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Autore: mamogirl    10/09/2013    2 recensioni
"This Power is greater than the forces of nature."
Brian e Nick. Frick e Frack.
Una forte amicizia che, con il trascorrere del tempo, si é trasformata in un sentimento molto differente e molto più profondo.
Ma il loro rapporto potrà durare nonostante un ritorno di un passato doloroso e gli ostacoli che si presenteranno lungo la strada?
NOTA: Non ho abbandonato questa storia. Alcuni capitoli sono in fase di revisione e di riscrittura e saranno presto online. Ringrazio tutti coloro che stanno ancora aspettando. =)
NOTA: ONLINE IL CAPITOLO 24.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Brian Littrell, Kevin Richardson, Nick Carter
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Sedicesimo Capitolo
 
 
 
 
 
 
 
 
 





Per un attimo, per un lungo ed interminabile secondo, Brian si ritrovò come se qualcuno lo avesse gettato in una piscina colma di ghiaccio, intrappolato dal suo stesso panico. Poche volte si era ritrovato a dover far i conti con quella particolare angoscia ed esse si potevano contare sulle dita di una mano: vi era stata la prima volta che un dottore gli aveva detto che, se voleva continuare a vivere, doveva sottoporsi ad un’operazione a cuore aperto; vi era stata quella volta in cui Nick era scomparso per qualche giorno, dopo un loro litigio, dimenticandosi il cellulare in albergo. Un’ombra di quella paura era riaffiorata la sera dell’aggressione e lo aveva accompagnato per i giorni seguenti, quando ogni rumore o suono lo aveva fatto sussultare e distrutto un mattone delle sue difese. Ecco perché aveva incominciato a fare quegli incubi, ecco perché, con il passare del tempo, questi si erano trasformati in qualcosa di più reale, non più relegato alle ombre e al buio della notte e del subconscio.

Ma ora quell’angoscia era ritornata con più forza di quanto mai le avesse potuto dar credito. Perché un conto erano gli incubi, un conto erano quei flashback improvvisi che arrivavano sempre senza un avviso: essi erano diversi perché, quando se ne andavano, c’era sempre Nick che gli ricordava che non era prigioniero del passato.
Ma come poteva liberarsi quando il passato si era presentato davanti a lui sorridendo compiaciuto?
Ed ecco che il panico gli stava impendendo di alzarsi e scappare il più lontano possibile, mettersi al sicuro affinché non accadesse tutto un’ennesima volta. Ecco che il panico voleva costringerlo a chiudere gli occhi, rintanarlo nell’oscurità fino a quando quei due incubi si fossero disciolti sotto le luci dei riflettori.
Quella volta, però, il panico non ebbe vittoria.
Da qualche parte dentro di lui, infatti, incominciò a crescere sempre più prepotentemente una fiamma di ribellione.
Era stanco.
Brian era stanco di dover sempre soccombere al panico e alle paure come se fosse un’involontaria vittima di un gioco in cui un altro doveva sempre decidere per lui. Era stanco di dover sempre ricorrere al conforto degli altri per poter recuperare una minima e debole apparenza di normalità. Sapeva che Nick non avrebbe detto niente se, all’improvviso, avrebbe allungato la mano e cercato la sua, per poi poter intrecciare le dita attorno alle sue. Lo sapeva e se da una parte ne era eternamente grato e sollevato, dall’altra era un altro segno di quanto ancora debole fosse, come una di quelle povere donzelle in quei stupidi telefilm.
Ecco da dove nasceva quella fiamma di ribellione. E, più che ribellione, era molto più semplicemente forza. Forza per combattere il panico e rigettarlo indietro agli argine che stava rimettendo in piedi. Forza per non abbassare lo sguardo, né distoglierlo o chiudere gli occhi. Forza per continuare a sostenere lo sguardo su quelle due persone che si erano alleati per portarlo al baratro e per osservarlo cadere nel nulla.
Anche lui, quindi, continuò ad osservarli. Senza perdere una battuta, senza perdere una nota o un verso della canzone. Non voleva cedere né voleva uscire sconfitto da quella strana e silenziosa battaglia: se davvero Tyler si trovava lì di fronte - e su quello ancora aveva qualche dubbio - avrebbe di certo gioito nel vederlo completamente a pezzi e a scappare in ritirata. Non si sarebbe aspettato quella reazione, esattamente come tanti anni prima non aveva preventivato che un ragazzino di quindici anni potesse combattere con mani e piedi pur di sfuggirgli via. Una prova di quei tentativi era lì, in pieno viso, quella cicatrice che sfregiava i lineamenti e che gli avrebbe sempre ricordato che non era stata una vittima impotente: aveva combattuto e lo aveva fatto fino all’ultima energia rimasta.
A quel pensiero, un’altra fiamma incominciò a bruciare insieme alla prima.
Ora, non solo Brian sosteneva lo sguardo di Tyler, ma la sua espressione aveva i contorni e i lineamenti della sfida. Sì, Brian lo stava sfidando come mai aveva fatto prima d’ora, lo stava sfidando a compiere qualsiasi azione, a farsi avanti nella luce dei riflettori invece che rimanere un’ombra oscura del suo subconscio. Forse non era ancora forte per combattere i ricordi e gli incubi ma le ultime ore avevano insegnato a Brian che era forte abbastanza per riprendere controllo della sua vita. Ora, nel presente e non più in quel passato in cui molto spesso si era nascosto, poteva combattere. E lo avrebbe fatto perché la ragione di quella forza risiedeva nella persona accanto a lui, la sua speranza fatta in carne ed ossa. E fu Nick a riprendere la sua concentrazione, spostandola per un secondo su di lui invece che sulla coppia che continuava ad osservarlo. Un accenno di preoccupazione disegnava una linea sulla sua fronte mentre i suoi occhi formulavano la domanda che le sue labbra non potevano pronunciare, impegnate ancora a seguire melodie e note. Un cenno di capo fu la sua risposta. Sì, nonostante tutto, stava bene, il panico continuava a rimanere sotto controllo.
Bastò quell’attimo di distrazione perché quando i suoi occhi ritornarono verso il punto in cui i suoi incubi stavano, essi erano scomparsi lasciando posto ad una madre insieme alla figlia. Fu quella distrazione ad incominciare a creare delle falle nelle barriere che Brian aveva eretto attorno a sé mentre la parte razionale della sua mente lo torturava ripetendogli che si era preso una cantonata, che aveva semplicemente immaginato quelle due figure. Come dargli torto, d’altronde? Uno non sapeva nemmeno chi fosse e l’altro... tecnicamente, l’altro doveva trovarsi a chilometri e chilometri di distanza, rinchiuso in una cella senza la possibilità di poterlo contattare o avvicinare.
Tyler non poteva né doveva trovarsi lì. Eppure, Brian era sicuro di non aver avuto allucinazioni. O, almeno, voleva esserne sicuro, sperare di esserne sicuro anche se non era confortante. Perché se essi erano veri allora significava che lui non era più al sicuro e che ogni momento poteva coincidere con un attacco o con una sconfitta. Più di tutto, ciò significava che la sua speranza, Nick, era in pericolo. Fu quello il primo pensiero di Brian. La sua medesima sopravvivenza impallidiva di fronte alla possibilità che Nick potesse rimetterci per causa sua. E quello non poteva permetterlo, non almeno fin quando ci sarebbe stato una singola cellula ancora sana dentro di lui.
Allungò il collo, cercando di captare ancora quegli occhi verdi e quei capelli biondi. Ma no, essi sembravano essersi dissolti nell’aria, come se fossero sempre stati particelle appartenente ad essa. Non c’era tempo per riflettere su dove fossero finiti né seguire quel flebile istinto che voleva che si alzasse e li andasse a cercare. Per quale scopo, nemmeno Brian stesso lo sapeva. Confrontarli? Forse. Assicurarsi che fossero davvero quello, frammenti della sua pazza e paranoica immaginazione e che non ci fosse nessun pericolo per Nick? Molto più probabile.
E quando il sipario cadde, nascondendo il gruppo nonostante gli applausi e le urla di richiesta per un bis, cadde anche l’ultima resistenza di Brian. Perché quella fiamma di forza e resistenza era ancora troppo flebile per poter continuare a risplendere senza che un vento di panico la spegnesse con facilità. E fu ciò che accadde: in un attimo la risoluzione di non cadere nell’attacco si trasformò in una battaglia per non rimanere soffocato da quelle dita che si stringevano sempre di più attorno al suo collo. Freddo e caldo si mischiarono insieme. Le luci emanavano troppo calore, Brian sentiva quei punti luminosi tutti concentrati sulla sua pelle ma senza che riuscissero a combattere i brividi che stavano risalendo ogni nervo, cercando quasi di spezzare le sue ossa, anche la più piccola e invisibile. Ma era la sua mente, principalmente, ad essere priva di ogni controllo: sfrecciava in ogni direzione, la cambiava non appena lui sembrava essere sul punto di fermarla, bloccarla ed impedirle di sfuggire via. Eppure, tornava sempre a girare attorno ad un unico perno: Nick. Non sapeva dove quei due incubi fossero andati ma aveva paura, no, peggio, era terrorizzato che fossero nascosti da qualche parte, pronti a tender loro una trappola. Pronti a far del male a Nick solamente perché era al suo fianco.
L’istinto, in quel momento di panico, non era verso se stesso. Forse perché la sua stessa sopravvivenza dipendeva da quella molto più importante di Nick. E con quell’unico pensiero nella mente, Brian prese la mano di Nick e incominciò a correre verso i camerini, sperando di poter così mettere in salvo entrambi. Sentiva Nick dietro di lui domandargli che cosa stava succedendo, chiedergli dove stavano andando così di fretta. Ma non c’era tempo per le spiegazioni né aveva l’ossigeno sufficiente per poter formare parole mentre stavano ancora correndo.
Brian vide finalmente la porta del camerino: spinse Nick dentro prima di chiudere la porta dietro di sé, appoggiandovi contro. La sua vista era annebbiata da ciò che solo in quel momento comprese fossero lacrime mentre un’orribile suono annullava qualsiasi altro rumore nella stanza.
“Bri? – La voce di Nick suonava lontana, come se lui fosse stato rinchiuso in una bolla mentre il ragazzo fosse rimasto all’infuori. – Bri? Mi stai spaventando...”
Sì, pensò Nick, Brian lo stava decisamente spaventando. Non era solamente l’attacco di panico in sé ma soprattutto il fatto che fosse nato dal niente: un minuto, Brian sembrava essere a suo agio sul palco ma non appena le luci si erano spente qualcosa era nettamente scattato nel ragazzo. Lo aveva trascinato fino a quel camerino, non una spiegazione, neanche un accenno che stesse ascoltando le sue domande o i suoi richiami. Ecco perché era spaventato: Brian sembrava essere intrappolato in un incubo e lui non aveva idea di come tirarlo fuori.
Si sentiva inutile.
Tutti i discorsi del giorno prima, tutte le belle parole che aveva usato dentro di sé mentre si prometteva che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutare Brian, tutto si stava sciogliendo via più veloce che mai, lasciandolo da solo in un deserto. Nessun appiglio, nessun aiuto. Era come ritrovarsi alla sera dell’aggressione, quando lui aveva cercato di risvegliare Brian dal suo incubo e, invece che aiutarlo, aveva solamente peggiorato la situazione. In quello, Nick doveva ammettere, era piuttosto bravo. Eppure Brian lo aveva perdonato, eppure Brian ancora si fidava di lui.
Anche se si sentiva inutile, Nick si rese conto che non poteva arrendersi ancor prima di aver tentato. E, se alla fine i suoi tentativi avessero peggiorato tutto, avrebbe abbassato il capo e chiesto aiuto a Kevin.
Brian ancora gli stringeva la mano: nonostante tutto, le sue dita ancora erano ben strette attorno al polso e fu su quel contatto che Nick decise di far leva. Girò la mano, in modo che il polso di Brian fosse rivolto verso l’altro mentre, con la punta dell’indice, incominciava a battere in un lento ritmo contro la pelle. Non si ricordava dove l’aveva sentito o letto, forse in una di quelle mille pagine internet che aveva visitato il giorno prima. Non azzardò ad avvicinarsi, per quanto fisicamente facesse male non riuscire a dare conforto nel miglior modo che Nick conoscesse.
“Bri?”
Per qualche secondo sembrò che il ragazzo non avesse udito quel richiamo. Seduto contro la porta, le braccia strette attorno a se stesso come a protezione per qualsiasi pericolo che lo stesse o lo avesse inseguito fino a lì. Poi, lentamente, Brian alzò lo sguardo fino a quando non si trovò a riflettersi negli occhi di Nick.
Nick, sano e salvo.
Nick, senza nessuna ferita e semplicemente spaventato a morte per colpa sua.
E lì Brian comprese che non c’era stato e non c’era nessun pericolo, a parte quello immediato di ritrovarsi senza ossigeno se non si fosse dato una calmata. Come un mantra, incominciò a ripetersi che era al sicuro mentre focalizzava ogni energia su quel ritmo, lento e regolare, che picchiettava lieve contro il suo polso.
Inspira. A fondo. Ora espira.
Inspira. A fondo. Espira.

