Anime & Manga > To Love-Ru - Trouble -
Segui la storia  |       
Autore: ness6_27    15/09/2013    0 recensioni
[To Love-Ru - Trouble -]
[To Love-Ru - Trouble -]Io sono un’assassina. Niente potrà cambiare questo dato. O almeno credo. Io sono stata la assassina più temuta dell'universo, e penso di poter essere ancora definita tale. Vengo chiamata Oscurità d'Oro, perché io porto con me la lucerna dell'oscurità. O almeno, la portavo, prima che la stella di questo pianeta, che qui chiamano Sole, me la spegnesse. [...] Voglio studiare da vicino questo pianeta con le sue tradizioni, i suoi modi, e tutte quelle cose che lo rendono un pianeta tanto particolare da colpirmi così.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«E anche l'ultimo piatto è stato sistemato.»
«Grazie mille per il pranzo.»
«Grazie a te per essere venuta...g-grazie per essere venuta spesso in questo...periodo.»
Cadde il silenzio nella stanza. C'era qualcosa nell'aria, tutto e tutti sapevano cosa. Perfino i piatti che Mikan aveva un secondo prima sistemato lo sapevano. Ormai erano abituati al continuo andirivieni quasi giornaliero in quella casa. Sapevano che anche oggi la scena sarebbe sempre stata la stessa a quella degli altri giorni da un mesetto a questa parte, e si erano, come dire, abituati.  Sapevano cosa sarebbe successo ora e non si lamentavano più. Rimanevano più silenziosi del solito. In tutti gli oggetti di quella casa sembrava ormai essere caduto uno strano silenzio, rispettoso dei sentimenti provati dalla ragazzina in questo momento. I sentimenti ambivalenti di una ragazza nei confronti di suo fratello. Sentimenti che il fratello sicuramente non poteva riconoscere, non poteva nemmeno lontanamente immaginare, e che ricambiava malamente, con un più semplice affetto amorevole tipico tra fratello e sorella abituati a contare solo sulle proprie forze. Ora, per quanto si mostrasse forte e matura, Mikan non era abbastanza matura per affrontare la morte del fratello. Era un punto di forza, un supporto, un sostegno che le venne a mancare da un momento ad un altro. Lei non era pronta per questo. Non osava nemmeno immaginare di passare una vita da sola, senza di lui. Cioè, sapeva che le loro vite prima o poi si sarebbero separate, che si sarebbero messi insieme con altre persone, si sarebbero sposati e si sarebbero visti solo per eventi importanti. Ma in questi casi ipotetici, se lei aveva bisogno di lui, lui ci sarebbe stato. Come era sempre stato. Questo ora non era più possibile. E lei ora cosa poteva fare? Su chi poteva contare? Sui suoi genitori, sempre assenti? Poteva contare su Yami. Ma forse nemmeno lei sarebbe potuta rimanere per sempre.
Yami si alzò dalla sedia. Fece il giro del tavolo e si piazzò davanti a Mikan, diventata rossa e muta.
Yami: «Mikan...»
Mikan non ce la fece più. Abbracciò Yami talmente forte da sospettare che le stesse facendo male. Ma Yami non si lamentava. Difficilmente poteva sentire dolore per una semplice stretta. Lei ricambiò l'abbraccio. Girò le braccia intorno al collo di Mikan, inclinò la testa in avanti e aspettò.
Mikan: «Non è giusto...per quale motivo lui...non se lo meritava...era un ragazzo semplice...non aveva fatto mai niente di male...era sempre gentile...era mio fratello.»
Mikan scoppiò a piangere.
Mikan: «Che cosa aveva fatto per meritarsi questo?! Sì che in questo periodo era per i fatti suoi. Va bene che quella volta si trovava in un posto che nemmeno io potevo immaginare, visto che lo sapevo con Saruyama da tutt'altra parte. Ma perché?! Avrà avuto i suoi motivi a trovarsi lì, ma non questo! Io qui resto sola! Perché?!»
