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Autore: _Selenia_    12/09/2013    3 recensioni
«Buongiorno, piacere di fare la vostra conoscenza!».
Una voce, proveniente dalla porta alle loro spalle, li fece girare contemporaneamente.
Stupore e meraviglia travolsero entrambi i gemelli come un fiume in piena.
Bill si alzò automaticamente e, più per educazione che per altro, tese la mano nella direzione del suono e fece le dovute presentazioni, seguito a ruota da suo fratello.
Soltanto quando si risedette, notò la targhetta dorata poggiata al centro della scrivania.
Un nome, inciso in eleganti caratteri neri sul metallo, che lo lasciò per un attimo senza fiato.
Cassandra Bradford.
Ma cosa significava?
Che Lies Angeles in realtà fosse… Una donna?
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Three.

 

 

Come ormai stava accadendo da un’intera settimana, anche quel giorno il cielo era occupato da una distesa grigia e compatta di nubi, illuminate ad intermittenza da minacciosi bagliori temporaleschi.

Era strano quanto stesse risultando complicato per i gemelli riuscire a riabituarsi al rigido clima tedesco, soprattutto dopo aver vissuto per più di due anni a Los Angeles, la cui temperatura minima non si abbassava quasi mai al di sotto dei diciotto gradi.

Quella mattina la sveglia suonò alle sette in punto, esattamente come le sei che l’avevano preceduta.

Dopo svariati tentativi, il ragazzo riuscì a mettere a tacere l’infernale apparecchio, continuando però a rimanere accoccolato fra il piumone caldo ed accogliente, percependo perfettamente le braccia di Morfeo cullarlo e riportarlo nel mondo dei sogni.

Stava per riaddormentarsi definitivamente, quando il telefono della stanza cominciò imperterrito a squillare.

«Sì?» domandò a quel punto, con la bocca impastata dal sonno, mentre si massaggiava gli occhi e si passava una mano sul viso, nel tentativo di riprendersi almeno un po’.

«Buongiorno Signor Kaulitz. Ho chiamato per accertarmi che fosse sveglio, come mi aveva chiesto di fare lei ieri sera, al suo arrivo.».

«Certo…» sospirò, maledicendosi mentalmente. «La ringrazio!».

«Dovere, Signore. Arrivederci!».

«Arrivederci!» ricambiò educatamente, rimettendo la cornetta al suo posto e sedendosi sul bordo del letto, per poi stiracchiare le braccia e la schiena.

Sbadigliò rumorosamente e, dopo essere riuscito a raggiungere la soglia della sua stanza con passo strascicato, attraversò il salotto fino a trovarsi di fronte alla porta chiusa della camera del fratello.

Bussò con forza senza preoccuparsi che Bill potesse spaventarsi e, senza aver ricevuto il permesso, abbassò la maniglia, entrando senza esitazione nella sua camera.

Le tende erano già state stirate e il letto era vuoto, ancora stropicciato e scomposto nella parte sinistra.

Spostò quindi l’attenzione verso il bagno privato della camera, da dove proveniva l’inconfondibile rumore dello scorrere dell’acqua nella doccia.

Avendo quindi la certezza che il gemello fosse già sveglio, Tom si affrettò a raggiungere il suo bagno per potersi preparare a sua volta.

Non ci impiegò più di un quarto d’ora e, quando raggiunse il salotto, trovò Bill già pronto ad aspettarlo.

«A volte mi dimentico che non devi più truccarti o cose simili. Sai, mi sconvolge ancora non poco il fatto che tu riesca a prepararti prima di me!».

«Quanto sei scemo…» lo apostrofò Bill ridacchiando, per poi prendere la keycard della stanza ed il cellulare. «Forza, scendiamo che ho fame!».

Tom non se lo fece ripetere due volte, visto quanto anche lui avesse bisogno di cibo, e cinque minuti più tardi si ritrovarono di fronte al buffet, intenti a riempirsi i piatti di deliziose pietanze.

«Devo ammettere che quest’hotel mi era mancato…» ruppe il silenzio il cantante, addentando una croissant alla crema.

«A me era mancata la Germania in generale, a dire la verità!» confessò Tom, senza alzare gli occhi dal suo sandwich, farcito con prosciutto cotto e fontina.

«Sì, è vero. Però rimettere piede qui mi ha fatto tornare in mente un sacco di ricordi!» spiegò il biondo con nostalgica pacatezza, continuando a prestare attenzione alla sua colazione.

Anche a Tom quell’albergo faceva lo stesso effetto: ci avevano trascorso così tanto tempo che era impossibile non farsi trascinare dai ricordi di un passato che sembrava lontano anni luce da loro, nonostante non fosse proprio così distante.

Quasi involontariamente ripensò agli scherzi che lui e Georg erano soliti farsi durante la notte, per poi ritrovarsi la mattina successiva con degli occhiali disegnati a pennarello sul viso o, peggio ancora, sommersi dalla carta igienica.

Un sorrisetto prese posto sul suo viso nel ricordarlo, ma il divertimento si trasformò presto in orrore quando un Bill appena sedicenne, armato di lacca, fece capolino nella sua mente: si divertiva a rincorrerli entrambi, mentre Gustav cercava di bloccare loro la strada.

Rammentava anche le risate che si erano fatti durante le lunghe notti insonni, tra una confessione e un progetto per il futuro; e ancora il sostegno reciproco prima dei soundcheck e la condivisione dell’euforia che caratterizzava le ore dopo un concerto.

Era tutto vivido e ben chiaro nella sua mente, eppure tutto gli pareva così inconsistente, così… irreale, come se fossero solo memorie di un lungo, lontano sogno.

Ancora non gli sembrava vero di essere riuscito a raggiungere il suo obiettivo insieme ai suoi migliori amici, di essere ormai ben noto ed acclamato in tutto il mondo, richiesto persino per i programmi tv e le pubblicità o per fare da sponsor a un qualche prodotto.

Semplicemente non credeva di avere già ventitré anni, di essere cresciuto tanto in fretta, senza nemmeno accorgersene.

Aveva bruciato tutte le tappe ed aveva raggiunto il successo e la carriera nel momento in cui, solitamente, i ragazzi si godevano la loro giovinezza e spensieratezza, dove il problema più grave era l’avere la ragazza e la paura maggiore era quella di prendere un brutto voto a scuola.

Loro, tutto quello, lo conoscevano fino ad un certo punto, e non avevano idea di come sarebbe stato crescere nella “normalità”.

Non l’avrebbero mai saputo.

Improvvisamente venne sopraffatto da uno strano senso di confusione: cosa sarebbe successo se, invece, avessero deciso di fare musica solo per hobby, dedicandosi a ben altri obiettivi?

Provò quindi ad immaginarsi il possibile futuro, senza musica, suo e dei suoi tre compagni.

E non vide nulla, se non il buio più totale.

Perché, per quanto Georg e Gustav avessero avuto anche altre aspirazioni nella vita, non ce li vedeva proprio a lavorare in qualche studio legale o dentistico, chiusi in quattro mura a fare sempre le stesse cose, ogni singolo giorno.

Lui e Bill, invece, nemmeno ce l’avevano avuta, un’alternativa: non avevano visto altro che la musica nel loro futuro, sin da quando avevano sei anni, e da quel momento si erano del tutto convinti che quello era il loro destino.

Il fato poi aveva voluto farli incontrare, ed anche gli altri due ragazzi avevano preso consapevolezza che quella era la strada giusta da seguire, l’unica in grado di portarli alla vera felicità e ad un profondo appagamento.

Ed anche in quel momento, dopo undici anni, Tom sapeva che lui, suo fratello ed i suoi amici non avevano nulla da rimpiangere: il loro destino era stato scritto nelle stelle e, fortunatamente, una volta tanto il fato ci aveva proprio azzeccato.

Perché, anche se alle volte non potevano fare a meno di interrogarsi sull’aver fatto la scelta giusta o meno, in fondo avevano sempre saputo che loro erano nati per quello.

Per essere delle star internazionali, per viaggiare in tutto il mondo, per regalare emozioni con la loro musica ma, soprattutto, per essere i Tokio Hotel.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Non potevano fare a meno di guardarsi intorno, incuriositi e meravigliati: sembravano due bambini che vedevano per la prima volta le onde del mare accarezzare il bagnasciuga.

Nonostante facessero ormai parte del mondo dello spettacolo da diversi anni, erano ancora in grado di stupirsi per ogni piccola cosa, per ogni novità o viaggio in un Paese straniero.

Ed era facile accorgersi che erano autentici, perché i loro occhi parlavano per loro.

Erano luminosi e sgranati, sempre in movimento, come se volessero imprimersi nella mente tutto ciò che li circondava.

E non avevano ancora lasciato la hall…

«Signori Kaulitz?».

Entrambi i gemelli si voltarono, trovandosi di fronte ad una donna sulla trentina, vestita con un semplice paio di jeans e una polo bianca, la cui scritta blu sulla schiena stava ad indicare la sua presenza nello staff.

I capelli castani erano sapientemente raccolti in un basso chignon; aveva un auricolare nell’orecchio destro e stringeva una cartelletta tra le mani.

