto d’erba dove giocavano alcuni bambini.
L’entrata era come l’entrata di tutti gli ospedali. Bianca, asettica, triste.
Nonna era al terzo piano, stanza B.
Non è che avessi tutta questa voglia di vederla, i malati mi mettevano addosso una tristezza che nemmeno la musica riusciva a far scivolare via. Di solito bastava infilarmi gli auricolari nelle orecchie e tutto spariva, tornavo di buonumore subito.
Ma quando vedevo qualcuno soffrire.. Ci voleva più tempo.
Mamma invece era allegra. Indossava un paio di pantaloni scuri e una camicia beige. Non si era truccata, il che faceva risaltare ancora di più la sua bellezza naturale, i capelli biondicci le ricadevano sulle spalle, formando un’onda, e la bocca era piegata in un sorriso. Gli occhi mori però tradivano una stanchezza che mai le avevo visto.
La stanza di nonna era carina, le pareti color carta da zucchero, la finestra dava sul parchetto dietro l’ospedale e faceva entrare molta luce. Era sola, il letto accanto al suo vuoto.
“Ciao nonna” La salutai.
Alzò la testa di scatto, squadrandomi.
Avevo solo un paio di jeans e una felpa verde. Che aveva da guardare male?
“Ma quei capelli non te li tagli mai, Edward?” Fu l’unica cosa che mi disse.
Io sospirai e poi ostentai un sorriso fintissimo.
“Ciao mamma.” Intervenne mia madre, prima che facessi qualche commento ‘sconveniente’. Così mi sedetti su una sedia di legno vicino al letto vuoto e me ne stetti zitto.
Dopo circa un quarto d’ora me ne andai, senza farmi notare. O almeno le due donne fecero finta di non vedermi.
Iniziai a vagare per i reparti a testa bassa. Il pavimento era tutto uguale, quindi quando rialzai il capo non sapevo dove mi trovavo. L’unica differenza erano le porte verdi anziché azzurre.
Una dottoressa con i capelli rossi e gli occhi mori mi fermò e mi chiese l’età.
“Sedici anni a febbraio” Dissi, sgomento.
Mi lanciò un occhiata e passò oltre.
Non so cosa mi prese a quel punto, ma mi infilai nella prima stanza cui trovai la porta aperta.
La stanza era identica a quella di nonna, ma le persiane della finestra erano chiuse. Ci misi un po’ per abituarmi all’oscurità parziale.
Il letto più lontano dalla porta era occupato.
Mi avvicinai, per vedere meglio. Una figura minuta era attaccata alla flebo vicino al letto. Una ragazza. Non aveva capelli, e le unghie erano cortissime, quasi invisibili.
Dormiva profondamente, il suo petto si alzava e si abbassava con una lenta regolarità che mi fece venire paura si fermasse da un momento all’altro.
Il viso era dolce e affusolato, la bocca sottile e chiara, le ciglia erano lunghissime.
Non so quanto tempo rimasi a fissa, ma dopo un po’ iniziò a sbattere velocemente le ciglia e si svegliò.
Ci fissammo per due minuti almeno, “Scusa, vado via subito” Dissi.
Lei mi trattenne per un braccio.
Il suo polso era incredibilmente piccolo e segnato da tante piccole cicatrici orizzontali.
“Non andartene. Non mi viene a trovare nessuno, a parte mia madre. Siediti. Chi sei?” La sua voce era come un soffio di vento, il suono mi ricordava le foglie autunnali quando si staccavano dal ramo e dolcemente si posavano a terra.
“Mi chiamo Ed Sheeran.”
“Brooke. Lo so che sembro un mostro. Prima di tutto questo avevo anche un fidanzato, quindi proprio un schifo non ero.” Lo disse sorridendo, un sorriso malinconico.
“Prima? Significa che ti ha lasciato?”
Annuì. “Avere una fidanzata con la leucemia spaventa i coglioni.”
E così aveva la leucemia.
“Io non lascerei mai una ragazza malata, anzi, la stringerei di più a me.” Potrebbe diventare il testo di una canzone.
“Significa che non sei un coglione.”
“Allora, Brooke, quando uscirai di qui diventeremo amici.”
Lei scoppiò a ridere, e io la guardai perplesso.
“Non uscirò mai da qui, Ed Sheeran. Sono destinata a morire su questo letto”
“Non dire così!”
“È semplicemente la verità. Meglio che diventiamo amici subito, allora.”
Stavo per ribattere, quando mi arrivò un messaggio.
Mamma mi sugger… Intimava di tornare in fretta da loro. Sbuffai, e la mia nuova amica afferrò subito la situazione.
