Dopo mesi di inattività causa MiMancaInternetByMikael,
eccoci di nuovo qui, pronte a riempirvi la mente con
qualcosa di diverso!
Esatto,
niente fangirlamenti random.
Niente frivolezze, niente perdite di memoria. Solo una sana dose di psicolabilità e, come sempre, quel bit di
Elricest che non guasta mai, stavolta in
chiave diversa dal solito.
Miedo è
nata quest'estate, mentre noi prendevamo appunti e il
padre di Mika ci guardava malerrimo.;_; Ma è una cosa meravigliosa e noi la amiamo, e voi
dovete amarla ç_ç!
Miedo è,
per chi non fosse pratico, la parola spagnola per
Paura. Scissa in due, ci becchiamo "Mi Edo",
che sempre in spagnolo starebbe a significare Mio Edo, ma qua ci arrivavamo
tutti è_é! Quindi, non
aspettatevi cuoricini, ok? *risata satanica*
Al prossimo
capitolo >O/
Miedo
Il 20% dei ragazzi con
depressione ad inizio così precoce sviluppa poi il cosiddetto "disturbo
bipolare":
una vulnerabilità ad eccessive
fluttuazione dell'umore, in cui le fasi di depressione si alternano a periodi
di vera maniacalità,
caratterizzata da scarso bisogno di dormire,
euforia immotivata,
esuberanza di energia, idee grandiose su di sé
e i propri progetti,
senza alcun fondamento reale, e una
elevata probabilità di cimentarsi o sfidarsi in attività ad alto rischio.
“Niisan,
sono a casa!”
Aprì la
porta, sentendo le orecchie invase dal tenero mugugnare di una voce decisamente familiare. Poggiò a terra le buste della spesa,
per poi sfilare le chiavi dalla serratura e poggiarle sul mobile appena dopo
l’ingresso.
Passo per passo si addentrò nell’andito, sentendo la voce di suo
fratello farsi sempre più chiara, finché non si fermò sulla porta del
soggiorno, ad ammirare per qualche secondo quella testa bionda che dava alla
finestra, ciondolando a ritmo con la musica.
“Sono a
casa.” Ripeté, battendo le nocche sull’uscio e abbozzando un sorriso.
“Ciao, Al.”
Edward si
voltò verso suo fratello, sorridendo lievemente, con le braccia poggiate sulle
ante della finestra. Nonostante tutto, ancora gli faceva leggermente strano vedere
il corpo di carne e sangue di Al, ancora dopo un anno.
“Hai
incontrato qualcuno, per strada?”
Mise le
mani dietro la schiena, avvicinandosi al fratello, ciondolando leggermente la
testa di lato.
Alphonse
annuì, azzardando qualche passo verso Edward e allargando il sorriso.
“Sì! Ho
incontrato il Generale Mustang al banco della frutta.
Abbiamo chiacchierato un po’ e mi ha aiutato con le buste fino alla piazza! Ti
saluta,a proposito.”
Il maggiore
iniziò a giocare con le proprie dita ancora a livello del fondoschiena. A
sentire la parola Mustang
ebbe un sussulto. L’altro lo interpretò come uno dei suoi soliti scatti di odio verso quell’uomo.
“Uhm, sì…”
Lo superò,
piegandosi per prendere le buste con entrambe le mani.
“Da domani
magari la faccio io la spesa, okay…?”
“Niisan,
non lo incontro tutti i giorni il Generale!-
ridacchiò, grattandosi la testa mentre osservava la schiena del fratello
risollevarsi. – Non ti preoccupare!”
Di cosa
poi, neanche lui lo sapeva.
L’altro
neppure alzò lo sguardo aureo (e vagamente vuoto, ma Al non ebbe occasione di
notarlo) su Alphonse.
“E’
uguale…”
Iniziò a
mettere nella credenza la spesa.
“Preferisco
uscire io. Non vuoi che esca?”
“Ma no, no Niisan… - borbottò, andando ad aiutarlo. – Se va a te, non c’è problema!”