«Sì, siamo noi.» rispose subito Bill.

Nonostante le sue labbra fossero adornate da un dolce sorriso, non poté comunque fare a meno di domandarsi il perché di tante cerimonie: era infatti palesemente ovvio che, ogniqualvolta lui e suo fratello venissero ingaggiati per qualche show, tutto il personale sapesse chi fossero; eppure, ancora si ostinavano a chiedere la conferma della loro identità.

Lanciò un fugace sguardo al fratello, capendo – in una sola frazione di secondo – che anche Tom stava pensando la stessa cosa.

«Prego, seguitemi.» li invitò la donna, ricambiando il sorriso e voltandosi per fare strada ai due ragazzi.

Attraversarono quindi un lungo corridoio, i cui muri – intonacati con un pallido azzurro carta da zucchero – erano illuminati da tenui faretti appesi al soffitto.

Raggiunsero così un’altra sala, del tutto identica alla prima eccetto per le sue dimensioni: questa misurava almeno il doppio della grandezza, ed era arredata con divani in pelle bianca; due maxi schermi a muro ne impreziosivano le pareti.

«Questa è la sala d’attesa per gli aspiranti cantanti.» spiegò la donna, con un gesto automatico della mano, una volta che furono entrati. «Avranno la possibilità di iscriversi nella stessa hall da cui siete passati voi, dopodiché verranno fatti accomodare qui. Da questa parte invece…» continuò, riprendendo il percorso, «Si può accedere alla sala provini, dove voi li ascolterete e giudicherete. Attraverso questa porta, i partecipanti si troveranno di fronte a due identiche scalinate, che li porteranno davanti alla vostra scrivania.».

La donna si voltò ed abbassò la maniglia; dopodiché varcò la soglia e iniziò a scendere silenziosamente le scale, seguita dai due ragazzi.

«Ecco, voi starete seduti lì dietro durante i provini, insieme a Dieter Bohlen e Mateo dei Culcha Candela.» li informò, indicando il lungo tavolo semicircolare di fronte a loro, sul quale appariva a chiare lettere il logo del famoso talent show tedesco.

«Come già saprete ogni singolo casting verrà ripreso, e da quello schermo…» fece notare loro una tv a schermo piatto sulla destra, «Potrete osservare i concorrenti nei minuti che seguiranno la loro esibizione…».

«E naturalmente loro non ne sapranno nulla…» affermò ovvio Tom, con un sorrisetto sghembo a storcergli le labbra carnose.

«Esattamente!» confermò lei ricambiando il sorriso, proseguendo poi verso il backstage. «Da questa parte invece, abbiamo i camerini degli artisti, la sala controllo per le telecamere, la sala luci e due salottini relax. Naturalmente, durante le riprese, qui dietro c’è molto movimento: svariati tecnici, personale staff, registi e quant’altro… Ci sarà parecchia agitazione e fermento, per far sì che ogni cosa vada alla perfezione!».

«Beh, possiamo immaginare! Anche durante i nostri concerti c’è molto traffico dietro le quinte!» la informò Bill, con il suo solito tono gentile.

«Vi credo! Sembra facile tenere in piedi uno show o uno spettacolo, ma non è proprio così!».

«Già!» affermarono entrambi i gemelli, condividendo appieno il pensiero della donna.

«Ora vi mostro i vostri camerini e l’entrata secondaria, nel caso non vogliate passare dall’ingresso principale!» continuò la donna, gettando loro un’occhiata comprensiva.

I gemelli sostennero il suo sguardo per qualche secondo, prima di riprendere il loro giro negli studi; percorsero una ventina di metri, poi la donna si fermò dinanzi ad una porta chiusa: era blu e vi era appesa una targhetta magnetica bianca, recante il loro nome e cognome.

«Questo è il vostro camerino!» spiegò, ma non si accinse ad aprire la porta.

Un gesto insolito, che stupì entrambi i ragazzi.

Sia a Bill sia a Tom, quella donna era piaciuta fin da subito: si era limitata a trattarli come se fossero due persone “normali”, facendo per un momento dimenticare ad entrambi quello che in realtà erano. La sua gentilezza e la sua pacatezza, che raramente si potevano trovare in quell’ambiente, sembravano essere i suoi tratti distintivi; e il fatto che rispettasse talmente tanto la loro privacy da non arrischiarsi nemmeno ad entrare nel loro camerino, fu un gesto che apprezzarono entrambi.

«Ora vi mostro l’altro ingresso…» riprese poi, indicando loro la porta verso cui si stavano dirigendo. «Questo è il cortile interno dell’edificio, e voi potrete tranquillamente entrare da quel cancello.» disse, mostrando loro un’entrata non troppo imponente, sulla destra.

«E questo è tutto, ragazzi. Spero di esservi stata d’aiuto e, per qualsiasi dubbio, sono a vostra completa disposizione.».

«Grazie mille!» esclamarono, nuovamente all’unisono, con due sorrisi sinceri sulle labbra.

«Di nulla, ragazzi. Vi accompagno dagli altri due giudici che vi stanno già aspettando nella sala conferenze…».

Ripercorsero la strada appena fatta e, arrivati in cima alla scalinata, si diressero verso sinistra, piuttosto che verso destra da dove erano arrivati precedentemente.

Fu così che si ritrovarono in un’altra area dello studio, la sala VIP, munita di un divanetto ad elle e di un ulteriore maxi schermo.

Sul lato sinistro, dietro delle alte vetrate trasparenti, si poteva benissimo notare un ampio tavolo in legno dalla forma ovale circondato da svariate sedie nere in pelle dove, intenti a parlare, c’erano due uomini, fisicamente opposti l’uno all’altro: uno, il più giovane, era calvo, con una mascella stretta e squadrata, adornata da un pizzetto ben curato.

Anche da lontano si poteva notare l’insolito colore verde dei suoi occhi.

L’altro, invece, aveva i capelli biondi non troppo corti, un naso importante e due splendidi occhi blu.

«Entrate pure…» disse loro la donna, «Vi stanno aspettando!».

«D’accordo! Grazie ancora…» esclamò Bill, congedandola.

«Arrivederci ragazzi!».

«Arrivederci!» ricambiò infine Tom, prima di raggiungere la sala conferenze insieme al gemello.

Appena entrarono, entrambi gli uomini tacquero, voltandosi verso di loro.

«Oh, ma che sorpresa!» esclamò Dieter Bohlen, sorridendo ed alzandosi dalla sedia per stringere la mano ai gemelli. «Piacere di conoscervi!».

«Il piacere è tutto nostro!» affermarono Bill e Tom contemporaneamente.

«Vi siete studiati un copione per caso?» domandò retorico l’uomo, prima di scoppiare a ridere.

Una risata che, ad entrambi, sembrò fin troppo falsa.

Bill lanciò uno sguardo perplesso al gemello cercando il suo aiuto, non avendo idea di come controbattere.

«Ci capita spesso di dire le stesse cose contemporaneamente o di finirci le frasi a vicenda…».

Nonostante la pacatezza usata nel rispondere, Tom non si risparmiò di rivolgere all’uomo uno sguardo freddo e distaccato.

«Come una coppia di vecchi sposini, insomma!» ribatté, il viso imperturbabilmente serio.

«Più come due comuni gemelli, in realtà…» gli fece notare sempre il rasta, stavolta sforzandosi decisamente meno di nascondere il fastidio che provava verso le sue battutine poco simpatiche.

«Comunque io sono Mateo, piacere!» si intromise il secondo giudice, tentando di cambiare discorso.

«Bill.» ricambiò il cantante, stringendogli la mano.

Subito dopo, Tom fece lo stesso.

«Allora, è la prima volta che vi cimentate in una cosa del genere?» domandò curioso Mateo, facendo scorrere lo sguardo dall’uno all’altro.

«In realtà sì.» confessò il minore dei fratelli. «Anche se avevamo già ricevuto proposte più o meno simili, non avevamo mai accettato prima di oggi. Sembra un’esperienza davvero eccitante!».

«Mhm, trovi?» domandò a quel punto Dieter, squadrandolo con espressione attenta.

«Sì…» affermò, sincero ma un po’ tentennante di fronte al suo sguardo insistente. «Qualcosa non va?» domandò poi un po’ scocciato, impegnandosi per sembrare il meno infastidito possibile.

«Sto guardando i tuoi pantaloni. Sono molto…» si prese qualche secondo di silenzio per trovare il termine adatto. «… Particolari!» aggiunse poi, con nonchalance.

Dall’espressione non molto convinta del suo volto, Bill poté dedurre che nella mente dell’uomo vi erano ben altri vocaboli, non propriamente gentili.

Naturalmente erano tutte supposizioni, ma quello sguardo fin troppo eloquente la diceva lunga: gli ricordò immediatamente i tempi della scuola, quando tutti lo guardavano schifati, per poi additarlo e ridere sotto ai baffi. 

Serrò la mascella, ancora profondamente toccato da quei ricordi.

«Hai mai pensato di modificare un po’ il tuo look?» domandò poi, interrompendo le sue riflessioni.