Il suo mantra si sbiadì in una voce molto più chiara, più lucida di quella debole della sua mente. Nick. “Inspira. Conta fino a dieci. Espira.”
Nessuno dei due seppe dire per quanto tempo rimasero in quella posizione. L’unico senso di una sorta di temporalità venne dato quando, finalmente, Brian si ritrovò liberato da quelle dita invisibili che si erano prima strette attorno al suo collo. Ora, ammise con sollievo, riusciva a respirare con più facilità.
Rabbrividiva, sì, ma perché nella stanza vi era l’aria condizionata a tutta velocità e i suoi vestiti erano diventati appiccicaticci per il sudore. D’istinto, Brian annullò quella poca distanza fra loro due e si nascose fra le braccia di Nick, appoggiando la testa nell’incavo fra il collo e la spalla.
Le labbra di Nick si appoggiarono sui capelli di Brian mentre lo stringeva ancora di più contro il suo corpo, senza mai slacciare l’intreccio di mani. “Stai meglio?”
Bella domanda. E Brian non sapeva che cosa rispondere: si era appena reso ridicolo di fronte agli altri ragazzi e, indirettamente, aveva dato ragione a Kevin su quanto ancora fosse pazzo. Sì, non c’era dubbio su quell’ultimo punto. Stava davvero impazzendo. Era l’unica soluzione per spiegare ciò che era successo prima. Tyler non poteva essere stato presente e, se mai ci fosse stata una possibilità – per quanto minuscola e totalmente minimale – non c’era nessun motivo per cui doveva conoscere l’altro ragazzo. O avevano per caso fondato un club? Quasi senza rendersene conto, si ritrovò a ridere in un singhiozzo.
Sì, doveva di sicuro essere impazzito.
“Brian?” Lo richiamò Nick, la fronte aggrottata in confusione di fronte a quella reazione di lacrime barra risate.
Il ragazzo si passò una mano sugli occhi, asciugando quelle gocce d’acqua che stavano liberamente scendendo. “Sto impazzendo.”
“Mi dispiace deluderti, mio caro, ma non sei mai stato totalmente a posto.” Scherzò Nick, ricevendo in risposta un accenno di risata.
“Questo... questo non è normale.”
“No, hai ragione. Non lo è. Ma non significa che tu sei pazzo.”
Brian incominciò a scuotere la testa, rigettando quell’ammissione. “Non possono essere qui. Non lui, almeno.”
Nick rimase in silenzio per qualche secondo, riflettendo su come agire: era vero, Brian nelle ultime ore si era aperto molto più rispetto al passato ma non era mai stato lui a fare domande o a pressare. Ma ora, ora voleva comprendere. Aveva bisogno, necessitava di sapere che cosa aveva scatenato quell’attacco. Così, Nick osò domandare. “Lui... intendi...?”
“Tyler. Si chiama Tyler. E non può essere là fuori.” Rispose Brian, accennando con la testa la direzione oltre la barriera della porta.
“Se l’hai visto...”
“Allucinazioni. Incubi reali. Uno psichiatra potrebbe elencarti mille ragioni per giustificare e spiegare la loro presenza al concerto.”
“Loro?”
Brian annuì. Stranamente, non sentiva nessuna remora nel parlare con Nick. Forse, era dovuto al fatto che Nick gli credeva, ciecamente. Nel suo tono di voce non c’era quella sfumatura di compiacimento che tante volte aveva udito, come se fosse un povero bambino che andava compatito e rimesso in sesto. “Tyler e il ragazzo che mi... che ha cercato di aggredirmi. Erano lì, entrambi. – Brian alzò di poco il viso, in modo da poter osservare Nick. – Non mi credi pazzo, quindi?”
Con l’indice, Nick spostò un ciuffo di capelli lontano dalla fronte e dagli occhi del ragazzo. “No. Se dici che li hai visti, allora significa che erano lì.”
“Ma non è...”
Nick non lo fece continuare. “Anche se non è possibile, non significa certo che stai impazzendo. E’... è normale, no?”
Una punta di fastidio e frustrazione colpì Brian a pelle. “No. – Rispose a denti stretti e ogni nervo teso. – Non è normale, Nick. Niente di tutto questo è normale. Le persone normali non devono fare i conti con i fantasmi del passato dieci anni dopo. Le persone normali non se li immaginano insieme a prendere un the e domandarsi come possono rovinare una vita l’ennesima volta.”
Nick iniziò a mordicchiarsi il labbro, insicuro su come rispondere a ciò. Era così che Brian si era sentito per anni? No, Nick era sicuro che Brian non avesse mai provato quel senso di totale inutilità che stava provando lui in quel momento. Che cosa poteva dirgli per riprenderlo prima che cadesse da quel fragile confine? Sarebbe stato facile farlo crollare, sarebbe stato facile semplicemente tenerlo stretto e dirgli che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma non poteva perché nemmeno lui aveva quel dono, quel prezioso dono di riuscire a rassicurare l’altra parte della sua anima anche con una flebile menzogna. Nick sapeva solo una cosa, ovvero che più di tutto Brian odiava sentirsi e farsi vedere debole. Doveva solo trovare un modo per aprire un varco e lasciargli l’aria per finalmente respirare e riprendere quella forza che lo aveva sempre contraddistinto.
L’illuminazione arrivò senza suoni o luci magiche, lasciando Nick sorpreso per la sua semplicità. “Bri, se fossi io al tuo posto, che cosa mi diresti?”
Occhi azzurri si posarono su di lui in confusione. “In che senso?”
“Cambia la situazione. Se fossi io nelle tue condizioni, che cosa mi diresti per confortarmi?”
Brian aggrottò la fronte, ancor non capendo dove volesse andare a parare Nick. Ma era troppo stanco per indugiare in domande e spiegazioni, così decise che fosse molto più semplice accontentare Nick. “Ti direi di mandare a quel paese ciò che le persone definiscono per normale. Ti direi di non preoccuparti. – A quell’ultima frase, lo stesso Brian si ritrovò a fare una smorfia. – Per prima cosa, cercherei di scoprire se sia davvero possibile che tu lo abbia visto.”
“E ancor prima?”
Finalmente, Brian comprese che cosa Nick stava cercando di fare. “Ti sfiderei ad uno dei tuoi videogiochi. – Affermò con un sorriso. – Ora, che cosa hai intenzione di fare?”
“Vicino al nostro hotel c’è un parchetto con un campo di basket. O, se non te la senti di stare all’aperto, possiamo cercare una palestra a disposizione.”
“Possiamo?” Si ritrovò Brian a domandare mentre ogni suo nervo si riaccendeva grazie ad una miccia di vitalità. Le dita già fremevano per poter stringersi attorno alla palla e sentirla ribattere contro il pavimento di cemento. Non importava che si sentisse come se un camion lo avesse travolto con i suoi pesanti pneumatici: il peso che sentiva sul petto era una questione molto più pressante da dissolvere e solo con sudore e respiro ansimante poteva riuscire a scacciare gli incubi.
“Siamo una squadra, no?”
L’orgoglio nel sentire quelle parole era una calda sensazione che si avvolgeva attorno al cuore di Brian. Non aveva bisogno di nascondersi, non aveva bisogno di mascherare ciò che provava per paura di essere preso per pazzo o bisognoso di cure psichiatriche. E gli era impossibile non fare confronti con Kevin: di certo, il maggiore non avrebbe reagito come Nick, non gli avrebbe creduto immediatamente o cercato di cambiare discorso per farlo allontanare dagli echi dell’attacco di panico.
Brian alzò le mani, sue e di Nick, che ancora erano intrecciate l’una nell’altra e le appoggiò sul petto del ragazzo, vicino a dove poteva sentire il cuore battere.
“Sì, lo siamo.”
Nick strinse ancora di più a sé Brian, lasciando un veloce bacio sulla sua fronte. Lì, protetto ancora da quell’abbraccio da cui ormai sembrava esserne diventato dipendente, Brian chiuse gli occhi e lasciò fuori dalla mente qualsiasi pensiero: quelli potevano aspettare e lo avrebbero fatto, su quello lui non aveva dubbi. Ora, invece, voleva semplicemente sentirsi normale, nonostante sapesse che niente di quella situazione sarebbe potuta essere considerata normale.
Ma, per quel che valeva in quel momento, a Brian non importava nulla.




