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Autore: Solitaire    25/03/2008    5 recensioni
nemmeno noi siamo solo logica e calcolo, per il semplice fatto che si arriva a un punto dove non c’è alcuna logica né alcun calcolo e la differenza è fatta solo dalla nostra volontà
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Roxas, Zexyon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Anisotropia

 

Anisotropia

 

 

apri le finestre

 

Le pareti dei corridoi e delle sale sono coperte di scaffali, da terra sino quasi al soffitto, e il soffitto si perde in altezza. Poi, ci sono altre librerie, in mezzo e fra le sale, come pareti divisorie, sistemate in modo da formare sentieri, strade, crocevia, piazze e nicchie. Ogni scaffale strabocca di volumi, dal ripiano più basso sino all’ultimo.

Zexion raccoglie libri su ogni mondo. Raccoglie anche altri oggetti, ma i libri hanno la priorità.

L’immensa costruzione, in realtà più simile a una base spaziale fluttuante, ma che suona molto meglio con il nome di castello, non rende certo un problema avere spazio. C’è n’è più di quanto ognuno di loro possa occuparne, anche con la più sfrenata fantasia e se alcuni mantengono un’ascetica austerità nei propri locali, o si accontentano di poche stanze spoglie, altri sembrano avere deciso che, se non hanno Cuore né diritto di esistere, almeno possono godersi tutte le comodità materiali degli universi.

Negli anni, l’ala del castello di proprietà di Zexion si è trasformata in un incrocio tra una biblioteca e un labirinto, qualcosa di cui Vexen ha cercato più volte di imparare la pianta, ma Zexion cambia spesso la disposizione delle pareti e la configurazione del dedalo, quindi studiarla è inutile. Solo lui può fare da guida nel suo intricato regno.

E’ buio, anche. C’è solo il chiarore della neve esterna, che riflette e diffonde e rimanda attraverso le finestre le luci stesse del castello, e la debole fosforescenza del pavimento e del soffitto bianco latte. Nemmeno quella delle pareti, perché le pareti sono ricoperte dalle librerie.

La luce non è necessaria a nessuno, meno di tutti a Zexion, con i suoi sensi innaturalmente acuti persino per un nobody e le percezioni psichiche. E’ solo una questione di abitudine, il ricordo di un tempo in cui la luce era indispensabile alla vista, almeno per alcuni di loro. Ma, anche allora, Ienzo preferiva la penombra.

 

La neve si scaglia contro le vetrate.

 

lascia entrare l’inverno

 

Zexion è seduto per terra, di fronte a una delle librerie.

Tira fuori un libro dal piano più basso, quello a livello del pavimento. Lo studia per alcuni secondi. Guarda la copertina, lo sfoglia qualche minuto. Lo chiude con attenzione e se lo posa sulle ginocchia. Tiene le mani appoggiate sul volume, delicatamente, sfiorandolo appena, togliendo inesistenti e impossibili granelli di polvere. Sembra quasi che abbia paura di rovinarlo solo toccandolo, ma che si rifiuti di tagliare il contatto fisico con esso.

Vexen non sa che genere di libro sia. La copertina è una lastra di metallo verdastro senza alcun simbolo.

Non importa. Potrebbe essere una raccolta di spartiti musicali, il testo unico e originale di qualche pianeta scomparso, un libro di ricette. Il suo atteggiamento non cambierebbe.

 

“Non hai mai avuto alcun rispetto delle persone, eppure veneri i libri, che sono opera loro. Alla resa dei conti, solo un loro derivato.” gli ha chiesto un giorno.

Zexion gli ha sorriso con quel suo sorriso da ragazzino, spontaneo e innocente.

“Perché sono la fonte più ricca da cui attingere. Qui dentro trovo tutto quello di cui ho bisogno per sapere come trattare con loro. Qui c’è tutto quello a cui riescono a pensare, a immaginare, a sognare, a temere. Questa è la loro anima, trascritta e messa a disposizione per chi è in grado di decifrarla.”

 

Da quella volta, Vexen ha capito. Zexion non ama i libri in quanto tali. Essi sono solo il suo territorio di caccia, e i predatori sono i custodi e i protettori del loro territorio.

Non gli ha più chiesto nulla, ma è stato attento a non lasciare mai che leggesse i suoi scritti, e non gli sembra strano che Zexion celi i suoi archivi con un codice indecifrabile. La sua anima non la scopre.

 

Il giovane estrae un libro da una delle file superiori e al suo posto inserisce quello con la rilegatura di metallo verde che tiene sulle ginocchia.

Ricomincia a esaminare il nuovo libro, sereno e infinitamente metodico nel suo modo di agire.

La scarsa pazienza di Vexen comincia ad agonizzare.

 

“Aspettiamo anche Lex.” mormora Zexion, del tutto consapevole dello stato d’animo del suo compagno.

“E quando si degnerà di farsi vedere?”

“Non lo so. Ha detto che doveva terminare un lavoro di manutenzione all’impianto termico di una serra.”

 

Anche se per Lexaeus la parola di Zexion è sempre stata prioritaria su qualsiasi altra cosa e se gli avesse detto di arrivare all’istante, sarebbe già qui. Ma entrambi hanno mantenuto abbastanza buon senso da rendersi conto che non è il caso di abbandonare il lavoro proprio in questa stagione e Zexion non dà ordini. Mette solo le persone di fronte a scelte e fa in modo che esse scelgano quello che lui desidera.

 

Allora perché con me…

 

Ma non gli ha ordinato di raggiungerlo subito. Non gli ha ordinato niente. Ha detto solo che ha bisogno di parlargli e che è una cosa importante. E’ stato lui, di sua spontanea volontà, a presentarsi subito.

Tutto considerato, la colpa di dover attendere è solo sua.

 

Indispettito, Vexen si allontana. I primi passi risuonano fragorosi in mezzo a tutti i libri, ma si smorzano quasi subito. Dopo un po’, non provocano più alcun rumore.

Perde anche l’orientamento. 

I corridoi non sono cambiati, ma non ha idea di quale strada imboccare né dove dirigersi. Avanti, indietro, lateralmente. Il suo cervello non riesce più a elaborare una mappa. Dove si trova, dove deve andare, quale direzione seguire. Mancano completamente i punti di riferimento cognitivi.

Non può neppure pensare di aprire uno dei sentieri delle ombre, perché non ha la minima idea di quale sia la sua attuale posizione spaziale, di dove si trova rispetto a qualsiasi cosa.

Sarebbe curioso o spaventoso, in qualsiasi altro posto, con chiunque altro. Qui, è solo irritante.

Perlomeno, distingue ancora l’alto dal basso, o si troverebbe per terra. No, gli ha solo tolto l’orientamento, non l’equilibrio.

Di una cosa deve proprio dar credito a Zexion. E’ sempre stato un ragazzo pieno di fantasia. Niente di nocivo o doloroso. Gli ha solo reso del tutto impossibile andarsene.

Fissa l’attenzione a uno dei disegni del pavimento e, usandolo come riferimento, retrocede di alcuni passi.

Come previsto, è subito di nuovo accanto a Zexion. Non si è mai allontanato più di un metro o due.

Il giovane non ha battuto ciglio, come inconsapevole della tentata fuga del suo ospite.

Un altro libro, uno dalle pagine colorate, un colore diverso per ogni pagina.

 

“Ho del lavoro da fare.” esclama Vexen, esasperato.

 

Aprire il libro, sfogliare il libro, chiudere il libro.

 

“Aspettiamo Lex.” ripete.

 

Aspettiamo Lexaeus, allora.

 

Riporre il libro, scambiandolo di posto con un altro.

Ricominciare tutto da capo.

 

Talvolta, Vexen ha dubbi su chi sia il più pazzo fra loro. Di sicuro, Zexion è un buon candidato ai primi posti.

I tratti caratteriali di ognuno di loro si sono fissati in ossessioni. Lui stesso non ne è risparmiato, se ne rende conto, e la sua passione per la ricerca è diventata compulsione, così come l’immaginazione sfrenata di Xehanort si è trasfigurata nella natura sognante e irrealistica di Xemnas. Come la leggerezza di Braig è ora l’incosciente indifferenza di Xigbar. Come la dedizione e la disciplina di Aeleus si sono mutate in protettività omicida.

La mente di Zexion è rimasta intrappolata in una rete di complessità. Il suo mondo si è trasformato in flussi di dati connessi l’uno all’altro in strutture estese in troppe dimensioni perché esseri come loro possano comprenderle.

E’ impossibile per chiunque capire quello che Zexion è in grado di percepire e come lo percepisce, perché nessuno ha un sistema di riferimento. E’ impossibile anche solo immaginare quali conseguenze può avere quella corrente continua e immane di informazioni. Come riesce a organizzarla in un insieme ordinato, senza esserne sopraffatto e perdere la ragione, Vexen può cercare di spiegarselo, ma non può, realisticamente, credere di comprenderlo, né di comprenderne gli effetti.

Con loro comunica ancora con i mezzi umani, eppure, Vexen ha la quasi certezza che per Zexion quella sia ormai una lingua straniera, una che conosce alla perfezione, ma che non è la lingua con cui pensa. Che il suo linguaggio, il suo vero linguaggio, sia uno schema cifrato di cui sembra che nessuno abbia la vera chiave di codifica.

