4.
- Non temere, mercante: le mie mogli si occuperanno della tua donna ammalata.
Così dicendo il thale di nome Sebian fece sparire le dieci monete di Gambrath nella borsa appesa alla sua
cintura. L’uomo, alto e robusto, si girò verso una delle sue due mogli e le diede alcune istruzioni nel loro
dialetto. Poi si voltò nuovamente verso Gambrath e Laniira.
- Dal momento che avete chiesto rifugio presso la mia stazione di posta, le mie figlie si occuperanno di
voi.
Le giovani figlie dell’oste servirono ai due zuppa calda con patate molto piccole e verdure dall’aspetto
piuttosto modesto. Gambrath si trovò subito a rimpiangere l’ospitalità del lontano Cambler. Poco più tardi
l’oste, che a giudicare dall’odore che aveva addosso accudiva di persona i cavalli, si unì a loro a tavola.
Era troppo tardi perché altri ospiti fossero presenti nella sala illuminata da numerose lampade a
olio.
- Vendi chiavi forse, mercante? – chiese a bruciapelo, prima ancora di ingoiare un solo cucchiaio di zuppa.
Gambrath trasalì.
- Non possiedo alcuna chiave da venderti, nobile oste – rispose Gambrath, cercando di non fare troppo caso
al fetore di stalla che emanava l’uomo. Sperò che la zuppa non fosse opera sua. Il bracciale al suo polso
sembrava di ghiaccio.
- Per Elzer! Quale maledizione sarà mai caduta sulla mia testa? Ho due mogli, due figlie e due schiave.
Sono circondato da donne incapaci e devo badare alla stalla io stesso. La mia stazione di posta cade a
pezzi e io mi vergogno a chiedere monete per la zuppa.
- Non la chiamerei maledizione, nobile oste: i tuoi ospiti saranno ben contenti della dolce accoglienza e
non sono tanti coloro che possono permettersi tanto personale – osservò Gambrath.
- Non faccio mercato delle mie mogli e delle mie figlie – ribatté l’oste con sguardo ostile.
- Non l’ho pensato nemmeno per un istante – si affrettò ad aggiungere Gambrath, molto imbarazzato e intimidito
dal tono di voce dell’altro – intendevo solo che…
- Le schiave ti costeranno quattro monete l’una, da quando avranno finito il giro delle altre camere fino all’alba,
se la tua borsa e il tuo inguine te lo permettono. Non osare sfiorare le mie donne o potresti pentirtene – aggiunse
l’oste minaccioso.
- Non leggere inganni o frodi nelle parole di Gambrath, poiché non ve ne si trova. È la parola di Laniira dei
Cerimoniali – ciò dicendo sfilò dal vestito un ciondolo che appeso al collo pallido con un ruvido laccio di cuoio
era riconoscibile inequivocabilmente come lo stemma araldico dei Cerimoniali, recante incastonata al centro la
Sacra Perfezione. Il thale-ma parve sorpreso dall’intervento di Laniira, che aveva visto sbiancare Gambrath alle
poco velate minacce dell’oste. Infatti questi alla vista dell’emblema si affrettò ad aggiungere parole un poco
più moderate.
- Molte persone chiedono rifugio presso di me e non sempre è possibile distinguere l’onesto e il malfattore.
Molte monete ho perduto per queste difficoltà: vogliate perdonare il mio povero modo d’esprimermi dovuto più
all’ignoranza che alla cattiva volontà.
L’oste di nome Sebian chiamò a gran voce la figlia e le ordinò di portare vino e frutta.
- Non vi chiederò monete per il vino di stasera per riparazione all’offesa e come segno di buona
volontà.
Gambrath stava per ringraziare l’oste, rassicurato dall’improvviso cambiamento d’umore dell’uomo, ma Laniira lo
anticipò.
- Non vi è offesa da riparare, nobile oste: avrai tutte le monete che ti spettano.
Gambrath rimase interdetto: Laniira aveva appena rifiutato del vino gratis e il fatto travalicava le sue capacità
di comprensione.
- Ora è tardi e devo ancora accudire la stalla. Una sola stanza è rimasta al piano di sopra: dovrete dividerla
tra di voi. Le mie mogli hanno tentato di preparare due giacigli con i mezzi che abbiamo. Nobile mercante, ti
prego di darmi fin d’ora le due monete per quello che hai mangiato e bevuto e le altre quattro monete per la
schiava – disse Sebian che avendo finito la zuppa, s’era alzato dal tavolo.