 
************


 



Brian addormentato e ancora stretto nell’abbraccio di Nick. Fu così che Kevin li trovò, dopo che tutti si erano cambiati ed erano già pronti per poter partire per la prossima tappa. Solo Brian e Nick mancavano all’appello, anche se tutti erano stati testimoni di quanto successo era terminato il concerto e tutto ciò che avevano potuto fare era osservare la scena con preoccupazione.
Il primo istinto di Kevin era stato quello di correre dietro alla coppia, comprendere ciò che aveva spaventato così tanto Brian e cercare di rimettere a posto tutto. Ma non lo aveva fatto. Dopo un primo passo, si era bloccato e aveva continuato a tenere lo sguardo sul punto in cui i due ragazzi si erano allontanati.
Prendersi cura di Brian, quello era stato il suo lavoro. Lo era sempre stato. Solo che ora non lo era più.
Il pensiero lo colpì in pieno petto, rendendogli per un secondo quasi impossibile respirare. Non era perché non si fidasse di Nick, quella era solo una mera bugia che si era e aveva raccontato allo stesso ragazzo e Brian: doveva ammettere che Nick in quegli ultimi giorni era riuscito più di quanto lui avesse mai fatto in dieci anni e non solo per tutti quei piccoli tratti fisici. Era nell’atteggiamento che Nick era riuscito là dove lui aveva sempre fallito: far ammettere a Brian di aver bisogno di aiuto.
Ecco che cos’era quella sensazione pesante come un macigno. Era la realizzazione di aver fallito, di non esser mai stato veramente utile e di non esser mai riuscito a colmare quella mancanza che aveva macchiato le loro vite. Per anni, aveva cercato di compensare in tutti i modi possibili, a volte fidandosi dell’istinto ed altre dannandosi per trovare qualsiasi rimedio che potesse essere d’aiuto. E se all’apparenza potevano aver dato qualche risultato, ora Kevin sapeva che non era mai riuscito a sanare quella ferita. Entrambi, non solo Brian, vi avevano danzato attorno facendo finta di non notare quell’enorme elefante fra loro.
Ma la differenza, ancora una volta, era stato Brian a renderla così vivida e tangibile. Perché, fra i due, colui che stava cercando di trovare un senso di normalità era proprio Brian, era proprio il ragazzo che lui si era promesso e ripromesso di proteggere e tener cura.
Rabbia.
Quell’emozione giunse all’improvviso, inspiegata in quella sorta di circostanza. Era furioso perché era stato messo da parte e, allo stesso tempo, era furioso perché non voleva sentirsi arrabbiato.
Ecco perché era rimasto l’ultimo ad aspettare i due ragazzi.
Ecco perché era stato lui a marciare verso quella stanza.
Ed ecco perché, una volta giunto di fronte alla porta, non era riuscito a fare niente se non rimanere lì, con il pugno mezzo alzato. La rabbia, quell’emozione che lo aveva condotto fino a lì, ora era scomparsa una volta compreso che non aveva diritto di esistere. Forse perché Kevin si era reso conto che, fino a quando avrebbe continuato a ribellarsi contro Brian, avrebbe solamente peggiorato la situazione fino a ritrovarsi completamente abbandonato e in un angolo.
Era così che voleva che andasse a finire?
Nick e Brian avevano avuto ragione, ognuno con il loro punto di vista completamente differente. E, silenziosamente, anche lui si era ritrovato a accettare e condividere quell’opinione. E, insieme a quella, era nata anche la piccola fiamma di speranza che, se ce la faceva Brian, anche lui avrebbe potuto trovare un angolo di respiro e poter incominciare a vivere la sua di vita, lontano dall’ossessione di dover continuare prendersi cura di Brian. O preoccuparsi e mettere in primo piano solamente i suoi bisogni. Non voleva abbandonarlo, no di certo, ma un giorno sarebbe arrivato ad incolparlo di tutto ciò che si era perso perché troppo impegnato a rimettere insieme qualcosa che qualcun altro aveva già riordinato. E se per evitare di giungere a quel punto Kevin avrebbe dovuto abbassare lo sguardo e farsi da parte, allora lo avrebbe fatto. Brian meritava un pizzico di normalità e anche lui. Se lo meritavano, decisamente. Anche se significava dover ammettere di aver sbagliato e chiedere scusa a Nick. 
Finalmente liberato da quel peso di pensieri, Kevin bussò leggermente prima di aprire lentamente la porta. Ad una prima occhiata la stanza sembrava essere completamente deserta, anche se i borsoni di Brian e Nick erano ancora semi aperti quindi difficilmente se ne erano andati.
“Nick?”
Kevin tentò di aprire un po’ di più la porta ma essa andò a sbattere contro qualcosa. O, meglio, contro qualcuno. “Siamo qui dietro. – Rispose Nick in un sussurro. – Fai piano.”
Il motivo era molto semplice e Kevin lo comprese non appena entrò nella stanza e si chiuse dietro di sé la porta; il motivo risiedeva nel semplice fatto che fu così che trovò la coppia, Nick con la schiena appoggiata contro la parete e un Brian addormentato fra le sue braccia.
“Tutto a posto?” Kevin non riuscì a fermarsi dal chiederlo.
Senza nemmeno interrompersi nell’accarezzare la schiena di Brian, Nick alzò lo sguardo, lasciando intravedere i segni della stanchezza per tutta quella situazione. “Sì. Più o meno, credo.” Rispose il ragazzo, sorridendo mentre gli occhi si posavano su Brian.
“Nick... – Incominciò Kevin a dire, giochicchiando nervosamente con le dita. - ... volevo scusarmi con te.”
L’ammissione confuse Nick, che già si era aspettato a dover trovare una giustificazione possibile per il comportamento di Brian, non volendo ancora mettersi in mezzo fra quella lite fra cugini. E mai, in tutta sincerità, si sarebbe mai aspettato di ascoltare quelle parole provenire dal maggiore.
“Non sono stato giusto nei tuoi confronti. In realtà, non ce l’avevo direttamente contro di te e con la tua relazione con Brian. Credo di aver sempre avuto qualcosa contro l’idea di Brian insieme a qualcuno, perché mi avrebbe impedito di fare quello che ho sempre fatto da dieci anni a questa parte. Prendermi cura di lui. Rimediare al mio errore. Ma non posso rimediare impedendo a Brian di vivere, o almeno tentare, una vita normale. Voglio solo che non si ripeta ciò che è già successo.”
Nick aspettò un momento prima di rispondere, primo perché voleva assicurarsi che Brian non si fosse svegliato e, secondo, perché non sapeva esattamente che cosa dire. Accettare le scuse sarebbe stata la cosa più giusta e istintiva e comprendeva le ragioni di Kevin. Soprattutto da quando Brian gli aveva candidamente ammesso di aver bisogno di lui, Nick aveva scoperto dentro di sé una vena protettiva di cui aveva solamente avuto un bagliore con i suoi fratelli minori. Per Brian, ora, sarebbe stato in grado e capace di qualsiasi azione, anche la più deplorevole. Per Brian, per tenerlo al sicuro da ogni male, sarebbe stato capace di combattere contro chiunque, anche i suoi stessi amici. Anche contro Kevin stesso. Quindi sì, comprendeva le sue ragioni, ma non riusciva a lasciarsi scivolare via quelle accuse. Proprio perché considerava Brian come la sua cosa più preziosa, quelle parole che parlavano di fargli del male, di fargli così tanto e volontariamente del male, erano delle ferite difficili da richiudere con una semplice scusa. 
“Come puoi aver pensato che possa fargli del male? Lo so che ci saranno momenti in cui lo deluderò e momenti in cui lui mi deluderà. Ma mai, Kevin, mai potrei arrivare a quel punto. Mi conosci, mi hai visto crescere e davvero pensi che possa essere capace di ciò?” Non aveva urlato, Nick. Non poteva urlare, non quando aveva Brian fra le braccia e sapeva che le sue urla, qualsiasi urla, lo avrebbe svegliato. Ma la sua rabbia e il suo sentirsi ferito venivano comunque narrate dal tono della sua voce.
“Non... – Kevin si interruppe quasi subito però, sapendo che non era quella davvero la ragione di quella domanda. – Non so quanto Brian ti abbia raccontato ma... lui, Tyler, era il mio migliore amico. Quasi un fratello, avevamo condiviso tutto in quei pochi anni da quando mi ero trasferito ad Orlando. E focalizzarmi su Brian mi ha sempre permesso di evitare di pensare al fatto che, esattamente come lui, anch’io ero una vittima. Ma non è stato giusto nei confronti di Brian. O verso di me. Brian deve vivere la sua vita. E mi fido di te, Nick.”