Si mise sulla
punta dei piedi, a raggiungere lo scaffale più in alto, allontanando il più
possibile dalla vista di entrambi cibi non
propriamente sani che se fossero stati in uno scaffale più basso sarebbero
spariti seduta stante – sicuramente.
“D’accordo,
allora domattina esco. Mi fai tu la lista della spesa?”
Vedendo che
stava sistemando lui, Ed si mise a sedere,
accavallando le gambe, osservandolo muoversi, senza proferire più parola.
Era qualche
tempo che Edward pareva strano. Ancora più del solito.
Da quando
Al aveva il suo corpo, Ed si era dimostrato
appiccicoso. Estremamente. Quasi da portarlo
all’esaurimento. Il minore non avrebbe mai immaginato che suo fratello potesse risultare così attaccato a lui. Ma il più piccolo
giustificava il processo mentale per cui Edward aveva
totalmente eliminato la sua privacy col fatto che erano così tanti anni che non
sentiva il calore del suo corpo.
E aveva
deciso di assecondarlo. Un po’ perché lo adorava, un po’ per la curiosità di
sapere fin dove si sarebbe spinto.
Un po’ per
timore - probabilmente infondato, pensava spesso e volentieri.
“D’accordo
Niisan. – annuì, chiudendo l’anta e voltandosi verso di lui. – Io scrivo, tu compri. E stai attento a
non sbagliare!”
“Non
sbaglio, non preoccuparti. Non credo sia difficile azzeccare quel che scrivi su
un pezzo di carta.”
Al percepì,
nella voce del fratello, una totale assenza di… tono. Era come asettica, quasi uscisse da un guscio di metallo – non un’armatura in cui era
imprigionata un’anima, ma un contenitore, una lattina. Ne usciva un insieme di
suoni modulati ma totalmente estranei, freddi. Un collettivo di parole che
parevano pronunciate da un computer, non da una persona – non da un fratello
che dovrebbe usare solo toni dolci, o perlomeno umani.
“Mh…” mormorò, in assenso.
Forse se
l’era presa. Forse aveva pensato che con quella frase il suo amato fratellino
gli avesse dato dello stupido, dell’incapace o qualcosa di simile.
Perplesso,
si avvicinò al suo viso, guardandolo con occhi se possibile ancor più grandi
del solito, le iridi ambrate che andavano alla ricerca di una qualsiasi cosa
che smentisse i suoi sospetti.
“… Ho
detto… Qualcosa che non va?” bisbigliò, per poi chinare la testa,e osservare con insistenza la punta delle sue scarpe.
“No, non
preoccuparti.”
Gli alzò il
viso, due dita sotto il mento.
“Non hai
detto niente di male. Non preoccuparti.”
E le sue
labbra s’incresparono in un sorriso rassicurante.
Lui voleva solo il bene di Alphonse, in fondo.
Alphonse
amava quel sorriso. Era caldo come il sole d'agosto, caldo come gli abbracci
della sua mamma quando ancora era con loro.
Tuttavia,
ancora non era convinto che tutto andasse bene. Insomma, più che altro quella voce così apparentemente fredda - un pezzo di
ghiaccio che quel caldo sole non riusciva a sciogliere - aveva installato in
lui il tarlo del dubbio.
Ma probabilmente era solo una sua paranoia. In fondo, era stato via solo poche ore. E in
poche ore non si può rovesciare il mondo, no?
“Che c’è, Al?”
Edward
notava ancora, nel fratello, uno sguardo preoccupato, che in fondo non era
neppure giustificabile. Non era diverso dal normale, perché tutta quella apprensione?
Si avvicinò
a lui, baciandolo sulla guancia.
Nella prospettiva di Alphonse, gli occhi che lo fissavano erano estremamente vuoti. E lo
innervosiva il fatto che non capiva perché.
"No,
niisan, nulla... - pigolò lui, ricambiando il bacio
con un breve abbraccio - Che dici, prepariamo il pranzo?"
Era
una paranoia, era una paranoia, era una paranoia.
