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Autore: Angie Mars Halen    25/09/2013    1 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4) NIKKI

Un pomeriggio, mentre girovagavo per il salotto al buio totale e con gli effetti dell’ultima dose che cominciavano a sciamare, vidi una sagoma saltare il muro e attraversare il giardino. Convinto che si trattasse di una delle mie allucinazioni, corsi a rintanarmi nella cabina armadio e capii che era reale solo quando aprì la porta e la vidi impallidire dalla paura.

L’avevo terrorizzata a morte. Non volevo. O meglio, volevo solo difendermi da una persona che credevo fosse venuta lì per farmi fuori o per portarmi via la roba. Mi sentii in colpa per quello che avevo fatto, ma finii presto col darmi del cretino perché mi ero reso conto che mi stavo preoccupando troppo per una persona che non conoscevo nemmeno. A un primo sguardo, avrei potuto dire che si trattava una mocciosa. Era bassa e doveva avere quindici o sedici anni, la stessa età che avevano i ragazzini a cui piaceva citofonare e fare versi strani quando rispondevo. Avevo smesso di gridarle di andare via solo dopo aver colto in lei la stessa paura che aveva assalito me, e solo allora avevo smesso di correre e avevo aspettato che scavalcasse il muro prima di proseguire giù per le scale ed entrare in salotto. Passai tutta l’ora successiva a darmi del cretino per averla terrorizzata e solo in seguito mi accorsi che mentre scappava aveva perso un orecchino, che trovai sul parquet vicino alle scale. Sapevo che era suo perché io non ne possedevo di simili, e nemmeno Vanity, la tipa che veniva sempre a casa mia a incasinarmi il cervello. Siccome mi piaceva il cristallo con cui era stato fatto, lo appuntai sulla mia giacca di pelle e andai in giro per una settimana con quell’affare che pendeva da sotto una tasca del chiodo, insieme a tanti altri fronzoli.

Dopo aver raccolto quel piccolo ricordo che mi rimaneva della mocciosa impavida, andai a riguardare i filmati delle telecamere e constatai che era la stessa persona che era entrata la settimana prima. Forse cercava qualcosa, oppure era una dei tanti ragazzini che mi sfottevano e si divertivano a suonarmi il campanello e a lanciare rifiuti nel giardino.

Il giorno dopo, nonostante lo spavento che mi ero preso, l’avevo già dimenticata. Avevo visto bene la sua faccia ma non mi tornava mai in mente, come invece succedeva spesso per altri episodi a cui avevo assistito e che in qualche modo mi avevano segnato. La cosa strana è che i momenti belli che volevo che accadessero di nuovo li ricordavo perfettamente e li rivivevo solo nei sogni, però non mi capitavano più, così mi angustiavo e rimpiangevo l’innocenza della mia infanzia e i pomeriggi indimenticabili passati con Tommy a fare cazzate in giro per West Hollywood quando non avevamo un soldo e vivevamo insieme a Vince dietro al Whisky a Go-Go. I momenti brutti, invece, li dimenticavo subito, ma tornavano sempre a tormentarmi, e a volte sembravano dirmi “siamo qui, non ti libererai facilmente di noi”. Una volta provai persino a spiegare questa teoria a Tommy, ma lui rimase a guardarmi per un minuto buono, imbambolato, la testa inclinata e le labbra piegate in una smorfia strana. Non aveva capito un cazzo del mio ragionamento. Gli dissi di lasciare perdere perché nessuno capiva mai i miei pensieri e, di conseguenza, non pretendevo che lui fosse il primo a riuscirci.

Accadde la stessa cosa con quella ragazzina: credevo di averla dimenticata, di aver fatto sparire dalla mia mente sovraffollata il ricordo di lei che entrava in casa mia e di me che piangevo dalla paura, invece la rividi in pieno giorno in un negozio di dischi. Ultimamente non avevo mai voglia di uscire di casa e lo facevo solo quando dovevo lavorare o non trovavo qualcuno disposto a sbrigare le commissioni per me, ma quel pomeriggio volli uscire per respirare un po’ d’aria fresca dopo aver passato la giornata lontano dalla droga. Sarebbe stato sufficiente che restassi a casa per un quarto d’ora in più perché le nostre strade non si incrociassero.