Dieter intanto continuava a fissarlo, in attesa di una risposta, senza però dare l’impressione di voler essere scortese.

Una facciata ben impostata o una genuina sincerità? Per ora, Bill non poteva saperlo con certezza.

«No, mi piace questo stile. Lo sento mio, diciamo. Non vedo perché dovrei cambiarlo!».

Tentò di rimanere il più calmo e gentile possibile, ma la tensione nella stanza si poteva quasi tagliare con un coltello.

Non che l’uomo avesse usato un tono strano o parole ambigue ma, ogni volta che qualcuno cominciava a fare commenti sul suo modo di vestire e tentava di impartirgli lezioni di moda, lo faceva andare su tutte le furie.

Era una cosa che proprio non sopportava: dopo la musica, gli abiti erano la sua passione più grande.

«Che ne dite di parlare dei compiti che dovremo svolgere durante il programma e di lasciar perdere i consigli sullo stile, almeno per il momento?» proposte prontamente Mateo, tentando – per la seconda volta in dieci minuti – di far vertere il discorso su un altro argomento.

«Direi che è meglio…» concordò Tom, spostando successivamente lo sguardo verso Dieter. «Dopotutto siamo qui per fare i giudici, non gli stilisti. Giusto?» terminò, avendo già perfettamente compreso che – come ogni altra cosa – anche quella nuova esperienza avrebbe avuto un suo lato negativo.

E, in questo caso, aveva anche un nome ed un cognome: Dieter Bohlen.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Il pranzo, tutto sommato, non era andato poi così male.

Il ristorante nel quale erano andati era uno fra i più famosi e lussuosi di tutta Berlino, dove il cibo rasentava la perfezione ed il posto era molto tranquillo.

L’unica macchiolina nera, in mezzo a quel bianco brillante, era stato suo fratello.

Per tutta la durata del pranzo non aveva aperto bocca se non per mangiare, e non aveva mai sollevato lo sguardo dal suo piatto.

Tom sapeva con certezza che Bill era ancora irritato per i commenti di Dieter, il quale gli aveva indirettamente fatto capire che lo stile del cantante non era di suo gradimento.

In qualche modo però, l’uomo doveva aver compreso di essersi azzardato un po’ troppo nell’esprimere il suo parere personale, perché non aveva più osato toccare nuovamente l’argomento.

Anzi, aveva chiacchierato e riso tranquillamente per tutta la durata del pasto, dando quasi l’impressione di essere una persona gentile ed educata.

Quasi però, perché in realtà entrambi sapevano quanto Bohlen non fosse neanche lontanamente il tipo d’uomo che si stava sforzando di essere.

Tom, Bill e gli altri due ragazzi avevano seguito Deutschland Sucht Den Superstar fin da quando aveva avuto inizio ed avevano sempre notato, durante le puntate, quanto quell’uomo fosse maleducato ed antipatico.

Speravano solo che, almeno con loro, si impegnasse ad essere cortese ed affabile.

Se lo augurava soprattutto Tom, perché sapeva quanto poco la gente ci mettesse a prendere di mira suo fratello; così come era perfettamente consapevole della sua sensibilità e vulnerabilità, che riaffioravano prepotentemente ogniqualvolta qualcuno osasse fare considerazioni riguardo il suo aspetto fisico o i suoi modi di fare.

In seguito – dopo che Dieter si era gentilmente offerto di pagare il pranzo a tutti – erano tornati agli studi, dove erano stati adeguatamente preparati per fare il primo, esclusivo photoshoot che avrebbe segnato l’inizio della nuova stagione del noto programma.

Naturalmente erano tutti abituati a quel genere di cose, quindi nessuno di loro era parso particolarmente entusiasta o nervoso.

Anzi, erano stati tutti fin troppo tranquilli, annoiati da quella routine che per loro si ripeteva ormai da diversi anni.

Quando anche quell’impegno era giunto al termine, i quattro giudici si erano salutati e, dopo aver preso strade diverse, ognuno si era diretto al proprio alloggio.

I gemelli si erano quindi cambiati e avevano raggiunto il bassista ed il batterista in palestra.

«Ci voleva proprio un po’ di allenamento tutti e quattro insieme, vero Bill?».

Il biondo si voltò verso il fratello e, dopo un lungo sguardo non del tutto presente, rispose con un mogissimo «A-ha».

Successivamente si alzò dall’attrezzo di sollevamento pesi e raggiunse il tapis roulant, impostò la velocità ed il tempo, e ci salì sopra, cominciando a correre.

«Ma che ha oggi, si può sapere?» domandò Georg, intento ad osservare Bill, per poi spostare l’attenzione sul gemello.

«Dieter Bohlen gli ha implicitamente fatto capire che il suo look non gli piace».

«Oh mio Dio!» esclamò Gustav, con seria preoccupazione. «Non ha idea del guaio in cui si è cacciato. È guerra aperta ora!».

«Già!» affermò Georg, chiudendo la borraccia che aveva in mano, per poi continuare l’allenamento. «Testardo ed orgoglioso com’è credo che farà di tutto pur di non farsi piacere da lui, compreso…».

«… Compreso indossare le sue zeppe!» lo interruppe il chitarrista, inorridendo al solo pensiero. «Credo che sarebbe in grado persino di ricominciare a truccarsi!».

«Prega il cielo che non sia così, altrimenti preparati ad ogni tipo di scontro possibile!» lo avvertì il castano, con l’aria di chi la sapeva lunga, sbuffando per lo sforzo che stava compiendo.

«Potrei pregare qualunque divinità o energia elementale, ma con Bill non funzionerebbe. È troppo vendicativo ed impulsivo. Nemmeno Dio in persona avrebbe la forza necessaria per fermarlo!».

«Mi ricorda qualcuno…» esalò pacato Gustav, tradendosi però con un sorrisetto consapevole ed intenerito.

«Già, Simone…» concordò il rasta, sorridendo a sua volta. «E’ incredibile quanto gli assomigli. Sono entrambi molto creativi, sensibili, avventati e rancorosi. Non c’è niente al mondo che possa fermarli quando si prefissano un obiettivo, qualunque esso sia!».

«Tu invece sei più simile a Jörg.» affermò il bassista, incerto, lanciandogli un’occhiata veloce.

«Per quanto mi costi ammetterlo… Sì, è vero. Sono tale e quale a mio padre. Tenace, riflessivo, tranquillo e, soprattutto, intimorito dai sentimenti, nonostante ne provi tanti quanto mio fratello!».

«Beh, è un bel problema…» constatò Gustav, aggrottando le sopracciglia nell’intento di pensare a ciò che l’amico aveva appena detto.

Tom spostò la sua attenzione su Bill e, osservandolo, pensò che avrebbe preferito mille volte essere come lui, in grado di esprimere tutto ciò che provava, piuttosto che rimanere sé stesso un secondo di più e doversi tener dentro quei pensieri così pesanti.

«Già, è un bel problema!».

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

«Ahh, ci voleva proprio!» affermò gongolante Gustav con gli occhi rigorosamente chiusi, godendosi appieno i rilassanti getti dell’acqua che fuoriusciva veloce dai bocchettoni della vasca idromassaggio.

«Sai cos’altro ti ci vorrebbe adesso? Una ragazza!» soffiò pacato Tom, guardandolo malizioso.

«Solo dalla tua domanda retorica avevo già capito dove volevi andare a parare…» controbatté il batterista, senza scomporsi troppo, per nulla scioccato di fronte allo sguardo immorale del chitarrista.

«Beh, effettivamente non ha tutti i torti…» intervenne Georg, pensieroso. «Non ti piacerebbe?».

«Certo che mi piacerebbe! Sapete benissimo che, nonostante il mio carattere sia del tutto opposto a quello di Bill, anche io come lui credo nell’anima gemella…».

«E allora perché non vai a prendertela, questa tua fantomatica metà perfetta?!» lo incitò il rasta, non capendo dove fosse il problema.

«E dove posso trovarla?! Non si può pretendere di vederla passare per strada e conquistarla con uno schiocco di dita. Non è così che succede!».

«Non succederà nemmeno se te ne resti lì a far nulla, rinchiuso nel tuo guscio di silenzio e timidezza…» gli fece notare Georg, utilizzando il tono più dolce di cui era capace.

«E come dovrei fare? Sentiamo!».

«Quando vedi una ragazza che ti attrae, fatti avanti, corteggiala un po’, invitala a cena e portatela a letto. Niente di più facile!».

«Questo è quello che fai tu, Tom, non io! E poi ci sono anche altri modi, non devo per forza farci subito sesso. Guarda lui, per esempio…» esclamò, puntando un dito contro il bassista.

«Sì, è vero, ma sai quante se ne è scopate il nostro Hagen prima di arrivare a Margaret?».

«Io proprio non riesco a vedere le cose dal tuo punto di vista, Tom, non ne sono proprio in grado!».

«Quello che lui sta cercando di dirti,» si intromise Georg, squadrando torvo il chitarrista, «E’ che non potrai mai trovare una ragazza standotene nascosto in un angolo. Devi anche saper rischiare, provare ad uscire con qualche donna ogni tanto… Se non è la tua anima gemella, fidati, lo capisci subito!».

