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Autore: Shainareth    21/09/2013    2 recensioni
La luna piena, un'atmosfera romantica e un gesto inequivocabile che, manco a dirlo, porterà comunque ad una serie infinita di fraintendimenti.
Breve long di appena due capitoli, che tratta dell'amore e della sua contorta semplicità.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Garu, Pucca
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO SECONDO




Fu una sorta di duello quello che ingaggiarono i loro sguardi il mattino seguente quando, entrando nella sala del ristorante per servire i primi clienti della giornata, Pucca trovò Garu seduto ad uno dei tavoli vuoti addossati al muro del locale. Si occhieggiarono a vicenda con fare sospetto, non sapendo cosa aspettarsi l’uno dall’altra. Poi, finalmente, la cameriera fu costretta ad avvicinarsi a lui per prendere la sua ordinazione e non poté affatto ignorare il calore che aveva iniziato a salirle al viso ogni volta che muoveva un passo nella sua direzione.
   Quasi non fece in tempo ad arrivare a destinazione che Garu le mostrò il menù, indicandole la pietanza che aveva intenzione di mangiare. Era un gesto ordinario, che il giovane compiva con tempismo per evitare che lei gli si avvicinasse troppo e troppo a lungo. Questa volta, Pucca quasi gliene fu grata: tutto era tornato alla normalità, dunque? Probabilmente era meglio così, si disse, mentre prendeva indietro il menù e si dirigeva con aria accigliata e perplessa verso le cucine.
   Dal punto di vista del giovane, invece, non era tornato un bel niente alla normalità se lei non era in grado di regalargli, come ogni giorno, un bel sorriso e una dose di smancerie che fino a poche ore prima gli avrebbero fatto rivoltare lo stomaco – o almeno così avrebbe creduto, se nottetempo non avesse fatto maggior chiarezza in se stesso. Era in previsione di questo che Garu aveva deciso di ricorrere ad un espediente vecchio come il mondo, ma che a quanto pareva funzionava immancabilmente.
   Ebbe successo anche in quell’occasione, difatti, poiché non appena Pucca raggiunse uno dei suoi zii per comunicargli l’ordinazione di Garu, aprendo il menù fu sorpresa di trovarvi dentro un rametto fiorito, proprio lì dove un attimo prima non c’era nulla. Rimasta per qualche istante a bocca aperta, quando finalmente realizzò quanto era accaduto, la ragazza non riuscì a trattenersi da un’esclamazione di gioia, lanciando il menù per aria – che guarda caso colpì in pieno volto il povero Dada che si trovava a pochi metri di distanza – ed esibendo vittoriosa il dono del suo amato.
   Tutti si volsero nella sua direzione e quando focalizzarono la propria attenzione su ciò che lei teneva gelosamente fra le dita, Zio Raviolo sorrise con orgoglio. «Te l’ha davvero regalato Garu?» domandò, asciugandosi le mani sul grembiule. E quando la vide annuire vigorosamente, sprizzando felicità da tutti i pori, fu lieto di informarla che: «I fiori hanno tutti un loro significato ben preciso. Quelli cosa sono? Dei lillà, giusto?» volle accertarsi, interpellando Linguini che stava impastando qualcosa poco lontano da loro.
   Questi gettò un’occhiata al rametto e annuì. «Dovresti essere molto più che contenta, Pucca. Ho sentito dire che i lillà di quel colore simboleggiano l’innamoramento e i primi palpiti d’amore.»
   La fanciulla squittì in preda all’euforia: quindi era proprio Garu, quello che l’aveva baciata la sera prima? Stava già per fare marcia indietro, pronta a gettargli le braccia al collo quando la voce di Ho la riportò bruscamente con i piedi per terra.
   «Ehm… Non per fare il guastafeste, ma io sapevo che i lillà viola simboleggiano la rottura di un fidanzamento.»
   Fu come un pugno in pieno stomaco quello che le tolse il fiato. La delusione fu tale che Pucca neanche prese in considerazione la realtà dei fatti, e cioè che non c’era alcun fidanzamento da rompere, visto che lei e Garu non erano mai stati insieme. Forse Garu si era pentito del bacio che le aveva dato e con quel dannato fiore le stava spiegando che non voleva più saperne di lei.