Un brivido percorse il corpo di Brian e Nick non poté non stringerlo ancora più a sé, quasi come se avesse compreso che quella fosse la sua inconscia e naturale reazione al solo anche sentire il nome di quella persona. “Lo tratterò con cura, Kevin. Ma... Brian non ha bisogno di un eroe o supereroe che lo salvi. Non ha bisogno di qualcuno che lo protegga da tutto, anche da quello che potrebbe accadere in un indeterminato futuro. Se riuscirà a rimettersi in piedi sarà solo perché lo ha fatto con le sue sole forze. E non ho dubbi che ce la farà.”
“Siamo in due, allora. Allucinante, dovrei essere io quello a dispensare consigli a voi due...”
“Succede anche ai migliori. – Rise Nick, sollevato che almeno quel problema sembrava essersi risolto. Non lo avrebbe mai ammesso, forse solo a Brian e sotto tortura, ma aveva desiderato ardentemente una sorta di benedizione da parte di colui che aveva sempre visto come un padre. E averla finalmente ricevuta lo inorgogliva e lo faceva sentire ancora più sicuro di tutta quella situazione. Potevano farcela. Poteva farcela. – So di non poter risolvere tutti i problemi di Brian. Da solo, non posso. Ci sono cose che ancora non mi ha detto e che forse non farà mai. E ci sono cose che tu non puoi captare o fare per aiutarlo. Dobbiamo essere una squadra, Kevin.”
Kevin si abbassò, allungando una mano per scompigliare i capelli biondi del ragazzo. “Quando sei diventato così maturo, Nickholas?”
Una luce di dolcezza si appropriò degli occhi di Nick, ancora attratti dalla figura dormiente fra le sue braccia. “E’ tutto merito di Brian. Da quando stiamo insieme, sto scoprendo cose su me stesso che non pensavo di poter possedere. Credo che sia questo l’amore, no?”
Un sorriso, forse il primo vero e naturale di tutti quei giorni, curvò gli angoli del maggiore. Sì, la risposta alla domanda di Nick era solo un sì perché era la stessa sensazione che anche lui aveva provato quando aveva conosciuto Kristin, quando si era accorto di poter essere una persona migliore solamente per lei, solamente per poter avere un’ennesima conferma che meritava di poter essere l’uomo che lei amava e che lo faceva sentire come una persona totalmente nuova. Annuì quindi semplicemente, come uno di quei segreti che padre e figlio si trasmettono di generazione in generazione senza mai usare troppe parole e espressioni.
“Posso far qualcosa?” Si ritrovò Kevin a domandare, non sapendo esattamente ancora che cosa fosse successo. E, forse, era meglio così altrimenti si sarebbe ritrovato a preoccuparsi e cercare di trovare un modo per rimettere in sesto Brian. Un respiro, inspiro ed espiro che servirono a calmarlo e a riprendere quel mantra che si era ripetuto mentre veniva in quella stanza.
Un’espressione pensierosa apparve sul volto di Nick, timoroso quasi a pronunciare quel pensiero che già dalla giornata precedente stava ronzando attorno alla sua mente come una mosca fastidiosa. Ma Kevin era anche l’unica persona a cui avrebbe potuto confidarlo senza esser preso come troppo protettivo o preoccupato. 
“Vorrei portare Brian lontano per qualche giorno. Anche se non l’ammetterà mai, ha bisogno di staccare.” Staccare, in quel momento, era più una metafora, anche se c’era la voglia in Nick di staccare Brian da quel mondo e portarlo in un luogo dove non dovesse sempre guardarsi alle spalle o tenere per tutto il giorno una maschera di forza che si stava già sbriciolando. E, forse, dietro le sue parole c’era una paura che era emersa subito dopo quell’attacco, quando Brian gli aveva raccontato di chi aveva visto fra la folla: se davvero era così, se davvero il suo aggressore e Tyler erano stati lì presenti, Nick voleva portare via Brian e metterlo al sicuro.
“Non so quanto potrà essere fattibile. Ma vedo che cosa possa fare, okay?” Rispose Kevin, condividendo in parte quel pensiero. E, forse, ora che erano in due a lavorare insieme, sarebbero riusciti a convincere Brian a fermarsi e riprendere fiato.
“Grazie. – Disse Nick in un sussurro. – Vi raggiungiamo al più presto.”
“Non preoccuparti. Prenditi cura di lui, okay?”
Nick annuì semplicemente e, poco dopo, la porta si aprì e richiuse, lasciandoli ancora completamente soli.
“Tanto lo so che stai solo facendo finta di dormire.”
Una nuvola di risata si alzò da quelle labbra appoggiate contro il suo collo, accarezzando e solleticando la pelle. Due occhi azzurri, leggermente arrossati e lucidi, si alzarono e poi si soffermarono sul viso di Nick, le labbra finalmente curvate in un timido sorriso. 
“Kevin ti chiede scusa e me lo devo perdere?” Domandò Brian stupito e scherzoso.
“Non credo che lo avrebbe fatto se avesse saputo che tu stavi fingendo.”
“Ed ecco perché non mi sono svegliato.”
Avrebbe voluto farlo, però. Ma erano bastate le prime parole scambiate fra Nick e Kevin a fermarlo: quella non era una conversazione in cui lui aveva da dire o reprimere. Era, finalmente, quel tanto agognato discorso che Brian aveva sperato che potesse accadere tra i due, così che si potesse porre fine a quella faida che stava solamente logorando gli animi. Più di tutto, Brian sapeva quanto Nick avesse bisogno di sentirsi dire, da qualcuno che aveva sempre ammirato e aspirato a poter diventare anche solo un pochino simile.
“Hai sentito tutto, quindi?” Domandò Nick, scostando un ciuffo biondo dalla fronte di Brian.
“Intendi anche l’ultima parte e la tua idea di scappare?”
“Ehi, ehi. Non si tratta di scappare.”
“Posso farcela.”
“Non ne ho dubbi. Ma ammettere di aver bisogno di qualche giorno di respiro non farà esclamare al mondo intero quanto debole tu sia.”
Nick aveva ragione. Brian lo sapeva, la mente di Brian lo sapeva e razionalmente non poteva non ammettere che avrebbe esclamato di gioia se avessero detto loro che i prossimi concerti erano stati cancellati o spostati. Ma c’era la sua anima che, invece, non voleva sentirne di scappare via dai problemi come se fosse un codardo; lei, invece, voleva combattere, voleva dimostrare a tutti che non sarebbero stati un paio di incubi o attacchi di panico a farlo cadere una fragile foglia. A chi doveva dare ascolto?
“Ho paura. – Si ritrovò ad ammettere, nascondendo ancora una volta il viso nel petto di Nick. Solo così riusciva a lasciare fuggire via quelle confessioni senza sentire le guance bruciare per la vergogna. – Ho paura che, se mi fermo, sarò solamente una facile preda per i miei demoni. Ho bisogno di continuare a muovermi, ho bisogno di lottare e cantare.”
“Anche se non hai più energie.”
Era una stilettata ma Brian non poteva controbattere. Perché Nick non gliela aveva lanciata contro come un’accusa e nemmeno come una domanda retorica. Era la verità, nuda e cruda in tutta la sua essenza: era stanco dopo quell’ultimo attacco, era stanco di dover sempre tenere alte le difese e giustificare ogni sua azione a chiunque, come se questi avessero il diritto e il sapere di come doveva comportarsi in situazioni del genere. La proposta di Nick era così allettante che, lo sapeva, gli sarebbe bastato semplicemente uno sguardo per fargli intendere la sua risposta. , gli avrebbe detto. Sì, portami lontano da quel pazzo che sta cercando di rovinarmi ancora una volta la vita. Voglio solo essere normale. Dammi questa possibilità.
Ma dalle sue labbra uscirono altre parole, anche se differenti da quelle che una volta avrebbe usato per mostrare una falsa apparenza di forza. 
“Vediamo come va questa notte, okay? Se... se ci saranno problemi, allora te lo dirò. Va bene?” Brian pronunciò quell’ultima domanda alzando il viso, in modo che Nick potesse vedere nei suoi occhi quanto fosse sincero.
“Promesso?”
Fu Brian quella volta a iniziare il bacio. Semplice, veloce e intriso di dolcezza. Ma era un passo in avanti, soprattutto quel rimanere sempre vicini, fronte contro fronte, naso contro naso. “Promesso.”