Bill, rimasto in silenzio ad ascoltare il discorso intrapreso dai suoi amici, non aveva potuto fare a meno di restare infastidito dal fatto che Georg e suo fratello stessero cercando di convincere Gustav a fare cose di cui poi si sarebbe pentito.

Lo capiva perfettamente, perché – nonostante risultasse estremamente complicato da credere – lui ed il batterista erano in realtà molto simili: entrambi credevano nel colpo di fulmine, in quel gioco di sguardi in grado di mostrare, con un brivido, che la persona che si ha davanti rappresenta la metà perfetta che si sta disperatamente cercando.

«Non credo che debba per forza farsi tutte le ragazze carine che vede per trovare quella giusta!» esalò pacato il vocalist, «Basta uno sguardo, ve lo posso garantire…».

«Ehi, sei tornato dall’oltretomba fratellino! Felice di riaverti fra noi!».

«Piantala, Tom. Non è proprio giornata!» rispose schietto, fissandolo truce. «E comunque io rimango dalla parte di Gustav!».

«Ne sembri proprio convinto!» commentò sospettoso il castano, scrutandolo attento. «Dal modo in cui ne parli sembra proprio che tu l’abbia già provato…».

Bill non rispose subito, ma mantenne lo sguardo fisso in quello acquamarina dell’amico, come in una sorta di sfida.

«Credimi, non è così!» disse atono, prima di alzarsi. «Non capisco perché devo per forza aver provato una cosa simile per crederci. Guarda quante persone al mondo credono in Dio, eppure non l’hanno mai visto…».

Detto questo, il biondo abbandonò la vasca idromassaggio, si infilò l’accappatoio rosso e ciabattò tranquillo nello spogliatoio.

I ragazzi, in un primo momento, rimasero attoniti nell’osservarlo mentre si allontanava.

«Sei sicuro che tuo fratello non abbia il ciclo, oggi?» domandò serio il bassista, lanciandogli uno sguardo furtivo.

Il rasta non rispose alla battuta di Georg.

Piuttosto rimase immobile, con le iridi nocciola fisse nel punto esatto in cui il gemello era sparito pochi istanti prima.

“Mi stai per caso nascondendo qualcosa, Bill?” pensò, non riuscendo a capire il motivo per il quale suo fratello avrebbe dovuto avere un segreto con lui.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

«Ti ringrazio per avermi avvertita del tuo viaggio a Berlino, almeno abbiamo colto l’occasione per riuscire a vederci!» esordì la ragazza, sorridendole raggiante.

«Figurati!» esclamò Margaret, ricambiando il sorriso. «Sai bene quanto mi faccia piacere passare del tempo con te! Finalmente ho la possibilità di fermarmi qui per qualche giorno, e quindi mi sembrava d’obbligo approfittarne!».

«È stata davvero un’ottima idea! Anche perché, da quando hai terminato gli studi all’Università qui in città, è decisamente più difficile trovare del tempo per vederci…» disse un po’ sconfortata la ragazza, osservandola con occhi afflitti.

«Oh Yvonne, non fare quel faccino triste!» la supplicò Margaret, intenerita. «Ti prometto che finché sarò qui ce la metterò tutta per recuperare il tempo in cui siamo state lontane, ok?».

«Ok!» affermò la mora, riacquisendo il suo timido e dolce sorriso di sempre.

«Allora, dimmi un po’… Come va il lavoro al bar?».

«Beh, tutto come al solito. C’è sempre molta gente che viene appositamente per assaggiare il famoso Caffè al Cocco di mio fratello! Te lo ricordi?».

«Oh, e come potrei scordarlo?! Era qualcosa di spettacolare! E pensa che a me nemmeno piace il cocco…».

Ridacchiarono fra loro, con un po’ di nostalgia nel ricordare gli anni passati, continuando tranquillamente a gironzolare al terzo piano del KaDeWe.

«E con Georg come va?» ruppe ad un certo punto il silenzio Yvonne, riprendendo il discorso.

«Tutto a meraviglia!» esclamò euforica la rossa, con un’espressione raggiante dipinta sul viso. «E’ veramente quello giusto Yvi, ne sono certa! Non riesco ad immaginarmi al fianco di nessun’altro uomo. Se penso al mio futuro ci vedo lui, in ogni cosa. Già riesco ad immaginarci: vecchi e rugosi, seduti sotto ad una veranda, intenti ad osservare i nostri nipotini che giocano in giardino… E’ questo il mio sogno: restare con lui fino alla fine dei miei giorni!».

Yvonne fuse le sue iridi grigie con quelle verdi di lei, soffermandosi sulla luminosità del suo sguardo.

Era così sicura di quello che diceva, così sincera e speranzosa.

Amava Georg, con tutta sé stessa. Perfino un cieco o uno stolto avrebbero potuto capirlo.

Sollevò automaticamente gli angoli della bocca, ma gli occhi rimasero velati da un lieve strato di tristezza.

«Ehi, che succede?» domandò preoccupata Margaret, non capendo il motivo del suo improvviso cambiamento d’umore.

«Non è niente, Margi, tranquilla. È solo che…».

La mora si bloccò, sospirando pesantemente.

«E’ solo che…? Avanti, hai vergogna di me?».

«Non è quello il problema!» berciò imbarazzata la ragazza, mentre le gote le si tingevano di rosso. «Io, ecco… Non mi piace parlare di certe cose. Sai che faccio fatica ad esprimere i miei sentimenti…».

«Lo so, ti conosco ormai. Sei solo timida e riservata, non devi fartene una colpa. Se un giorno ti andrà di parlarne e sfogarti con me, io ti ascolterò…» la rassicurò Margaret, sincera.

«Grazie!» riuscì a mormorare in risposta, sentendosi sempre più in imbarazzo a causa dello sguardo insistente dell’amica. «Allora…» esclamò d’improvviso, cercando di uscire dall’impaccio, «Non mi hai ancora detto che ci fai qui a Berlino!».

«Già, che idiota!» affermò, schiaffandosi una mano in piena fronte, «Bill e Tom sono in città per fare i giudici di DSDS, e Georg e Gustav hanno deciso di trasferirsi momentaneamente qui per poter passare del tempo con loro…».

«Ah sì, ne ho sentito parlare tanto in tv! E poi ci sono manifesti dappertutto, senza contare Internet e le riviste! Sembrano tutti impazziti per la loro comparsa nel programma…».

«Ora non mi venire a raccontare che a te non importa niente! Lo so che nemmeno tu sei immune al loro fascino. Io fossi in te mi butterei, magari ad uno dei due potresti piacere!».

«Margaret!» la rimproverò l’amica, con voce stridula, le gote irrimediabilmente imporporate. «N-non è v-vero! I-io… A me non interessano di certo!».

La rossa, d’altro canto, scoppiò a ridere di gusto, e grosse lacrime le riempirono gli occhi.

«Che hai da ridere così?! Smettila, ti prego: ci stanno guardando tutti!» la supplicò Yvonne, lanciando degli sguardi furtivi alle persone attorno a loro.

«Sei così carina quando ti senti in imbarazzo, ed è sorprendente quanto tu sia così ingenua da non capire che stavo solo scherzando» le confessò Margaret, dopo essersi ripresa.

«Oh, ma è davvero così facile prendermi in giro?» mormorò incerta, mordendosi il labbro.

«Più di quanto tu possa immaginare…» annunciò l’amica, «Ma fidati se ti dico che, di persone gentili, umili e disponibili come te, ce ne vorrebbero di più al mondo. Devi solo avere più fiducia in te stessa. Se tu non ti accorgi di quante meravigliose qualità hai, non puoi pretendere che le vedano gli altri. Purtroppo sono veramente poche le persone che hanno ancora voglia di andare oltre le apparenze!».

«Tu con me però l’hai fatto!» disse, con tono ovvio. «Ce l’hai messa tutta per capire chi fossi realmente, e non ti sei mai tirata indietro, nonostante non sia facile scoprirmi. Anche tu sei una di quelle persone che rende migliore il mondo!».

Margaret scrutò nel fondo delle sue iridi, grigie come le nuvole cariche di pioggia che adornavano il cielo quel giorno, comprendendo appieno le parole nascoste dietro quella dichiarazione già così esplicita rispetto al suo modo di essere.

Un altro sorriso sorse spontaneo sul suo volto.

«Ti voglio bene anch’io!» soffiò la rossa, ricambiando quelle parole che era perfettamente riuscita a leggere nello sguardo di Yvonne.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

«Quindi per stasera ci hai già pensato tu…» affermò il ragazzo sdraiato accanto a lei, spostandole il ciuffo dietro l’orecchio.

«Sì, ho già organizzato tutto io!» dichiarò euforica. «Ho detto a Bill e Tom di far aggiungere tre posti per noi al ristorante del Ritz, poi ce ne andiamo in un pub carino ed isolato in centro, ed infine la discoteca più rinomata della città! Può andare come programma?!».