   Benché cercarono di consolarla e di rassicurarla al riguardo, perché magari Ho ricordava male, Pucca tornò nella sala con le lacrime agli occhi. Ma proprio quando il suo sguardo incrociò quello speranzoso di Garu, la mortificazione e la rabbia ebbero il sopravvento e lei marciò furiosamente nella sua direzione per gettargli i fiori in faccia.
   Il povero ninja la fissò con sgomento, non riuscendo a comprendere nella maniera più assoluta il suo atteggiamento: che diamine le era successo?! La Pucca che conosceva lui avrebbe fatto i salti di gioia per un regalo del genere, mentre quella che gli stava davanti pareva cacciare fuoco e fiamme. Faceva talmente paura che Garu sudò freddo, si appiattì contro la parete alle sue spalle e deglutì sonoramente senza neanche accorgersene.
   Probabilmente fu l’ingresso nel ristorante di altri clienti a salvarlo da qualcosa di terribile. Cosa, in verità, non lo sapeva con certezza, ma preferì non indagare al riguardo.
   «Ehi, Garu…» farfugliò Dada, spuntando dalle cucine con la sua colazione, mentre Pucca andava incontro agli ultimi arrivati senza curarsi di celare il proprio malumore. Il ninja, pur non osando distogliere troppo la propria attenzione dalla ragazza per paura di subire un attacco a sorpresa, gettò un rapido sguardo al cameriere, facendogli capire che gli stava prestando comunque ascolto. «Vuoi davvero rompere con Pucca?»
   Quella domanda ebbe il potere di fargli aggrottare spaventosamente la fronte. Tanto per cominciare, a dispetto di quanto andavano sostenendo tutti quanti, lui e Pucca non stavano insieme. E se anche adesso le cose erano un tantino cambiate – okay, era cambiate un bel po’ –, la questione non doveva riguardare Dada o chicchessia, ma soltanto loro due. Perché mai nessuno si faceva gli affari propri, in quel dannato villaggio?!
   Dal suo sguardo tremendamente infastidito, il cameriere comprese che forse aveva detto qualcosa di sbagliato. «Ehm…» prese a balbettare, torturandosi le mani all’altezza del petto. «Sai… è per via dei fiori che le hai regalato», mormorò con un certo timore, quasi a giustificare la propria indiscrezione. È che a lui pareva un vero peccato che Garu e Pucca si lasciassero… Erano una così bella coppia!
   Di nuovo, gli occhi di Garu parlarono per lui: non aveva idea di ciò che stava blaterando Dada. Il quale, notando un certo smarrimento nell’espressione del suo volto, s’affrettò ad aggiungere: «Beh, a meno che tu non intendessi comunicarle quell’altro significato… Sai, quello sui sentimenti appena sbocciati…»
   Le labbra del ninja ebbero un lieve guizzo verso l’alto: davvero i fiori che aveva regalato a Pucca simboleggiavano le prime emozioni d’amore? Per un puro colpo di fortuna, quindi, aveva azzeccato quelli giusti?
   «Il fatto è che Linguini sostiene una cosa e Ho un’altra», stava continuando frattanto Dada, cercando di capirci qualcosa. Proprio come Garu. Il quale fissò il rametto di lillà con altrettanta confusione. Forse, si disse, avrebbe dovuto andare sul sicuro e regalarle una rosa rossa. La sola idea gli fece rizzare i peli sulla nuca: le rose rosse indicano passione, e se solo lui si fosse azzardato a porgerne una a Pucca, pur evitando equivoci di sorta, probabilmente quella sfacciatella avrebbe preteso di saltare a piè pari ogni tappa di quello che, il più puro Garu, sperava sarebbe stato invece un rapporto idilliaco, finendo per…
   Si costrinse a ridestarsi da quei pensieri tutt’altro che onorevoli non appena realizzò di essere arrossito vistosamente, al punto da indurre Dada a un risolino divertito. Lo fulminò con un’occhiata che indusse il ragazzo a tornarsene in cucina senza ricevere una risposta adeguata circa i fiori di lillà. Rimaneva però una questione spinosa: come far capire a Pucca che lui non intendeva nella maniera più assoluta regalarle dei fiori che simboleggiavano qualcosa? Insomma, il gesto di per sé non voleva già dire che lei era riuscita finalmente a far breccia nel suo cuore?