 
 
************
 






Seth Connor non aveva avuto una vita facile, costellata da una famiglia disastrata alle spalle e poche speranze di poter aver qualcosa di diverso nel suo futuro. Non era mai stato un brillante studente, forse perché non aveva mai aperto un libro se non costretto da sua madre e forse perché non aveva mai avuto un talento nascosto, qualcosa che lo avrebbe liberato da quella vita di provincia a cui era destinato. Non aveva mai tentato di scappare e cercare di farsi una vita da qualche altra parte, in una di quelle tante metropoli che sembravano narrare di pochi sogni realizzati e tanti altri spezzati sotto la cattiveria della gente. Anche se non era esattamente quella tutta la verità. Il sogno di fuggire aveva accarezzato Seth tante volte: al riparo della sua camera, Seth aveva sognato di rinchiudere in un’unica valigia tutti i suoi pochi averi e prendere il primo treno che lo avrebbe portato via da quella casa, da quel quartiere dove solamente le erbacce crescevano e soffocavano quei piccoli fiori che cercavano di farsi strada per un po’ di sole. Ma, come tutti i suoi sogni, quello venne spezzato via il giorno in cui suo padre decise che ne aveva abbastanza della famiglia, quella famiglia che lui stesso aveva aiutato a creare, e se n’era andato, lasciando sua madre a trovare un modo per mantenere tre figli. Se anche Seth avesse avuto qualche pensiero di continuare gli studi, quell’abbandono li aveva completamente portati alla porta e lasciati fuori a marcire come spazzatura.