«Direi che è perfetto!» mormorò soprappensiero, completamente rapito nell’osservare i movimenti compiuti delle sue labbra.

Lei si accorse subito della direzione che stavano prendendo i pensieri di Georg, e non si stupì affatto quando si ritrovò la bocca del ragazzo premuta contro la sua.

Ricambiò con gioia e passione quel contatto, che divenne sempre più profondo ed insistente man mano che passavano i secondi.

Entrambi sapevano a dove avrebbero portato di preciso quei baci così caldi e maliziosi, e nessuno dei due era intenzionato a smettere.

Presto Georg fu sopra di lei, le labbra ancora attaccate a quelle di Margaret e le mani sotto la sua maglietta, intente ad accarezzarla in punti ben precisi e conosciuti.

La rossa cominciò a sospirare – per quanto lo stretto contatto con il bassista glielo permettesse –, non osando immaginare cosa avrebbe provato quando sarebbero stati una cosa sola.

Poteva risultare strano se vi ci si soffermava a pensare ma, nonostante gli anni passati con lui, Margaret provava ancora le stesse, intense emozioni degli inizi.

Ogni volta era una sensazione nuova e diversa, seppur ormai conosciuta, e la scoperta di momenti sempre differenti la eccitava e la esaltava contemporaneamente.

Presto la bocca di Georg arrivò a lambirle il collo, lasciandole una lunga scia di baci libidinosi, e la sua schiena di riempì di piacevoli brividi.

Non le lasciò nemmeno il tempo di rendersi conto che si era di poco allontanato da lei, che subito prese a sfilarle il maglioncino beige e la maglia sottostante contemporaneamente.

Georg – quando si immergeva completamente nel momento – era in grado di diventare impulsivo e quasi irruento: era questo uno dei lati che Margaret più adorava di lui.

Guardò nei suoi occhi, improvvisamente di un verde più scuro a causa dell’eccitazione crescente, e si sentì fremere come una ragazzina alle prime armi.

Arrossì.

«Ehi, che fai? Diventi rossa, adesso?».

Lei, presa alla sprovvista, si accaldò maggiormente.

«La voglia ti ha peggiorato la vista, mio caro…».

«Non cercare di…».

«Zitto e baciami!» lo mise a tacere lei, prendendolo per il colletto della felpa ed attirandolo nuovamente verso di sé.

Naturalmente Georg non se lo fece ripetere una volta di più e, nel giro di qualche secondo, Margaret si ritrovò con il petto completamente nudo.

Il bassista riprese a baciarle il collo, scendendo sempre più verso il basso; alla rossa sfuggì un primo gemito di piacere che fece tremare persino lui.

Dio, quanto l’amava!

Si scostò appena dal corpo fremente della ragazza, avvicinando le mani al bottone ancora chiuso degli stretti jeans slavati di Margaret, sempre più impaziente.

Ma non fece in tempo a dar vita a nessuno dei suoi pensieri, perché qualcuno aprì la porta con un tempismo perfetto, interrompendoli.

«Ragazzi, per stasera la macch…».

Gustav si bloccò di colpo, lasciando la frase a metà, mentre le sue guance assumevano una sfumatura sempre più tendente al viola.

Il crescente imbarazzo lo immobilizzò sul posto, rendendolo incapace di muovere qualsiasi muscolo.

«Gustav!» berciò il bassista, coprendo immediatamente il corpo seminudo di Margaret con il suo. «Esci subito da qui!».

Il biondo, ridestatosi improvvisamente dallo stato di trance in cui era piombato, si fiondò fuori dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

Solo quando fu dietro l’uscio chiuso, al riparo dallo sguardo infuriato di Georg, trovò la forza di urlare uno «Scusate!», prima di allontanarsi.

«Io lo ammazzo!» mormorò a denti stretti Georg, facendo scoppiare a ridere Margaret.

«Dai, cosa vuoi che sia? Solo un paio di tette…» esalò lei pacata, continuando a ridacchiare divertita di fronte all’espressione contrita del suo ragazzo.

«No, ti sbagli. Sono le mie tette!» mormorò Georg, la voce roca accompagnata da uno sguardo lascivo, mordendole il labbro inferiore con un veloce movimento del tutto inaspettato.

«Ehi, che stai facendo?» domandò lei, osservandolo stupita.

«Ricomincio da dove Winnie ci ha interrotti…» rispose lui, facendola nuovamente sospirare, mentre la schiena le si inarcava inevitabilmente.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

La cena al Ritz fu, come sempre, una piacevole esperienza.

A ricordare loro quanto l’Europa gli fosse mancata, oltre alla calma ed alla tranquillità del luogo – enfatizzata, forse, anche dall’estrema eleganza dell’arredamento –, ci avevano pensato i rinomati piatti cucinati dai migliori chefs della città.

Il tour era ancora ben lontano, soprattutto pensando a quanto ancora dovessero lavorare all’album, e non poterono fare a meno di sentirsi in colpa nei confronti delle loro fans.

Quelle ragazze avevano dovuto – per forza di cose – accettare l’espatrio di due dei componenti della band a nove fusi orari dal suolo tedesco e, in più, avevano dovuto vivere con la costante speranza di poter avere nuove canzoni da ascoltare il prima possibile.

E, a discapito di ogni loro aspettativa, di anni ne erano passati ormai tre.

Tutti e quattro sapevano che le Aliens erano ormai sempre più disincantate nei confronti delle belle promesse dei loro idoli, troppo deluse per poter ancora credere fermamente alle loro parole.

«David sta cominciando ad innervosirsi parecchio…» fece notare Bill, facendo scorrere il preoccupato sguardo nocciola sui suoi tre amici e colleghi. «Se non ci diamo una mossa con l’album, credo che ci metterà al rogo, sicuramente aiutato ben volentieri dalle fans!».

«Sono troppo bello per morire bruciato!» esalò pacato Georg, intento ad immaginare la raccapricciante scena del suo corpo dilaniato dalle ustioni.

«E poi sono io l’egocentrico…» mormorò Tom in risposta, parlando quasi più a se stesso che non all’amico.

«Bill, hai completamente ragione, ma adesso tu e tuo fratello siete impegnati con il programma, e di questo David ne deve tenere conto!» proruppe Gustav, razionale come al solito, ignorando sapientemente lo scambio di battute tra bassista e chitarrista. «Quindi sarà complicato rilasciare l’album entro breve. Dovremmo continuare a registrare ognuno le rispettive parti in due studi differenti e poi, quando sarà il momento, provare a fare qualche prova tutti e quattro insieme. Per ora non vedo alternative, e David deve accontentarsi!».

I ragazzi ragionarono attentamente sulle sagge parole del biondo, seri come poche altre volte lo erano stati nella loro vita.

«Ragazzi!» li richiamò a quel punto Margaret, che era stata lecitamente esclusa dal discorso precedente. «So bene quanto per voi siano importanti queste cose e quanto preoccupati siete per le reazioni delle vostre fans, ma pensarci in questo momento non vi porterà da nessuna parte. Quindi, perché non lasciamo perdere quest’argomento per adesso e non pensiamo soltanto a divertirci tutti insieme?» propose infine la rossa, guardandoli uno per uno con fare ovvio.

Ricambiarono tutti e quattro, con espressioni sempre più morbide e rilassate.

«Hai ragione!» concordò infine Bill, dopo qualche secondo di assoluto silenzio.

«Ne riparleremo quando sarà il momento giusto…» aggiunse Georg, sollevando appena l'angolo destro della bocca.

«Già, ora non serve a niente!» ribadì deciso Tom, prima di alzarsi dall’elegante sedia rivestita di velluto rosso. «Andiamo a divertirci, allora?» domandò impaziente, con un grande sorriso sornione a storcergli le labbra.

«Questa è una delle rarissime volte in cui pensiamo la stessa cosa nello stesso momento, sai?» lo appoggiò Gustav, imitando l'amico ed alzandosi per seguirlo. «E' ora di uscire da qui ed andare a fare baldoria!».

«Sì!» esclamarono vittoriosi ed euforici Georg e Margaret, sollevando le braccia al cielo.

E Bill, osservandoli, notò ulteriormente quanto fossero – senza ombra di dubbio – fatti l'uno per l'altra, mentre il cuore gli veniva attraversato da un’insopportabile fitta di dolore.

L'avrebbe mai trovata lui una ragazza così in sintonia con la sua anima?

Non sapeva ancora darsi una risposta a questa domanda, né riusciva ancora a darsi pace per quel vuoto incolmabile che gli raffreddava il petto.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Il locale era proprio come se lo ricordava: spazioso, moderno ed affollato.

Fortunatamente Margaret sapeva che bisognava riservare un tavolo per riuscire a trovare posto, e non aveva esitato a farsene tenere da parte uno per loro cinque.

Le dispiacque unicamente per i due bodyguards, che avrebbero dovuto tenerli d'occhio dal lontano bancone, se avessero avuto la fortuna di trovare due sgabelli liberi.

«Perché non possono sedersi con noi?» domandò Margaret con due occhi un po' mogi, facendo sporgere involontariamente il labbro inferiore.