   Le donne erano maledettamente complicate, concluse Garu, lasciando cadere il rametto di lillà sul tavolo e afferrando le bacchette per iniziare a mangiare. Forse avrebbe davvero fatto meglio a lasciar perdere ogni cosa, tornando ad ignorare i capricci di quella sciocca femmina. Dopotutto era meglio così, aveva cose più importanti a cui pensare, come riscattare l’onore della propria famiglia.
   Fu questo che risolse di fare, spinto dal proprio orgoglio ferito e dalla propria ottusaggine.

Com’è logico supporre, Garu aveva fatto i conti senza l’oste.
   «Che le hai fatto?» domandò Abyo, non capacitandosi di come le cose fossero precipitate a tal punto. Entrambi stavano fissando allibiti uno dei cassonetti dell’immondizia poco distante dal Goh-Rong, che attualmente strabordava di foto e poster in cui il viso di Garu ricambiava il loro sguardo attonito. L’orrore più grande, comunque, fu scoprire che Pucca aveva una collezione tanto grande di suoi ritratti, catturati in chissà quale delle tante occasioni in cui lo aveva accecato con il flash della macchina fotografica. Aveva persino cucito una bambolina di stoffa che lo raffigurava alla perfezione.
   Come avrebbe potuto spiegare, Garu, che Pucca aveva deciso di odiarlo a morte proprio quando lui si era deciso a ricambiare i suoi sentimenti, con un bacio e dei fiori? Eppure già in passato erano bastati stratagemmi del genere per farla smettere di piangere e risollevarle di colpo l’umore. Perché stavolta no?
   Uno strano, fastidioso malessere gli attanagliò lo stomaco assai più di quanto era accaduto la sera precedente, quando si era reso conto di essersi comportato sempre male nei suoi confronti. Forse Pucca era una di quelle donne masochiste, che preferiva essere maltrattata dal proprio uomo, anziché ricevere effusioni d’amore? Che assurdità.
   «Beh», ricominciò Abyo, scrollando le spalle e decidendo di guardare il lato positivo della faccenda. «Per lo meno, ora potrai concentrarti meglio sui tuoi allenamenti.»
   Per gli dei, no! Come avrebbe potuto lasciar perdere ogni cosa proprio adesso che aveva realizzato di provare qualcosa per lei?! A onor del vero, forse avrebbe già dovuto accorgersene quella volta che, per un’immancabile serie di contorti fraintendimenti, si era ritrovato involontariamente a porgerle un anello di fidanzamento proprio nel momento in cui entrambi avevano indossato degli abiti nuziali. Certo quello era stato un caso, e solo a raccontarlo avrebbe lasciato perplesse e incredule parecchie persone; tuttavia, forse, soltanto lui e Pucca si erano resi conto che, sia pure per pochi istanti, le sue braccia si erano mosse nella direzione della fanciulla, come se avesse tacitamente accettato quello stato di cose del tutto imprevisto. Quando poi era tornato in sé, aveva non troppo coraggiosamente cercato – e trovato – la fuga. Tanto per cambiare.
   Senza emettere un solo suono, a parte un energico grugnito di protesta, Garu si accollò del peso di tutto quel ciarpame che lo ritraeva, bambolina compresa, e, ignorando i confusi richiami dell’amico che era incapace di seguire i suoi silenziosi ragionamenti, trasportò ogni cosa fin sotto la finestra della camera di Pucca. A quel punto, fischiò con tutto il fiato che aveva in corpo e attese che dalle persiane schiuse si affacciasse qualcuno.