Non era stato esattamente quello il suo caso. Per Seth, rinunciare agli studi era stata una liberazione. Senza diploma, senza nessuna vera attitudine o abilità, l’unico vero punto di forza era il suo fisico. Non si vergognava né si imbarazzava quando qualcuno puntava il dito indicandolo e parlottava con il compagno di turno: veniva pagato bene e, con quei soldi, poteva aiutare sua madre a pagare la scuola ai suoi fratelli o far avere loro dei regali per Natale o i loro compleanni. Proprio per quel motivo, quando gli era arrivata quella strana telefonata, Seth non vi aveva riflettuto troppo e aveva accettato immediatamente. I soldi erano molti, più di quello che normalmente prendeva per fare molto meno, e non gli importava sapere per quale motivo qualcuno, quel capo della persona che lo aveva chiamato voleva che qualcuno aggredisse quel ragazzo. Oh, sapeva benissimo di chi si trattava: chiunque, a men che non vivesse in una caverna, sapeva i nomi e i visi di quella boyband. E, se proprio Seth doveva essere sincero, fra tutti e cinque, quel ragazzo era sempre stato quello che lo aveva affascinato maggiormente.
Quell’incarico era stato facile, il compenso era già al sicuro e pronto per essere usato per pagare l’affitto per i prossimi sette mesi e qualsiasi altra emergenza sarebbe sorta in quel periodo, e Seth si era già dimenticato di quelle due strane persone. Non aveva provato nessun e minimo filo di rimorso per le sue azioni, soprattutto perché erano stati interrotti sul più bello da uno degli altri membri del gruppo; forse, l’unica recriminazione che poteva avere era proprio quello, non aver avuto la possibilità di andare fino in fondo, di completare quell’incarico intriso di piacere e soddisfazione.
Poi, era arrivata la seconda chiamata. Sempre un numero anonimo ma, quella volta, a contattarlo era stato direttamente quell’uomo che aveva preferito rimanere nell’ombra. Nessun nome, solo un altro incarico: più semplice, solo qualche ora ma sempre ben pagato. Lì aveva Seth incominciato ad avere qualche obiezioni, quell’uomo sembrava quasi avere un’ossessione per il ragazzo e quel pensiero gli lasciava un sapore amaro in gola, una sorta di coscienza che voleva consigliarlo di lasciare perdere.
Eppure, Seth aveva deciso di accettare. Si trattava solo di assistere ad un concerto e poi aspettare l’uscita del gruppo. Si trattava solo di farsi vedere e consegnare un regalo. Si trattava solo di questo e veniva pure pagato più della prima volta. Perché non avrebbe dovuto accettare?
Per la prima volta, però, Seth aveva visto di prima mano le conseguenze di quello che lui aveva definito semplicemente un incarico. Forse per lui era stato solo quello, un lavoro, ma non per chi si era trovato dall’altro lato, il ricevente di quelle che erano state attenzioni non richieste e mal accettate. Di certo, Seth si sarebbe sempre ricordato l’espressione di totale panico, quella paura nella sua più pura natura, apparso sul viso del ragazzo non appena li aveva intravisti. Sì, loro due perché ad accompagnarlo in quell’incarico era stato chi lo aveva organizzato e commissionato: sempre senza lasciare un nome, si era presentato in una macchina nera parcheggiandola qualche metro prima di casa sua e, per tutto il tragitto, le uniche parole erano state usate per spiegargli nei minimi dettagli – non molti a dire la verità – di ciò che avrebbe dovuto fare e come comportarsi. Il tono che aveva usato, specialmente in quei momenti in cui pronunciava il nome del ragazzo, lo avevano fatto rabbrividire, forse perché, sotto la luce artificiale dei lampioni che sfrecciavano via, quegli occhi e quella cicatrice sul mento lo facevano sembrare un uomo capace di qualsiasi cose pur di avere ciò che desiderava.
Aveva voluto scappare. Davanti a quello sguardo, davanti a quel ragazzo non più grande e di lui e che ora sembrava avere l’aspetto di un bambino impaurito e terrorizzato, Seth aveva voluto abbandonare quell’incarico e tornare a casa. Non voleva far più parte di quel piano maniaco di rovinare una persona solo per il gusto di poterlo fare.
E lo avrebbe fatto. Lo avrebbe di certo fatto, Seth, se non fosse stata per la minaccia non tanto velata di far del male alla sua famiglia. Ecco perché ora si trovava all’esterno della Royal Music Hall ad aspettare l’uscita degli ultimi due cantanti insieme ad uno sparuto gruppo di fans che volevano solo un minimo cenno o un autografo. Fra le mani, Seth stringeva quell’unico oggetto che avrebbe concluso il suo incarico, l’ultimo filo che lo legava a quel maniaco di uomo.
Buffo come un semplice mazzo di fiori poteva cambiare o meno il suo destino.



 
 
