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Autore: Vitani    20/03/2008    3 recensioni
Questa è una storia d'amore, di odio, di una carriera musicale ed artistica, di una maturazione, di come gli incontri detti "del destino" possono cambiare la vita. È la storia di due ragazzi in particolare: Mana, un chitarrista, e Gackt, un cantante. Entrambi passionali, entrambi sognatori.
"Simile ad una fiaba è questa storia, dove una dama e un cavalier rincorrono l’amore con solerzia, pronti in nome di esso a dare tutto. Si leggeranno lacrime, amore, risate e fremiti di gelosia, d’angoscia e di paura. Saranno tormentosi i nostri canti, piene di gioia le risate, e se malinconia occuperà il cuore, ci basterà cantare una canzone."
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mad Tea Party -

- Mad Tea Party -


ATTO PRIMO, SCENA UNDECIMA
-
I Sogni di una Rosa

 

 

 

 

Era stato sul punto di credere che gli avrebbe detto di no, ammise di averlo fatto mentre finiva di struccarsi col latte detergente e un batuffolo di cotone in mano, e ammise anche di avere sperato che gli dicesse subito di sì invece di tergiversare.

Invece quello aveva proprio tergiversato, accidentaccio a lui.

Si picchiettò il viso tamburellando col cotone sulle dita e quasi rabbrividì per la piccola sensazione di freddo che gli trasmise il liquido profumato sulla pelle candida. Annusò un poco l’aria, quel coso sapeva di narciso e gli pareva un pelo troppo dolce, ma era troppo preso a pensare ad altro per badarci e sospirò mentre si passava il batuffolo sul volto.

C’era un che di incredibilmente molesto e seccante in quella faccenda, se erano quelli i due aggettivi buoni per descrivere Satoru Okabe.

In quel momento l’immagine di quel ragazzo gli stava schiantata dietro agli occhi come se ce l’avesse avuto davanti e la cosa gli metteva un inesauribile nervoso. Mai avrebbe detto di poter essere schiavo di un’immagine che non fosse stata la propria.

Be’, forse schiavo era una parola un po’ grossolana che mal descriveva il suo pensiero. Non ci poteva fare molto, però.

Passò al tonico, che gli faceva pizzicare un poco gli occhi ma gli rinfrescava la pelle come un balsamo, e intanto continuava a dialogare fra sé e sé mormorando e mugugnando come un fanciullo che sogna.

Non aveva fallito, assolutamente no, ossessivamente ne rimuginava mentre guardava il suo riflesso allo specchio coi suoi occhi neri e scintillanti.

C’era infatti un sorriso stampato sulle sue labbra, un sorriso di puro trionfo.

Curiosamente sapeva di esserci riuscito e di avere accalappiato quella preda con la stessa facilità con cui avrebbe saputo di riuscire a vederci.

Tornò con la mente alla sera prima, a quando gli aveva detto quelle parole che erano suonate a lui come una profezia e che l’avevano costretto a sputarsi un pezzo di cuore mentre le pronunciava. Gli aveva detto che la musica l’avrebbero fatta loro, insieme. E Satoru lo aveva guardato con gli occhi larghi e il respiro rotto, quasi che non avesse saputo come replicare. Era rimasto in silenzio, a lungo, mentre il vento che s’era alzato pareva giocare a portarsi via i capelli di Mana, confusi nella nera notte del cielo e guizzanti dell’argento dei lampioni. E poi… lasciami qualche giorno per pensarci, gli aveva detto, solo qualche giorno.

E l’aveva lasciato dicendogli che sarebbe stato lui a farsi vivo.

Mana esalò un breve sospiro, perché quella mezza giornata che l’aveva separato dal momento della dipartita di Camui era stata segnata per lui da uno stato di attesa che aveva dell’elettrico.

Aspettava la conferma definitiva, e andò in cucina a mangiarsi un biscottino al cioccolato con ancora la fascia per capelli sulla testa e la bottiglia di tonico in mano. Se la stava portando a spasso come un animaletto domestico e la mollò solo quando crollò giù stravaccato sul divano stile manichino coi piedi che gli penzolavano giù dalla sponda.

Guardò il telefono e storse gli occhi. Aveva una mezza idea di telefonare a lui sapeva chi, ma… forse non era il caso.