Doveva
essere per forza così.
Sciolse
l'abbraccio, dichiarando al fratello che sarebbe andato a mettersi i vestiti di
casa e poi si sarebbero messi a cucinare, come ogni giorno.
Probabilmente,
quella fastidiosa sensazione sarebbe sparita nel giro di poco tempo. O almeno confidava in ciò.
“D’accordo”,
pronunciò secco Ed, quasi irritato dal distacco.
Non gli
piaceva che Al fosse lontano. Neppure per pochi
attimi. Erano stati troppi anni distaccati da quell’armatura
del diavolo, e prima si recuperava il tempo meglio era.
Prima,
prima possibile.
Ogni
secondo, ogni stilla di tempo. Doveva abbeverarsene
fino ad ubriacarsi, di Al.
E lui
sembrava non capire.
Addirittura
si fermava a parlare con Mustang, quell’uomo
insopportabile.
Inconcepibile.
Non
tollerava che avesse contatti con altre persone. Lui era di Alphonse, e Alphonse apparteneva a lui.
Di
diritto.
Interruppe
il flusso di pensieri quando il rumore scricchiolante
delle scale gli fece capire che stava per avere di nuovo la sua compagnia.
Alphonse
si sistemò il colletto della maglia, riavvicinandosi a lui e sorridendo, deciso
ad accantonare ogni strano pensiero.
"Sono
stato veloce?" chiese, tirando poi fuori la lingua.
“Sì,
velocissimo, niichan.”
Fu quasi
acido nel rispondere.
“Cosa mangiamo oggi?”
In verità
non era tanto importante quel che avrebbe avuto nel piatto, ma chi lo
preparava.
(Alphonse
stava diventando una malattia.)
Il
più piccolo sospirò appena, sentendo quel che tentava di mandar giù cercare di
tornare prepotentemente a galla.
"Ti
va il riso al curry? Ho trovato gli ingredienti in offerta, e siccome ti
piace..."
Non
sapeva di preciso come comportarsi. Se mostrarsi felice o per
quello che aveva dentro.
Forse
doveva solo stare più attento.
“D’accordo.”
D’improvviso,
Edward gli andò dietro e lo abbracciò. Gli teneva le mani incrociate sul
ventre, mentre strusciava le labbra contro al collo.
“Sai di
buono…”, gli sussurrò all’orecchio, baciandogli ripetutamente la gota.
Non si interessò di far irrigidire Alphonse. Non erano da tutti
i giorni quei suoi slanci d’affetto. Strani, strani e
sospetti.
Il
fratellino mugolò, stupito.
Poggiò
le sue mani contro quelle del maggiore, una calda e
morbida, l'altra fredda e appena ruvida - sarebbe andato incontro alla morte,
se Winry avesse solo saputo.
La
sua bocca sembrava rovente, e per contro la sua schiena venne
scossa da un leggero brivido.
Decisamente strano.
"Merito
del bagnoschiuma, niisan..." tentò di scherzare,
stringendo appena la mano metallica (così che non potesse accorgersene,
sperava).
“Buono…”
Continuò a
strofinare le labbra sul collo, e i baci si spostarono su quella parte. La bocca
era di ferro rovente, gli marchiava la pelle, le cicatrici si formavano ad ogni
minimo sfioramento.
“Mio…”,
sussurrò, appena percepibile, ma abbastanza forte da far sussultare Alphonse.
Si
aggrappò istintivamente all'altra mano, sospirando.
Il
suo comportamento non lo aiutava a capire cosa stesse
passando nella testa del suo fratello adorato. Oltrettutto,
persino la sua mente cominciava ad annebbiarsi, sotto quel tocco delicato e
appena... spaventoso.
"T-tuo..." bisbigliò appena,
chinando la testa di lato, chiudendo gli occhi per cercare di riordinare le
idee.
Perché, era innegabile, Edward era strano. E
non di uno strano piacevole.
"Tuo,
Niisan..." ripeté, sentendo il calore
impossessarsi delle sue guance.