Yami non aveva mai confidato a Mikan che era lei la causa del cambiamento dei piani di Rito quel pomeriggio. Aveva paura di poter essere incolpata. Yami sapeva che Mikan non l'avrebbe mai accusata. Ma il punto è che Yami stessa si sentiva colpevole della morte di Rito. Era stata causa sua se Rito si era ritrovato a passare su quel ponte, da solo. Per il tribunale del suo animo lei era colpevole di omicidio. Aveva ucciso un'altra vita. Lei non poteva fare a meno di uccidere più o meno volontariamente tutti. Ma basta. Non più, non poteva succedere. Ora lei doveva badare a Mikan. Non poteva rischiare di perdere anche lei. Non sapeva come fare, ma non sarebbe successo.
Yami: «Tranquilla, tu non resterai mai sola. Ci sarò io qui.»
Mikan: «Tu prima o poi dovrai andartene, no? Vorresti restare qui, abituarti ai modi di fare terrestri? Trovarti un lavoro e passare una vita fatta solo di questo? Di questa vita insignificante?»
Yami fissò per un istante Mikan, rea di non aver dato giusto peso a quelle parole. Incominciò a singhiozzare.
Yami: «Non che quella che facevo prima fosse diversa...»
Ormai Yami si era abituata a piangere. Non la vedeva più come una debolezza. Era piuttosto un modo per sfogarsi. Il momento del pianto in sè è brutto, ma dopo un pianto si ritrova un attimo quella serenità che prima non c'era. Un'altra cosa che Yami aveva scoperto stando qui. Certo, c'è voluta la morte di Rito per scoprirlo. Ci sono voluti i giorni passati a confortare Mikan e asciugare le sue lacrime. Per fortuna Yami con lei aveva le spalle larghe e stava sempre ad ascoltarla, anche se spesso ripeteva gli stessi angosciosi e tristi discorsi per giorni.
Ora tutti e due si sfogavano. Una si sfogava di un dolore che l'attanagliava da tempo e che per un altro lungo periodo l'avrebbe tormentata. L'altra piangeva per la situazione in cui si ritrovava dopo la morte del fratello. Passato il culmine della crisi di pianto per tutte e due, le ragazze si guardarono in faccia. Yami prese perfino il viso di Mikan tra le sue mani. Era la prima volta che agivano così dopo queste crisi. Si videro rosse per i singhiozzi, con le guance rigate dalle lacrime. Finirono in una confusione mentale, a causa della tenerezza di quella visione, legata anche al dolore che l'una cercava di placare nell'altra.
Forse, per aiutarsi, dovevano diminuire ancora di più le distanze...
Yami inclinò leggermente la testa verso il basso, e cercò di capire se Mikan si opponesse alla spinta delle sue mani, che avvicinavano le due labbra. Non gli sembrò trovare alcuna opposizione in Mikan a quel gesto. Magari era dovuto tutto alla confusione delle due, ma a Yami la cosa non dispiaceva. Yami socchiuse gli occhi.
Quindi provò ad accorciare ancora quella già piccola distanza...
Il telefono squillò. Fu quello che arrestò la confusione mentale delle due e il loro inconsueto gesto. Mikan fissò Yami per una manciata di secondi, andando poi a rispondere. Nel mentre Yami si asciugava il viso, e si chiedeva come le fosse passata per la testa l'idea di quella azione. Mikan finì di parlare e posò il telefono.
Yami: «Ancora quei pezzi di merda?»
Mikan: «Esattamente.»
Yami: «Hanno finalmente concesso il loculo?»
Mikan: «Sì. Finalmente dopo un mese posso far riposare mio fratello. Le forze dell'ordine avevano messo le basi per un esaurimento nervoso tenendosi il corpo. Gli hanno voluto fare l'autopsia. Che ci devono fare con un'autopsia? È stato un incidente, e basta. Poi ovviamente l'agenzia funebre ha prolungato i tempi della cremazione per manutenzione dei forni. Al cimitero hanno avuto problemi con questo loculo e ho dovuto...»
Necessitò di un attimo per riprendere fiato.
Mikan: «...e ho dovuto passare altro tempo con le ceneri di mio fratello in casa. Per di più i bastardi dei...»