Tirò su il telecomando dal tavolino e fece un po’ di zapping a tempo perso perché non c’era niente che gli interessasse guardare, poi finalmente si tirò su di nuovo e compose un numero all’apparecchio telefonico.

Era sera sì, ma poco importava.

Tanto chi sapeva lui era sveglio di sicuro… un ghignetto sardonico gli attraversò le labbra rosa in un breve lampo di divertimento.

« Pronto? »

Come s’aspettava aveva parlato una voce maschile, più alta e sottile della sua.

« Comandante Oscar François De Jarjayes, è desiderato a Versailles. »

« …ma vaffanculo! »

Mana scoppiò a ridere. Quel cretino non s’era ancora abituato alle sue prese in giro.

« E dai, Kacchan! Scherzo, lo sai! »

Un istante di silenzio all’altro capo del filo.

« E non mi chiamare Kacchan! »

« Ma se ti chiamo Kami-chan ti confondo con Kami-chan! »

Uno sbuffo, un piccolo sbuffo a metà tra lo scocciato e il deliziato.

« Sì, va bene… che cosa desiderate a quest’ora, Mia Adorata Principessa? »

« Desidero che tu mi stia a sentire, Lady Oscar: ho il vocalist! »

« Ma dai? E chi avresti reclutato stavolta? Pensavo che dopo Takano ci avessi messo una pietra sopra! »

Non poté trattenere un brivido d’irritazione nel sentire quel nome che di lì a qualche mese era stato in grado di fargli venire più di un’orticaria nervosa da arrabbiatura non sfogata.

« Tetsu è acqua completamente passata morta ed evaporata. Questo è forte sul serio! »

« E sentiamo, che avrebbe di speciale? »

Ci pensò su e gliene vennero tre.

« Primo: è fuori come un balcone. Secondo: canta bene. Terzo: è pure belloccio. »

« E suppongo che per te quella interessante sia la prima… »

Quello scriteriato con cui stava parlando era uno dei suoi pochi e migliori amici, un ragazzo che sembrava idiota ma non lo era affatto. O quasi. Si chiamava Yuuji Kamijo o Kamijo e basta, e aveva qualche anno meno di lui. S’erano incrociati per caso dopo una serata dei Malice Mizer in una livehouse, e lui era una sua sottospecie di fan… un fan coi capelli tinti di biondo e pieni di boccoli in perenne estensione e un visetto che se si truccava pareva tutto meno che giapponese.

La cosa interessante è che anche lui aveva buone possibilità come vocalist ma s’era sempre rifiutato di lavorare con Manabu, con un faccino sorridente e un pelo di strafottenza di troppo. Voleva creare una band sua, aveva sempre detto, perché a lavorare con Mana avrebbe finito per odiarlo e quindi era meglio che tenessero le loro strade ben separate almeno su quel frangente. A Mana quella schiettezza era piaciuta ed aveva sorvolato perfino sulla velata offesa circa i suoi metodi che ci stava spalmata dentro. Non era mica colpa sua se quando lavorava era perfezionista dittatoriale e voleva averla sempre vinta…

Pertanto, Kamijo si era accontentato di essere solo il roadie dei Malice Mizer e Mana non gli aveva chiesto di fare altro. Solo che ora che non erano più in attività lui aveva perso il lavoro e ogni santo giorno non mancava di ricordargli che dal suo rendimento dipendeva la vita da povero di un diciannovenne. Avrebbe fatto prima ad assumerlo come galoppino, già che c’era, ma lui si sarebbe rifiutato con quel suo sorriso sulle labbra senza manco dargli il tempo di finire la frase. Lo faceva morire dal ridere.

« Perché parlare con te è sempre così potentemente inutile? »

Ancora un istante di quel silenzio da tragicommedia che stava rischiando di fargli scoppiare una vena.

« Perché le tue parole sono legge, Mia Adorata Principessa. »

Ogni tanto pensava che sarebbe stato il caso di farlo tacere per sempre.

« In ogni caso, caro il mio Lady Oscar, vieni qui subito! »

« Esci tu. »

Era il caso di farlo tacere per sempre.

« Ma mi sono appena struccato, non rompere! »

« E allora infilati quello schifo di occhiali da sole che ti ritrovi ed esci! Andiamo a farci un sushi per festeggiare! »

« Se non la pianti di offendere gli occhiali da sole te li caccio in gola! »

 

Ma era uscito davvero, alla fine. Era insospettabilmente incapace di opporsi alla verve di quel moccioso e tollerava la situazione in certa misura, perché erano più uniche che rare le persone che riuscivano a tenergli testa.