   Invano, perché a far capolino fu soltanto una graziosa gattina dal pelo chiaro. Yani si accoccolò sul davanzale della finestra e miagolò verso Garu, forse chiedendogli dove fosse il suo adorato Mio. Non era ironico, il destino, che aveva già fatto innamorare, sia pure a modo loro, il suo gatto e quello di Pucca? Ad ogni modo, se Yani rimaneva indisturbata sul davanzale della finestra, poteva significare soltanto che Pucca non era in camera sua. Forse era fuori con il suo motorino, impegnata con le consegne per il ristorante. Beh, poco male: Garu non si sarebbe perso d’animo per così poco.
   «Che vuoi fare?» volle sapere Abyo, curioso come una scimmia. Non ricevette risposta, perché l’amico preferì preservare il fiato non solamente per mantener fede al voto del silenzio fatto anni prima, ma anche per raggiungere la finestra dell’amata con un solo, mirabile balzo. «Lo sai che se i suoi zii ti trovano in camera sua, ti spaccano il…»
   L’avvertimento di Abyo si perse nel vuoto quando, determinato a portare a termine il proprio lavoro, Garu prese in braccio Yani per adagiarla gentilmente sul letto e chiuse le imposte della finestra dietro di sé.
   «È un ninja morto», sentenziò il suo amico, i pugni sulle anche, gli occhi scuri puntati verso il punto in cui il giovane era scomparso.

Quando, finito il giro di consegne, tornò al ristorante sul far della sera, Pucca avvertì una fitta al petto nel constatare che l’immondizia era stata già ritirata. Si era pentita di aver gettato via tutta la roba che ritraeva Garu subito dopo aver inforcato il suo motorino rosso ed essere partita per le vie del villaggio, ma non aveva potuto fare marcia indietro per non creare problemi ai suoi zii, consegnando le ordinazioni a domicilio in ritardo. E adesso che i suoi occhi trovarono il bidone vuoto, la ragazza si sentì tale e quale a lui.
   Si mordicchiò le labbra e, stringendo i pugni, non si diede per vinta. Tornò in sella al motorino, mise nuovamente il casco e partì spedita alla volta del centro di raccolta dei rifiuti della zona, decisa a riprendersi tutto quello che le apparteneva. E, per una volta, poco importava se Dada avesse dovuto sobbarcarsi anche del suo lavoro, servendo i clienti ai tavoli.
   La delusione che ricevette quando uno degli addetti alla nettezza del villaggio le assicurò di non aver ancora ritirato nulla dal ristorante la mise ulteriormente in allarme: qualcuno aveva rubato tutti i suoi preziosi cimeli. Chi poteva essere stato tanto crudele, ben sapendo che per lei Garu era tutto e che senza di lui sarebbe morta? Chi poteva volerle fare del male in modo così subdolo?
   Alla sua mente si affacciò un solo nome e lei, sempre più determinata a riprendersi indietro il proprio tesoro, sfrecciò per le vie a tutto gas, diretta contro l’unico grattacielo di Sooga: questa volta Ring Ring aveva superato se stessa. Beh, no, in effetti era stata capace di fare di peggio, in passato, ingannandola e facendole credere, con l’aiuto di Dada che faceva sempre tutto ciò che lei gli chiedeva, che Garu si fosse innamorato di lei e che avessero intenzione di sposarsi. In ogni caso, anche se adesso la situazione non era grave come quella, Ring Ring l’avrebbe pagata cara lo stesso per questione di principio: Garu era territorio proibito per qualunque altra donna, figurarsi per lei.

Guardò la sveglia sul comodino, proprio quella su cui spiccava il suo bel faccino imbronciato, e si accigliò assumendone la medesima espressione. Ma quanto diavolo ci metteva, Pucca, a tornare a casa? Ormai fuori era buio e lui aveva perso quasi tutto il pomeriggio in camera sua, trascurando gli allenamenti e anche il povero Mio. Forse stava tardando perché c’erano state più consegne del previsto. Dopotutto, circa un quarto d’ora prima, aveva sentito il rumore del suo motorino avvicinarsi, ma poi, dopo pochi minuti di silenzio, sembrava essersi allontanato di nuovo. Perciò Garu aveva pensato che doveva essere arrivata qualche nuova ordinazione all’ultimo secondo e aveva deciso di aspettare ancora pazientemente. E se invece le fosse capitato qualcosa? Impossibile. Pucca era una tosta, tanto che neanche lui, spesso, riusciva a spuntarla contro di lei. Sapeva benissimo badare a se stessa, quindi non c’era davvero di che preoccuparsi al riguardo.