E’ convinto che anche gli assurdi rompicapo e i complessi disegni che traccia con le librerie siano un sistema di comunicazione, ma diretto a chi, non lo sa. E non sa neppure chi sia in grado di decifrarlo. Lui, no di sicuro.

 

Il polso sinistro di Zexion è avvolto da quello che sembra un ornamento metallico, un ibrido tra un bracciale e un guanto. Un terminale biomeccanico innestato che gli permette di interfacciarsi a svariati apparecchi. La pelle intorno all’impianto è lievemente arrossata, indizio che non lo estrae da tempo, abbastanza da superare anche l’adattabilità fisiologica di un nobody.

Alcune delle macchine a cui si connette incrementano il suo potere di proiettare il pensiero. Senza aiuto artificiale, può sfondare le pareti dei Mondi più attigui. A mente potenziata, può spingersi in buona parte dei Mondi della rete dimensionale per trovare altri nobody, vagliare pianeti, esplorare, prima di mandare sonde e investigatori.

Niente di strano nell’uso dei dispositivi di magnificazione mentale. E’ il fatto che abbia deciso di rendere permanente l’innesto a impensierire Vexen. Quelle unità sono molto fastidiose. Non rimuoverla significa che ha cominciato a fare un uso delle sue apparecchiature tanto continuo e frequente da rendere poco pratico o inutile l’estrazione.

Perché e a quale scopo, Vexen non lo sa, ma spesso si è trovato a pensare che Zexion sia più a suo agio a comunicare con le sue macchine che con chiunque.

 

Dipendenza dai suoi poteri?

 

In quasi dieci anni, ha avuto modo di scontrarsi con problematiche sanitarie in precedenza sconosciute, perché comparse con la loro specie neonata. I nobody sembrano immuni da gran parte delle situazioni cliniche che affliggono gli esseri completi. In cambio, ne hanno di proprie e caratteristiche, per di più, di solito, individuali, visto che la maggioranza di loro appartiene a specie diverse e la loro natura di origine si mescola alla comune natura acquisita e alla particolarità degli elementi a cui sono legati.

Dal punto di vista del ricercatore, un sogno. Da quello del medico, una follia.

La possibilità di una dipendenza dai propri poteri è tutt’altro che trascurabile, e potrebbe trattarsi di una problematica limitata a un solo soggetto, o una tendenza generale e Zexion solo il primo a manifestarla.

Valuta, infastidito e irritato, la possibilità di quell’eventuale, ulteriore emergenza da fronteggiare, riproponendosi di analizzarla in seguito e cercare eventuali segni comparativi in altri individui, anche più irritato con sé stesso per essersi convinto subito della peggiore delle ipotesi, anche senza la minima evidenza a supporto, quando forse il giovane è solo occupato in qualche progetto di cui non ha discusso.

E’ che lui è quello rimasto più legato alle conseguenze della loro materialità, e la realtà non gli viene ricordata con sofismi e questioni, ma a colpi di ossa frantumate e sangue perso e muscoli strappati. E’ a lui che tocca sanare gente così incoscientemente noncurante della propria stessa incolumità da superare abbondantemente l’insano. E’ a lui che tocca vegliarli quando non sono gli inumani padroni degli elementi, ma solo grovigli di carne e sofferenza, rigettati sulla terra dalla vulnerabilità dei loro corpi.

E’ a lui che tocca riportarli alla perfetta efficienza solo per vederli lanciarsi verso nuove forme di autodistruzione, certi di non potere provare nulla, di non essere esposti a quello che colpisce i mortali, per poi trovarsi ad annegare nella più basilare pulsione di sopravvivenza, quella che è più forte in loro che in qualsiasi altro essere degli universi, quella che li ha tenuti e li tiene in vita. E allora strisciano da lui, per essere riportati in questa esistenza che sembrano così decisi a disprezzare, solo per accorgersi, quando sono sul punto di perderla, che non possono farne a meno.

E nessuno si rende conto che, ogni volta, deve lasciare un po’ di sé stesso in loro, perché nulla si ottiene senza pagare qualcosa in cambio e lui non è Marluxia, che può usare, plasmare, indirizzare la vita altrui, dovunque la trova. Lui può usare solo la sua.

Non se ne rendono conto o non importa loro o tutte e due le cose. Prendono quello che può dare e se ne vanno senza mai voltarsi.

Non c’è nessuno a cui, negli anni, non ha donato almeno una volta un frammento di esistenza.

Vorrebbe odiarli, solo che non riesce. Cerca dentro di sé e quello che trova è una rabbia torpida e senza sfogo. Allora, la sola cosa è tagliare ogni legame con loro, erigere pareti, fare sì che non siano persone, ma solo casi da risolvere e allontanare.

Facile. Lui è ghiaccio e il ghiaccio forma barriere invalicabili.

Così, si aggrappa ai dati materiali. Pianeta, età, specie, cultura, caratteristiche fisiche e ambientali. Non vuole nulla di personale, nulla di individuale.

Non li conosce. Non vuole conoscerli. Non vuole sapere nulla di quello che sono stati. Deve già ricordare sé stesso e gli altri cinque. Non vuole dovere ricordare anche gli altri. Per questo basta Xemnas, che insiste a conoscere ogni particolare della vita dei suoi seguaci.

Per sapere con chi ha a che fare, dice.  

Per nutrire il suo masochismo, rotolarsi nel cordoglio e avere una buona ragione per barattare quelle vite con un infinito numero di altre vite, è convinto Vexen.

 

“Vexen…”

 

Quasi non si è accorto che Lexaeus li ha raggiunti e lo osserva quietamente interrogativo, al fianco di Zexion che ha finalmente abbandonato i suoi libri. Il telepate ha sul volto una specie di mezzo sorriso che intacca pesantemente i nervi di Vexen.

E’ cosciente di essere il più facile a leggere, fra tutti loro. Si tradisce sempre. Quando non sono le parole, che a volte sembrano formarsi spontaneamente suo malgrado, sono i pensieri, e i pensieri non può neppure sperare di controllarli.

Probabilmente, Zexion è del tutto consapevole di essere stato studiato fino a quel momento, e anche delle conclusioni prive di senso a cui lui è arrivato.

Probabilmente, non ha fatto che ridere per tutto il tempo.

Vexen si scuote e fa cenno agli altri due di muoversi. Alla fin fine, può sempre fingere che quello che Zexion, o chiunque altro, pensi di lui sia trascurabile.

Il giovane fa loro strada fra i passaggi del labirinto, fino allo studio che, invece, non cambia mai, se non per l’aggiunta di qualche nuovo oggetto. Appena arrivati, si dirige alla scrivania e si mette ad armeggiare con uno dei computer.  

Quasi un’intera parete dello studio è formato da una vetrata aperta sulla notte e sulle corti del castello.

I vetri vibrano sotto l’assalto della bufera.  

Vexen chiude gli occhi e abbraccia l’inverno, vola con ogni fiocco di neve sopra la città, oltre la città, fino alle rive bianche. Al ghiaccio che ha ricoperto le acque costiere, che allunga lingue e propaggini verso le distese oceaniche. Alla banchisa che ha cominciato a solidificare il mare.

Sorvola le faglie geotermiche disseminate sul mondo, oasi di vita stentata sopravvissuta alla catastrofe che ha strappato il pianeta all’orbita della sua stella. Ogni anno il freddo guadagna qualche passo, ogni anno riduce lo spazio a disposizione dell’esistenza.

Fino a quando non sono arrivati loro, che hanno riempito quel mondo della loro specie scacciata da tutti gli altri mondi. Hanno incanalato il calore residuo. Hanno purificato le acque dai veleni. Hanno mutato la vita per renderla più forte e resistente. Hanno illuminato la notte.

Per la prima volta in milioni di anni, il freddo ha perso terreno.

 

“Cosa è successo alle serre?” chiede a Lexaeus.

“Il freddo ha irrigidito i polimeri isolanti delle condutture idriche nella serra delle colture r-isomeriche.”

 

apri la finestra apri

 

Aprire le porte all’inverno. Lasciarlo entrare in quel castello ai confini del nulla, che da tanti anni gelo e oscurità stringono d’assedio.

 

porta l’inverno

 

Cristallizzare i suoi abitanti, che sfidano con il loro calore e la loro vitalità la lenta e fredda morte del pianeta.

 

toccali tutti, dal solitario re nella sua torre all’arrogante bambino che osa giocare con la tempesta

poi, solo immobilità e pace e silenzio

 

Congelare quegli alieni che hanno osato prendere possesso di un mondo agonizzante che non li vuole, che si ostinano a combattere per restare in vita in un universo che non li riconosce.

 

Follia!

 

Folle come gli altri, anche lui.

Il vento non ha voce. Ha rumore.

La neve non ha voce. Ha silenzio.

E’ solo aria e acqua e il risultato di anni di oscurità.

 

“Ci sono state infiltrazioni?”

“No. Me ne sono reso conto in tempo.”

“E’ presto per un freddo simile.”

“Sì. Peggiorerà.” mormora Lexaeus.

 

Peggiorerà, certo che peggiorerà. L’inverno è iniziato da poco più di un mese. Sono solo al principio.

Un nuovo inverno, ad aggiungersi a tutto il resto, al lavoro interminabile e incessante per restare vivi giorno dopo giorno il ghiaccio ricopre il mare e lui potrebbe ricoprirlo in un battito di ciglia

L’inverno non è buono, non è fonte di piacere.