Gambrath armeggiò un poco tra le tasche palesi e nascoste dei suoi vestiti per dare l’idea che trovare due
monete fosse una cosa piuttosto complicata. Lasciò il denaro sul tavolo di legno poco piallato con una espressione
quasi addolorata sul viso e disse all’oste di non desiderare la compagnia di nessuna delle sue schiave. Chiese
invece notizie di Lerea.
- Trascorrerà questa notte con le mie mogli mentre io dormirò qui sotto vicino al focolare. Anvaea ha detto che
la febbre non è alta né contagiosa: la tua donna è indebolita dal viaggio e necessita solo di riposo. Ora lei
dorme e dormi tranquillo anche tu, mercante.
Gambrath non si accontentò di quella risposta, ma per non rischiare altri attriti con l’oste Sebian lasciò stare.
Scambiato uno sguardo con Laniira, che aveva divorato la frutta accompagnandola con il vino, decise di andare a
vedere a cosa avrebbe dovuto rinunciare quella notte. Era noto a tutti infatti che le ancelle dei Cerimoniali
venivano scelte tra le molte aspiranti non solo per le loro doti di intelligenza, forza e beltà ma anche per il
loro grande senso del pudore. Facevano tutte voto di castità. Mai e poi mai qualcuno avrebbe visto un’ancella
dei Cerimoniali dare confidenze a chiunque: in quei due giorni che avevano impiegato a raggiungere quella stazione
di posta infatti Laniira non aveva mai dormito vicino a Gambrath e Lerea nemmeno per mitigare il pungente freddo
della notte.
La stanza a loro riservata era l’ultima del corridoio, la più lontana dal focolare che trovandosi al centro della
grande stanza al piano di sotto, riscaldava meglio le camere che si trovavano di sopra grazie alla canna fumaria
in pietra e calce. Le mogli di Sebian avevano dato per scontato che i due avrebbero dormito l’uno accanto
all’altra per difendersi meglio dal freddo e avevano disposto a contatto le coperte e i materassi di paglia.
Laniira non attese neanche un istante: si lasciò andare subito sul primo sacco che fungeva da materasso,
dall’aspetto non eccessivamente rassicurante, e cominciò a slacciarsi i sandali. Gambrath, in piedi sulla
soglia, non sapeva cosa fare ma, notando i piedi della giovane gonfi e piagati dal freddo, non poté fare a
meno di commentare.
- Avrai bisogno di calzature adatte per l’inverno.
- Eh già. Ogni stanza del Tempio è riscaldata d’inverno. Calzo i sandali tutto l’anno poiché solitamente è
Sanija a uscire in città – tristezza e malinconia velarono così tanto le sue parole che perfino Gambrath
intuì il tormento che vi si celava dietro.
- Domani ci incammineremo per Tendria e al mercato cercheremo anche delle calzature adatte a te – aggiunse
Gambrath. Laniira aveva finito di togliersi i sandali che le avevano lasciato orribili segni sui piedini,
sporchi e resi lividi dal freddo.
- E Lerea?
- Da Tendria convincerò qualche uomo di medicina a seguirmi fin qui. Per guarire Lerea spenderei tutte le
mie monete – disse Gambrath sottovoce.
- Allora sarà meglio dormire più a lungo possibile – disse Laniira sciogliendo e rifacendo meglio i nodi che
trattenevano la sua lunga chioma nera, spettinata e aggrovigliata. Vedendo che Gambrath esitava, lo esortò
ad andare a dormire.
- Ma… veramente mi chiedevo se… posso prendere qualche coperta?
Laniira comprese il dilemma del mercante e gli sorrise dolcemente nonostante i piedi doloranti.
- Il mio cuore non mi appartiene più da molto, ormai. Ho abbandonato il Tempio per non farvi più ritorno.
Dormi tranquillamente al mio fianco, Gambrath, ma non pensare di poterti prendere delle libertà. Limitati a
dormire.
Ciò detto Laniira si infilò sotto le coperte ma, forse per un caso, Gambrath ebbe modo di scorgere un lungo
e sottile stiletto nella sua guaina appeso al fianco della giovane ancella. Angosciato dal fatto che la
giovane rinnegata avrebbe anche potuto tagliargli la gola nella notte per rubargli tutte le sue monete,
il mercante si coricò al fianco dell’ancella e si lasciò andare, nonostante il tepore del corpo al suo
fianco, a un sonno leggero e agitato da lugubri fantasmi.