Si fermò nel mezzo della frase e sbattè la testa contro il muro ricominciando a piangere.
Mikan: «...dei miei genitori non si sono interessati più di tanto...impegnati come sono, e c'ho dovuto pensare io. Mah...basta che ora l'anima di Rito possa vegliarci in pace.»
Yami fece per avvicinarsi a Mikan e abbracciarla, ma questa si divincolò e si sedette su una sedia e si buttò sul tavolo, stremata. Yami si chiese se fosse scossa per quel tentato bacio di prima. Da dove cavolo le venne quel gesto? Provò a cambiare discorso. Era interessata alle ultime parole di Mikan, voleva vedere come la sua maturità affrontasse questo discorso.
Yami: «Quindi per te dopo la morte la nostra anima veglia sui nostri cari?»
Mikan alzò la testa dal tavolo e sbuffò.
Mikan: «Comunemente qui si crede questo.»
Yami: «Ma tu che pensi?»
Mikan: «Che penso? Non lo so mica che dovrei pensare. Cosa ci può essere dopo la morte? Possono avere ragione tutti quelli che ipotizzano vari aldilà, come possono in realtà essere degli illusi, tutti quanti. In questo momento io spero solo che dopo aver posato quelle ceneri in un loculo dentro al quale un giorno finirò pure io un qualcosa di lui rimanga e mi protegga. Anche se, razionalmente parlando, questa è un'idea stupida. Quando una persona muore, muore e basta, non si può fare altro.»
Yami: «Voi umani cercate modi per legare un defunto ad un'esistenza alla quale non appartiene. Siete così legati ai vostri cari...»
Mikan ridacchiò.
Mikan: «Questa è la facciata buona degli umani. Ma c'è il risvolto della medaglia: cercare di tenere legati i cari morti al nostro mondo non è un modo per alleviare la loro sofferenza, ma per rassicurare noi stessi. Siamo dei grandi egoisti. Non vorremmo mai smettere di vivere. Vorremmo sempre trovare un modo per rimanere qui, per vivere ancora e ancora. Sento i giovani criticare la vecchiaia, dire che quello è un periodo durante il quale tu sei incatenato nel tuo corpo ormai debole e fiacco, magari malato. Ma i giovani sono, appunto, ragazzi. Sono ancora lontani dal pensare che potrebbero morire, solo perché il corso naturale li vuole ancora distanti dalla morte. Incominciando a invecchiare, incominciando a immobilizzarsi nel peso della vecchiaia, iniziano a sentire la morte. La sentono sghignazzare. La vedono sorridere. Percepiscono l'alone freddo che la circonda. Cominciano a sentirne il fetore nelle narici, e come questo tanfo s'insedia nel loro naso, loro iniziano a comprendere quanto la morte possa essere brutta. Nel nulla non possono più sentire niente, neanche i mali ai quali sono soggetti nella loro anzianità. E questo a loro non va. Anche se i mali della vecchiaia restano l'unica ancora di salvezza, l'unica fiamma vitale che tiene il loro cervello ancora ben sveglio e ossigenato, gli anziani rifuggono dalla morte, e cercano di vivere. E non importa di quanti mali possa portare l'esistenza in sè, l'uomo cerca di vivere e vivere e vivere.»
Yami ripensò alla frase scritta sul suo quaderno, quella legata al desiderio umano dell'immortalità. Pensò a quanto può essere stupido questo desiderio.
Yami: «Secondo te è esatto desiderare l'immortalità?»
Mikan: «So che è umano, ma non so se giusto. No, non credo lo sia.»
Yami: «No, non lo è.»
Ripensò ad altri suoi pensieri attinenti a questa discussione, scritti prontamente sul quaderno.