«Perché diamo già abbastanza nell'occhio tutti e quattro noi insieme, figurati con quei due colossi al nostro tavolo! Fidati, è meglio così, amore!» le rispose Georg con tenerezza, passandole una mano fra i capelli morbidi e riservandole un dolce sorriso.

«Questo posto è proprio niente male!» constatò Tom, guardandosi intorno incuriosito.

Le pareti erano alte e bianche, finemente decorate con un’alternanza di ibisco viola e neri. I faretti color lavanda, leggermente soffusi, donavano all’intero ambiente un’atmosfera piacevolmente calda e rilassante; il tutto, si poteva subito notare, in perfetto contrasto con il moderno arredamento: i tavolini rotondi, in lucido mogano nero, erano accompagnati da comode sedie trasparenti dello stesso colore delle luci.

Alla sinistra dell'entrata si poteva scorgere – dietro un'ampia apertura ad arco – un'altra sala arredata nello stesso modo, ma munita di un grande telo ed un proiettore, posti sopra ad un palco.

Margaret li aveva infatti avvertiti che, in quel locale, molto spesso si esibivano delle band emergenti o venivano organizzati eventi o ancora, più semplicemente, si radunavano gruppi di giovani per vedere partite in compagnia o per farsi qualche risata al karaoke.

Inoltre era completo di tutto, visto che, oltre alla colazione e all'aperitivo, serviva anche i pranzi e le cene: insomma, non a caso era il locale preferito dalla ragazza!

Dopo aver sorriso soddisfatto – in quanto quel posto lo affascinava sempre di più –, voltò lo sguardo alla sua destra, dove trovò un lungo bancone scuro, dietro il quale stavano tre persone, ognuna intenta a preparare cocktails o a pulire i bicchieri.

Proprio in quell'istante, una ragazza sollevò lo sguardo, puntandolo dritto dritto verso di loro; poi, un grande sorriso le illuminò il volto, seguito da un ampio movimento del braccio a mo' di saluto.

Non ebbe nemmeno il tempo di domandarsi chi stesse salutando, che Margaret gli passò davanti a passo spedito, diretta proprio verso il bancone.

«Chi è quella ragazza?» domandò incuriosito Tom al bassista, senza però staccare gli occhi dalla diretta interessata.

«E' una grande amica di Margi!» rispose Georg, prima che il suo tono di voce si facesse improvvisamente serio. «Non osare farti passare strane idee per la testa, Tom. Yvonne non è proprio il tipo di ragazza da una botta e via!».

«Ho solo chiesto chi è!» si difese subito lui, lanciandogli uno sguardo truce ed anche un po’ offeso, prima di voltarsi nuovamente verso il bancone. Riprese quindi ad osservarla intensamente, soffermandosi qualche attimo in più sul suo prosperoso decolleté.

Minimo una quarta, a suo dire, anche se gli risultava difficile constatarlo con precisione da quella distanza. Ed anche il fatto che fosse coperto da una maglia bianca ad una sola manica, non lo aiutava!

«Che peccato però…» esalò un po' distratto, riferendosi sia all'avvertimento dell'amico, sia al fatto che non indossasse qualcosa di più scollato.

D'un tratto Margaret si voltò verso di loro, facendo cenno ai ragazzi di raggiungerla.

«Cerca di fare il bravo una volta tanto, per favore!» lo implorò Georg, avviandosi verso le due ragazze.

«Come se fosse possibile…» pensò ad alta voce, beccandosi un'occhiataccia sia dal fratello sia da Gustav.

«E va bene!» sbuffò contrariato, mettendosi entrambe le mani nelle tasche dei jeans. «Vi prometto che mi impegnerò al massimo per trattenermi!».

Gli altri due si scambiarono uno sguardo non molto convinto, sospirando e scuotendo la testa con fare sconfitto.

«Sei sempre il solito!» lo rimbeccò Gustav, mentre si recavano anch'essi al bancone.

«Ragazzi, voglio presentarvi la mia amica. Lei è Yvonne. Yvi, questi sono Bill, Tom e Gustav.».

«Molto piacere!» esclamò Bill, regalandole un meraviglioso sorriso e stringendole la mano, seguito subito dopo dal chitarrista e dal batterista.

Lei si limitò a ricambiare, senza avere il coraggio di dire loro qualcosa.

Avrebbe potuto intavolare una qualsiasi conversazione con quei ragazzi di cui aveva tanto sentito parlare, sia dalla tv sia da Margaret, ma non ce la fece proprio, nonostante si spronò mentalmente di farlo.

Era più forte di lei. Non riusciva ad aprirsi con chi non conosceva, nemmeno per scambiare qualche frase di circostanza.

Niente di niente.

E poi – c'era da ammetterlo – oltre al suo carattere introverso, era bloccata anche dalle occhiate insistenti del rasta.

Si sentiva quasi soffocare da quegli occhi, che sembravano volerle fare una radiografia completa: non riuscì nemmeno a capire se gli dessero fastidio oppure gli facessero piacere.

L’unico modo per scoprirlo era incatenare le sue iridi a quelle del ragazzo: alzò lo sguardo fino ad incrociare quello di lui, ma si pentì subito di ciò che aveva fatto.

Quegli occhi, all’apparenza così caldi ed intensi, sapevano trasformarsi in una spessa ed impenetrabile barriera non appena osavi guardarci dentro.

Non riuscendo più a reggere quel contatto – durato appena qualche secondo –, Yvonne staccò le pupille dalle sue portandole immediatamente su Georg, che aveva iniziato una conversazione con i suoi amici.

Tom si lasciò sfuggire un sorrisino beffardo di fronte a quella reazione, per poi imitarla e spostare la sua attenzione sul castano, fingendo di prestare interesse al suo discorso.

«Tuo fratello dov'è?» stava domandando ad Yvonne, sinceramente incuriosito.

«Credo sia andato sul retro, a prendere qualche bottiglia di birra da mettere in fresco!» gli spiegò la mora, poco prima di vederlo spuntare da una porta scorrevole accanto al bancone.

«Eccolo!» esclamò infatti, facendo cenno al ragazzo di raggiungerli.

Se Tom e gli altri non avessero chiaramente sentito che quel ragazzo era il fratello di Yvonne, nessuno ci avrebbe creduto.

Non si assomigliavano per niente.

I suoi capelli castano scuro, di media lunghezza, erano mossi: completamente l’opposto quindi di quelli liscissimi e neri come la pece della ragazza; gli occhi invece erano di un vivace color cioccolato.

Anche a lui, come alla sorella poco prima, comparve un sorriso a trentadue denti appena vide Margaret e Georg.

«Non ci posso credere!» disse euforico, allungando una mano verso il bassista. «Che ci fate qui?!» domandò attirandolo a sé per dargli un'amichevole pacca sulla spalla, prima di passare alla rossa e salutarla con due affettuosi baci sulle guance.

«Saprai sicuramente che Bill e Tom parteciperanno come giudici a DSDS…» vedendo il ragazzo annuire, si apprestò a continuare, «Quindi io, Gustav e Margi ne abbiamo approfittato per venire a trovarvi!».

«Ah, adesso capisco! Beh, allora mi presento: io sono Steven, piacere di conoscervi!» esplose raggiante, stringendo la mano a tutti e tre.

A quanto pareva – nonostante il sorriso dei due fosse identico –, anche caratterialmente erano completamente differenti, visto l'atteggiamento solare e aperto di Steven.

Terminate le presentazioni il ragazzo si voltò verso la sorella, grata di essere passata in secondo piano, e, prendendola alla sprovvista, la incaricò di accompagnarli al loro tavolo.

Come non detto. In un attimo era passata nuovamente al centro dell'attenzione.

Mannaggia a lui!

«I-io?! Ma devo preparare i cocktails del tavolo cinque e...».

«Tranquilla sorellina, ci penso io! Tu fagli strada!» la spronò nuovamente, dandole una lieve spintarella con la mano.

Sapeva quanto Yvonne fosse timida e non amasse entrare in contatto con persone nuove, ma sapeva anche che non poteva continuare così in eterno: doveva imparare a lasciarsi alle spalle quel fastidioso senso di imbarazzo che la accompagnava fin da quando era bambina e farsi un po' di coraggio.

Il più delle volte la vita è crudele, e loro due ne avevano ampiamente avuto la dimostrazione: il modo migliore per affrontarla, era quindi quello di saper sprigionare tutta la forza e la sicurezza che si possedevano, facendole emergere da sotto gli impenetrabili strati di paura che le contenevano.

Margaret lanciò uno sguardo divertito a Steven, per poi andarle incontro e prenderla sottobraccio per incoraggiarla.

Anche la rossa la pensava come suo fratello, ma le dispiaceva lasciarla da sola ad affrontare quella sfida che, seppur facilissima, per lei era una vera e propria prova di coraggio.

Yvonne si voltò, incrociando i suoi occhi e ringraziandola solamente con uno sguardo.

«Non ti lascerò mai da sola, lo sai…» le disse l’amica, come risposta alla sua occhiata colma di gratitudine.