Sopravvivere nel loro mondo è un impegno a tempo pieno. Ottenere acqua, energia, cibo. Conservarli, distribuirli. Rimediare alla continua usura dei loro sistemi di sostentamento. L’attività geotermica permette la vita, ma rilascia elementi tossici che contaminano le faglie idriche e acidi che corrodono gli isolanti. Gli organismi nativi hanno una biochimica incompatibile a quella di quasi tutti loro e hanno dovuto importarne da altri pianeti, o modificarli drasticamente e tenere sotto controllo le mutazioni.

Inverno vuol dire solo altro pericolo, altre difficoltà. Vuol dire prepararsi a prevenire il disastro e prepararsi a rimediare al disastro che capiterà in ogni caso. Per quanto siano pronti e forti, il pianeta è sempre più forte di loro e infinitamente più paziente e costante, ed erode tutte le difese che innalzano contro di lui.

L’inverno è ogni anno più lungo, ogni anno più freddo il ghiaccio spegne il cuore ardente del pianeta e lui potrebbe spegnerlo in un respiro

 

Zexion si alza e lascia la poltrona della consolle a Vexen.

 

“Vieni, siediti.”

 

A malavoglia, abbandona la finestra e si siede di fronte allo schermo dove scorre un tracciato colorato.

Riconosce subito quello schema. Gli è diventato familiare con gli anni. Lo ha osservato, lo ha studiato, lo ha memorizzato. Lo conosce in ogni dettaglio. Potrebbe disegnarlo a occhi chiusi. Lo ossessiona ogni istante dei suoi giorni. Spesso lo sogna.

Sono le stimmate della loro dannazione. La prova della loro precarietà nel mondo.

Eppure, questo è diverso.

Valuta la possibilità che appartenga a un essere completo, ma non presenta le strade cieche, le deviazioni e la struttura omogenea e amorfa di quelli umani. E’ una struttura di tipo cristallino, a celle regolari e ripetute.

No, indubbiamente è lo schema mentale di un nobody. Un alto nobody. Uno di loro.

Però manca delle tipiche dislocazioni e delle bizzarre distorsioni che costellano gli schemi mentali di tutti loro. Le celle elementari della struttura sono perfettamente simmetriche. Nessuna linea di indebolimento. I tracciati sinaptici sono i più efficienti possibili, privi di qualsiasi ridondanza.

E’ una vera e propria opera d’arte e anche qualcosa di più.

L’irritazione per essere stato strappato al suo lavoro sparisce.

 

Zexion si è appollaiato sull’angolo della scrivania. Stringe in mano un piccolo oggetto lucente e ci giocherella pigramente e aspetta.

 

“A chi appartiene?” gli chiede Vexen.

“E’ Roxas.”

“Sei stato tu?”

 

Il giovane annuisce quasi impercettibilmente.

Per un attimo, Vexen ha la paradossale idea che si tratti di uno scherzo. Una strana, contorta forma di beffa ideata dal telepate.

Ma no. Non può credere che scherzerebbe su una cosa simile. Non perderebbe mai l’occasione di sbattere ancora una volta in faccia a tutti la sua genialità. Vorrebbe dire far credere di essere riuscito a fare qualcosa per poi negarlo. 

No, quello mai.

 

Zexion apre altre schermate. Una serie di grafici comparativi e cascate di dati numerici.

Questa volta le proietta con ologrammi direttamente al di sopra della scrivania, in modo che siano visibili da tutti e tre i presenti.

 

“Questi sono i dati relativi all’evoluzione mentale di Roxas. Qui è all’inizio, appena trovato. La sua struttura psichica non mostra nessuna inconsueta differenza rispetto a quella comune a tutti noi. Qui dopo tre settimane di permanenza fra noi, il momento in cui ho cominciato a lavorare su di lui. Come vedi, ci sono cambiamenti piuttosto limitati, anche se non ha mai mostrato una particolare tendenza alla degenerazione. Questi sono monitoraggi settimanali da quel momento, sino a quello finale, rilevato all’ultima visita di controllo, ieri. A distanza di cinque mesi dalla sua nascita, poco più di quattro mesi da quando ho cominciato a lavorare su di lui.”

“E’ stabile.”

“Né più né meno di un qualsiasi essere completo.”

“Non è più sensibile a fenomeni di degenerazione.”

“No.”

“Come ci sei riuscito?”

“Ho invertito i termini del problema.”

 

Zexion ha pronunciato quelle parole con noncuranza e quanto a Lexaeus, non è particolarmente sorpreso. Non che sia un individuo facile a lasciar trasparire quello che pensa, ma Vexen è sicuro che almeno questo caso lo avrebbe scosso. Lui è scosso, lo ammette.

Forse, Lexaeus sapeva già cosa Zexion voleva mostrare.

Il ladro e il suo complice, come sempre.

 

Ci sono stati altri, oltre a loro tredici. Persino altri riportati vivi nel mondo nero. Eccetto loro, nessun alto nobody è riuscito a mantenere la propria forma e coscienza per più di qualche settimana o qualche giorno o, addirittura, qualche ora. Tutti sono degenerati in una forma inferiore.

Avere accanto un uomo o una donna, pensante e razionale, e sapere con certezza che quella condizione non durerà. Avere davanti i loro schemi mentali e vedere le prime linee di cedimento. Piccole, quasi impercettibili, dapprima. Ma quelle linee cominciano a correre, come crepe su una superficie di ghiaccio. Vedere quelle fratture propagarsi, unirsi l’una all’altra, allargarsi, senza poter fare nulla per fermarle. E nessun segno esteriore del cambiamento in atto. Nessuna alterazione nel comportamento e nella forma. Una trasformazione che si innesca solo secondo il principio del tutto o niente.

E’ solo quando le crepe si sono diramate in tutta la struttura che la mutazione si attiva. Allora bastano pochi minuti, in una totale indifferenza, e al posto dell’uomo o della donna c’è solo una sagoma distorta e pallida e nemmeno il rimpianto di quello che ha perso, perché non c’è neppure più la capacità di rimpiangere.

Ogni giorno, da anni, immancabilmente, monitorizza gli schemi suoi e dei suoi compagni, in cerca dei segni di cedimento che precedono l’inarrestabile mutazione.

Un’altra cosa da mettere in conto per non legarsi a nessuno.

Perché il ghiaccio forma barriere, ma si scioglie e si spezza alla minima crepa.

 

Zexion solleva la mano e la orienta verso il lampadario. L’oggetto trasparente che stringe fra le dita cattura la luce e proietta macchie colorate sulle pareti.

Un prisma, dunque?

No, non un prisma. Non ha la forma di un prisma. Sembra più un cubo di vetro, ma è così piccolo che la mano di Zexion quasi lo nasconde e Vexen non può essere certo della sua forma.

 

“Ho commesso un errore.” mormora il giovane.

“Una novità.” brontola Vexen. Spera che la sua ironia non si perda.

“Ho commesso un errore con Roxas. Non avevo capito chi fosse.”

“Sei stato proprio tu a scoprire da chi è stato originato.”

“Questo rende solo l’errore più grave. Sono entrato nella sua mente quando era priva di difese. Ho visto il momento della sua nascita, ancora fresco nella sua memoria. Ho visto come è nato e da chi, lui e Naminé, una dualità. Ho toccato la mente di Sora, in quell’istante in cui sono stati una sola mente. Ho visto quello che era capace di fare e non mi sono interessato ad altro. Non l’ho più degnato neppure di uno sguardo. Un nobody privo di memoria consapevole, nato con un gemello ombra. Se qualcuno mi avesse chiesto di ipotizzare un caso simile, prima di documentarlo in concreto, avrei considerato molto probabile che non potesse svilupparsi oltre al livello di un crepuscolare. Di certo, che non potesse mantenere la stabilità. Ho sbagliato. Ero talmente convinto che sarebbe degenerato che non mi sono neppure preoccupato di effettuare su di lui un’analisi approfondita e, così, ho perso tempo.”

“Eri preso da un altro lavoro e chiunque avrebbe commesso il tuo errore.” mormora Lexaeus.

“Fossero stati anche tutti gli abitanti di tutti universi a sbagliare, non toglie che io ho sbagliato.”

 

Lo stesso tono che l’adolescente Ienzo usava per tiranneggiare Ansem e tutti gli abitanti del palazzo reale, quando non bastavano lusinghe e ostinazione.

Quel tono che dice chiaramente che sta affermando l’ovvio e che solo uno stupido non sarebbe in grado di accorgersi di una cosa tanto evidente e tu non sei stupido quindi sei d’accordo con me, giusto?

 

“Eppure, alla fine ti sei accorto della sua peculiarità.”

Zexion scuote il capo.

“E’ stato Luxord a portarmelo, circa tre settimane dopo. Aveva notato alcune alterazioni nel suo solito comportamento. Esiste un limite alle sollecitazioni che un essere vivente, umano, nobody, heartless, può sopportare. Immaginiamo le tensioni a cui qualsiasi creatura è potenzialmente sottoposta come un dominio. All’interno del campo degli stati tensionali, il comportamento è elastico, quindi la struttura psichica torna alla forma originale una volta cessata la causa della tensione. Superata la frontiera, il punto di snervamento, la struttura incorre in fenomeni non-lineari, nel caso di una psiche umana la frattura fragile, con conseguente rottura e morte, in quello di un nobody una deformazione plastica, ossia irreversibile.”