Uscii di casa senza una meta precisa e quando vidi quel negozio di disci al lato della strada decisi di entrare solo per dare un’occhiata come se fossi stato a una mostra d’arte o in un museo. Mi è sempre piaciuto guardarli, ma adesso che avevo le tasche piene di soldi ne compravo sempre uno e non c’era più gusto nell’attesa di avere una libreria piena. Camminavo tra gli scaffali con le mani in tasca e il capo chino, temendo che qualcuno mi riconoscesse e mi saltasse addosso per chiedermi di autografargli una copia del nostro album, e sbirciavo la merce esposta con lo stesso disinteresse con cui si guardano i cespi di insalata del reparto ortofrutta del supermercato.

Fu allora che la vidi: stava rigirando tra le mani un disco che tornò a mettere al suo posto, sospirando. L’avrei riconosciuta tra mille. Il ricordo tornò vivido nella mia mente, il cuore cominciò a battermi troppo forte e sentivo le vene del collo pulsare. Non si accorse di me mentre la osservavo e studiavo ogni suo minimo particolare: aveva i capelli lisci e dorati, lunghi fino a metà schiena, e dal viso potei constatare che l’altezza mi aveva ingannato e che era ben più grande di una quindicenne. Aveva l’aspetto di una normale ragazza dei quartieri benestanti ma, tutto sommato, era anche carina. Dal lobo sinistro pendeva un orecchino identico a quello che avevo attaccato alla mia giacca e se prima avevo qualche dubbio, ora non ne avevo più: era proprio lei.

Fui tentato a dileguarmi in silenzio per evitare che mi vedesse, ma sapevo che non mi avrebbe mai riconosciuto. Mi ero fatto una doccia dopo una settimana che non toccavo l’acqua e la pelle sembrava aver cambiato colore, poi mi ero pettinato, rasato e avevo indossato dei vestiti puliti. Presi così in mano il primo disco che mi capitò e, mentre fingevo di leggere i titoli delle tracce, la studiavo attentamente. Faceva sempre gli stessi gesti: prendeva un vinile, leggeva i titoli, sospirava e lo rimetteva al suo posto. Probabilmente non poteva permetterselo e io, che sapevo quanto un amante della musica possa desiderare un disco, decisi che gliene avrei comprato uno io. L’avrei semplicemente chiamata e le avrei detto che avrei pagato per lei. Sarebbe stato il mio modo segreto per chiederle scusa per la settimana precedente e sentirmi a posto con la mia coscienza.

Mi avvicinai silenziosamente e, quando attirai la sua attenzione con un colpo di tosse, sobbalzò.

“Cosa stavi guardando?” le chiesi. I suoi grandi occhi azzurri si spalancarono appena mi videro.

“Stavo solo dando un’occhiata,” rispose, visibilmente imbarazzata.

Presi il disco che aveva in mano e lessi il titolo. “Ti piacciono i Van Halen?”

La ragazza annuì con un impercettibile cenno del capo.

Abbozzai un sorriso furbo, prevedendo la risposta alla domanda che stavo per porle. “Perché non lo compri?”

Fece spallucce. “Non ho abbastanza soldi con me.”

“Ti piacciono molto?” le domandai.

“Suono la chitarra e Eddie è il mio idolo, quindi sì, mi piacciono molto,” spiegò annuendo. Sembrava molto in imbarazzo, ma non mi importava.

Le porsi il vinile. “Te lo prendo io. Consideralo un regalo.”

“Stai scherzando?” esclamò sbalordita. “Non posso accettare. Davvero, apprezzo il tuo gesto, però domani tornerò con i soldi e me lo comprerò da sola.”

La guardai divertito. “E se volessi farti un regalo?”