«Questo è uno dei problemi degli umani. Un loro difetto. Il desidero dell'immortalità. È qualcosa di stupido e assurdo. Per quale motivo si deve poter desiderare l'immortalità, per cosa? Sono consapevole, come ormai tantissimi extraterrestri, che nemmeno l'universo è immortale. Morirà, non si sa precisamente, ma morirà. Potrebbe morire espandendosi all'infinito, perdendo tutto il calore sprigionato dal big bang e divenendo roccia inerte e fredda. Potrebbe morire ritornando nel suo punto originale, riattirando a sé tutta la materia creata, rimpicciolendosi ed esplodere per rinascere in un altro universo. Ma l'universo precedente e tutte le forme di vita in esso moriranno. Anzi, le forme di vita saranno già morte molto tempo prima dell'universo stesso. In sostanza, niente è immortale. Basandoci su questo concetto, perché gli umani devono desiderare l'immortalità? Supponendo che si diventi immortali, cosa succederebbe? Si vedrebbe morire gli altri. Tutti, tutti morirebbero: amici, conoscenti, cari, parenti, mogli, mariti, figli, nipoti, fidanzati, superiori, dipendenti, papi, i baristi di fiducia...perfino il tanto odiato vicino. Dopo che muoiono tutti gli uomini vedresti morire qualsiasi altra forma vivente sulla Terra(o se si riesce, su qualsiasi altro pianeta), e poi morirebbe l'universo. Magari l'immortale in questione esploderebbe con esso, sarebbe soggetto a tutta l'energia sprigionata dai futuri big bang, e nel mentre penserebbe a tutti i big bang in cui ha sofferto e a tutti quelli in cui soffrirà. O magari, inizierebbe a vagare nell'universo sempre e sempre più grande, freddo e vuoto. Tutto questo ha un senso?
 
Un saggio terrestre di tanto tempo fa diceva che è inutile desiderare l'immortalità, perché se si ha vissuto una vita infelice, perché desiderare di soffrire ancora? E se si ha vissuto invece una vita felice, si immagini semplicemente di tornare sazi da un convivio e andare a dormire.»

Siamo qualcosa di passaggio, abbiamo un inizio, un viaggio, una meta e una fine. Siamo degli impulsi fuggevoli. Siamo la disperazione, l'amore, l'orgoglio, l'odio, il risentimento, e tutti gli altri i sentimenti umani messi insieme. Fusi e magari riposti nelle emozioni di qualcuno. O forse nel sogno di un Dio. Non siamo fatti per l'eternità, ma per vivere per un periodo. Per tutta la durata di quell'emozione, di quel sogno. Ma quel sogno dobbiamo farlo finire felice.»

Quel pomeriggio triste passò. Yami quella sera restò con Mikan. Nel tentativo di rassicurarla lei le rivelò tutti quei suoi pensieri scritti dentro quel quaderno. E Mikan si rassicurò, per fortuna. Non ci mise molto per tranquillizzarsi. Yami si era riseduta sul divano e ben presto venne a farle compagnia anche Mikan, tornata con uno sguardo non proprio sereno ma almeno non triste e sofferente.
Mikan: «Ecco...»
Yami: «Cosa?»
Mikan: «Desideravo ringraziarti, per tutto quello che hai fatto per me.»
Yami: «Ma figurati, non ho fatto niente!»
Yami, nel tentativo di farle tornare il sorriso le fece una linguaccia. Mikan si mise a ridere di gusto e le rispose prendendo un cuscino e tirandole una cuscinata in faccia. Una volta Yami avrebbe reagito: si sarebbe difesa dall'attacco di un oggetto tanto soffice e morbido, per paura di farsi male, per istinto di difesa. Ormai sapeva che non era un attacco quello, ma un gioco. Sapeva che quel colpo di cuscino non voleva essere una offesa, ma una manifestazione di affetto.
Mikan: «Ma che scherzi?! Non hai fatto niente?! Mi hai rasserenato ogni cacchio di volta io fossi in crisi, ogni santa volta piangessi, ti sembra nulla?!»
Yami: «Ho le spalle larghe, specie per te. Tu in questo momento ne hai bisogno.»
Mikan: «Specie per me...beh anche io ti aiuterei se dovessi, lo sai. È normale, tra amiche!»
Mikan le sorrise, e poi le strizzò l'occhiolino. Yami perse un attimo lo sguardo nei vuoto, pensierosa, poi le rispose con un sorriso.