“La degenerazione in una forma inferiore.”

“Esatto. La mente di un nobody ha tenacità, duttilità ed elasticità molto superiori a quelle di un essere completo, ma una durezza e un limite di snervamento molto minori al loro carico limite di rottura. Quindi, il carico di tensione dopo del quale la psiche di un nobody si deforma è inferiore a quello superato il quale la mente umana si spezza. Quando Luxord me lo ha portato, ho analizzato Roxas e mi sono accorto che era straordinariamente stabile rispetto a quanto avevo previsto per lui. Lo stato tensionale del suo continuo psicologico era ancora elevato, ma il dominio elastico si era dilatato e si erano formati nodi dove si distribuivano e disperdevano gli stress di struttura. Inoltre, mancava di una buona componente di tensioni interne rispetto a tutti noi. E’ stato poco dopo aver cominciato a lavorare su di lui che mi sono reso conto che non solo Roxas non provava quel senso di incompletezza che abbiamo sempre considerato la costante, praticamente la condizione necessaria, per essere nobody, ma che, per quanto si sforzasse, non riusciva e ancora adesso non riesce a capire cosa intendiamo.”

“A me sembra…”

“Finge. Ci dice quello che noi aspettiamo di sentirci dire.”

“Perché dovrebbe farlo?”

“In parte perché lui stesso è convinto di provare quello che noi proviamo, in parte perché non vuole essere notato e crede che conformarsi sia il modo migliore per mimetizzarsi, come Luxord. Conosco i suoi pensieri e le sue sensazioni meglio di lui. Non c’è traccia di desiderio per la condizione umana. Adesso, per quanto Roxas non sia fisicamente dissimile da noi altri, è differente per due condizioni. La prima è che non ha consapevolezza della sua umanità. Non ha un sistema di riferimento conscio di confronto fra la sua situazione attuale e quella passata. A prescindere dalla nostra possibile differenziazione dall’identità precedente, tutti noi riteniamo comunque coscienza di essere stati qualcosa di diverso. Lui no. Il secondo fattore che lo differenzia è Naminé, e lei è un discorso ben più complesso di quanto non ci siamo permessi di credere.”

“Ero rimasto al tuo rifiuto di avere a che fare con Naminé.”

“Mi rifiuto di avere contatti mentali con lei, non certo di studiarla. Naminé è peculiare e non umana, indubbiamente, ma non è un nobody. Di sicuro, non è il nobody di Kairi.”

 

Questa notizia, almeno, non sorprende Vexen.

Naminé non è stata generata da Kairi, il cui corpo giaceva in coma, ma dallo stesso Sora nel momento della nascita di Roxas.

No, nessuna sorpresa in questa notizia.

Naminé che non è come loro, non lo è mai stata, non lo sarà mai. Nata diversa.

E chissà fino a che punto la presenza di Naminé ha influito sul cosiddetto errore di Zexion. Se la paura - sì, paura - che il telepate prova per la ragazza lo abbia accecato al punto da fargli rifiutare anche i primi contatti approfonditi con il suo gemello, fino a quando l’azione di Luxord non lo ha messo di fronte alla realtà.

 

Gli arcobaleni proiettati sulle pareti sono percorsi dalle ombre riflesse della neve esterna. Chiazze scure che scorrono verso il basso, per sparire non appena escono dalla zona illuminata del muro.

Alcune delle piccole ombre si fermano, tornano indietro, si uniscono, compongono minuscole figure umanoidi, si prendono per mano e cominciano un girotondo.

 

“Nel momento della morte,” seguita Zexion “alcuni individui hanno una tale volontà di continuare a esistere e una tale capacità di manipolazione, che riescono a plasmare le Forze in un nuovo Corpo, a dargli vita e originare un nobody. La memoria, conscia e inconscia, diventa la matrice su cui viene impresso. Siccome il processo non esula dal principio universale della massima disponibilità delle Forze e del minimo dispendio di energia, il nuovo essere è formato, basilarmente, delle stesse Forze che costituivano il corpo origine, anche se la perdita della componenti di Luce e Oscurità è notevole. Il nobody è generato dalla volontà. Inconsapevole, ma nondimeno dalla volontà, cioè da un’elaborazione mentale. La Mente è affine al Crepuscolo, di conseguenza, la Mente sostituisce la massa persa dal corpo origine con equivalente quantità di Crepuscolo. L’heartless, invece, non nasce da un atto volitivo. E’ un’entità individuale che si ritrova privata in modo traumatico del suo ambiente naturale, quello per cui si è evoluta e adattata, che gli permette la sopravvivenza. Quando viene strappato dal corpo, l’heartless sottrae alla massa origine la sua massa propria, ma questo non gli basta per esistere, così sostituisce la componente mancante con equivalente massa di Oscurità, che è la Forza più affine alla Vita. Anche se noi diciamo di essere il corpo originale, in realtà dovremmo definirci come parte di esso rimaneggiato e ricombinato. Purtroppo, sembra che la volontà necessaria a imprimere le Forze in una forma stabile e vitale sia possibile solo inconsciamente e in punto di morte, probabilmente a causa della spinta motivazionale, che è la più pressante concepibile, soprattutto per creature dotate di forte volontà, ossia proprio quelli che danno origine ai nobody.”

“Hai provato a creare duplicati materiali.” esclama seccamente Vexen.

“Ci sono riuscito, se è per questo, solo che la loro esistenza è effimera. Il mio risultato migliore, finora, è durato poco più di due secondi. Naturalmente, io non ho la motivazione dell’estrema sopravvivenza e la matrice che adopero è uno schema di pensiero razionale e cosciente e non un intero continuo mnemonico, e l’elaborazione di un pensiero cosciente e razionale, persino il mio, ha comunque un ritardo, con conseguente perdita di segnale.”

“Potresti provare a scendere in prima linea. Magari, trovarti in pericolo di vita ti fornirebbe dell’incentivo giusto.”

“Magari sì. Per adesso, le mie repliche sono solo illusioni condensate in materia. Non hanno esistenza autonoma perché non sono vive. Se riuscissi ad avere l’insieme completo di tutte le informazioni che compongono un’entità, e sufficiente volontà per imprimere le Forze, ne otterrei un perfetto duplicato, con tutte le caratteristiche dell’originale. Se quello che voglio riprodurre fosse un essere vivente, anche il duplicato sarebbe vivente, visto che la vita ne è un suo aspetto, e gli esseri viventi autoalimentano la propria esistenza. Concretizzando le mie illusioni, credevo di avere superato il problema dell’indeterminazione, eppure il risultato è sempre incompleto, quindi non vivente, quindi instabile. Io sono obbligato a mantenere fissata nella mente l’intera configurazione di quello che materializzo perché, appena perdo concentrazione, la replica si disfa. Colui che origina un nobody non deve farlo. Basta un istante in cui esiste l’immagine perfetta dell’insieme di informazioni che compongono l’essere vivente. Nel momento in cui questa immagine è completa, si forma la sua matrice e questa imprime le Forze a formare il duplicato, o meglio, la rielaborazione della versione precedente. Questo diventa concreto e, siccome è perfetto, allora è anche vivente e, siccome è vivente, continua a esistere, autonomo rispetto al suo creatore che, in effetti, cessa di essere, perlomeno nella forma originale, in quanto la massa di Forze che componeva la sua entità è scissa fra il nobody, l’heartless e, in parte, dispersa.”

“Però i nobody non sono copie identiche all’originale.”

“No, non lo sono. Al di là delle differenze esteriori, che dipendono in buona parte dalla percezione di sé, manca un elemento.”

“Il Cuore.”

“Esatto, il Cuore, che non è parte dell’organismo origine, ma un elemento estraneo. Abbastanza estraneo che la mente inconscia dell’originale sa che è alieno. Evidentemente, nel continuo psicologico degli esseri viventi ci sono gli schemi della loro esistenza come esseri individuali, privi del Cuore, e sono quelli che prendono concretezza. Così, quando il nobody è creato, non ha Cuore, perché esso non è… compreso nel progetto primitivo. E’ solo un’aggiunta successiva, che non viene considerata. La sua mancanza è uno degli elementi che rende il nuovo essere differente, perché, comunque, il Cuore contribuisce all’ambiente in cui si è sviluppato l’originale, a cui si è adattato, che ha concorso a farne quello che è.”

“Il problema che è sempre sorto con la clonazione. I cloni non sono mai la perfetta replica dell’organismo madre, in quando non è possibile ripetere tutte le variabili ambientali a cui esso è stato sottoposto durante la sua vita. Basta la minima variazione a portare a un risultato differente.”

 

Zexion annuisce. Cambia l’orientamento dell’oggetto di vetro e l’arcobaleno si sposta sulla parete. Le piccole figure-ombra corrono per raggiungerlo, tenendosi per mano.

 

“Qui arriviamo a Naminé, nata insieme a Roxas nel momento in cui Sora ha liberato il suo Cuore. Naminé non è effettivamente un nobody e, certamente, non il nobody originato da Kairi, quanto piuttosto una proiezione secondaria della volontà di Sora, influenzata dalla presenza contemporanea nel suo corpo del suo Cuore e di quello di Kairi. Nel Cuore di Kairi potevano esser contenute parte delle memorie di lei o, addirittura, il suo intero complesso mnemonico. Mescolate alle memorie comuni di entrambi i ragazzi, sono servite da matrice secondaria. Quando Sora ha liberato il suo Cuore, quest’ombra ha impresso un secondo essere, che definiamo, non del tutto propriamente, nobody.”