Si incontrarono alla solita stazione di Shinjuku e mentre passeggiavano Kamijo non gli chiese nulla circa quel nuovo vocalist che sosteneva di avere trovato. Gli camminava vicino vestito praticamente in tuta pure se era sera, coi boccoli biondi raccolti sulla testa con un mollettone che dio solo sa dove l’aveva pescato, sempre col sorriso sulle labbra.

C’era un locale di sua conoscenza dove servivano ottimo sushi, a quanto pareva ci lavorava un suo amico, quindi lo costrinse a scarpinare finché non furono arrivati proprio lì.

Entrarono, si sedettero e ordinarono nella più totale compostezza, pur se Kamijo dovette accontentarsi di una ben misera Coca-Cola e non smise un secondo di guardare gelosamente la birra di Mana – che dal canto suo si divertì a sfottere quel “bambino” finché non ne poté più.

« Siamo sotto al limite d’età per gli alcolici, eh, caro il mio cuccioletto? »

« Se non la pianti io in gola ti ci caccio quella birra e te ne faccio scolare a litri finché non crolli per terra ubriaco e rantolante come un disperato con la cirrosi all’ultimo stadio. »

E poi, lui l’alcol lo beveva eccome, sai che gli fregava di essere minorenne? Mana comunque non pareva volerne sapere di smetterla di sventolargli la bottiglia di birra sotto al naso.

« E quindi? Dai Principessa, racconta, che povero sventurato hai irretito stavolta? »

« Un vampiro. »

Mana lo guardò mentre strabuzzava incredulo gli occhi scuri, falsamente ingenuo quanto spudoratamente divertente.

« Cazzo! Roba di lusso! »

« Non usare simili termini volgari, bimbetto. »

« Ma se li usi pure tu! Guarda che ti ho sentito! »

« Io sono un adulto e posso sproloquiare quanto voglio. »

Mana distolse lo sguardo, talmente intento a sistemarsi le lunghe chiome nere mentre parlava che non s’accorse neppure di Kamijo che rapidissimo gli fregò un sorso di birra dalla bottiglia.

« Comunque avanti, racconta! Chi è il Principe stavolta? »

Manabu parve pensarci un po’ prima di rispondere, come se stesse vagliando il modo adatto per presentare la nuova conquista.

« Oddio, non mi ha ancora dato la risposta definitiva, veramente… ma quasi certamente sarà un sì. »

« Cioè vi siete scambiati una promessa di matrimonio? Che carini! »

Il sorriso sornione che permeava il volto di Yuuji Kamijo non si mosse di un millimetro mentre osservava beato gli occhi neri e lucenti di Manabu puntarsi su di lui guardandolo come se avesse appena bestemmiato.

« Si chiama Satoru Okabe, in arte Gackt Camui, e vive a Kyoto. »

« Ed è un vampiro? »

« Così dice lui. »

« Ecco un altro bel tomo, insomma… e sentiamo, cos’ha di tanto speciale? Per avere interessato te che sei il campione dell’indifferenza, qualcosa sotto deve starci di certo. »

« Ecco… l’ho conosciuto tramite quel mio amico, Takeshi, che mi ha fatto ascoltare una sua demo. Bisognerà lavorare sulla sua voce e sulla sua immagine, ma ha potenzialità e un grande carisma e sono convinto di poterlo sgrezzare quel che basta per farlo diventare un diamante. »

« Oh-oh, siamo sicuri di noi, eh Mia Adorata Principessa? »

« Io non  mi sbaglio mai, Kacchan. Ricordatelo sempre. »

E Kacchan sorrise, di nuovo.

« E di te che mi dici? » gli domandò Mana, mentre veniva loro servito il sushi.

Kamijo sembrò pensarci seriamente, e rispose solo dopo aver masticato accuratamente un pezzetto di sushi di tonno e averne inzuppato l’altro nella salsa di soia.