Ad Edward
bastò quell’unico monosillabo, per rincuorarsi. Ridacchiò
nelle orecchie del fratellino, camminando con lui verso la cucina, sempre
attaccato.
“Facciamo
da mangiare assieme?”
… cominciò
a chiedersi se non fosse bipolare, o qualcosa del genere.
In
verità era un'ipotesi un po' azzardata. Insomma, non che
fosse da tanto che avesse quell'aria
totalmente assente a tratti, o che si ammutolisse per poi scherzare su
qualcosa, o ridere a cuor leggero.
Ma
in fondo suo fratello non era mai stata una persona...
ordinaria.
Decise
quindi che, nello stesso momento in cui avrebbe risposto alla sua domanda,
avrebbe finalmente accantonato i pensieri per tirarli fuori, se necessario, in
un altro momento.
"D'accordo!"
ricambiò, mentre si faceva trasportare nella stanza dell'alchimia culinaria.
Si stava
davvero bene lì, sul divano, con Al tra le gambe.
Dopo
pranzo, lo aveva preso per il braccio, obbligandolo a
sostare lì con lui. Non gli interessava che avesse
altro da fare, come lavare i piatti, o leggere. Gli premeva di più poter
sentire il profumo dei suoi capelli.
“Di che
avete parlato, con Mustang?
Se ne uscì
così, in un momento a caso, mentre il respiro di Alphonse
si stava facendo più forte, indizio che stava per scivolare in un piacevole
sonnellino pomeridiano.
Si
mosse un po' tra le sue gambe, l'altro, riaprendo gli occhi e sbadigliando.
"Ma... niente di che in verità... Mi ha chiesto qualche
consiglio su cosa cucinare e..."
Si interruppe, sbadigliando di nuovo e strofinandosi un occhio.
“Nient’altro,
sicuro?”, domandò con tono insistente Ed, mascherando una vena d’ansia con un
tono benevolo, carezzandogli i capelli morbidi.
"Mh... - mugugnò, rilassandosi sotto il tocco di quella mano
- Ha detto che... sua cugina è arrivata ieri a Central City... E mi ha chiesto se potevo incontrarla per
farle vedere la città... Sai, non è mai stata qui e..."
Tick.
(E’ il rumore di un filo che si stacca – un filo rosso di cotone sottile
che tiene insieme una pezza per riparare un buco)
“E non poteva pensarci lui…?”
Trattenne
un attimo il respiro, il più piccolo, avvertendo una nota mal celata di
fastidio in quelle parole.
Si
risvegliò completamente dal torpore del caldo pomeridiano.
"Mi
ha detto che stasera lui ha da fare in ufficio... Che
il tenente Hawkeye gli ha portato un mucchio di
documenti da firmare e controfirmare e ne avrà almeno fino a domattina..."
La stretta
che teneva ancora attorno al suo ventre si fece,
lentamente, sempre più stretta.
“Non può
portarla in giro domani sera? Non poteva pensare, quell’uomo
inutile, che tu avessi altro da fare che portare in giro una ragazza che non
conosci neppure?”
"Beh,
credo che non volesse lasciarla sola... - tremò appena, sentendo il tono
contrariato di lui - Insomma, se tu andassi in un posto nuovo, credo farei lo stesso..."
Non
aveva la benché minima intenzione di volarsi per osservarlo in viso. Era sicuro
che avrebbe trovato occhi piccoli piccoli
e labbra mordicchiate.
"E poi ha insistito un paio di volte..." si giustificò, sperando che si acquietasse.
Una
bugia bianca in favore della tranquillità di Edward.
“Non sa
ricevere un no, quell’uomo insopportabile?”
Delle buone
intenzioni di Al, Ed non ne percepì nessuna. Anzi, fu
solo più irritato.
Lasciò
andare il fratello, per alzarsi e torreggiargli davanti, in tutta la sua
confusa ed ingiustificata ira.
“Se io non
volessi vederti uscire da quella porta, eh?! Sono tuo
fratello maggiore, e mi dovresti ubbidire.”