“Sora deve essere un individuo notevole, per essere stato capace di fare una cosa simile.”

“Sora è indubbiamente un soggetto notevole, ma conoscendo il potenziale mentale di Roxas e di Naminé, la cosa mi stupisce relativamente. Continuo a pensare che sia inconcepibile usarlo solo come sterminatore di heartless, senza poterlo studiare. Dovremmo avere qui anche lui, soprattutto visto che abbiamo anche gli altri due.”

“Dubito molto che Xemnas approverebbe una cosa simile.”

“Immagino proprio di no.”

“Come può l’esistenza di Naminé influenzare Roxas?”

“Naminé può essere una delle cause della sua amnesia. Il Sora originale ha subito una doppia scissione e, accertato che la memoria ha una componente concreta, quando di lui è stato portato via da Naminé? Naturalmente, questo vuol dire poco. Le memorie possono essere duplicate, in modo che tutte le componenti le posseggano. Oppure possono essere semplicemente suddivise, con tutte le situazioni intermedie fra questi due estremi. Sappiamo che Xehanort ha mantenuto, almeno in parte, memorie possedute anche da Xemnas. Purtroppo, finora, possiamo limitarci a questo esempio e non siamo mai riusciti ad avere Xehanort sotto controllo per approfondire la questione.”

“Nel caso di Naminé, si tratta di una terza individualità, oltre a Roxas e Sora?”

“Forse una quarta. Noi pensiamo sempre alla scissione in termini di due esseri, heartless e nobody. In realtà, potrebbero essere tre, contando l’individuo origine. La scissione avviene a un livello assai più basilare di quello meramente spirituale. E’ una scissione fisica. Per questo non posso dire se l’Anima d’origine permane e, in quel caso, chi essa sia, il nobody o l’heartless. L’Anima è un aspetto inscindibile del Corpo e il Corpo originale è suddiviso. Non sono in grado di stabilire se quello che resta della massa origine è sufficiente per parlare di stesso individuo, oppure no. Anche se sono sempre più incline a propendere per il no. Nei casi come il nostro, quando la scissione origina un solo essere senziente, è più semplice comportarci come se noi fossimo effettivamente gli individui che ci hanno originato. Roxas mi ha detto che se ricordo di essere stato Ienzo, allora sono Ienzo. E’ una presunzione del tutto scorretta se non viene dimostrata, ma al fine pratico funziona. Quando però la scissione causa la nascita di due esseri senzienti, diventa estremamente complicato definire i limiti della personalità. In questo caso, ne sono coinvolti almeno tre, forse quattro. Roxas, Sora, Naminé e il Sora originario, che non è necessariamente quello attuale. Paradossalmente, questa condizione si è rivelata un vantaggio per Roxas. Gli esseri completi fissano alcuni punti fermi della loro esistenza emotiva, i cosiddetti ancoraggi motivazionali, e li usano come riferimenti e ammortizzatori di tensione. Nel momento in cui Luxord me lo ha portato, Roxas stava cominciando a sviluppare spontaneamente dei nodi di dispersione che sono l’analogo degli ancoraggi motivazionali. Ognuno di questi nodi era rappresentato da combinazioni di condizioni in cui si era trovato. In cui si era trovato come nobody, questo è l’aspetto fondamentale. Mai riferimenti alla sua vita umana, quasi completamente inaccessibile alla sua coscienza. Il meccanismo dei nodi è teoricamente molto più efficace di quello umano, a causa della struttura a reticolo cristallino della mente nobody. Inizialmente, in Roxas il sistema perdeva gran parte della sua efficacia a causa di un’asimmetria di distribuzione e dello sviluppo embrionale dei nodi di dispersione. La potenzialità, comunque, era presente. Ho quindi cercato il modo di aumentare il numero di questi nodi e di distribuirli uniformemente in tutta la sua architettura psichica. Il risultato lo vedete. Il continuo psichico di un nobody è in uno stato di metastabilità. Sufficienti sollecitazioni lo spingono a una modificazione irreversibile verso una nuova condizione di equilibrio con un’energia potenziale inferiore. La duttilità impedisce la frantumazione e la conseguente morte, tuttavia le deformazioni plastiche sono più facili. Il persistere inconscio alla condizione umana fornisce, in determinate concomitanze di tensione, l’energia minima bastante a sconvolgere il metaequilibrio. Ecco perché la degenerazione è più frequente nei primi tempi come nobody. Superata la fase critica di adattamento, si allarga il dominio degli stati tensionali, quindi diventa meno probabile raggiungere il limite di snervamento, ma la possibilità è sempre presente e tutt’altro che esigua. Nel caso di Roxas, invece, la condizione metastabile sarebbe qualsiasi condizione diversa da quella di nobody superiore. Anche se mutato in umano, una qualsiasi perturbazione lo riporterebbe allo stato di nobody.”

 

Vexen si appoggia stancamente allo schienale. Per una volta, non sa che dire.

Tra un po’ sarà in grado di chiedere spiegazioni. Esigere chiarimenti. Porre obiezioni.

Tra un po’. Forse.

Per ora, qualunque commento sarebbe solo inadeguato.

 

“Adesso cosa intendi fare?” si limita a chiedere.

“Adesso devo trovare il modo di applicare la procedura a tutti noi. Con Roxas è stato facile, avevo meno zavorra mnemonica a ostacolarmi.”

“Vuoi spazzare via i ricordi della nostra vita precedente?”

“Non ho certo intenzione di spingermi a tanto. La memoria funziona secondo complesse catene associative. Eliminare i ricordi della vita umana significa cancellare anche tutte le conseguenze di quelle memorie. Ci ritroveremmo con un pugno di dementi fra le mani, in condizioni di gran lunga peggiori di quelle di Roxas al suo arrivo. A ogni modo, ho provato a risvegliare in Roxas qualche ricordo. Non incrinano la stabilità di sistema. Sembra che, una volta ottenuto l’equilibrio, esso viene bloccato e sia autoalimentante, esattamente come quello degli esseri completi. Nelle sue condizioni attuali, non solo non corre il rischio di degenerare, ma non è neppure possibile provocare la sua degenerazione artificialmente. Non sono i ricordi della vita umana a costituire il problema. E’ l’usarli come sistema di riferimento. Ora la volontà di Roxas è alimentata dal suo essere nobody. Se pure ricordasse cosa è stata la vita umana, essa verrebbe semplicemente messa a paragone della sua esistenza attuale, non l’inverso, come facciamo noi. Comincerò quindi col recidere i legami emotivi con i nostri ricordi. Presumo che, al massimo, basterà non renderli accessibili al pensiero cosciente.”

“In questo caso, non ci troveremmo nelle condizioni iniziali di Roxas?”

“Roxas è un caso spontaneo. Io mi accerterei di fare un lavoro mirato, offuscando solo le memorie necessarie.”

“Credi che qualcuno accetterà di perdere i propri legami con il passato?”

“Non vedo la ragione per rifiutarlo. E’ possibile che non siano neppure nostri ricordi e, in ogni caso, se rappresentano una minaccia alla nostra vita, devono essere rimossi. Vexen, se tu avessi tra le mani un paziente con un tumore che minaccia la sua vita, eviteresti di operarlo perché il tumore fa parte di lui? Adesso abbiamo i mezzi adeguati. Il castello Oblio è persino più efficiente di quanto non sembrasse alle indagini preliminari. Noi ancoriamo la nostra volontà a una situazione precedente a quella in cui viviamo, addirittura, forse a una situazione che, in realtà, non abbiamo mai sperimentato direttamente, ma di cui riteniamo i ricordi. Dobbiamo spostare la messa a fuoco della nostra vita a un tempo successivo a quella della trasformazione.”

 

Cancellare la loro vita passata. O cancellare il significato della loro vita passata.

Zexion non capisce. Non avrebbe capito neppure quando era umano, figuriamoci ora.

Eppure…

Vexen è sempre stato contrario alla guerra contro i Mondi, fin dall’inizio. Altri sono della sua idea, ma lui è stato il solo a opporsi apertamente, con asprezza. Gli altri, più vigliacchi - più astuti - sono stati zitti.

Se Roxas, il custode, colui che, grazie alla fantasia di Luxord, tutti chiamano la chiave del destino, fosse realmente la loro salvezza, non per il suo potere e la sua forza. Solo per il segreto racchiuso nel suo cervello. Quella piccola, curiosa particolarità neurologica.

Può apprezzare una simile ironia.

 

La porta del laboratorio si apre. Il rumore spezza la concentrazione.

“Roxas, stiamo lavorando, non puoi entrare senza…” esclama Vexen, sorpreso dall’arrivo inaspettato di Roxas.

“Lascialo stare.” mormora Zexion.

Il ragazzino degna Vexen appena di un’occhiata con cui sembra, più che altro, concedergli di restare in sua presenza. Si dirige verso il divanetto all’angolo del laboratorio, tira fuori un libro mezzo nascosto sotto un cuscino e si mette a leggere, con la tranquilla sicurezza di chi è certo di essere in pieno diritto al posto giusto.

“Perché è qui?”

“Si nasconde. Immagino che qualcuno lo abbia infastidito.”

“E tu gli permetti di restare mentre lavori?”

“Non disturberà e se impara qualcosa, tanto di guadagnato.”

