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Autore: Sea    27/09/2013    0 recensioni
Una liceale qualsiasi custodisce un segreto che la porterà molto presto a spingersi oltre le proprie abitudini. Scoprirà luoghi e intrighi che credeva persi per sempre e la sua grande avventura comincia con un piccolo incidente. Dal simbolo che le segnerà a vita la mano, scaturiranno gli eventi segnati dal destino e si apriranno le porte di un mondo nuovo fatto di aria, fuoco, terra e...acqua.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV
Luoghi





Mi sembra di aver capito tutto e niente dalla nostra chiacchierata. Ho capito che devo migliorare, credere, per conoscere la verità, ma non ne ho compreso il motivo. Non ho ugualmente compreso cosa significhi “io sono qui per restare” o “solo così sarai pronta”. Pronta per cosa? Cos’è che devo affrontare ancora?
Nonostante l’idea di seguire le sue istruzioni mi infastidisca, temo di non avere altra scelta, devo diventare più forte. Ma come?
Il mio cervello comincia a mettersi in moto alla ricerca di un metodo, nel frattempo sono costretta a tornare in classe ad assistere alla lezione di filosofia. Camminando per i corridoi della scuola, prendo il portachiavi di Eric, completamente spento e senza vita, lo osservo e non mi fido più di lui. Eric è ancora qui intorno.

Le due sono giunte più in fretta di ciò che pensavo, ora che non so cosa fare il tempo vola.
- Cosa fai oggi pomeriggio? - Luciana mi ferma trattenendomi per un braccio.
- Ho delle cose molto importanti da fare - cerco di trasmetterle attraverso la mia espressione di cosa si tratti. Sembra comprendere.
- Se hai bisogno di una mano o di compagnia, io sono a casa, lo sai -
- Lo so – le sorrido – forse ti chiamo -
Così si separano le nostre strade.
Sono le 15:00 e tutto sembra andare sempre peggio. Non so cosa fare. Cosa posso fare per diventare più forte?
Vado in bagno, riempio il lavandino d’acqua e tento di far accadere qualcosa, ma sono riuscita solo a far tremare un po’ la mano. Ci riprovo finché non riesco a far increspare la superficie dell’acqua ed anche solo questo per me è un traguardo, ma la consapevolezza che solo questo non basta, mi pesa. Sono passate due ore.

I giorni trascorrono in fretta, il tempo non sembra mai abbastanza, sto conducendo un vero e proprio allenamento tra fidanzato, scuola e amici. Ma il riempire il lavandino sembra non bastare. Non ho fatto progressi di alcun tipo.
Quando mi sembra di esserci vicina, tutto crolla, ogni mia speranza cade e la rabbia di non saper fare di più mi travolge.
Oggi vado a correre, devo scaricare questa tensione. Percorro la muraglia del porto avanti e indietro senza concedermi pause, voglio stancarmi fino a crollare, voglio cadere in un coma profondo e dimenticarmi per un po‘ della mia vita. L’aria un po’ più fresca mi scivola sul viso raffreddandomi le guance e rinnovando la vita nella mia pelle e questa sensazione mi piace. Il tramonto è più rosso del solito e le nuvole che fanno da contorno si accendono. Pochi rimangono ancora, ma poco mi importa. La mia parvenza di ragazza determinata è sparita e, ora come ora, non reagirei a nulla.
Perché non riesco?
Mi fermo qualche istante alla fine del percorso a osservare il panorama. Il sole è quasi tramontato e a vederlo  all’orizzonte, sull’acqua, mi manca l’inverno, quando tramonta su Napoli e ti sembra di vedere un’unica stella. Lo spettacolo arancio mi incanta e rimango qui, sotto la statua bronzea di Gesù posta a proteggere i pescatori, a pensare cosa ci faccio qui. Cosa penso di concludere allontanandomi dai miei problemi? In un momento la rabbia mi avvolge, prende ogni mio muscolo e pensiero, mi controlla e sferro un calcio a una bottiglia abbandonata, facendola precipitare tra gli scogli. Le lacrime fuoriescono dai miei occhi, incontrollabili. La prima stella della sera mi osserva premurosa.