Questo non andò giù ad Al. Si sentì un oggetto. Rimase seduto a
fissarlo, un broncio latente sul viso.
"Credo
di essere abbastanza grande da poter decidere cosa fare o no senza chiederti il
permesso, niisan."
Sentiva
un fastidioso nervoso appropriarsi delle sue membra,
un po' come quando da piccoli Edward si faceva burle di lui, e in risposta non
sapeva fare altro che lamentarsi con sua madre.
"E
poi non puoi darmi ordini. Faccio un favore a un amico!"
Più che il
sentire definire Mustang un amico (di per sé già insopportabile e assurdo), a
bruciargli come un carbone ardente in mezzo al petto fu la disubbidienza di Alphonse.
(Nel suo
cervello, questa si tramutò in una mancanza di interesse nei suoi confronti,
ceduto invece a quella femmina di cui entrambi non conoscevano neppure il nome)
Senza una
parola, se ne andò in cucina, a passi pesanti. Dopo pochi
attimi, si sentì il rumore di vetri rotti.
"Niisan!"
Alphonse
scattò in piedi, correndo verso la stanza dove neanche poche ore prima stavano
preparando il loro banchetto del mezzodì.
Vide
le sue spalle muoversi velocemente, il pavimento costellato da piccoli cocci
trasparenti - quasi sembravano brillare come stelle alla luce del sole.
"…
ma sei completamente impazzito?!" fece, alzando
la voce, pretendendo di non credere a quel che stava vedendo.
Dai cocci,
Ed alzò lo sguardo verso Al, spaventandolo a morte. Aveva
le iridi di una fiera, un animale impazzito a cui ogni cosa andava bene, in
nome dell’esplicazione della propria rabbia. Sembrava un leone in procinto di
avventarsi sulla propria preda.
“Ti sembro
impazzito?”
Fulmineo,
si avvicinò al fratello, costringendolo al muro, tenendogli i polsi in alto.
“Ti sembro
impazzito?”
E questa
volta fu quasi un sibilo.
Alphonse
deglutì a vuoto un paio di volte, senza riuscire a dire una sola parola.
Non
lo aveva mai visto così fuori dai gangheri. non aveva mai visto nei suoi occhi così tanta rabbia.
Sentiva
ogni muscolo del corpo paralizzato, impaurito dalla sua reazione qualunque
risposta avesse dato.
Il
deglutire del fratello minore rimbombò nelle sue orecchie come uno scroscio d’acqua
impazzita. Purificò la sua mente e lo fece rinsavire.
“Oddio…”,
mormorò, mollando Alphonse, che si massaggiò i polsi ancora spaventato.
“Oddio oddio oddio…”
Quasi sull’orlo
di piangere, abbracciò fortissimo l’altro ragazzo, scusandosi mille e mille volte.
Alphonse
balbettò un paio di volte, nel tentativo di chiamarlo per nome, e quasi come un
automa sollevò le braccia, abbracciandolo a sua volta.
Sempre
il campanello che suonava nella sua testa, come un richiamo alla sua attenzione.
Gli
carezzò la schiena, ancora tremante, mentre davanti ai suoi occhi vedeva quelle
stelle artificiali farsi una grande macchia davanti
alla nebbia dei suoi occhi.
“Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…”
Era come
una cantilena, pronunciata con voce rotta e spezzata – come quei cocci che
luccicavano di una luce troppo bella per essere
prodotta da pezzi di vetro, denuncianti un’anomalia, una macchia che si stava
sempre più allargando dentro Edward.
Alphonse
stava diventando la sua malattia. Sempre di più.
"N-niisan, basta..."
Lo
strinse forte a sé, rendendosi conto di quanto male stesse suo fratello -
nonostante ancora non capire quale fosse stata la causa scatenante di tutto.
Sentiva
il cuore stringersi tanto da far male, mentre il suo labbro veniva
continuamente molestato dai denti, per non piangere, per non lasciarsi andare.
"Va
tutto bene."
Bugia
bianca.