Mikan: «Il punto è: avrai mai bisogno del mio aiuto? Ci sarà mai qualcosa sulla quale tu sentirai il bisogno di sfogarti?»
A quel punto Yami non riuscì più a nascondere quella sua preoccupazione: il suo volto si fece per l'ennesima volta pensieroso, pieno di sgomento. Mikan si allarmò per questo, e tentò di calmarla.
Mikan: «Ehi ehi ehi! Cosa c'è?»
Mikan posò dolcemente una mano sulla guancia divenuta rossa di Yami. Lei per tutta risposta chiuse gli occhi è abbozzò una smorfia di pianto. Mikan la richiamò un'altra volta, poi cinse la sua testa con le braccia. Abbracciò Yami e questa poggio la testa sul petto di Mikan. Lei le chiese se davvero qualcosa la tormentasse e Yami, a mò di risposta positiva, incominciò a piangere. Pianse sul seno acerbo di Mikan. Lei la accarezzò e le diede dolcemente una serie di baci sui capelli, per farla smettere.
Yami: «Sì che c'è una cosa che mi angoscia e mi tormenta, era incominciata poco dopo il mio arrivo qui sulla Terra, ma dopo la morte di tuo fratello questo macigno è triplicato! Non ce la faccio più!»
Yami si liberò di tutte le sue ansie quel pomeriggio grazie a Mikan. Si sentì molto più sollevata. Soltanto una cosa ormai le pesava sul cuore: una cosa che non avrebbe mai più potuto sistemare. In seguito, quasi con intento masochista decise di appuntare sul suo quaderno quell'errore, forse nella speranza di rendere meno deciso il segno che quello sbaglio aveva impresso nel suo animo.

«Ho ucciso ancora. Ho ucciso un altro ragazzo. Forse involontariamente ma l'ho fatto.
...
Una volta andai in un pianeta: la Terra. Un posto periferico nell'universo, piuttosto primitivo, ma abbastanza ospitale e tranquillo. Ero lì per compiere una missione. Era il mio lavoro. Un lavoro di merda. Il mio era decisamente un lavoro di merda. Dovevo uccidere un uomo. Wow. Ero comunque più che intenzionata a finire il mio lavoro. Dovevo togliere di mezzo un ragazzino, un pervertito schifoso. Un'altra extraterrestre era con lui, e se lo difendeva con gli artigli e con i denti. Una seccatura insomma. Ma questa mi fece capire quanto grande fosse l'errore che stavo facendo. Innanzitutto perché stavo cercando di uccidere una persona ben diversa da come me l'avevano descritta. Poi perché questa persona mi ha introdotto le bellezze di questo mondo, le sue stranezze e le sue particolarità. Quella persona mi ha offerto un assaggio di Terra e di Terrestri, e io sono rimasta inebriata da tutto ciò. Per quanto la Terra fosse primitiva, questa mi ha aperto la mente grazie a tante piccole cose, e se sono venuta a conoscenza di queste ultime lo devo solo grazie a quel ragazzino. Ma questo ragazzino qualche tempo fa è morto. Il ragazzino a cui devo tutto o quasi non c'è più. E se è morto triste e amareggiato, è colpa mia. Io lo ridussi così quella sera. Ero stanca, nervosa e lui insisteva pesantemente, pretendendo di sapere per quale motivo ero diversa in quei giorni, irritandomi ancora di più. Lo mandai affanculo, credo. Se non lo feci a parole lo feci col pensiero. E lui se ne andò via deluso. Poi il fattaccio: un incidente. Nulla della quale io avessi colpa.
...
Mannaggia a un qualsiasi Dio ancora esistente nella mente di qualsiasi essere credente! Terrestre o meno non importa, mannaggia a Lui! Io ho tutte le colpe! Avrei potuto far andare le cose diversamente! Avrei potuto chiarire, continuare a passeggiare con lui, parlare con quel ragazzo. La cosa in fondo non dispiaceva a me, né a lui. Se dopo quell'uscita l'incidente fosse avvenuto comunque, almeno Rito sarebbe morto felice. Così non fu, a causa mia.