Sono rimasta sola qui e rassegnata mi porto di peso sul mio scoglio preferito, il più comodo, senza sedermici ancora. In piedi guardo il mare calmo e infuriata con me stessa, muovo le braccia portandole dall’alto verso il basso tentando invano di scacciare la frustrazione.
 -Dio! -
È in questo momento che un suono familiare quasi mi perfora i timpani e una goccia d’acqua mi cade sulla guancia, scivolando fino al mento. Mi volto e l’onda che si è alzata al mio gesto, ancora precipita. Sciolgo i pugni e raccolgo col dito quella gocciolina, come per assicurarmi che non si tratti di un altro sogno. L’acqua mi bagna il dito e quasi il cuore mi esplode. Ci sono riuscita. Sono riuscita a far alzare un’onda! Un sorriso mi spunta sulle labbra e non riesco a trattenermi dal ridere. Le mie lacrime ora sono gocce di gioia. Eric aveva ragione. Ora posso. Posso continuare.
Scoppiando di gioia, avanzo tra gli scogli e comincio a giocare con l’acqua, alzando onde alte tanto da bagnarmi d’acqua salata. Osservare di nuovo l’acqua frantumarsi in aria mi fa sentire viva, sento le mie barriere abbattersi una dopo l’altra, il mio corpo rinvigorirsi e la mia mente liberarsi. Sento l’oceano, lo sento abbattersi su di me con tutto il suo vigore. Le mie mani compongono poesie di sale, le mie dita si ornano di anelli limpidi. Percepisco l’acqua inumidirmi le braccia circondate da spirali d’acqua e la mia ombra si circonda di diamanti. Sento il mio sorriso, lo vivo, e guardando il cielo so che lui è qui e so che, come me, sorride.
Ipse proferisce solo due parole.
- Ora puoi -
A voce alta, libero la mia gioia rispondendogli col cuore.
- Posso! -
Ora, posso.

- Sai di mare -
Un calore mi avvolge le spalle, mandandomi il cuore completamente in fiamme. È arrivato. Il batticuore si fa ancora più intenso, sembra quasi che il petto voglia esplodere. Prendo un bel respiro e mi volto sorridendogli e finalmente riesco a guardarlo negli occhi, davvero. Mi godo per il tempo che durerà, il suo tocco sulle mie braccia umide e le sue mani che lentamente percorrono i miei avambracci. I brividi mi possiedono senza che io possa fermarli.
- Non so immaginarmi niente più di così. Avevi ragione -
- Si, avevo ragione, ma non sei ancora pronta -
Non lascia scomparire il sorriso dal suo volto, sembra tranquillo, ma le sue parole quasi distruggono ogni mio progetto. Le piccole increspature sul mio viso si distendono deluse.
- Da domani ti aspetta il vero allenamento. Tutto questo ti è servito solo a sbloccarti. Avevi troppa paura di te stessa -
Mi ammutolisco. Avrei potuto proferire un intero discorso, ora ogni mia parola è bloccata in gola.
- Sei riuscita a riacquistare le tue capacità minime, puoi fare molto di più. Forse non ti rendi ancora conto di quanto tu possa essere potente. I tuoi poteri superano lo spazio e il mondo, basta poco per riportarli alla luce. Potrà sembrarti strano, ma è necessario che tu ora rafforzi il tuo corpo e la tua mente per affrontare te stessa. Devi dimenticare cosa sia il sangue, la carne e i pensieri, devi ritrovarti nel tuo elemento. Tu sei acqua. -
I repentini cambi d’umore mi fanno girare la testa, ma decido che è il momento di immergermi completamente in quest’avventura. Un lieve sorriso mi decora le labbra e alzando la testa lo fisso. Sento che il mio corpo sprigiona coraggio ed energia. Gli mostro il palmo della mano destra per poi coprirlo con la sua sinistra. In un attimo, un‘aura di sfida mi circonda e beffarda scopro la mia mano mostrandogli la sua: una piccola sfera d‘acqua volteggia su se stessa, luccicando all‘ultimo raggio di sole.