   Acciambellata sul letto accanto a lui, Yani strusciò il musino contro il suo ginocchio, riscuotendolo da quei pensieri e attirando la sua attenzione. Sentendole fare le fusa, Garu si lasciò andare ad un sorriso e prese a farle dei grattini sotto la mascella. Adorava i gatti e quel genere di effusioni erano capaci di rilassare appieno anche lui.
   D’un tratto, però, un fragoroso boato investì prepotentemente le sue povere orecchie, procurandogli quasi un infarto e facendo rizzare il pelo a Yani, che soffiò spaventata e balzò giù dal letto per rintanarsi in un angolo della stanza. Recuperando il fiato, Garu si precipitò alla finestra, la spalancò e vide una nuvola di fumo propagarsi sopra i tetti del villaggio. Cosa poteva mai essere accaduto? Cosa poteva essere esploso in quella direzione? Un lampo lo colse e un brivido gli attraversò la schiena.
   Saltò giù dal davanzale e atterrò saldamente al suolo; quindi, senza perdere un solo istante, si precipitò verso il luogo in cui, ne era certo, doveva trovarsi quella pazza della sua innamorata. Non sarebbe certo stata la prima volta, quella, in cui lei e Ring Ring radevano al suolo mezzo villaggio per una banalissima lite fra adolescenti – dove spesso, senza che lui avesse fatto nulla, suo malgrado si ritrovava persino coinvolto.
   Continuando a spostarsi per le vie del villaggio, correndo a perdifiato e rischiando di travolgere la folla in preda al panico, Garu si rese conto di non riuscire a capire bene cosa stesse accadendo. Fu perciò costretto a darsi una spinta verso l’alto per raggiungere il tetto di un’abitazione vicina e fu allora che individuò l’esatto luogo dell’esplosione. Trattenne a stento un’imprecazione quando si rese conto che il suo istinto non si era sbagliato: quelle due fanatiche si stavano accapigliando come due pazze isteriche, rotolando l’una sull’altra tutt’intorno allo spiazzo che si era creato a mo’ di arena quando gli abitanti del villaggio erano accorsi ad assistere alla zuffa, disponendosi tutt’intorno alle due aspiranti lottatrici di… Come mai poteva definirsi quell’assurda lotta che non aveva la minima regola né il minimo stile? Garu fece una smorfia, dovuta alla propria deformazione professionale. Ciò nonostante, quando si avvide che, in lontananza, stava giungendo di gran carriera Bruce con la volante della polizia, decise che era il momento di farla finita una volta per tutte.
   Facendosi coraggio, piombò nel bel mezzo della battaglia, pronto a fermare quelle due invasate prima che il padre di Abyo le sbattesse in cella. Sfortuna volle, ovviamente, che proprio in quel momento, con l’ausilio di una delle lunghe maniche del proprio abito, Ring Ring avesse afferrato uno dei detriti della sua palazzina ormai in malora e lo avesse già lanciato in aria. Inutile dire contro chi si abbatté, facendolo crollare rovinosamente al suolo e ridicolizzando la sua trionfale ed eroica entrata in scena.
   Con un urlo allarmato, Pucca accorse in aiuto dell’amato, tirandolo fuori da quella pessima figura e cercando di rimetterlo in piedi. Proprio quando vi riuscì, tuttavia, si udì un gorgheggio da soprano che quasi perforò loro i timpani. «Maledetta Pucca!» gridò Ring Ring, per nulla interessata al fatto che si sentiva avvicinarsi la sirena della polizia. «Come hai osato colpirmi così a tradimento?! Non ti ho fatto niente!»