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Faceva ancora freddo quando Brian e Nick uscirono per dirigersi al loro tourbus. Una folata di vento si infiltrò nella giacca di Brian, facendolo rabbrividire e, per un istante, il primo pensiero inconscio fu quello di stringersi qualche centimetro in più contro Nick, quasi nascondersi con un braccio avvolto alle sue spalle e quel calore che sembrava mai cessare di bruciare. Ma c’erano delle fans ad aspettarli e, a malincuore, Brian dovette reprimere quell’istinto e semplicemente avvolgersi ancor di più nella giacca. Nonostante fossero entrambi completamente stanchi, nonostante tutto quello che Brian voleva era chiudersi in una stanza e stare con Nick, nonostante tutto quello che Nick voleva era portare via Brian e metterlo al sicuro, entrambi si fermarono a salutare i fans e a firmare qualche autografo. Per quanto strano potesse sembrare, dava loro un piccolo senso di normalità, come se quei momenti di panico fossero stati un incubo difficile da allontanare.
Una stretta di mano. Un sorriso. Una battuta. Fan dopo fan, complimento dopo complimento fino a quando Brian si ritrovò di fronte ad un mazzo di fiori. Il primo pensiero di Brian fu che si trattasse di una strana coincidenza, visto che anche quel mazzo era formato da “non ti scordar di me” più una semplice rosa rossa al centro.
La coincidenza si trasformò prima in terrore poi in panico quando i suoi occhi incontrarono la persona che gli stava allungando quel mazzo: i capelli biondi, gli occhi azzurri, quei tratti che gli ricordavano la persona che ora stava al suo fianco ma che, invece, appartenevano a quell’individuo che aveva riportato a galla tutto ciò che aveva cercato di tenere lontano dalla sua vita e dalla sua sanità.
Brian era completamente paralizzato. Tutto intorno a lui si era fermato, esattamente come qualche ora prima. Non riusciva a pensare, non riusciva quasi a respirare né a sentire ciò che girava attorno a lui. L’unica cosa su cui riusciva a focalizzarsi era quella persona davanti a sé. Perché? Perché continuava a torturarlo in questo modo? Che altro voleva da lui? Il respiro si impennò rapidamente mentre il pensiero che fosse tornato per concludere ciò che aveva dovuto interrompere irruppe in lui come un pugno dritto al petto.
“Sono da parte di una persona che conosci molto bene.” Furono parole che si fecero strada in quella bolla di shock, furono parole che servirono a riscuoterlo, sconvolgerlo come mai nessun altro aveva fatto. No, come solo una persona aveva fatto.
Un battito di ciglia e, quando Brian riaprì gli occhi, tutto ciò che rimaneva era una schiena che stava velocemente scomparendo. Ma prima che potesse fare qualcosa, prima che solo potesse dire qualcosa, al suo fianco Nick aveva già preso la tangente e si era messo a rincorrere il suo aggressore. Non c’era tempo per riflettere sulle sue parole e che cosa significavano, non c’era tempo per leggere quel biglietto: il primo pensiero di Brian fu che quella situazione, Nick che rincorreva il suo aggressore, si potesse trasformare in una ripetizione di quello che era successo a lui qualche settimana prima. Il primo pensiero era sempre quello di proteggere Nick, esattamente come per Nick lo era quello di proteggere Brian.
Quella strana rincorsa ebbe fine quando tutti e tre si ritrovarono in un vicolo. Fu Nick ad agire per primo, lanciandosi contro il suo sosia e bloccandolo contro il muro, esattamente come lui aveva fatto con Brian. Il braccio stretto contro il suo collo impediva al ragazzo di fare qualsiasi mossa per reagire, la stretta e l’intensità erano già in grado di rendergli difficoltoso il respiro. In più, non era mai stato molto abile in quelle situazioni, avendo sempre puntato tutte le sue difese sulla bellezza come lasciapassare per ogni guaio.
Non quella volta.
“Che cosa vuoi fare? Perché diavolo sei tornato?” Urlò Nick, la rabbia che infiammava ogni parte del suo corpo rendendogli quasi impossibile poter resistere alla voglia di prendere a pugni quell’uomo.
“Non è colpa mia!”
Una risata ironica e sarcastica salì in gola a Nick. “Certo! Non eri te ma un altro? Non dire stronzate!”
Il ragazzo stava per ribattere, gli occhi colmi di una luce di paura, quando una voce interruppe la sua risposta. “Nick!”
“Brian, vai sul bus!” Gli ordinò Nick, senza nemmeno distogliere lo sguardo dal ragazzo che teneva prigioniero. L’unico suo pensiero era proteggere Brian, tenerlo lontano da quel ragazzo e, in parte, riuscire finalmente a porre a tacere quel senso di colpa che lo accompagnava da quella maledetta serata: quella volta non avrebbe commesso nessun errore, quella volta sarebbe stato lui l’eroe agli occhi di Brian.
“No.”
Il rifiuto, ostinato e più determinato che mai, di Brian fece scattare la testa di Nick verso di lui. “Brian, non sto scherzando.”
“Neppure io. – Rispose Brian, facendo un passo in avanti. Dentro di sé percepiva il panico e l’ansia cercare in tutti i modi di prevalere e fargli obbedire a quel comando. Ma, all’esterno, c’era una patina di forza che lo teneva in piedi, senza lasciare spazio a qualsiasi segno di insicurezza. – Non voglio scappare.” Aggiunse poi a bassa voce.
Uno sguardo terrorizzato si posò prima su Nick e poi su Brian. “Mi dispiace, davvero. Ma dovevo farlo. Lui...”
Due cose accaddero contemporaneamente: Nick premette il braccio ancor di più contro il collo del ragazzo mentre l’espressione di Brian si faceva più accigliata per la confusione. “Lui?”
“Sì. Lui. L’uomo che mi ha... puoi dire al tuo amico di allentare un po’? Non riesco a respirare!”
“Nick, lascialo.”
“Vuoi davvero ascoltare le sue patetiche bugie?” Domandò Nick sconcertato.
“Sì.”
La fermezza di quella risposta lasciò Nick senza altra scelta che allentare la sua presa sul ragazzo, senza però lasciargli la possibilità di fuggire.
“Chi è lui?” Domandò Brian, avvicinandosi ancora di qualche metro, il cuore che batteva all’impazzata contro il suo sterno.
Seth deglutì una e due volte, finalmente libero di poter respirare ma non alzò mai il viso per incontrare quello di Brian. Era un gesto codardo, lo sapeva, ma non sarebbe riuscito a mantenere il contatto visivo mentre gli raccontava che cosa era stato costretto a fargli. “Non mi ha mai detto il suo nome.”
“Come fai a conoscerlo, allora?” Domandò Nick.
“Qualcuno per lui mi ha contattato qualche settimana fa. Avevo bisogno dei soldi, in famiglia siamo solo io e mia madre a mandare avanti la baracca. Non ci ho visto nulla di male...”
“Niente di male? Niente di male? Non hai trovato niente di male nel violentare un ragazzo?” Esclamò, o meglio urlò, Nick mentre il suo pugno andava a finire contro il muro a pochi centimetri dalla testa di Seth. Il fulmine di dolore che partì dalle nocche fino a risalire per tutto il braccio fu niente, un pallido ostacolo, a quella rabbia che continuava a tuonare dentro di lui. Se solo Brian non fosse stato lì, Nick non avrebbe avuto nessuna remora a usare quel ragazzo come un sacco su cui riversare tutti i suoi pugni. Ma Brian non glielo avrebbe permesso e tutto quello che Nick poteva fare era focalizzare la sua rabbia nella voce.
“Nick! - Lo richiamò Brian. – Lascialo finire.”
“Ha voluto anche che qualcuno facesse delle fotografie mentre... insomma, durante quel momento.”
Brian si sentì fisicamente male a quel pensiero: sentì il suo stomaco stringersi in un crampo mentre quel poco che aveva mangiato quel giorno risaliva velocemente per la gola. Esistevano prove fisiche di quello che gli era successo, Tyler – perché non c’erano dubbi che ci fosse lui dietro quel gioco malato – aveva voluto delle foto e per quale insano motivo? Per quanto, però, Brian avrebbe voluto andarsene via e non ascoltare più niente, doveva rimanere lì.
“Che cosa... che cosa voleva farne di quelle foto?”
“Non lo so. Io dovevo solamente aggredirti. Pensavo fosse finito lì invece qualche giorno fa mi ha chiamato con un nuovo incarico.”
“Quindi eravate veramente lì? Non era una mia allucinazione?”
“Sì. E poi avrei dovuto aspettarti e darti quel mazzo di fiori. – Rispose Seth, sempre con lo sguardo basso. Ma in quel momento decise di alzarlo, sapendo che altrimenti non sarebbe stato creduto. – Stavo per rifiutare. Volevo rifiutare. Ma ha minacciato la mia famiglia e... con tutto quello che ha organizzato contro di te, non ho avuto altra scelta che accettare. Mi spiace, davvero. Non pensavo che potesse arrivare fino a questo punto.”