“Vai pure.”
Le sorrisi e mi alzai. Prima di chiudermi la porta alle spalle sentii un sussurro.
“Tornerai?”
Annuii, e me ne andai. Grazie a un paio di infermiere riuscii a tornare nella stanza B del terzo piano.
“Dove sei stato?” Mi domandò nonna, invadente. Non risposi e lanciai a mamma uno sguardo di supplica. ‘Andiamocene, ti prego’, significava.
Il giorno dopo insistetti per andare, da solo, all’ospedale. Mia madre si mostrò perplessa, ma non commentò e mi intimò di tornare alle sette.
“Scusi” dissi alla donna dell’accettazione, un bionda ossigenata con gli occhi blu e tanto di quel trucco che avevo paura le cadesse la faccia da un momento all’altro. Masticava gonna gomma, probabilmente rosa. Tutte le bionde ossigenate masticano gomme rosa, no?
“Sto cercando Brooke”
Mi guardò dall’alto in basso. “Il cognome?”
Scossi la testa. “Non lo so, però so che è nel reparto… Emh… Ha la leucemia”
Spostò gli occhi da me al computer che aveva alla sua destra.
“Ematologia, quinto piano, stanza D.”
Andò avanti così per sei settimane. Ogni giorno andavo a trovarla.
Scoprii che non usciva dall’ospedale da quattro mesi, che aveva la leucemia da tre anni e che aveva già fatto due trapianti di midollo che non avevano funzionato.
In quelle settimane non la vidi piangere una volta.
Quando, alla seconda settimana, le dissi che suonavo la chitarra, i suoi occhi verdi si illuminarono e mi pregò di portarla, il giorno dopo.
Così feci, per tutte le settimane seguenti.
Arrivavo, la salutavo, mi sedevo e iniziavo a cantare. Ogni giorno una canzone diversa.
Poi, un giorno, era un pomeriggio di metà ottobre, entrai nella sua stanza e la trovai vuota.
La prima cosa che pensai fu che finalmente l’avevano mandata a casa. Non sapevo il suo indirizzo, ma l’avrei trovata.
Il letto era perfettamente rifatto, le persiane sempre chiuse e il comodino, che di solito ospitava dei libri era spoglio.
Anche il poster dei Paramore che aveva attaccato alla parete era sparito.
Devo ammettere che l’idea della sua morte non mi sfiorò minimamente, finchè non entrò una dottoressa che mi guardò comprensiva.
“Tu sei il ragazzo che veniva sempre a trovare Brooke?”
Annuii, sovrappensiero.
“Come stai?” Mi chiese, sedendosi di fronte a me.
“Bene. Ma non ho il suo indirizzo.”
Lei all’iniziò sembrò perplessa, poi capì.
“Ed… Ed, giusto? Brooke non è andata a casa.”
Alzai la testa, sconcertato.
Dopo aver metabolizzato la notizia iniziai a piangere.
Spero che quella donna non l’abbia mai detto a nessuno, me ne vergogno tutt’oggi. Fortunatamente dopo un po’ ebbe il tatto di andarsene, e di lasciarmi solo con il mio dolore.
Scappai. Uscii dall’ospedale e iniziai a correre.
Il distino mi portò in un parco semivuoto.
Mi buttai su una panchina e mi presi la testa fra le mani, pensando a cosa non avevo fatto con lei, a cosa avremmo potuto fare.
Rimani così per non so quanto tempo, poi una foglia cadde di fronte a me. Era arancio, secca e perfettamente piatta.
La presi con delicatezza e me la rigirai tra le mani.
“Ti ho lasciato scivolare via, Brooke. Non ti ho tenuta abbastanza saldamente, e tu sei caduta come una foglia autunnale.”
 
Float down
Like autumn leaves

 

 ewe
ewe è decisamente l'esclamazione del giorno settimana mese. 
Contavo di non aggiornare oggi, causa COMPITI DI MATEMATICA *tuoni e fulmini* esatto gente, ricomincio la scuola domani e ancora non ho finito i compiti. Sono una bad girl, puahahhaha (più che altro sono una cogliona girl, mi sa).
Comunque, passiamo al capitolo: siamo tronati nel mio stile, il deprissivissimo! asdfghjkghjkl Mi mancavi tesoro ♥
Era scontato che morisse alla fine. Volevo farla morire, sisi.
Vi anticipo che la prossima sarà Drunk, sono più o meno a un quarto e finora Edduccio è in mutande. *sviene*
Cavolo, ma quanto è brutto questo editor? Ha ragione la Gaia.
Beeene vado, magari riesco a fare qualcos'altro di geometria (e devo ancora fare i due temi!)
Ali ♥



 
  
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