- Sono pronta! -
- Lo siamo - La voce da ragazzo di Ipse rimbomba nelle nostre menti.
- Lo siete - Dice osservando il mare. - Lo sei -

- Domani passo a prenderti -
Si volta e va via. Ancora una vota scorgo il contorno delle sue ali attraverso la maglietta rossa.
Non ho neanche potuto chiedergli dove e quando prima che scompaia nel nulla. Ormai è sceso il buio e la notte mi circonda. Rivolgo un ultimo sorriso al mare nero, dopodiché mi volto e anch'io vado via percorrendo la muraglia per l'ultima volta.
Dario mi aspetta al Baraonda, il bar dove ci siamo rivolti la parola per la prima volta, lo saluto con un bacio e un sorriso e non so come, mi comprende al volo.
- Sono contento per te, amore -
Mi scappa un abbraccio.

- Era ora che tornassi! - Mio padre mi guarda severo, ma non posso ribattere. Cosa dovrei dirgli?
- Ho incontrato degli amici e ci siamo fermati a chiacchierare -
- La prossima volta preferirei che tu fossi a casa per ora di cena -
- Va bene -
La fame non mi manca, divoro la cena in pochi minuti e, con la pancia piena, mi sento appagata.
Ha detto che domani passerà a prendermi. Dove? Quando? Non saperlo mi rende ancora più ansiosa. Chiamo Luciana, spero che almeno lei riesca a distrarmi.
- Buonasera, scusate l'ora, Luciana è sveglia? -
- Si, aspetta un attimo che te la passo -
- Grazie -
In meno di un secondo la sua voce risponde dall'altra parte del telefono.
- Sapevo che mi avresti chiamato -
Il tono della sua voce mi vuole dire ''avevo ragione''.
- Non vantarti troppo! - La mia voce è allegra, lo sento anch'io.
- Mi sembra di capire che hai qualcosa da raccontarmi - il suo tono è quello di una ragazzina curiosa un po’ pettegola, ma mi diverte sentirla così.
- Si - Il sorriso non abbandona le mie labbra. Comincio il mio racconto rivedendo ogni attimo, riassaporando ogni emozione, ogni odore, ogni sapore. Mi sono catapultata nel mio stesso film senza neanche accorgermi di continuare a parlare. Non appena concludo, mi butto sul letto e prendo tra le mani la chiave di Eric, spenta, ma viva. La osservo come se la vedessi per la prima volta e tutto questo ancora non mi sembra vero. Forse sto ancora sognando.
- Buona notte Sarah, a domani -
- Buona notte -
Facendo la doccia, mi diverto ancora un po' con me stessa e prima di dormire sono contenta di sapere che domani è già così vicino.

- Sembra che la situazione non sia delle migliori -
- La ragazza potrebbe migliorare -
- Dobbiamo puntare a lui! A lui! Dobbiamo approfittare della sua debolezza! -
Eric.
- Il re non può fare più nulla contro di noi, il regno sta per passare al ragazzo -
Eric.
- Dobbiamo attaccare adesso! Prima che si riuniscano! -
Eric!
Silenzio. Buio. Ombre. Voci.
- Salvami - Questa voce è reale.
Cado nel vuoto e in lontananza vedo la sua immagine tendermi le mani e lentamente scomparire.

Uno scatto mi fa alzare, la luce nella stanza è ancora debole e qualche goccia mi scende dalla fronte. Un incubo. Mi guardo intorno respirando affannosamente sperando che lui sia davvero qui, ma il silenzio mi conferma il contrario. Mi rigetto sul letto con le braccia aperte sperando che ciò che ho visto, sognato, sia solo frutto della mia paura. Intanto il tempo passa più velocemente di ciò che credo e la sveglia suona. Sono le 7:15. E' venerdì e già aspetto che Eric spunti da qualche parte e mi porti via, a vedere e a scoprire ciò che non so. La campanella delle otto come al solito suona cinque minuti prima e io già sono in classe, nonostante abbia cercato di camminare piano, ma la voglia che il momento in cui lui mi prenderà per mano e mi porterà con lui arrivi, mi fa sperare che il tempo scorra veloce come l‘acqua di un fiume in piena.