   Sconcertato da quell’affermazione, Garu si volse a fissare l’accusata che ancora lo sosteneva per un braccio: solitamente azioni immotivate come quelle erano da attribuirsi a Ring Ring, non a Pucca. Quest’ultima, tuttavia, non era dello stesso avviso della sua eterna rivale. Si espresse con vigore in versi e in gesti che forse ad altri sarebbero sembrati incomprensibili, ma che invece Garu, abituato da sempre a comunicare con lei in quel modo a causa del mutismo della fanciulla e del proprio voto del silenzio, afferrò alla perfezione. Davanti a quella spiegazione, fu sul punto di schiaffeggiarsi il viso con rassegnazione; tuttavia dovette rimandare a tempi migliori, perché non soltanto Bruce si stava già facendo largo fra la folla con il suo fischietto, ma per di più Ring Ring stava per partire nuovamente all’attacco.
   Il ninja afferrò saldamente Pucca per la vita e balzò oltre l’altra combattente, dandosi la spinta contro le rovine della sua abitazione e scomparendo fra il nuvolone di polvere che ancora si levava sopra le loro teste. Alle loro spalle, i due ragazzi poterono udire nitidamente un nuovo, rabbioso urlo di Ring Ring che malediceva la cameriera del Goh-Rong e tutta la sua stirpe.

Fu solo quando furono distanti dal villaggio che Garu si concesse il lusso di riprendere fiato, atterrando all’uscita di una macchia di alberi non troppo lontana dal punto in cui sorgeva la sua modesta casetta di legno. Mise giù anche Pucca e, lasciandosi cadere accanto a lei, si riempì i polmoni d’aria. Tossì a causa della polvere che ormai li ricopriva da capo a piedi e sentì che anche la fanciulla era alle prese con il medesimo problema. Trasse un profondo respiro e si volse a guardarla: se ne stava accoccolata su se stessa, mortificata e in lacrime come una bambina, bianca per aver attraversato il nuvolone di detriti e con il viso pieno di graffi e i capelli spettinati che erano in parte sfuggiti all’acconciatura in cui era solita pettinarli ogni giorno. Avrebbe voluto sgridarla per il disastro appena combinato giù al villaggio, ma si rese conto che non sarebbe stato corretto, perché la colpa di quanto accaduto era stata anche sua, seppur in minima parte.
   Si limitò dunque ad afferrare una delle lunghe ciocche di capelli neri che le ricadevano attorno al capo e a tirarla gentilmente al fine di attirare la sua attenzione. Funzionò e la sola vista di quegli occhi a mandorla lucidi e gonfi di lacrime, gli fece male al cuore. Garu non era mai stato bravo a consolare le persone, ma doveva riconoscere con se stesso di essere capace di consolare alla grande Pucca. Si sporse nella sua direzione e premette le labbra contro la sua fronte, facendola sobbalzare per la meraviglia. Certo quel gesto gli era costato un bel po’ di rossore al volto, dovuto alla timidezza congenita che proprio non voleva saperne di abbandonarlo, ma per lo meno Pucca smise di piangere e questo gli fu di gran sollievo.
   Si sfregò la nuca con fare impacciato, distogliendo lo sguardo dal suo per pochi attimi prima di trovare il coraggio di spiegarle, sempre tramite quel linguaggio che soltanto loro due erano in grado di capire, che Ring Ring non c’entrava nulla con la perdita dei suoi effetti personali e che, anzi, questi ultimi non erano affatto andati smarriti: li aveva semplicemente presi lui, riportandoli in camera sua.
   Se Pucca avesse potuto esprimersi a parole, gli avrebbe posto questa semplicissima domanda: Perché? Perché Garu non voleva che lei gettasse via le sue foto, se aveva intenzione rompere ogni rapporto con lei? Il tarlo del dubbio si insinuò nella mente della ragazza: forse, allora, con quei lillà viola lui voleva comunicarle il suo amore appena nato? Oppure, com’era più logico supporre, Garu non aveva assolutamente fatto caso al tipo di fiore che le aveva donato, perché poco propenso a curarsi di questo genere di faccende. Non sarebbe stato difficile da credere. Poteva perdonarlo. A patto che lui, ovviamente, perdonasse lei. E dal momento che l’aveva appena tratta d’impaccio, sia pur momentaneamente, da una situazione tutt’altro che semplice, era ormai palese che ogni dissapore, fra loro, fosse svanito nel nulla.
