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Autore: K a m i l a h    22/09/2013    4 recensioni
∙ Classificata 8° al concorso "La ragazza e il soldato" di darllenwr ∙
Luglio 1918.
Konstantin Fëdorovič Vasil'ijev è un bolscevico.
Presta servizio ad Ekaterinburg sotto il commissario Jurovskij.
La famiglia Romanov è sua prigioniera.
E Marija Nikolaevna tiene prigioniero lui.
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Non ti avrebbero riportato nessuno. Non avrebbero riportato in vita tua madre né tuo fratello, trucidati sui cancelli dell’Aleksandrovskij; ancora lo puoi vedere Kolja, morto là, e mama quattro giorni dopo. Mentre a Carskoe Selo si beveva vodka.
Lo guardi adesso il tuo Zar, che sulla sedia si gode gli ultimi bagliori del sole.
E sua figlia. Più bella di qualsiasi altro tramonto.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Periodo Zarista, Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Миф о Романовых ≡ Il mito dei Romanov'
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Костя
Kostja



Eccola
La testa ti martella, il cuore balza in gola e le mani tremano. Quelle mani, che si stringono attorno al fucile e si beano del potere che quell’arma ti conferisce. Hai il mondo nel tuo pugno quando fai scorrere le dita sulla canna liscia, il calcio ligneo. Ed il rombo che segue al bagliore biancastro ti vibra nelle viscere e ti fa sentire Dio. 
Ma quando la vedi camminare lenta, d'un'umiltà altera, forte di quattrocento anni di storia che le gravano sulle spalle, semplicemente quel fucile pare scivolarti dalle mani, e null’altro conta più, perché tu la vedi, lei ti vede, e ogni cosa va a farsi fottere in quegli occhi di cielo che ti scavano l’anima e te la restituiscono più leggera. Non c’è odio dentro quel mare invernale che infuria in balìa del vento dietro quelle iridi, non c’è rancore; e questo non lo sopporti. Far del male e aspettarsi altro male, a questo ci sei abituato. Far del male, seviziare, ridurre esseri umani in uno stato animale, e sentirti poi chiamar per nome nei suoi timidi sussurri che rimangono sospesi nel gelo, questo no. Non è a questo che sei avvezzo. Non a parole gentili, carezze, occhi colmi di pietà. Non dopo quel che le hai fatto.
Ti sembrava tutto più facile solo un anno prima, quando si scendeva in piazza a sparare contro la guardia zarista assieme a donne, ragazzi, contadini strappati dalle loro terre inaridite ed operai grigi quanto le presse sotto cui si spezzavano la schiena venti ore al giorno. Ti sei distinto fra i bolscevichi quel giorno, trovandoti fra la prima linea che spezzò per sempre quei cancelli di un palazzo così lontano, così distante da ogni cosa che in vita tua hai mai visto ed avuto; gli occhi non sono stati capaci di realizzare quel che avevi attorno, non ti è stato possibile comprendere come potesse esserci tanta ricchezza al centro della miseria più bastarda, quando anni prima hai visto  uomini lottare contro animali per accaparrarsi le ultime spoglie congelate di una lepre in putrefazione. Non potevi concepire che la bestialità di quelle persone, gli aristokratov, giungesse fino a tanto. Sai che a Carskoe Selo hanno servito salse da mille rubli agli operai manifestanti  dopo che lo Zar in persona li aveva ricevuti e apostrofati duramente degli eventi d’appena quattro giorni prima. Dell’evento in cui Sua Maestà s’era bagnato nel sangue, nel tuo sangue, credendo poi di poter far ammenda, lui e la sua cagna renana, con i rubli del tesoro imperiale. Quel sangue non vale i soldi di dieci, cento Zar, ti sei detto. Non ti avrebbero riportato nessuno. Non avrebbero riportato in vita tua madre né tuo fratello, trucidati sui cancelli dell’Aleksandrovskij; ancora lo puoi vedere Kolja, morto là, e mama quattro giorni dopo. Mentre a Carskoe Selo si beveva vodka. 
Lo guardi adesso il tuo Zar, che sulla sedia si gode gli ultimi bagliori del sole.
E sua figlia. Più bella di qualsiasi altro tramonto.
«Kostja!» ti chiama. E tu non puoi che girarti.




 

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