-  Buongiorno! -
I soliti puntuali arrivano nello stesso ordine di ogni mattina e ognuno di loro, nell'entrare, porge il suo personale saluto. Il professore entra col suo solito andamento, posa la cartella di pelle marrone sulla cattedra, si sfila la giacca e si siede.
Le due ore di storia sono quasi insopportabili, l'intervallo è per me una vaga speranza di vederlo, di sentirmi chiamare, di ammirare di nuovo il mondo fermarsi.
La luce del sole invade il cortile dando vita alle ombre di ognuno in un magnifico ritratto nero. Osservo il cortile in cerca di qualsiasi cosa, scruto il volto di ognuno degli studenti. La campanella suona ancora e la mia piccola speranza svanisce del tutto.
Le ultime due ore passano tra inglese ed educazione fisica: un dolce far niente. Alla fine delle lezioni, la massa degli studenti si fionda fuori dal cancello d'entrata, molti vanno via, qualcuno rimane ancora a chiacchierare o ad aspettare l‘autobus. I motorini in un attimo invadono la strada a senso unico e io, non dovendo aspettare Dario, non so se andare a casa o aspettare. Il pensiero di quell'incubo mi mette ansia, non so se dirglielo o meno. Quasi mi preoccupo nel non vederlo comparirmi davanti. Pensieri articolati mi invadono la mente, la confusione e l'ignoranza mi possiedono, temo che le verità che ancora non so possano essere collegate a ciò che ho sognato.
Lui ancora non compare, forse non è il momento. Torno a casa.
Il mio pranzo consiste in un pezzo di focaccia, ma neanche riesco a finirlo, tanto fremo.
Il mio volto parla da solo, mia madre mi osserva quasi preoccupata, ma io le assicuro di essere solo stanca. Il cuore batte forte, le mani mi tremano incontrollabili e il respirare mi è faticoso. Dario mi chiama, mi chiede come mai io sia ancora a casa. E' incredibile come sia capace di leggermi nel pensiero alcune volte.
- Vengo a prenderti e andiamo a fare un giro, devi distrarti, non puoi rimanere in questo stato finchè non tornerà. So che per te è importante -
So che per lui non è una cosa facile da dire, ma io non posso negare l'evidenza. Indosso al volo il jeans e la maglietta a mezze maniche e lui è già qui sotto che mi aspetta. Entro in auto sedendomi al posto del passeggero, gli do un bacio e partiamo. Percorriamo Viale Campania in poco tempo, superiamo il liceo e la chiesa di S. Antonio, la discesa è quasi del tutto libera e giungiamo alla litoranea, sempre un po' trafficata, in poco tempo. Durante la corsa, osservo il mare un po' mosso tra le ringhiere.  Parcheggiamo la macchina sempre nello stesso punto, scendiamo, attraversiamo la strada e subito mi poggio esausta al corrimano verde. Il mare schiumeggia sugli scogli neri e la sabbia vulcanica brilla all'ultimo sole. In poco tempo il tramonto incanta tutti i passanti. Solo il cielo e il mare si illuminano, il resto è un quadro di china.
Dario rimane incantato dal tramonto chiaro e definito, io quasi non riesco a stare più ferma, comincio a fare qualche passo agitata e a sospirare per l'attesa.
Non verrà. La mia titubante angoscia mi assassina e io mi lascio uccidere ogni secondo che passa. Non posso osare sperare che tu giunga davvero, Eric, è quasi un’utopia la sola tua presenza. Aspettarti è come combattere contro un demone maligno che aspira ad ottenere la mia giovinezza per avere un minuto di più da consumare in questo mondo, il mio mondo, egoista quanto un uomo che ha tutto e crede di non avere niente. Sei un maledetto demone. Lascio che l'agitazione mi sommerga. Non ho altro a cui appellarmi se non alla rassegnazione, ma non appena mi lascio andare a questi burberi e prepotenti sentimenti, ecco che quello stesso calore si ripresenta al cospetto delle mie spalle, con il rombo quasi assordante di una moto.