   Rimaneva, tuttavia, un’altra questione in sospeso.
   Indicando se stesso e la fanciulla, ridotti in condizioni pietose a causa della fuga rocambolesca in cui si erano cimentati pochi minuti prima, Garu si alzò in piedi e le fece cenno di seguirlo. Pucca non obiettò, affiancandosi silenziosamente a lui verso quella che, la conosceva come le sue tasche, era la strada più breve che li avrebbe portati alla foresta di bambù. Era proprio lì che tutto era cominciato circa ventiquattr’ore prima e, forse, sarebbe stato lì che ogni cosa sarebbe stata chiarita.
   Certo ormai la luna non era più piena e probabilmente non ci sarebbero state più le lucciole e i grilli, ma andava bene lo stesso. Fu questo che pensarono entrambi quando, dopo una doccia rigeneratrice, si accomodarono insieme sotto al porticato per godersi la brezza della sera. E in effetti non colsero alcun bagliore sulla superficie della polla d’acqua, ma il sottofondo dei grilli c’era ancora, rompendo il silenzio del posto, così ben riparato e intimo. Garu lo amava per questo, perché poteva respirare l’aria pura del verde che lo circondava e rilassarsi grazie alla serenità che quel suo piccolo eden personale riusciva a trasmettere al suo animo.
   Mio sbadigliò pigramente, lasciandosi andare al suo caratteristico verso ovattato, lo stesso con cui dimostrava affetto al suo padroncino. Questi chinò lo sguardo su di lui e prese a grattargli il pelo scuro al di sotto del musetto, pensando che quello che stava vivendo era il miglior momento della sua vita, con Mio acciambellato in grembo e Pucca avviticchiata al suo braccio, intenta anche lei a fargli le fusa. A ben guardare, non c’era poi molto altro da chiarire, fra loro. Garu non era un campione di romanticismo e poiché né il voto del silenzio né la timidezza potevano aiutarlo granché ad esprimere a dovere quel che provava, aveva lasciato che Pucca lo capisse da sola. Non le era stato difficile, questo era certo, anche perché quando i loro occhi si erano incrociati al chiaro di luna come la sera precedente, era stato lui stesso a farle cenno di sedergli accanto. Questa volta, comunque, s’era ben guardato dal farsi guidare dall’istinto, limitandosi a crogiolarsi nel calore della sua vicinanza, senza pretendere contatti diversi da quello di un abbraccio.
   Andava bene così ad entrambi. Un passo alla volta, e forse un giorno sarebbero riusciti a vivere la loro storia d’amore come una vera coppia.












E questo è quanto. Ho aggiornato con un giorno di anticipo, ma va bene così. Spero di non essere andata troppo OOC con i personaggi, ma ho pensato che, passando gli anni, qualcosina potesse essere cambiata, magari con un Garu un po' più morbido e una Pucca un po' meno spensierata a causa degli ormoni. :°D
Mi è dispiaciuto non aver inserito Ching, ma non avevo un ruolo vero e proprio da darle e non mi andava di inserirla così, giusto per: avrei solo allungato inutilmente il brodo, senza una valida motivazione.
Ad essere onesta, non mi sembra di essere affatto portata per le storie troppo romantiche (e si vede), ma ho voluto provarci comunque. Penso che d'ora in avanti, se dovessi scrivere altre storie sul fandom, saranno tutte piuttosto idiote come la shot che ho postato ieri. Sono la mia specialità, non riesco a creare fanfiction troppo serie, anzi.
Comunque sia, nonostante tutte le imperfezioni, mi auguro che questa breve long sia piaciuta a qualcuno.
Buon fine settimana a tutti,
Shainareth





  
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