 

La prima di innumerevoli volte in cui ha trovato Roxas nello studio o nei laboratori del telepate, intento a leggere, o ascoltare musica, od osservare, o dormire, persino, mentre Zexion lavorava ad altro. Qualche volta, lo ha intravisto anche nei corridoi della biblioteca.

Zexion si è sempre limitato ad accettare la presenza del ragazzo nel suo santuario quasi inviolabile e quasi proibito per chiunque altro e Roxas va e viene a suo piacere in quel regno labirintico.

Non ha torto a cercare un rifugio, perché Vexen ha notato un progressivo interesse da parte di Axel nei suoi confronti e lui è il primo a riconoscere quanto può essere disturbante l’attenzione del pirocinetico. Per ricordarlo, basta il ghigno spettrale sul volto di Axel, costante che chiude ogni seduta del consiglio in cui si dispone di nuovi mondi da aprire all’Oscurità. Non lo ha mai visto sorridere, quando le decisioni da prendere non riguardano stragi.

In quale sconclusionato mondo onirico si trovava Xemnas quando ha affidato l’incarico di sorvegliare un ragazzino adolescente - fra tutte le cose - proprio ad Axel - fra tutti loro - non riesce neppure a concepirlo.

Adesso, però, si spiega anche la tolleranza di Zexion. Si spiegano molte cose.

Durante le prime settimane di permanenza fra loro, Roxas aveva vegetato in una situazione di quasi completa alienazione, se si escludeva il campo di battaglia. Se qualcuno gli metteva davanti del cibo, mangiava. Altrimenti, digiunava senza chiedere nulla. Se lo portavano nei suoi alloggi, dormiva. Se non lo facevano, dormiva anche per terra.

Prima o poi, avrebbero dovuto decidersi a farlo diventare autosufficiente, a meno di non volere sempre rifilargli una balia, ma c’era la possibilità che ne uscisse da solo, tutto sommato a loro stava bene avere a che fare con un neofita che, per una volta, non causava problemi, e chi aveva voglia di accollarsi il peso di un bambino quasi demente?

Finché Zexion non aveva reclamato il ragazzo. Xemnas aveva solo posto la condizione che non interferisse con l’occupazione bellica di Roxas. Per il resto, poteva farne quello che voleva.

Considerate le competenze di Zexion, molti l’avevano considerata la soluzione più logica. O, forse, erano solo sollevati che non fosse toccato a loro. A Vexen era sembrata una decisione bizzarra. Nemmeno Ienzo aveva mai voluto esercitare la professione medica, se non per il servizio obbligato a cui tutti i membri della loro casta erano tenuti. Come nobody, non si è mai occupato dei novizi, oltre quello che è bastato per schedarli ed erigere una chiara barriera fra loro, molto più efficace di quella che cerca di erigere lui stesso. Eppure, tra tutti, ha scelto proprio quello più bisognoso di cure, attenzione e pazienza.

Lo ha fatto per noia, ha creduto all’inizio Vexen.

La noia è mortale, nel loro mondo. I nobody nascono dalle menti più attive e forti e le menti troppo attive e forti si annoiano in fretta, persino qui, dove il lavoro per restare vivi non ha mai fine. Allora, cominciano a esplorare i limiti dei loro poteri, così, per gioco, giusto per passare il tempo. E per fortuna ci sono tanti universi a disposizione per sfogare la loro irrequietezza, prima che si mettano a stuzzicare il fragile equilibrio del pianeta nero.

Quando è Zexion a cadere preda della noia, nessuno è in grado di prevedere quale mezzo può usare per distrarsi perché, come tutti, giocherella con il suo elemento, ma il suo elemento sono le persone e non sempre si accontenta di gingillarsi con gli abitanti dei Mondi.

Quella specie di bambola animata capitata fra le loro mani, una tela bianca su cui dipingere qualsiasi cosa gli passasse per la testa, deve essergli sembrata un’occasione da non perdere.

Vexen si aspettava che lo allontanasse quasi subito, una volta svanita la novità o non appena trovato qualcos’altro che lo interessasse.

Invece vanno d’accordo e il loro rapporto si è consolidato con il tempo.

Roxas soddisfa le necessità primarie di Zexion. La curiosità e il bisogno quasi spasmodico di risolvere incognite e questo, nel sistema di riferimento del giovane, è qualcosa che si avvicina molto all’amore. Quanto al ragazzo, Zexion è stato il primo a trattarlo con considerazione superiore a quella dovuta a un pezzo di mobilia o un bagaglio da trascinarsi dietro. Le ragioni del telepate lo obbligano a una reciprocità e, almeno in parte, deve anteporre le esigenze di Roxas alle sue, proprio per realizzare le sue, e Zexion è capace di apparire sorprendentemente piacevole, quando vuole, e dare alle persone quello che desiderano, anche se non sanno neppure di desiderarlo.

Vexen non è stato così fortunato con il suo allievo. La sua esperienza è finita con quelli che, se fossero umani, potrebbe definire solo rancore e odio implacabile.

Perlomeno, Roxas ne ha ricevuto in cambio un’anima.

 

“Quindi, quello che hai fatto a Roxas è stato fissarlo indissolubilmente allo stato di alto nobody e la tua idea è di fare lo stesso a tutti noi. Una deviazione radicale dalla strada seguita fino a questo momento.”

“Occorre adattarsi alle condizioni presenti, non a quelle possibili, probabili, eventuali o passate. Viviamo adesso e adesso, in questo momento, la nostra condizione è questa. Ostinarci a fare riferimento a un sistema che era valido quando le condizioni erano differenti potrebbe solo rappresentare la nostra fine. Roxas è il primo nobody realmente adattato al suo stato. Sarebbe paradossale cercare di riportarlo a una situazione che rappresenta un pericolo per la sua esistenza, solo perché è la situazione che consideriamo giusta. Invece, siamo noi a dover essere condotti alla sua. Ci siamo aggrappati alla nostra vita umana, ed è quello che mette a repentaglio la nostra esistenza attuale. Abbiamo nutrito con accanimento proprio la cosa che minaccia continuamente di distruggerci. Non siamo umani, non lo siamo più da quasi dieci anni, se mai lo siamo stati. Credo sia arrivato il momento di accettarlo.”

 

Accettarlo, e abbandonare la speranza di tornare a essere qualcosa di diverso. Abbandonare la convinzione che li ha sostenuti fino a questo momento.

Ma la speranza è illusoria e sterile e mortale, e la costruzione mentale di Roxas si spiega davanti ai suoi occhi ed è splendida, bastante a sé stessa, autoalimentante. Vitale.

Nessuna paura di degenerare. Nessun timore di allentare il controllo, il continuo, interminabile sforzo per esistere. 

 

Si protende verso l’esterno. Cerca il vento e la neve.

Questa volta, c’è solo il sibilo di masse d’aria spinte dalla differenza di pressione che incontrano ostacoli materiali. C’è solo acqua congelata senza voce.

 

Sapere di permanere, di potere continuare la sua vita, le sue ricerche, non dovere più assistere ad altre degenerazioni.

E’ una buona prospettiva. Buona abbastanza.

 

“Comincerò su me stesso.” prosegue Zexion.

“Vuoi provare su di te un’operazione di ristrutturazione mentale mai sperimentata?” esclama Lexaeus, intervenendo quasi per la prima volta.

“Ho l’esperienza accumulata lavorando su Roxas.”

“Esperienza di un solo caso. Tu stesso sei sempre stato il primo a definire un caso unitario non significativo.”

“Resterebbe non significativo anche se lo sperimentassi prima su uno di voi, o anche su tutti voi. I numeri sono, in ogni caso, troppo bassi. Quindi, non esiste motivo logico per rischiare la vita di altri quando sappiamo tutti che, in ogni caso, prima o poi proverò su me stesso e mi ritroverò nella stessa identica situazione. La conoscenza del campo di lavoro è essenziale e non conosco nessuna mente meglio della mia. Sono il soggetto più adatto.”

“Sei in grado di essere contemporaneamente soggetto e agente?”

“In questo caso, sì. Non è certo la prima volta che effettuo un’operazione di auto manipolazione, anche profonda.”

“Non così profonda.”

“No.” ammette il giovane “Così profonda no.”

“Hai valutato le conseguenze di un eventuale e possibile errore?”

“Sgradevoli. Questo non cambia le condizioni.”

“E’ un tentativo che sa di disperazione.”

“Lex, qualcuno potrebbe dire che il confine della disperazione lo abbiamo attraversato da un pezzo.”

“Non mi sognerei mai di discutere la necessità dell’autosperimentazione, ma questo è un caso particolare. Ti rendi conto che nessuno di noi è in grado di assisterti? Nessuno può neppure monitorarti efficacemente.” obietta Vexen.

“Accetto suggerimenti su come rimediare a una condizione naturale. Comunque, potete anche valutare la situazione inversa. Le conseguenze di un eventuale successo.”

 

Nessuno dei due muove altre obiezioni e quelli che hanno già fatto sono appunti deboli, inutili e, alla resa dei conti, senza vera importanza. Zexion farà solo quello che deve fare e nessuno dei due ha mai creduto sarebbe stato diversamente.

Curioso che, pur avendo ripudiato tutte le regole dell’umanità anche prima di perderla, resti attaccato così tenacemente a quello che era il comandamento principale del loro mondo. Essere disposti a subire le conseguenze del proprio lavoro.