- Credo che il tuo amico sia arrivato -
Il suo tono è quello di chi sa che prima o poi lei scapperà via con lui e, mi costa ammetterlo, la mia fantasia ha spesso voluto navigare in queste acque talvolta intorpidite dalla vergogna. Ma non posso farci niente, la mia attrazione per lui è completamente indipendente dalla mia volontà. Mi decido a voltarmi e un casco integrale mi osserva su una moto nera. La mia voglia dipinta sulla sua fiancata mi conferma che è lui. È proprio lui. Per il nervosismo la mia mano si contorce in un pugno. Ma all’improvviso lo vedo scattare. Abbandona in fretta la moto al limitare del marciapiede e corre verso di me, ma non capisco il motivo di questo suo comportamento e per un attimo metto da parte le mie emozioni. La sua tuta da motociclista si ferma ad un passo da me e la parte ruvida dei guanti mi sfiora la mano. Mi si spalancano gli occhi, li vedo riflessi sul suo casco, ma non appena riprendo coscienza il suono un po’ camuffato della sua voce mi rimprovera.
- Ma sei impazzita? -
Il mio pugno è ancora avvolto dai suoi guanti.
- Vuoi dare spettacolo? -
Non capisco a cosa si stia riferendo, sento la mia testa vuota, ma la solita goccia di mare mi avverte che qualcosa sta succedendo davvero. Mi volto e vedo i turbini d’acqua creati dai miei sentimenti precipitare come il mio cuore precipita in questo momento nel mio stomaco per il terrore. Mi guardo intorno per soppesare la vastità dei danni.
L’espressione di Dario, sorpresa, mi rattrista. Sembra quasi spaventato. Come se non mi avesse mai creduto. Come se non fossi più io. I passanti curiosi osservano il mare oltre la ringhiera verde, commentando l’accaduto con le solite strane deduzioni, ma comunque non comprendendo cosa sia realmente accaduto. L’unica cosa che mi rincuora è il non poter vedere l’espressione di Eric, ho paura anche solo di immaginarla. Potrebbe essermi letale.
Sento il mio viso abbandonarsi alla forza di gravità, temo che la mia espressione mi tradisca. Mi sento terribilmente delusa da me stessa. Osservo ancora il volto del mio fidanzato e vedo ancora troppa incredulità nei suoi occhi e tento invano di giustificarmi con qualche frase sconnessa. Non so cosa fare, cosa dire, come comportarmi, ma la voce dell’affascinante motociclista dinanzi a me sembra risolvere il mio problema.
- Non fare quella faccia, avresti dovuto saperlo, Dario -
Sobbalza nel capire che lui è reale e che ciò che è accaduto è davvero opera mia. È tutta colpa delle mie emozioni.
- Ti ringrazio per averla portata qui, ma ora dobbiamo andare -
Dobbiamo andare. Dobbiamo andare. Era questo che volevo sentire. Dario cerca di replicare, ma poggiando la mia mano sul suo petto gli faccio comprendere che deve lasciarmi andare. Io devo andare. Il suo sospiro mi basta come risposta.
- Ci vediamo più tardi - Aggiungo solo questo.
Dopo aver liberato la mia mano da quelle di Eric, gli do un bacio sulla guancia e lo abbraccio pregando di essere sempre e solo Sarah per lui. La mia mano ora libera mi sembra gelare dopo essere stata riscaldata dal calore dei guanti ruvidi.
Osservo Dario andare via dopo avermi stretto la mano preoccupato e subito dopo vengo trascinata alla moto dal braccio di Eric che mi cinge le spalle con autorità, ma con la più assoluta naturalezza. Qualcuno ancora mi osserva incuriosito, ma cerco di non farci troppo caso, potrei causare altri incidenti. Non appena distolgo lo sguardo da coloro che mi osservano, Eric finalmente mi rivolge qualche parola gentile.