Brian aspettò qualche secondo prima di fare la domanda più importante. Si inumidì le labbra mentre i brividi causati dal panico riuscivano finalmente a farsi sentire contro il suo corpo. Ma non poteva crollare. Non ora. Doveva sapere. “Lui, l’uomo che ti ha incaricato, ha una cicatrice sul volto?”
Nick non udì quasi il flebile sì mormorato dal ragazzo che teneva imprigionato. La sua mente stava girando attorno ad un unico, orribile, pensiero: il ragazzo delle consegne. Quella cicatrice sul volto. Non potevano essere due coincidenze, non quando sembrava che quest’uomo avesse organizzato tutto pur di vendicarsi di Brian. Ed era riuscito ad avvicinarsi. Era riuscito a superare la loro sicurezza, era riuscito a scoprire dove si trovavano e... no, no, no, non poteva lasciarsi prendere così dal panico. Ma come poteva essere sicuro di sé quando pensava che, se non lo avesse anticipato, sarebbe stato Brian a trovarsi di fronte al suo incubo?
Brian.
La sua mente tornò a lavorare razionalmente, ricordandogli che c’era un’unica persona su cui doveva concentrare la sua attenzione. I suoi occhi, il suo sguardo, si posarono sul ragazzo dietro di lui e, sotto la luce artificiale dei lampioni che si stavano lentamente accendendo, apparve completamente sul punto di crollare sotto il peso di quella rivelazione. Il bisogno, il desiderio di correre da lui e nasconderlo nel suo abbraccia bruciava ora più della rabbia e della voglia di vendicarsi. Ma fu qualcos’altro a bloccarlo: quella luce negli occhi di Brian che raccontava di come non volesse crollare, di come volesse rimanere lì, fermo e determinato, fino a quando non fosse riuscito a scovare un altro bandolo di verità. E, anche se gli costava più di quanto avesse immaginato rimanere fermo, Nick non si precipitò al suo fianco.
Brian colse l’indecisione di Nick e non poté fare altro che ringraziare mentalmente il suo ragazzo e ringraziare ancora chiunque avesse deciso di portarglielo proprio in quel momento. Dal suo sguardo, da quel “ti amo” pronunciato solamente con il movimento delle labbra. Nick aveva capito che aveva bisogno di continuare, di rimanere lì anche se il primo istinto era quello di scappare da quello che sembrava solo essere un incubo.
Bloccò ogni pensiero. Bloccò ogni ansia, panico o terrore. “Come ti chiami?”
“Seth.”
“Seth, ho bisogno del tuo aiuto. Se dovesse richiamarti e proporti qualcos’altro, ho bisogno che tu mi avverta. Non importa quanto ti prometterà, ti pagherò il doppio di qualsiasi cosa ti prometterà. Puoi farlo?”
“Significa che non mi denuncerai?” Domandò Seth. Era stata quella una delle sue paure. Il ragazzo, Brian, ne aveva tutti i diritti. Era un miracolo che ancora non l’aveva fatto e il suo lato egoista stava già festeggiando perché, altrimenti, chi si sarebbe occupato di sua madre?
“Certo che...” Incominciò a dire Nick ma Brian lo interruppe subito.
“No. Non ti denuncerò. Ma devo avere la tua parola che mi aiuterai.”
“Sì. Certo. – Rispose Seth velocemente. – Scusa. Davvero.”
“Nick, lascialo andare.”
“Cosa? No! Brian, ricordi che cosa ti ha fatto?”
“Come potrei dimenticarlo? Ma non lo manderò in galera né sottoporrò entrambi ad un processo. Me ne è bastato uno per tutta la vita. Lascialo andare.”
Fu quell’ammissione di Brian, un altro pezzo di puzzle che andava a ricomporsi, che bloccò Nick dal dire altro. Lasciò andare il ragazzo mentre i suoi occhi continuavano a rimanere fermi su Brian. Come ci riuscisse, come riuscisse a perdonare le persone che lo ferivano così velocemente era un mistero che non credeva sarebbe mai riuscito a scoprire. Così continuò ad osservarlo mentre, con gesti che tradivano la tensione che si stava scatenando dentro di lui, Brian lasciava il suo numero a quel ragazzo per poi non fare niente per fermarlo. Non riusciva ad essere arrabbiato. Non con Brian, non con quegli occhi che ora gli stavano supplicando di essere la sua roccia perché era così vicino a crollare.
Si passò una mano fra i capelli mentre si toglieva la giacca. Poi annullò la distanza fra loro due, avvolgendo Brian nella sua giacca e spingendolo contro il suo fianco. Non si dissero nulla mentre camminavano verso il loro tourbus, ignari che qualcuno potesse vederli o meno. C’erano tante cose che Nick avrebbe voluto chiedere a Brian e tanto altro che avrebbe voluto dirgli, anche se era ancora indeciso se riferirgli che il suo incubo si era avvicinato a loro molto più di quanto avesse potuto immaginare. Ma Brian sembrava essere perso nei suoi incubi ed era quello ciò che lo preoccupava maggiormente. Forse perché, per l’ennesima volta si sentiva completamente inutile.
C’era solo un pensiero che si era preso il palco dentro la mente di Brian: Tyler. Tyler che era fuori di prigione. Tyler che voleva vendicarsi di lui e aveva organizzato tutto quell’incubo in cui lui era sprofondato da quella maledetta notte. Che altro aveva in mente quell’uomo? Fino a dove si sarebbe spinto per ottenere la sua vendetta? Chi altri avrebbe messo in mezzo, quante altre vite avrebbe rovinato? Fino a quel momento, fino a quando Seth gli aveva confermato l’identità di Tyler, una parte di sé aveva fermamente creduto che si fosse immaginato tutto. Era una magra consolazione, era una futile illusione di apparente sicurezza. Ora non lo era più e il panico stava reclamando a gran voce di esser lasciato libero. Le redini che lo tenevano prigioniero si stavano velocemente sciogliendo, come se qualcuno avesse lanciato contro dell’acido: un tocco, lo sapeva, sarebbe bastato solo un tocco per buttarlo per terra sotto quel peso che gli avrebbe impedito di respirare. Ma non voleva arrendersi ma, anche se avrebbe voluto urlare e arrabbiarsi, non c’era niente dentro di lui. Si sentiva letteralmente svuotato, un mero contenitore a cui qualcuno aveva tolto tutto il suo contenuto e poi gettato per terra.
“Bri?”
Fu la voce di Nick a farsi strada per prima fra la nebbia che avvolgeva la sua mente. Fu poi il calore delle sue mani, strette attorno alle sue, a fendere gli ultimi strascichi e solo in quel momento, in quel primo momento di consapevolezza, che Brian si accorse delle lacrime che scendevano silenziose sulle sue guance.
Nick era inginocchiato di fronte a lui, l’espressione così preoccupata che spinse Brian ad allungare le dita e cercare di cancellare quelle linee che non sarebbero mai dovute apparire sulla fronte di Nick. Ma la mano del ragazzo fermò la sua, stringendola stretta  e lasciandola cadere sulla guancia. “Nick...”
“Sh. – Mormorò Nick, prima di avvicinarsi e appoggiare le labbra delicatamente sulle sue. – Andiamo a letto, okay? Parleremo domani.”
Senza dire nient’altro, Brian si lasciò trascinare verso la camera e poi si fece cadere sul letto. Nessuno di loro si preoccupò di svestirsi ma, appena sdraiati, Nick si circondò attorno al corpo di Brian come se volesse fisicamente proteggerlo dalle insidie di quella realtà. Per qualche ora, almeno, voleva tenerlo nascosto da quel terrore che stava contagiando anche lui.
Il viso nascosto nel petto di Nick, le mani strette con forza attorno alla sua maglietta. Quello era il suo rifugio, Nick era la casa che lo avrebbe sempre accolto e protetto. E in quel calore Brian si lasciò sfuggire l’ultima preghiera. “Dimmi che è un incubo.”
Una carezza. Un bacio fra i capelli e quell’abbraccio che diventava ancora più stretto. Non c’era nient’altro che Nick potesse dire se non negare quella preghiera. E, per quello, non ne aveva la forza.
“Doveva essere in prigione. Me lo avevano promesso. – Mormorò una voce che somigliava a quella di un disco rotto. – Dimmi che è un incubo.” Ma la preghiera non venne ascoltata. La preghiera, in un semplice battito di ali, scivolò via da quella stanza, lasciando solo due persone ad aggrapparsi l’uno all’altro.
 
 
 
 




















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Sì. Non è un'allucinazione. Ho davvero aggiornato! lol
Questa storia è un po' strana: possono passare mesi senza che riesca a scrivere qualcosa. Poi, basta un getto d'ispirazione e tiro fuori un capitolo in pochi giorni. Ma è la mia bimba e, questo posso prometterlo, non l'abbandonerò mai e cercherò di terminarla. Anche se dovessi impiegarci anni. =)
Anche perchè è divertente torturare Brian. #Oops #SorryNotSorry
Al prossimo capitolo!
Cinzia
   
 
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