Ora mi porterò questo fardello per tutta la vita.»


«Ti sbagli.»
Yami: «In cosa sbaglio, Mikan?»
Mikan: «Tu non hai nessuna colpa. Questi tormenti sono una parte di te, se una persona ci rimane male perché tu non glie li hai voluti rivelare non è colpa tua. So che sto parlando di mio fratello, ma era tipico che la sua ingenuità diventasse troppo spesso maleducazione. Al tuo posto, lo avrei fatto andar via anche io, anche se fosse stato mio fratello.»
Yami: «Ma che dici, Mikan?! Metti caso che tu potevi anche solo lontanamente sospettare che sarebbe successo quell'incidente sul ponte, lo avresti mandato via comunque?!»
Mikan: «Sbagli fin dall'inizio del discorso: non si può immaginare nessuno che succeda una cosa del genere, Yami! È capitato, è stato un incidente, basta, stop, punto!»
Yami: «Spero che riuscirò ad accettarlo.»
Mikan afferrò il viso di Yami con entrambe le mani e avvicinò i due visi.
Mikan: «Promettimelo. Promettimi che cambierai idea e ti convincerai di non essere l'assassina di Rito.»
Yami chiuse gli occhi, non riuscì a sopportare una tale vicinanza del viso di Mikan preoccupato.
Yami: «Lo prometto!»
Riuscì a non piangere una seconda volta volta. Mikan non sapeva se ciò fosse un bene o un male. Nel dubbio la riabbracciò di nuovo. Dopo un po', gli animi si rasserenarono. Le due ragazze si scoprirono sfinite da tutte quelle discussioni e tutti quei pianti. Ancora abbracciate si lasciarono andare e si distesero sul divano. Adesso stavano tutte e due bene.
Talmente bene che Mikan decise di provare a terminare ciò che Yami aveva iniziato dieci minuti prima e che una telefonata aveva interrotto.
Non era difficile riuscirci, i loro volti erano così vicini...
E Mikan non voleva più solo provare ad annullare quella distanza tra i loro due volti, tra le loro due bocche. Aveva avuto in quel momento preciso il desiderio di conoscere Yami. Già la conosceva, ma adesso voleva conoscerla un po' di più. Giusto un po'. Ed ecco che la sua mano dai capelli incominciò a scendere inesorabilmente sul braccio, poi cercò l'incavo tra questo e i fianchi di Yami. Forse era chiaro anche a Yami che la mano sinistra di Mikan stava puntando al suo seno. A lei questa cosa non dispiacque più di tanto. Perciò aprì gli occhi e cercò di far capire a Mikan che aveva campo libero. Cercò le sue labbra con le proprie. Un bacio, e quelle benedette distanze furono finalmente annullate.

Forse però, tutte queste scene e queste discussioni erano successe solo nella mente di un ragazzino delirante e vicino alla morte, non nella realtà.

|---|
Commento dell'autore: Avevo detto che sarebbe stato l'ultimo capitolo. E invece così non è stato. Anche se il prossimo e ultimo capitolo(già scritto a dire la verità) sarà molto più breve, non potevo fare a meno di dividerlo da questo, in quanto i temi sono completamente diversi, e sarebbe venuto un capitolo decisamente più grande rispetto agli altri.
Per quanto riguarda la citazione del saggio sulla morte, ricordo perfettamente di aver letto questa frase da qualche parte, ma non riesco a ricordare chi abbia detto queste parole. Come ho gia detto, il prossimo capitolo è già bello e scritto, semplicemente aspetterò un altro po' per pubblicarlo e concludere quest'opera. Come sempre, invito a lasciare una recensione sia positiva che negativa e invito allo "stay tuned"! A presto!
P.S. Spero che nessuno se la prendi troppo a male per quella che potrebbe sembrare una bestemmia messa in bocca a Yami verso la fine del capitolo, in quanto io non la considero affatto tale.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > To Love-Ru - Trouble - / Vai alla pagina dell'autore: ness6_27