“Cosa?” esclamò con gli occhi ancora strabuzzati per la sorpresa. “Mi dispiace, ma non posso accettare. Non ti conosco nemmeno.”

Le presi il disco dalle mani e mi avviai verso la cassa, lo pagai e glielo tornai a dare, il tutto mentre lei mi fissava incredula da immobile nella corsia dove l’avevo lasciata.

“Adesso è tuo,” annunciai con un sorriso soddisfatto.

La ragazza mi guardò come se avesse appena visto un 45 giri quadrato. “Be’, non dovevi… però grazie lo stesso.”

Scrollai le spalle. “Di niente.”

Non appena ebbi terminato di parlare, lei si girò dall’altra parte e si incamminò verso l’uscita con il disco stretto al petto.

“Aspetta, dove vai?” la chiamai.

La ragazza si voltò lentamente e per un attimo pensai che mi avesse riconosciuto, però sapevo che era impossibile. Del resto, casa mia era troppo buia perché fosse riuscita a vedermi in faccia e, soprattutto, non ricordavo di averla vista voltarsi mentre la rincorrevo.

“Che altro c’è adesso?” chiese sospirando.

“Sto andando a prendermi una birra. Vuoi venire con me?”

Mi guardò stranita e il suo viso fu appena illuminato da un sorriso. Mi fece cenno di raggiungerla sulla soglia e io obbedii, dandomi mentalmente dell’idiota per aver pensato per una frazione di secondo che provarci con lei sarebbe stata una buona idea. Mi sarebbe bastato farle credere che fossi interessato poi, non appena ci fossimo separati, non mi sarei più fatto vivo e avrei avuto la coscienza a posto.

Le dissi che conoscevo un posto dove avremmo potuto bere, ma in realtà ne scelsi uno in cui non ero mai entrato. Non avrei mai scelto di portarla in un locale che ero solito frequentare, rischiando di trovare qualche giornalista appostato e pronto a scattarmi una foto in compagnia di quella sconosciuta.

Lei annuì e, sempre avvinghiata al suo vinile dei Van Halen, mi seguì senza staccarmi gli occhi da addosso come se fossi stato un raro esemplare di qualche specie in via d’estinzione.

“Perché mi guardi così?” le domandai, stavolta fingendo tono più amichevole.

Scosse il capo con un movimento lieve. “Scusa, non volevo infastidirti. Mi stavo solo chiedendo se ci fossimo già visti da qualche parte.”

Ci fermammo in un bar in una laterale del viale e prendemmo posto al tavolo più defilato di tutti, in mezzo a un paio di vasi di cemento con dentro delle piante abbastanza grandi da nasconderci.

“Cosa prendi?” le domandai una volta che la cameriera ci ebbe raggiunti.

“Per me un tè freddo alla pesca,” rispose con una compostezza quasi impressionante.

“Tè alla pesca? Hai dei gusti strani, tu,” ripetei divertito, poi mi rivolsi alla cameriera. “Per me una pinta di Guinness.”

La cameriera prese l’ordine e sparì dietro il bancone senza fiatare. Forse lei mi aveva riconosciuto e chissà cosa aveva pensato quando mi ha visto in compagnia. Quando tornò notai che le tremavano le mani mentre appoggiava i bicchieri sul tavolo, poi se ne andò con un sorriso imbambolato. Intanto la ragazza continuava a guardare ovunque tranne che nella mia direzione, forse già pentita di avermi seguito.

Spero di non aver fatto una cazzata, pensai mentre mi avvicinavo il boccale alle labbra, continuando a osservare i suoi lineamenti delicati.




N.d’A.: Ave, gente! =)
Eheh, qui cominciano i “guai”... spero che questo capitolo (un po’ corto) sia stato di vostro gradimento.
Il prossimo arriverà mercoledì prossimo. Devo allungare i tempi tra un capitolo e l’altro a causa degli impegni, tuttavia cercherò di essere puntuale.
Grazie di cuore a tutti coloro che recensiscono e ai lettori silenziosi!
Angie

   
 
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