Arrivati nella seconda sala, la mora indicò loro il primo tavolo sulla sinistra: nascosto da una delle non troppo estese pareti divisorie, era in una posizione perfetta per passare del tutto inosservati.

Mentre prendevano posto, Yvonne prese cinque liste da un piccolo mobile vicino, distribuendone successivamente una a testa.

«Torno fra qualche minuto per prendere le vostre ordinazioni!» li avvertì cordiale, prima di eclissarsi nuovamente dietro il bancone.

«Non è di molte parole la tua amica…» proruppe Tom, rivolto a Margaret, senza però spostare lo sguardo dall’elenco dei cocktails alcolici.

Lei, d’altro canto, non poté che sollevare subito il suo, puntando gli occhi verdi dritti su di lui con fare inquisitorio.

Non le era piaciuto per niente il tono indifferente con cui aveva detto quelle parole…

La rossa conosceva ormai il chitarrista abbastanza bene da sapere che quel comportamento apparentemente distaccato, in realtà significava interesse.

«È molto timida!» rispose fredda, senza osare staccare gli occhi dalla sua figura.

Tom intuì anche senza vederla che era decisamente contraria al suo interesse per Yvonne, e si ritrovò così costretto ad incrociare il suo sguardo, riuscendo a sostenerlo senza problemi.

«Non era un’offesa, la mia. Era solo una constatazione dei fatti, non volevo dire nulla di male!» esalò con estrema nonchalance lui, sempre con le pupille fisse in quelle di Margaret.

«Smettila di arrampicarti sugli specchi, Tom. So perché hai tirato fuori l’argomento, e non mi piace l’idea che tu abbia puntato gli occhi su di lei. Non è una delle tue tante groupies!».

«Neanche l’avessi molestata, cazzo!» berciò innervosito, lanciando malamente sul tavolino la lista plastificata. «Ho solo detto che parla poco, porca puttana, mica che voglio sbattermela!».

«Ehi! Stai attento a come mi parli, perché non sono tua sorella, sono stata chiara?» si difese la rossa senza la minima esitazione, tenendogli testa.

Se c’era una cosa che era in grado di mandarla immediatamente su tutte le furie, quella era la mancanza di rispetto nei suoi confronti!

«Pensala un po’ come ti pare!» ribatté schietto, lanciandoli un gelido sguardo. «Io vado fuori a fumare…» li avvertì successivamente, alzandosi dalla sedia ed avviandosi a passo spedito verso l’uscita.

Stava quasi per spingere la porta quando incrociò la causa della discussione appena avvenuta fra lui e Margaret, e non poté fare a meno di guardarla.

Lei ricambiò solo per un attimo, per poi interrompere bruscamente quell’impalpabile contatto e continuare a camminare verso il loro tavolo, pronta per prendere i loro ordini.

Avendola quindi persa di vista, cercò con lo sguardo Tobias e, dopo avergli fatto cenno di seguirlo al di fuori, si apprestò ad uscire.

L’aria fredda della sera lo colpì in pieno viso, facendolo rabbrividire.

Si sbrigò ad estrarre il pacchetto di sigarette dalla tasca destra del suo cappotto, offrendone poi una al bodyguard che l’aveva appena raggiunto, il quale accettò volentieri, ringraziandolo.

Dopo averla accesa aspirò una lunga boccata di nicotina, espellendola subito dopo con un altrettanto lungo soffio, perdendosi ad osservare il fumo allontanarsi e disperdersi nell’aria gelida.

Come al solito era stato frainteso.

Da una parte capiva la paura che Margaret nutriva nei confronti della sua curiosità verso la mora: d’altro canto, la sua fama da sciupafemmine era ben nota a tutti, ma era sincero quando le aveva detto che il suo interesse non aveva avuto nessun secondo fine.

Non poteva negare che qualche pensiero poco casto gli avesse attraversato subito la testa, ma l’espressione terribilmente seria che il bassista aveva usato per metterlo in guardia, l’aveva fatto subito desistere da qualsiasi idea “strana” gli fosse balenata nella mente.

Gli piacevano le belle donne ed il sesso, e non ne aveva mai fatto mistero: erano due delle cose che ancora riuscivano ad appagarlo; ma non era nemmeno così stronzo e stupido da usare una ragazza senza ritegno, per poi allontanarla dalla sua vita sapendo che sarebbe stata male.

Lui andava a letto con le groupies, perché era ciò che anche loro stesse volevano da lui.

Al contrario, non avrebbe mai osato illudere qualche ragazza solo per il suo piacere personale.

Lui trattava come veniva trattato.

Volevano del sesso? Avrebbero avuto del sesso.

Volevano fare due chiacchere? Avrebbero scambiato solo due chiacchiere.

Volevano amore? Avrebbero ricevuto un gentile e ben educato rifiuto.

Non era un approfittatore, per niente. Semplicemente viveva la sua vita in totale libertà, circondandosi di persone che potevano dargli ciò che loro stesse cercavano in lui, niente di più.

Ed il fatto che Margaret non avesse ancora capito quanto anche lui fosse rispettoso e seguisse alla lettera i principali valori morali, lo rattristava.

Voleva davvero bene alla rossa, e litigare con lei non gli era mai piaciuto, nonostante di tanto in tanto capitasse.

Questo perché lei non era in grado di tenere la bocca chiusa, e sicuramente non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.

Tanto dolce quanto testarda.

Era una cosa di lei che aveva sempre apprezzato sin nel profondo, e l’aveva sempre rispettata per questo suo modo di essere.

Era l’unica donna al mondo in grado di tenergli testa, oltre ovviamente a Simone, ed era riuscito a volerle così bene anche per quel motivo.

Nonostante si portasse a letto tante sciacquette superficiali, fuori dalle lenzuola cercava persone decisamente più interessanti e con un briciolo di materia grigia nel cervello.

Gli piaceva anche condividere esperienze e pareri, oltre all’orgasmo, con certe donne.

Peccato solo che ancora in molti non l’avessero capito.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Un po’ preoccupato, Bill aveva deciso di andare a cercare il fratello, ma appena aveva spostato la sedia per alzarsi l’aveva visto rientrare seguito da Tobias.

Il cuore aveva cominciato ad alleggerirsi, finalmente sollevato nel rivederlo sano e salvo e, soprattutto, senza manette ai polsi.

Tom era la calma in persona, ma quando si incazzava perdeva la testa e compiva gesti avventati senza nemmeno accorgersene.

Fortunatamente la ragione aveva prevalso sull’istinto, una volta tanto, anche se doveva ammettere che stava succedendo parecchie volte da due anni a quella parte.

Che stesse finalmente maturando?

«Ehi, tutto bene?» gli venne spontaneo chiedere, appena gli si sedette accanto.

Tom però non rispose. Si limitò a guardarlo e ad accennargli un piccolo sorriso: solo da quello Bill capì che ogni cosa era tornata a posto, anche se una strana ombra di tristezza aleggiava indisturbata nelle sue iridi nocciola, offuscandole un poco.

«Avete già ordinato?» domandò poi, osservando i bicchieri quasi vuoti dei suoi amici, per poi notare l’assenza di Georg e di Margaret.

«Dove sono andati?» chiese successivamente, aggrottando la fronte ed indicando i loro posti vuoti con il capo.

«Margi era un po’… Beh, diciamo che aveva bisogno di stare un po’ da sola con Georg. Sono sulla terrazza sul retro…» disse infine, facendo notare al gemello una porta di vetro smerigliato dall’altra parte della sala.

«Se l’avessi saputo sarei uscito lì per fumare. È sempre un rischio stare dove tutti possono vederti. Comunque vado a prendermi da bere al bancone. Tu vuoi qualcosa?».

«No, grazie.».

«Gustav?» chiamò l’amico, intento ad ascoltare due ragazze dilettarsi al karaoke. «Hai bisogno di qualcosa?».

«No, grazie. Per ora mi limito ad una birra!» rispose lui sorridendo, per poi riportare l’attenzione alle due.

Senza aspettare un attimo di più, il chitarrista si diresse al bancone del locale, prendendo poi posto su uno degli alti sgabelli.

Cercò con lo sguardo qualcuno a cui ordinare un Cuba Libre, ma entrambe le cameriere erano impegnate nel servire altri clienti.

Improvvisamente una terza persona comparve dietro il bancone, dopo essergli passata alle spalle.

Passò un foglietto alla ragazza alla sua sinistra e, dopo aver sciacquato il vassoio, sollevò lo sguardo su di lui.

Sorridendogli timidamente, gli si avvicinò un poco.

«Che ti preparo?».

«Un Cuba Libre, per favore».

«Subito!» rispose lei, interrompendo senza esitazione il contatto dei loro occhi; cominciò quindi a preparare la bevanda con estrema cura e precisione, senza distrarsi nemmeno per un secondo.

Tom rimase ammaliato dal modo deciso e sicuro con il quale la ragazza si muoveva, come se lì dietro ci fosse una persona totalmente diversa rispetto a quella di qualche minuto prima.

«Ecco a te!» esclamò d’un tratto, porgendogli il bicchiere pieno di liquido ambrato.

«Grazie, Yvonne!» rispose, rivolgendole un sorriso sincero.