- Prendi questa o ti gelerai -
Mi porge un’enorme felpa azzurra che posso sentire profuma di lui. Gli accenno un sorriso ringraziandolo per poi sciogliermi al suo dolce e sincero “di nulla!”. Per un istante mi perdo nei suoi gesti, ma poi infilo il felpone velocemente presa dal pensiero di cominciare il mio nuovo percorso. Mi da un altro grande casco integrale, monta sulla moto nera e mi invita a fare lo stesso. Con meno difficoltà di ciò che potesse credere, monto anch’io.
- Tieniti forte -
Posso percepire il suo sorriso dal tono della sua voce e questa fantasia mi fa rabbrividire nonostante la felpa. Faccio come mi ha ordinato: con po’ di imbarazzo lo abbraccio e ringrazio il cielo di avere il casco, altrimenti le mie guancie farebbero invidia al più rosso dei tramonti. Queste sensazioni quasi mi spaventano.
- Andiamo -
Mentre pronuncia quest’unica parola mi accarezza la gamba quasi per confortarmi ed è proprio adesso che il mio cuore cede del tutto. Mi si spezza il fiato. Il suo tocco è così leggero e possente da farmi stare male, sentire il contatto con lui e sapere che è reale mi fa sentire più grande della mia età. Lo stringo più forte strizzando gli occhi e in un attimo siamo partiti, sfrecciamo nel traffico della litoranea ed è solo dopo un po’ che riesco ad aprire gli occhi e già siamo arrivati a Viale Europa. La moto sfreccia ad una velocità quasi innaturale e segue binari invisibili tra le auto. Mi sembra di capire che nessuno ci possa vedere. Il profumo di Eric copre qualsiasi altro odore e i suoi capelli spuntano fuori dalla base del casco scossi dal vento. Vorrei abbracciarlo così per sempre, ma non appena giungiamo all’incrocio Eric frena violentemente quasi perdendo il controllo della moto. Non proferisce parola, non un movimento, sento solo il suo torace allargarsi tra le mie braccia per riprendere respiro. Non oso fare alcuna domanda e mi limito a fare la brava bambina, anche se vorrei sommergerlo di dubbi e discorsi. È attento, sta in guardia, forse sta aspettando qualcosa. Solo ora mi accorgo che dinanzi a noi c’è una linea. Ma cosa stiamo aspettando? Nel frattempo l’orologio della chiesa suona le 19:00 e al terzo rintocco tutto ciò che stavo osservando, la chiesa, l’orologio, l’intero incrocio, si immobilizza. Sta succedendo di nuovo. Eric lo sta facendo di nuovo. E senza che io possa pensare altro, ripartiamo sgommando, lasciandoci dietro un mondo immobile. A tutta velocità percorriamo la strada dritta davanti a noi senza doverci curare di scansare oggetti o persone poiché, anche se quasi non ci credo, riusciamo a passarci attraverso, proprio come dei fantasmi. Forse ho un po’ paura.
Continuiamo lungo la strada finchè dinanzi a noi non si forma un lungo ponte di legno. Sbuca dall’asfalto come un’illusione e si confonde con esso. Eric comincia a percorrerlo, ma non riesco a vederne la fine. Non posso fare a meno di chiedermi dove stiamo andando mentre intorno a me si addensa una leggera nebbiolina che funge da guida al mio motociclista e ci conduce a ciò che mi ricorda un enorme buco nero. L’idea di doverci entrare quasi mi terrorizza, ma Eric va spedito verso di esso senza esitazione ed io, nella condizione in cui sono, non posso fare altro che fidarmi di lui, ma comunque la preoccupazione mi fa titubare, vorrei urlargli di fermarsi, ma non faccio in tempo a pensarlo che il panorama dinanzi a me diviene completamente nero. Per un attimo la mia mente si svuota, non so cosa sta succedendo. La moto prende il volo e d’improvviso non so più dove sono.