“Scusami,
non capisco che diavolo… scusami, Al, mi dispiace
tantissimo, io…”
Sembrava
sull’orlo di traboccare, di esplodere come una diga.
“Devo
averti spaventato così tanto, Al…”
Probabilmente
era inutile ammettere il contrario, ma sembrava così mortificato che non se la
sentì di spiattellargli contro la paura che gli aveva messo addosso.
Si
limitò a stringerlo ancora un po', per poi prendergli le mani e scuotere la
testa, tentando di guardarlo negli occhi, il labbro che ancora tremava.
Ed gli
baciò le gote, la fronte, le mani, tentando di calmarlo in tutti i modi. Lo abbracciò,
cullandolo, seguitando a mormorare le sue scuse più profonde e sentite.
“E’ ovvio
che puoi fare come vuoi, Al… mi dispiace, mi dispiace…”
Tirò
un profondo sospiro, Alphonse.
E con tutto il coraggio del mondo, lo allontanò un poco da sé,
tenendogli le spalle.
"Non
chiedermi scusa Niisan, basta... - mormorò - Va... tutto bene..."
Di
nuovo.
“… a che
ora devi uscire con la cugina di Mustang?”
Tirò su col
naso, Edward, tenendo lo sguardo fisso sul viso di Al.
Era pallido.
"Il... Il colonnello ha detto che... mi avrebbe aspettato alle
sette nella piazza dell'orologio... Ma... se... se vuoi posso chiamare e dirle
se..."
Aveva
gli occhi pieni d'acqua limpida, il contorno degli occhi appena umidi.
Forse
non doveva andare, e dir subito ad Edward che avrebbe declinato
l'invito e, e, e...
“No, no,
vai! Che ore sono? Quanto manca? Devi prepararti, niichan…”
Gli carezzò
le guance, e Alphonse non poté che sussultare al profondo freddo che quelle
dita gli trasmisero.
Sollevò
gli occhi, cercando la sveglia con gli occhi, cercando
di capire che ore fossero tra quella nebbia, cercando di calmarsi.
Sentendo
l'umido scivolargli sotto gli occhi.
"S-sono le... le cinque..." balbettò, senza mollare le sue spalle.
“Su, devi tirare fuori i vestiti, di quelli buoni, e darti una lavata,
non vorrai fare brutta figura con quella ragazza…”
Scrollandosi,
tolse le mani del fratello dal suo corpo, e si diresse verso la camera di Alphonse, facendogli cenno di seguirlo. Lo avrebbe
aiutato a conciarsi decentemente, e avrebbe fatto una figura meravigliosa, e
sarebbe stato il suo orgoglio…
Alphonse
rimase un attimo immobile, a guardarlo salire le scale, poi scosse la testa,
cacciando via le lacrime dagli occhi, e lo seguì.
Lo
vide chino su un cassetto, alla ricerca di qualcosa che potesse
stare bene alla sua figura, sentendolo mormorare "Questo no, questo
manco..." mentre frugava tra la sua roba.
"N-niisan, non preoccuparti, faccio io..." sibilò, senza sapere cosa aspettarsi in risposta.
Sapeva
solo che la voglia di vedere quella ragazza ora come ora rasentava lo zero.
Ed lo
guardò in viso, cogliendo all’istante quel che provava in quel momento. Andò ad
abbracciarlo di nuovo.
“Mi dispiace… dai, sarà una bella serata, no? Ti divertirai tanto e poi me la farai conoscere, okay? Non solo
perché ha del sangue in comune con quel coso dovrà
essere così malaccio, no?”
E gli sorrise. Gli mostrò uno di quei sorrisi che Alphonse
amava tanto, di quelli forti, e solari, e grandi come il cielo.
Al annuì, tentando di sorridere a sua volta.
"D'accordo,
però... Non cercare roba troppo sofisticata, ok? - ridacchiò - Intanto vado a lavarmi, ok?"
“Certo, Al, certo.”
Lo salutò
infantilmente con la mano mentre usciva dalla stanza
verso il bagno.
