~ California, here we come
Quel giorno l'aeroporto di Palermo era gremita di gente: la maggior parte di essa sedeva su delle scomode sedioline in plastica rossa ed osservava, con sguardo distratto, i grandi tabelloni affissi al soffitto con gli orari delle partenze: New York, Buenos Aires, Roma, Parigi, Milano, Tokyo e poi, al penultimo posto, Los Angeles. Un sorriso si fermò sulle mie sottili labbra e, al di sotto dei miei occhiali da sole - che, anche se eravamo ricoverati dal sole, avevo deciso di tenere per vanità - cercai la mia compagna di viaggio, la mia ciuridda. Simona si era sguaiatamente addormentata qualche sedia distante da me ed aveva appoggiato la testa contro l'immensa vetrata color grigio fumo. Sorrisi tra me e me e mi avvicinai a lei lentamente.«Oddio, guarda, Shannon nudo!», strillai a pochi centimetri dalle sue orecchie. Simona spalancò gli occhi e balzò in piedi, tenendosi una mano sul petto. Poi, si girò a guardarmi ed io scoppiai a ridere fragorosamente, gettando indietro il capo. «Sei stronza, ok, lo sapevo. Non pensavo arrivassi a tanto...», si lamentò stizzita mentre si riavviava i capelli. Feci per difendermi, ma una voce meccanica aleggiò nel grigiore di quell'aeroporto ed annunciò il nostro volo: «E' in partenza il volo 6580 diretto a Los Angeles. I passeggeri sono pregati di raggiungere l'aereo il cui numero è citato sul biglietto. Ripeto: è in partenza il volo 6580 diretto a Los Angeles. I passeggeri sono pregati di raggiungere l'aereo il cui numero è citato sul biglietto».
Deglutii a vuoto e le mani cominciarono a sudarmi più del dovuto, come mi capitava raramente, e sentii il cuore battermi all'impazzata nel petto: stavo cominciando ad avere paura. Bisognava mantenere la calma, ma come avrei potuto pensando di essermi potuta schiantare? Così, durante la realizzazione di uno dei miei sogni? Inspirai e Simona mi afferrò saldamente la mano:«Tranquilla, andrà tutto bene. Andiamo o perderemo l'aereo!», mi incitò. Le sorrisi nuovamente e, afferrata la mia valigia blu elettrico, la seguii verso il gate.
Erano già trascorse due ore e il nostro aereo stava beatamente volando tra le più candide nuvole a centinaia di chilometri d'altitudine. Andava tutto bene, se solo smettevo di pensare che, da un momento all'altro, avrei potuto schiantarmi e dare origine ad un nuovo telefilm stile Lost. Per evitare di perdere il completo controllo, pensavo a quando sarei atterrata ed ascoltavo, seppure parecchio annoiata, le chiacchiere di Simona.
«Hai capito?», attirò la mia attenzione per l'ennesima volta. Sbadigliai sonoramente e lei sorrise.«Non hai ascoltato una vana parola, giusto?»
«Esattamente, sis», le strinsi una mano, ma lei sbuffò.
«Va bene, ti perdono. Ma solo perché... Los Angeles!», blaterò appena. Appoggiai la mia testa sulla sua spalla e sospirai. Trascorsero altre quattro ore in cui restammo in religioso silenzio perse ognuna tra i propri pensieri in cui il tempo sembrò volare e il momento tanto atteso arrivò in un battito di ciglia.
«Signori, stiamo per atterrare al LAX di Los Angeles. Per motivi di sicurezza, si prega di tenere qualsiasi dispositivo elettronico ancora spento e si pregano i passeggeri di allacciare le cinture», ci avvertì la formosa hostess dai lineamenti asiatici. Una morsa mi afferrò la bocca dello stomaco: di lì a poco, avrei rischiato un attacco di panico. Simona mi vide spaventata e provvedè ad allacciarmi la cintura grigio topo in vita e poi mi strinse di nuovo la mano: solitamente ero io a darle sostegno, a stringerle la mano, ma in quella circostanza era lei la salvatrice. Chiusi gli occhi e quasi trattenni il fiato quando l'aereo atterrò malamente - almeno per me che ero spaventata - e strisciò per qualche metro lungo la pista, fino a fermarsi completamente.
«Benvenuti a Los Angeles e buona permanenza», annunciò il pilota attraverso le casse dell'aereo. Espirai ancora, esasperata e poi mi sganciai la cintura: ce l'avevo fatta ed ero sana e salva. Tutto era andato per il verso giusto...
«Oh Dio, ci siamo!», strillò Simona che subito si divincolò dal suo posto ed afferrò la sua valigia. «Jess, muoviti!», mi risvegliò da quel torpore. Scossi il capo e le sorrisi, afferrai anch'io la mia valigia ed inforcai i miei occhiali da sole. Finalmente ero giunta nella città degl'angeli e mi sentivo, dovevo ammetterlo, ad un centimetro dai miei idoli. Mi pareva di sentirli più vicini del solito, mi pareva di sentirli ridacchiare.
«Beh, quindi... Ci siamo...», mormorò incredula Simona con il naso rivolto all'insù persa a guardare quel cielo azzurrissimo e gl'altissimi edifici tutt'intorno. Spostai gli occhiali da sole sulla testa, tirando indietro anche i miei capelli - che al sole erano castano chiarissimo - e poi sorrisi orgogliosa: sembrava un miraggio, un sogno; avevo vissuto Los Angeles sempre attraverso i film e le fotografie, ma adesso era lì, tutt'intorno a me.
«E' bellissima», ammisi sincera e mi feci strada verso il nostro taxi.
«Ehi, adesso tocca a te darti una mossa!», scherzai. Simona alzò gli occhi al cielo.«Mamma, che brontolona. Andiamo, chissà come sarà l'albergo!», risi ancora e lei, finalmente, mi raggiunse. Era stata un'impresa il viaggio in aereo, ma vedere Los Angeles concretizzarsi dinanzi a me, aveva calmato tutte le mie paure. Ogni palma che si erigeva fiera lungo le strade, simboleggiava un mio sorriso e l'ennesimo pensiero rivolto a quei tre tortini - come adoravo chiamarli -.
HERE I AM, ONCE AGAIN
Eccoci con il nuovo capitolo! *-----*
Spero davvero che vi piaccia e che v'incuriosisca uwu
Cosa pensate di queste due ragazze?
E cosa pensate accadrà?:'D
Grazie per aver letto, siete parecchi **
Io oggi ho cominciato la scuola = ho smesso di vivere e scrivere c_c
Per cui, ci sentiamo... quando ricapita cc
Love you, cutie pies!
<3<3<3
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