Gambrath aveva seguito con ansia la snella figura di Laniira sparire dentro la tenda della guaritrice, una
delle tante nella piazza grande della città di Tendria dove sorgeva il mercato. La giovane, che zoppicava
sempre più, aveva con sé calzature nuove e bende per i suoi piedi piagati, beni comprati con le monete del
mercante poiché l’ancella aveva candidamente confessato di aver speso tutte le poche monete prima del loro
incontro al fiume. La guaritrice le avrebbe lavato e spalmato le piaghe con unguento medico e con i nuovi
stivaletti di spesso cuoio alti fin oltre le caviglie Laniira non avrebbe più dovuto temere il fango, l’acqua
e forse nemmeno la neve, mentre le bende di cotone e di lana, pagate ben due monete, avvolte sulle gambe fino
al ginocchio l’avrebbero difesa dal freddo.
Il suo pensiero si spostò subito su Lerea: l’oste lo aveva lasciato entrare nella camera delle sue mogli
quella mattina e l’aveva vista addormentata, pallida e scavata in viso, sotto le coperte che le donne le
avevano premurosamente rimboccato. Una delle due donne gli aveva detto che la febbre era passata nel primo
mattino, ma che Lerea aveva sofferto tutta la notte. Dovette confessare a se stesso che non si fidava: sapeva
benissimo che non tutti potevano essere onesti e ospitali come Cambler, ma non riuscire a determinare da che
parte stessero Sebian e tutte quelle donne che spuntavano da ogni dove in quella stazione di posta lo rendeva
irrequieto. A stento riusciva a distinguerle l’una dall’altra tale era la confusione che generavano nella sua
mente; giunse perfino a chiedersi se una o più di quelle donne fosse in realtà una strega sotto mentite spoglie.
Ma non gli era sembrato di vedere chiome fulve, denti affilati o altri segni di palese stregoneria e la notte
era trascorsa tranquilla. O quasi.
I lembi della tenda si scostarono e apparve la guaritrice, protesa premurosamente verso Laniira che camminava
zoppicando vistosamente.
- Faccia piano, padrona, o si riapriranno le ferite! E voi, mercante! Conducetela subito al vostro carro, che
stia seduta il più possibile! Non può camminare a lungo!
Gambrath rimase stupito dalle parole e dal tono della guaritrice. Ebbe una sensazione tale che gli parvero
rivolte non a un modesto ma dignitoso mercante, com’era facilmente deducibile dai suoi abiti, ma bensì come
se fossero state rivolte all’ultimo degli stallieri che sorpreso a oziare gli si affibbia il primo incarico
che si riesce a trovare. Lì per lì Gambrath non seppe che fare se non porgere il braccio come sostegno
all’ancella: non riuscendo a trovare in fretta parole utili per rimbeccare la guaritrice però, si allontanò
piano insieme alla zoppicante Laniira.
- Abituata a comandare, la nostra guaritrice – osservò Gambrath a bassa voce – una nobildonna caduta in disgrazia
forse, e costretta all’arte della guarigione per vivere?
- Colpa mia – rispose l’ancella tra una smorfia e l’altra – Nel chinarmi per bendare i piedi il pendaglio
dell’Ordine dei Cerimoniali è scivolato fuori dal mio abito. La guaritrice l’ha visto subito ed essendo lei
seguace della Divina Perfezione ha cominciato a fare molte domande.
- Come ha osato?
- Non volevo insospettirla con un rifiuto quando mi ha detto che c’è un Tempio a poca distanza da qui. Non è
normale che un’ancella dei Cerimoniali se ne vada in giro, ancor meno se accompagnata… da un mercante,
poi…
Gambrath aprì la bocca per replicare, sdegnato. Come se i mercanti fossero nel numero dei più infimi
malfattori!
- Quindi ho dovuto dirle alcune cose non esattamente rispondenti al vero. Altrimenti sarei dovuta recarmi
al più vicino Tempio per essere curata e in seguito rispedita alla mia assegnazione… Taliba.
- E, di grazia… cosa hai detto, se posso saperlo? – chiese il mercante temendo di conoscere la
risposta.
- Ho detto di avere ricevuto un incarico segreto da parte del Sommo Scelto del Tempio di Taliba, e che
tu, travestito da mercante, sei un servo fidatissimo incaricato di custodire la mia persona.
Gambrath inghiottì anche questo boccone, ringraziando educatamente per essere stato considerato
“fidatissimo”.