Appena
chiuse la porta, sentì un vuoto d’ampiezza quasi incomprensibile. Ma decise,
quella volta, di non pensarci, e si diede alla ricerca di abiti
buoni per Al.
"Ok, credo di aver preso tutto..."
Si
sentiva decisamente a disagio con quella camicia dal
collo un po' stretto. Sembrava un perfetto gentiluomo a detta di suo fratello.
Ed era sembrato così estasiato da non poter neanche osare contraddirlo.
"Non
farò tardi, promesso..."
“Okay, a
che ora pensi di tornare?”, domandò l’altro, sottolineando
l’implicita affermazione che l’avrebbe aspettato sveglio.
Più lo guardava, più rimaneva abbagliato dal suo splendore.
"Sperando
arrivi puntuale, spero non più tardi delle undici..."
fece, chinando la testa sull'orologio da polso che
Edward gli aveva prestato.
Troppo
poco tempo per cercare il suo.
"Se sei stanco, vai a dormire, ok?"
“No, no, ti
aspetto…”, replicò, sorridendo rassicurante. “Spero non si innamori
di te, non voglio rimanere orfano di fratelli! Anche se sarà
difficile che non rimanga affascinata da te…”
"Aw, Niisan! - fece, dandogli una pacca affettuosa sulla
spalla - Non dire idiozie, dai... Se anche fosse, le
dirò No grazie, sono proprietà privata!”
E rise, scuotendo la testa per auto prendersi in giro.
“Questo è
bene…”, bisbigliò quell’altro
impercettibilmente, a voce talmente bassa da non farsi udire dal fratellino. “Hai
sete, per caso?”, gli domandò invece.
"Mh, sì... - fece, annuendo - Non vorrei dover spendere più
soldi del necessario per prendere da bere..."
Neanche
fosse così costoso prendere dell'acqua. Ma prevedendo una chiusura dei negozi nel giro di un'ora e mezza,
mai dire mai.
Senza una
parola, ma solo sorridendogli, Ed si infilò in cucina,
mettendoci un tempo estremamente lungo per riempire un semplice bicchier d’acqua.
“Non ne
trovavo uno pulito…”, si giustificò.
"Nulla,
Niisan!"
Afferrò
il bicchiere a piene mani, deliziandosi del fresco che emanava. Portò il vetro
alle labbra, ingollando fino all'ultima goccia del liquido, e poi si asciugò le
labbra con la punta delle dita, alzando un sopracciglio per riflesso
condizionato.
Strano
sapore.
"Ok, allora prendo il giubbotto e vado!"
Ed fu
più veloce di lui, allungandoglielo. Lo fissò un attimo con un’espressione
indecifrabile dipinta sul volto, e un sogghigno non eccessivamente benevolo.
Alphonse
lo fissò per un momento, poi prese il cappotto.
… tentò
di prenderlo.
Non
capiva perché, ma allungando la mano sul cappotto, non riusciva a sentirne la
stoffa. E poi ne vide due.
Gli
sembrava di avere le nuvole in testa.
“… n-niisan..."
“Sì,
Alphonse? Non ti senti bene…?”
Una domanda
retorica posta con un tono affettato e sarcastico.
Al, davanti a lui, stava perdendo ogni forza.
“Vuoi che
ti porti a letto?”
Il
piccolo strabuzzò gli occhi, sentendosi confuso.
Aprì
e chiuse la bocca un paio di volte, cercando di mettere qualche suono, ma
l'unica cosa che uscì dalle sue labbra fu un suono strozzato, un mugolio
sommesso.
Fece
qualche distratto passo in avanti, appoggiandosi al suo fratellone.
"Nii..." bofonchiò, stringendo
debolmente la spalla.
“Lo prendo
per un sì…”
Mise il
braccio metallico sotto le gambe del ragazzo semi morente, prendendolo in
braccio come una sposa.
Gli baciò
la fronte, mentre camminava verso la sua camera da letto e l’altro scivolava
tra le dita sapienti di Morfeo come sabbia.
“Buonanotte,
Alphonse.”