 

Il giovane continua a parlare con voce precisa e indifferente e a giocherellare con mani distratte e nervose.

Le figure-ombra insistono a danzare sui muri.

 

“Le vere difficoltà saranno successive. Guardate.”

 

Gli ologrammi mostrano adesso due schemi differenti. C’è una somiglianza di base con quelli precedenti, ma la somiglianza si ferma all’intelaiatura. Il resto è del tutto differente.

Come se, partendo da uno scheletro comune ai precedenti schemi, siano stati schiacciati gli angoli, cambiate le proporzioni, distorto la prospettiva.

 

“Sono, rispettivamente, le strutture mentali di un nobody inferiore e di uno superiore di basso rango. Per la precisione, di un crepuscolare e di uno dei guerrieri di Roxas, la variante di basso nobody più complessa e mentalmente stabile.”

 

Le immagini olografiche mutano lentamente e costantemente. Si ripiegano su sé stesse, cambiano e assumono una conformazione che è, al tempo stesso, uguale e del tutto differente.

Le distorsioni si sono rettificate, gli angoli delle celle cristalline si sono normalizzati e l’impalcatura, adesso, è geometricamente regolare.

 

“Capisco a cosa vuoi arrivare.” esclama Lexaeus “Vuoi invertire il processo di degenerazione.”

“Se un alto nobody può mutare in una forma inferiore, forse è possibile anche il processo inverso.”

“Farli tornare umani?”

“Non posso farli tornare umani, Lex, come non posso far tornare umani noi. Voglio farli diventare nobody umanoidi.”

 

Zexion mette giù la cosa con cui ha giocherellato ininterrottamente fino a questo momento. Le chiazze di luce iridescente che ha proiettato sui muri si spengono, inghiottendo le ombre viventi.

Incuriosito, malgrado tutto, Vexen raccoglie il piccolo oggetto.

E’ proprio un cubo di cristallo, con un lato non più lungo di un pollice, eppure piuttosto pesante. Un fermacarte, forse. E’ sbrecciato su uno spigolo.

Inglobata nel cubo, c’è una farfalla d’argento, una specie di falena. E’ poco più grande di un’unghia e ci sono disegni sulle ali. Grigio su grigio, sono quasi impercettibili, come i disegni del raso, come le macchie sul pelo di una pantera. Gli occhi microscopici sono sfaccettati e iridescenti e non ha una proboscide, ma una bocca articolata in palpi seghettati. Sono stati riprodotti persino i peli dell’addome e i segmenti toracici. E’ talmente perfetta che dubita non sia un insetto vero.

 

Andhasangara.

 

Il nome di una falena predatrice delle brughiere di Radiant Garden, dalle ali esterne grigie e vellutate e quelle interne coperte di disegni fosforescenti e variopinti. La farfalla caccia di notte, scoprendo le ali luminose. Gli altri insetti sono attirati da quelle luci e da quei colori, e si avvicinano alla falena, a portata delle sue fauci.

Ienzo aveva chiamato così il suo amatissimo veliero.

Ma questo oggetto non proviene da Radiant Garden, né lo ha mai visto prima, qui, anche se lui è uno dei più assidui frequentatori dello studio di Zexion. Presume che lo possieda da poco, ma di tutto quello che Zexion ha collezionato nei Mondi, per curiosità, o interesse, o perché gliene piace l’aspetto, questo potrebbe avere un significato diverso.

Le ali della farfalla sono in tensione, riprodotte nel momento di maggior sforzo del volo, all’inizio della battuta discendente, le costole delle ali lievemente inclinate rispetto alla parallela del corpo, le antenne piumate piegate all’indietro, come spinte dal vento.

Vexen sa di non avere una grande immaginazione - a parte sentire ogni tanto voci nella neve - eppure quell’insetto d’argento gli appare rabbioso e disperato, congelato nella sua lotta interminabile e inutile per liberarsi dalla prigione di cristallo.

Capisce perché è piaciuto a Zexion.

 

“Vexen, hai provato a ottenere nobody fin dalla nascita, estraendo il Cuore agli embrioni.”

“Sì, lo sai. Nessuno di loro ha mantenuto forma umana ed escludo una simile evenienza. Logico. Se essere capaci di superare le tenebre è una questione di volontà di sopravvivenza, cosa che anche un embrione può possedere, mantenere forma e individualità è legato alla forza del riconoscimento di sé, e quello è impossibile prima dello sviluppo di una personalità.”

“Hai provato anche a ottenere embrioni da genitori nobody?”

“Non insegnarmi il mio lavoro. E’ stato uno degli obiettivi che mi sono prefisso fin dall’inizio, ma una serie di eventi sfavorevoli mi ha ostacolato. Se il rapporto fra i sessi fosse stato invertito, il lavoro sarebbe stato molto più semplice. Sfortunatamente, abbiamo una sovrabbondanza di gameti maschili, ma fino a diciotto mesi fa, quando è arrivata Larxene, non avevamo a disposizione quelli femminili. Prima di lei, nessuna donna è riuscita a sopravvivere o a mantenere la stabilità più di qualche giorno. Il fatto che i nostri corpi non permangono, non mi ha permesso neppure di conservare cellule riproduttive dalle donne nobody prima della loro degenerazione o della morte. I tessuti isolati dal corpo vivente si degradano rapidamente e, ancora oggi, tutte le nostre tecniche di clonazione non consentono comunque di ottenere materiale germinale vitale. Ho tentato l’incrocio, ma nobody e umani non sono reciprocamente fertili e questa è una barriera che appare insormontabile a ogni metodo di fecondazione esospecifica. Un meccanismo di difesa per impedire l’ibridazione di un’efficacia virtualmente unica. Agli inizi, l’ho considerato incomprensibile, visto che, tecnicamente, molti sono della stessa specie. Alla luce dei fatti attuali, non lo ritengo più così inspiegabile.”

“Dopo l’arrivo di Larxene, hai fatto altri tentativi?”

“Ti ricordo che questa incresciosa guerra occupa praticamente tutto il mio tempo.”

“E’ un no?”

“E’ un no.”

“E’ il momento di rispolverare il tuo progetto. Vexen, ogni evidenza psicometrica comprova l’ipotesi secondo la quale i Cuori sono elementi esogeni. Servono dati biologici, ora.”

“Sai che Xemnas non ci permetterà di continuare con questa linea di ricerca. Tirerà fuori qualche questione prioritaria con cui riempire il nostro tempo e dovremmo rimandare a data a destinarsi.” obietta Lexaeus. “Se insistiamo, potrebbe ricorrere a soluzioni più radicali.”

“Cosa dovremmo fare? Fingere di non essere venuti a conoscenza di tutto questo? Chiudere ancora gli occhi? I risultati ci sono e possiamo solo adeguarci. E questo potrebbe risolvere la questione una volta per tutte, senza tutta quell’assurda macchinazione.”

“La sua assurda macchinazione, Vexen. Potrebbe non accettare soluzioni alternative.”

“Abbiamo rifiutato la censura e la repressione intellettuale di Ansem e del bastardo alieno che lo manovrava, e Xehanort è stato tra i primi a ribellarsi. Credi che proprio lui vorrebbe vestire i panni del tiranno?”

“Ansem aveva decretato la pena di morte per noi e le nostre famiglie, se non ci fossimo fermati. Credevamo di conoscerlo. Credevamo che non sarebbe mai stato capace di una cosa simile.”

 

Zexion stringe gli occhi scuri, però non interviene. China testa e si nasconde dietro la massa dei capelli.

 

“Stiamo parlando di Xemnas. Tutto questo porterebbe beneficio anche a lui. Contrastarci sarebbe un comportamento del tutto irrazionale.” esclama esasperato Vexen.

“La paura fa fare molte cose disperate e illogiche, alle persone.”

“Agli esseri umani. Ma ai nobody?”

“Se agiamo per essere coerenti alla costruzione di Zexion, dobbiamo essere coerenti a essa in tutto, quindi accettare anche la capacità dei nobody di comportarsi irrazionalmente.”

 

Lex sorride e appoggia una mano sulla spalla di Zexion. Il giovane si risolleva.

Non ricambia il sorriso. Sembra quasi spaventato. Sembra quasi chiedere scusa. Chiedersi cosa deve fare, adesso.

 

“Non importa.” mormora Lexaeus “Il genio è fuori dalla bottiglia, ormai, e non può essere ricacciato dentro.”

 

No. Il genio non torna mai nella sua gabbia e quella di Lexaeus non è neppure un’obiezione. E’ solo il riconoscimento di una condizione che, in ogni caso, non li fermerà.

 

Per la seconda volta, contemplano la fine del loro mondo.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Poi mi si chiede perché non mi lamento mai delle recensioni ottenute ^___^

Ma come anche solo potrei pensare di lamentarmi? Ragazzi, voi mi viziate.

Lux, addirittura, non solo si subisce i miei deliri da aspirante conquistatrice dell’universo (Non mondo. Qualsiasi scalzacani può fare il conquistatore del mondo), ma ha avuto il coraggio di scrivere una specie di cross-over fra una sua serie di fanfic e la mia ^__^

Ha mescolato magistralmente il mondo di Kingdom Hearts con quello di Mai Otome, un anime poco conosciuto, ma che merita davvero, e sta trattando benissimo i miei cari personaggi. Insomma, andate a leggere:

 

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=196691

 

Chris:  Quello che mi dici, cioè che ora vedresti le cose con occhio diverso, non è solo un risultato lusinghiero. E’ fantastico.