« Dunque… a parte che ho diciannove anni e per colpa tua che hai silurato Tetsu Takano mi sono ridotto a campare facendo consegne a domicilio, tutto come al solito. Sto cercando componenti per la mia band e metto annunci su annunci, visto che non ho la tua fortuna nell’acchiappare al volo nuovi elementi. »

« Io ho il destino dalla mia! E poi scusa… a te piaceva Tetsu? »

« Non particolarmente. »

« E allora perché te la prendi tanto a cuore la sua sorte scusa? »

« Se lui era rimasto io non ero disoccupato. »

« Se vuoi ti prendo come vocalist, sei ancora in tempo. »

Lady Oscar lo ringraziò con un elegante gestaccio del dito medio.

« Lo sai come la penso al riguardo, no? Dimmi quello che vuoi ma io con te sul palco non ci salgo manco morto. Mi spremeresti come un limone senza lasciare manco la buccia. »

« Avanti, non la fare così lunga… »

Mana addentò una fettina di salmone, per un istante sopraffatto dal gusto delicato del pesce crudo.

« Se mi andrà bene, non sarai disoccupato ancora per molto. »

Poi il suo sguardo si fece lontano, non prestò più attenzione neppure al sapore del sushi che aveva in bocca, evitò di incrociare gli occhi scuri di Kamijo e perse il volto nella luce arancione di una lampada appesa lì vicino, mentre ne leggeva gli ideogrammi senza quasi riuscire a capirli.

« Tu sai che cosa voglio io… lo sai meglio di chiunque altro, Yuuji. »

Sì, Yuuji poteva immaginarlo. Mana gliel’aveva detto tante e tante volte cos’era quello che desiderava eppure lui non si sarebbe mai stancato di sentirglielo ripetere.

« Voglio che il mio sogno… possa diventare il sogno di tutti. Voglio ricrearmi il mondo come lo desidero, e per farlo devo arrivare il più in alto possibile. E quel tipo… Gackt, intendo… lui può essere le mie ali e io le sue. E se siamo giunti entrambi a questa conclusione… perché non provarci, allora? Assieme a lui i Malice Mizer possono arrivare a livelli che con Tetsu avrebbero potuto solo sognare, io lo so. Lo sento incredibilmente bene e non ho intenzione di arrendermi ora. Non getterò la spugna mai, poco importa quante volte dovrò cadere. »

Già, non gli interessava, eppure Kamijo riusciva a capire che per uno col carattere di Mana non sarebbe stato affatto semplice se le cose si fossero davvero messe male. Non dubitava comunque che quel ragazzo avrebbe avuto la forza di rialzarsi qualunque cosa gli fosse accaduta. Non era davvero spavaldo come appariva, ma aveva un carisma fuori dal comune. Per quello i suoi compagni lo rispettavano anche se quando lavorava era un despota che metteva bocca su tutto. Perché era uno che aveva un sogno, era uno che per quel sogno lottava, che avrebbe dato ogni cosa in nome loro e che senza sarebbe stato morto come una bambola uccisa.

« Ieri sera… quando gli ho chiesto di diventare dei nostri… avevo la voce che mi tremava. »

E anche in quel momento la voce gli tremava, a Manabu Satou che se ne stava con la testa poggiata mollemente sulle braccia come ubriaco e gli occhi lontani accanto a un sushi che forse non aveva più voglia di consumare. No, Mana non era un robot. Era una persona meravigliosa. Era una persona che amava e soffriva come e più di un essere comune, perché lui riusciva a vedere il vero delle cose e non sempre quelle che scorgeva erano cose belle. Era una persona che amava la vita, e che in fondo in fondo amava pure le persone.

Per questo Yuuji Kamijo lo guardava, e sorrideva.

 

 

 

 

- continua -

 

 

N.d.A. Bene… se dio vuole, con un po’ di anticipo Mad Tea Party è ripartita e potrà proseguire con una certa regolarità. Io come al solito mi esprimo poco, perché ormai saprete che non sono mai o quasi convinta di quel che scrivo. Il capitolo è un po’ breve, e avrei voluto forse dare più spazio a certe cose. Comunque… presumo vada bene così. Vi faccio notare inoltre la guest star d’eccezione: Kamijo dei Lareine, amicone storico di Mana, che comparirà in Mad Tea spesso e volentieri e mi è diventato il re dei fetenti! Mana lo chiama Lady Oscar perché lui è la sua reincarnazione! :P (E non so se avete notato quanto gli somiglia…)

 

Vitani

 

   
 
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