Lei, d’altro canto, non poté che ricambiare quel gesto, anche se con molto più timore e molta più velocità nell’interromperlo.

Improvvisamente la musica si fermò, facendogli capire che le ragazze avevano terminato la canzone.

«Un bell’applauso a queste due bravissime signorine!» esclamò Steven spronando il pubblico a battere le mani. «Chi vuole venire ora? Forza, non fate i timidi!».

Sentendo quelle ultime parole, a Tom venne spontaneo lanciare uno sguardo furtivo a Yvonne, sorridendo sghembo.

«Vedo che abbiamo una volontaria fra il pubblico!» disse poi, mentre una ragazza lo raggiungeva di fronte al palco.

Steven le passò il microfono, e lei se lo portò alla bocca senza esitazione.

«Vorrei che Yvonne venisse qui a cantare con me!».

Il chitarrista si voltò di scatto verso la mora, trovandola immobile a fissare Margaret, gli occhi sbarrati e un pallore per nulla rassicurante.

«Muoviti!» la esortò ridendo, mentre l’amica, da lontano, scuoteva energicamente la testa, enfatizzando la sua più totale negazione con entrambe le mani.

«Guarda che se non vieni qui subito ti ci trascino con la forza!».

La mora negò nuovamente, pregandola con lo sguardo, nonostante fosse lontana da lei.

«Dai, che vuoi che sia?».

La ragazza si voltò verso Tom, un’espressione neutra sul volto.

Quella era la prima volta da quando si erano presentati che Yvonne sosteneva il suo sguardo senza esitazione, permettendogli così di osservare meglio il suo volto.

Sembrava una bambolina di porcellana: i capelli neri e perfettamente lisci le arrivavano fino ai fianchi creando un meraviglioso contrasto con la pelle nivea del suo viso; i lineamenti dolci facevano risaltare particolarmente i grandi ed espressivi occhi grigi.

Le labbra morbide, così maledettamente invitanti, erano di un brillante rosso naturale.

Era di una bellezza semplice ed autentica, ed era stata proprio questa sua spontaneità ad attrarre subito lo sguardo di Tom: non fingeva di essere qualcun altro solo per compiacere la gente, lei era esattamente come si mostrava.

E questo il chitarrista l’aveva notato fin dal principio.

«Non credo che…» cominciò lei incerta, mordendosi il labbro inferiore e distogliendolo così dalle sue tediose riflessioni.

«Pensi di non esserne in grado? Guarda che è solo per divertirsi un po’…» la rassicurò lui, con tutta la delicatezza di cui era capace.

«Non è quello che mi preoccupa!» lo informò, abbassando per un momento lo sguardo. «È che io, ecco…».

Le parole le morirono in gola quando fuse nuovamente le iridi con quelle di Tom.

Non poteva negare la bellezza di quegli occhi nemmeno se avesse voluto.

Ma la cosa che più l’aveva colpita non era stato il loro colore, seppur indubbiamente bello, bensì la serie di sentimenti contrastanti che era riuscita a scorgere – solo per un momento – in quelle due pozze di ambra liquida.

«Non ti piace stare al centro dell’attenzione.» terminò la frase per lei, sorridendole nuovamente.

E non era una domanda.

Yvonne ricambiò il sorriso, leggermente stupita dall’acutezza del ragazzo.

«Già…» mormorò poi, ridacchiando nervosamente.

«Yvonne, guarda che non stavo scherzando! Starò qui ad aspettarti finché non arriverai!» la minacciò nuovamente Margaret, riportandola alla realtà.

Non si ricordava nemmeno più il motivo per cui aveva iniziato a parlare con Tom.

«Guarda che dice sul serio!» l’avvertì il ragazzo, indicando la rossa alle sue spalle con un gesto del capo. «Se non vuoi andarci da sola, ti ci accompagno!».

Sapeva che Tom cercava solamente di essere gentile con lei, ma non poté fare a meno di pensare che potesse esserci un secondo fine nascosto dietro quell’espressione apparentemente innocente.

Le risultava davvero difficile riuscire a fidarsi delle persone, e non sapeva se quel lato terribilmente diffidente del suo carattere potesse essere annoverato fra i suoi pregi oppure fra i suoi difetti.

«O-ok!» balbettò con incertezza, uscendo da dietro il bancone e cominciando ad incamminarsi con passo esitante verso la sua amica.

Tom la seguì, soddisfatto di essere riuscito a convincerla.

«Finalmente ti sei decisa!» esclamò Margaret con enfasi, sorridendole raggiante.

Era sempre un traguardo per lei riuscire ad allontanare l’amica dal suo involucro protettivo, anche se per pochi minuti.

Prima di prendere posto al fianco di Margaret però, Yvonne si voltò verso Tom e gli mimò un flebile «Grazie!» con le labbra.

Per tutta risposta ricevette un sorriso, accompagnato da una noncurante alzata di spalle.

«Eh dai, non ti stai mica preparando a scalare l’Everest!» la riprese Margaret, tentando di risollevarle il morale nel vedere le sue mani tremanti strette attorno al microfono.

«Ti giuro che lo preferirei all’essere qui su questo palco, Margi!» ribatté sincera la mora, aggrottando la fronte con preoccupazione.

«Una canzone soltanto, mhm?» insistette la rossa, stringendole la mano per infonderle coraggio.

Yvonne si limitò a ricambiare la stretta, prima di fare un respiro profondo.

Margaret rise raggiante, facendo un cenno con il capo in direzione di Steven.

«Che canzone hai scelto?» domandò la mora, di nuovo nel panico, voltandosi di scatto verso di l’amica.

Margaret però non aprì bocca, limitandosi piuttosto a guardarla.

E non ci fu bisogno di nessuna parola.

“La nostra canzone.”, pensò, mentre già vedeva comparire il titolo sul telo.

Wherever I go, di Miley Cyrus ed Emily Osment.

Partirono le prime note e, per incoraggiare l’amica, Margaret attaccò per prima.

Quando si avvicinò il suo turno però, il panico le attanagliò nuovamente lo stomaco: senza quasi accorgersene, si ritrovò quindi con gli occhi incastrati in quelli di Tom, ed una strana, inaspettata sicurezza le diede la forza necessaria per cominciare a cantare.

La sua voce era alta e soave, perfettamente intonata: riusciva a prendere le note senza il minimo sforzo.

Era come se fosse nata per quello: Tom ne ebbe la certezza.

Anche Margaret non se la cavava male, ma in confronto ad Yvonne risultava decisamente insignificante.

Bill sgranò gli occhi e trattenne il fiato per la sorpresa, mentre Georg e Gustav si ritrovarono ad ascoltarla rapiti, con la bocca spalancata dallo stupore.

Quando la canzone giunse al termine, tutti i clienti del locale applaudirono e lanciarono fischi d’assenso, facendo sì che le gote di Yvonne assumessero una sfumatura sempre più vicina al porpora.

«Hai visto che ce l’hai fatta?» le fece notare Margaret, stringendola in un caloroso abbraccio. «È stato così tremendo?» aggiunse poi, sorridendole compiaciuta.

La mora scosse la testa, rassegnata ma anche un po’ sollevata.

«Forza, vieni a sederti un attimo con noi!».

Detto questo sciolsero l’abbraccio e raggiunsero i Tokio Hotel al tavolo.

«Dio, sei stata magnifica!» esplose radioso Bill, con gli occhi brillanti di ammirazione. «Nulla da togliere nemmeno a te, Margi, ovviamente!» si affrettò poi ad aggiungere, evitando di offendere l’amica.

«Tranquillo, Bill! So quanto Yvi sia brava…».

«Secondo me dovresti provare a fare un casting per DSDS!».

Tutti e cinque si voltarono verso il possessore di quella voce, increduli.

«Effettivamente Tom non ha tutti i torti!» concordò Bill dopo qualche secondo, fissandola pensieroso. «Sì, non vedo perché non dovresti farlo!» affermò poi euforico, dopo aver ponderato quella possibilità, osservandola speranzoso.

«Io, beh, non lo so…».

«Oh ma dai Yvi, sei davvero bravissima! Io, fossi in te, proverei…» la incoraggiò Georg, sorridendole fraternamente.

«Sarà un’esperienza eccitante!» aggiunse Margaret, non provando nemmeno a trattenere l’entusiasmo. «Che ne dici?».

«Credo che, ecco… Ci penserò!» soffiò infine lei, arrendendosi, quasi più per accontentare gli altri che per vero interesse personale.

«Nel caso in cui decidessi di venire a fare un provino, questo è l’indirizzo degli studi…» le disse Bill, allungando un cartoncino nella sua direzione.

«Ok!» disse, prendendo quel foglio fra le mani e, dopo aver sorriso al cantante, spostò la sua attenzione sul maggiore dei gemelli.

Non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca che lui la precedette.

«Non c’è di che!» disse, avendo già intuito che volesse ringraziarlo. «Guarda che ci conto!» le confessò infine, notando solo con la coda dell’occhio lo sguardo gelido di Margaret, seduta dalla parte opposta del tavolo. 

  
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