Non so se è per qualcosa che ho scritto, qualcosa che ti ho suggerito, il modo di considerare qualche personaggio, ma credo che non sia possibile ottenere un risultato migliore. Grazie.

Grazie anche per l’apprezzamento alle mie costruzioni tecniche. E’ che prima di tutto devo capire come funziona una cosa o, nel caso di mondi virtuali, a cercare di immaginarmi un meccanismo possibile per quello che succede, e devo inquadrare l’ambiente e le sue ‘leggi’. Mi viene naturale pensare a certe cose. Tipo, ma ‘sti accidenti aprono portali dimensionali col pensiero e poi ci possono trasportare qualsiasi cosa, dal sacchetto di patatine alla portaerei? Senza fatica? Cioè, non consumano energia oppure la rimpiazzano in continuazione? Ma allora portatene uno qui, che saprei bene cosa farne (No. Non quello che pensate!).

 

Zexion e Roxas sono adorabili, vero? Fanno quasi tenerezza. A guardarli da molto lontano ^___^

So che nel gioco non hanno nessuna relazione, ma c’è una motivazione vagamente logica per averli messi insieme. Zexion è una specie di psicologo e Roxas ha problemi di amnesia. L’alternativa era mandarlo in cura da Larxene. Gli faceva terapia a colpi di elettroshock.

Mi fa molto piacere che tu, e anche un’altra persona, troviate interessante la loro relazione.

Cercare di sviluppare i rapporti fra le persone coinvolte nella storia è quello che cerco di fare fin dall’inizio. Oltre alle spiegazioni tecniche e ai massacri ^___^

Il problema è che per qualche ragione, quando si parla di relazioni si finisce per pensare subito a relazioni sessuali e/o sentimentali. Ma fra le persone si formano molti tipi di relazioni. Tra l’altro, costoro non sono umani, non è detto che fondino i loro legami sulle ragioni umane. Questo non vuol dire che siano meno importanti, vincolanti e articolati dei rapporti umani. Potrebbero persino esserlo di più.

Ovviamente, il legame tra Roxas e Zexion è quello che cerco di sviluppare maggiormente, ma ce ne sono anche altri, a parte Marluxia e Larxene che sì, sono ‘innamorati’ o il corrispettivo nobodico di un innamoramento, che spero di riuscire a rappresentare decentemente, senza usare dichiarazioni o comportamenti troppo espliciti.  

Comunque, può anche non sembrare, ma le motivazioni di Zexion non sono esclusivamente egoistiche. E’ capace di fare cose spaventose, ma non è ‘malvagio’. Non compie cattiverie immotivate solo per fare vedere quanto è carogna e, se non ha ragione di fare altrimenti, non esita ad agire a favore di altri. Non è neppure vero che per fare qualcosa deve per forza ricavarne un beneficio. Può agire semplicemente perché, agendo, non ne ha alcun svantaggio. Essere privo di emotività non vuol dire solo essere incapace di volere bene, ma anche essere incapace di volere male.

 

Per Lalami il merito va anche ad Atlantis Lux. Per la verità, la sua idea era che se i 13 volevano cuori senza sbattersi tanto, avrebbero dovuto trovarsi qualche pianeta primitivo, presentarsi come dei in mezzo a lampi, pioggia di fuoco, terremoti e inondazioni, e a quel punto sarebbero stati i nativi stessi a fare sacrifici umani e offrire loro cuori un giorno si e l’altro pure ^___^

In un modo o nell’altro, l’umanità non ne esce con un’immagine molto edificante.

Infatti, Lux mi aveva suggerito di fare di Lalami un’aliena, ma ho preferito evitare. Mi piace legnare la pretenziosità umana di essere il centro morale dell’universo. Devo dire che l’universo di Kingdom Hearts, così ambiguo, sfumato e ipocrita, con coretti Disney che stendono copertine rosa su un mondo grigio scuro tendente al nero, si presta particolarmente bene a questo ^___^

 

Krisalia: No, dai, come fai a confondere? E’ Roxas che ha gli occhi fosforescenti. Se li hanno anche gli altri nobody, non lo so. Immagino Saïx. Roxas ne sono sicura. Si vede bene.

Così ti piace questo mondo? Grazie. Adoro progettare mondi. Sai, in realtà non ho ancora deciso cosa farne. Non è detto che lo distrugga. E’ ancora tutto nel limbo.

Quanto a Demyx, io te lo metterei anche, ma non ho la più pallida idea di che fargli fare, al momento. Un concerto? Per me è un personaggio piuttosto difficile. Se mi sento a mio agio con gente come Zexion, Roxas e Riku, va da sé che trovo un pelo difficile immaginare come può pensare uno come Demyx. E poi sono davvero tantissimi. Finora non ho neppure introdotto Saïx, che pure adoro, e ho dato pochissimo spazio a Larxene e Marluxia che si giocano con Roxas e Zexion il posto di preferiti.

Facciamo così. Se distruggo questo mondo, Demyx avrà una parte nel macello. Se no, devi aspettare. Cosa scegli? ^___^

 

Ma come? Non vorresti uno come Zexion? Un ragazzo così intelligente, bello, educato. E ricorda che ha anche potere sulle percezioni e sui sensi. E’ una dote eclettica, sai? Molto utile, in certe situazioni che non sono necessariamente ostili. Pensaci, prima di rifiutarlo come marito.

D’accordo, ha forse qualche piccolo problema di affettività, ma secondo me nel cambio non perdi molto. E poi, la mancanza di emozioni avrà i suoi difetti, ma anche i suoi pregi. Niente colpi di testa ^___^

Io gli ho dato una moglie per una ragione semplicissima. Sto progettando la storia su come è iniziato il tutto, con i sei apprendisti, Ansem, Radiant Garden. E’ una cosa che mi intriga tantissimo, molto più della faccenda dei keyblade etc, ma è anche molto più complessa. Sto costruendo una vita ai sei e Ienzo mi serve sposato ^___^

 

Ti chiedi perché è andato verso le Ombre? Beh, aveva tre scelte. Morire di fame e di sete, gettarsi da una finestra e sfracellarsi al suolo, o aprire la porta e non mi sembra proprio il tipo con un desiderio di morte. Ha valutato le probabilità di sopravvivenza. Per quanto minima, era meglio quella che la certezza di morire.

 

Kuroro: Mi spiace disilluderti, ma il cordoglio di Sora avrà vita breve, e non perché lui sia particolarmente insensibile alla morte di Kairi. E’ che… No. Qui te lo leggi ^___^

Accetto critiche, non preoccuparti. Dimmi pure quello che pensi e non ti sbrano.

Semmai ti spedisco i sicari a casa  ^__^

 

Atlantis Lux: Lux, cara. Calma. Sei sicuramente più in gamba di Xemnas come tattico, ma lui ha dalla sua argomenti che tu non hai e non potrai mai avere ^O^

Si gioca con Sephiroth il podio come personaggio virtuale più sexy. Solo che Xemnas è un po’ meno ingombrante e rumoroso di Sephi e non ha l’abitudine di fare le sue apparizione con il pieno d’orchestra e le ammonizioni in latino.

Purtroppo, come condottiero fa davvero schifo. Qualsiasi cosa fa, si risolve in un disastro. Quelli degli attacchi in solitaria è la prima cosa che è venuta in mente anche a me. E’ un concetto talmente ridicolo, che credo di non averlo mai applicato neppure io quando a cinque anni giocavo a fare la guerra. Occorre cercare di frantumare l’unità del nemico, poi, una volta che le sue forze sono frammentate, gli fai il culo, possibilmente in venti contro uno. Ma se già ti frammenti tu da solo di tua volontà, è lui che il culo lo fa a te e gli rendi pure il lavoro facile. Soprattutto un nemico che sai è individualmente potentissimo e il cui punto debole sono le capacità intellettuali e/o di valutazione.

La strategia più sofisticata a cui Sora riesce a pensare è ‘Lanciati come un  toro infoiato, pesta come un fabbro ferraio e chissenefrega di tutto il resto, compresa eventuale gente che sta intorno’. Non un finissimo pensatore, come vedi. Gli bastava incontrare un avversario un pelo più scafato di una bambina di cinque anni, ed era morto da un pezzo. E invece di fare giocare lui alle loro condizioni, i nostri glaciali e logici nobody giocano ai suoi livelli. Grazie che poi li ammazza.

Quanto a Zexion, renderlo contraddittorio sarebbe l’errore peggiore da fare su di lui. E se si contraddice, è perché mente con intento di mentire. Ecco, da non prendere per oro colato quello che dice, perché se la cosa gli torna utile, mente senza pensarci un istante ^___^

 

Adesso voglio vedere se riuscirò a mantenere l’andazzo cinico/asettico/egoista quando arriverà Topolino. Ho intenzione di fare almeno un capitoletto con il sorcio. Che se fosse per me lo chiuderei in una stanza sigillata con un Saïx a digiuno stretto da una settimana. Purtroppo, ho anche deciso di seguire gli eventi canon, quindi non posso fare opera di derattizzazione. Almeno, non nel passato ^___^

Intanto ho cominciato con un lavoro di desorizzazione e, come si dice, chi ben comincia…

Il solo custode di keyblade buono è il custode morto. Salvo Roxas, ovviamente ^___^

 

 

  
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