Siamo fermi sul bordo di una strada deserta che costeggia una grande spiaggia assalita dalla macchia mediterranea. L’aria salmastra mi solletica le narici superando la barriera del casco e l’unica cosa che riesco a fare è scendere dalla moto e liberarmene per poi dimenticare Eric e dirigermi verso la riva. La lingua d’asfalto è immediatamente affiancata dalla spiaggia, dunque le mie scarpe possono subito constatare quanto quella distesa sia morbida e incredibilmente sottile, sembra quasi farina. Ha un colore diverso da quello a cui sono abituata, non è né nera né bianca, ma quasi rossiccia e ciò che mi si presenta davanti agli occhi è un immenso spettacolo di colori contrastanti. Il vento mi sposta i capelli e lascia vivere qualche debole onda.
- Perché non mi hai mai parlato di questo posto? Perché non l’ho mai visto? -
È ad Ipse che mi rivolgo. Oh, mare, ti prego, dimmi perché mi hai tenuto nascosto tutto questo. Pensavo di poter avere visione di ogni spiaggia di questo mondo, ma allora perché non ero a conoscenza di questo? Come ho fatto a vivere senza averlo visto?
- Non potevo. È stato solo per il tuo bene! Forse sarai arrabbiata con me, ma io so di aver fatto la cosa giusta -
È in questi momenti che mi sento attaccata a te, come una sorella con un fratello. Mi sento ferita, ma non riesco a fartene una colpa, mi fido troppo di te.
Questo legame morboso ci unisce come due amanti e come tale anche il più piccolo segreto mi fa male.
- Non farlo più -
Sono le uniche parole che riesco a proferire, trattenendo una lacrima. Il vento fresco mi accarezza il viso consolandomi e d’un tratto il mio cuore sobbalza ancora. Lo avevo dimenticato.
Avevo dimenticato l’affascinante motociclista sulla sua moto. Lo sento alle mie spalle, il suo petto contro la mia schiena, le sue braccia, oltre la felpa e la t-shirt, abbracciarmi la vita. Emana un calore rassicurante. Più tranquilla, prendo un bel respiro e poggio la testa sulla sua spalla sfiorando le sue braccia ormai libere e nude. Lo sento irrigidire i muscoli in un abbraccio più forte e tuffare il volto nel mio collo e prendere un bel respiro. Volto il viso verso il suo per osservarlo poggiare il mento sulla mia spalla e guardare l’orizzonte. La luce del tramonto si riflette nei suoi occhi e mi fa desiderare di perdermici per sempre. Tutto questo mi fa sentire una sciocca adolescente innamorata dell’attore più bello e protagonista del film. Le sue mani scivolano sul mio ventre carezzandolo ed io devo costringermi ad ignorarlo.
- Qui puoi essere tutto quello che vuoi. Puoi provare tutto quello che vuoi -
Ora che posso ascoltare la sua voce senza che essa sia compromessa dal casco, mi sembra di ascoltare la più bella canzone. Ma cosa intende dire con questo? Le sue labbra si piegano in un leggero sorriso e cerco di disincantarmi dal rosa delle sue guance per comprendere ciò che ha detto. Posso essere. Posso provare. Dunque qui sono libera? Non c’è davvero nessuno? Esiste davvero un posto del genere?
Mi volto verso di lui lasciando scivolare le sue mani fuori dalla felpa e scoprendo che in realtà non indossa neanche la maglietta, mettendo in bella vista le sue splendide ali e il suo petto. Alzo lo sguardo dirigendolo dritto nei suoi occhi verdi, sperando con tutta me stessa di aver compreso.
- Posso davvero? -
Non so quale sia la mia espressione, tanta è la voglia di sapere da non percepire null’altro che i miei pensieri. La sua, invece, potrebbe raccontare migliaia di bellissime storie, ma io adesso voglio conoscerne solo una. Tende una mano ad accarezzarmi il collo lasciato nudo dalla felpa troppo larga e i capelli corti e abbandonato dal calore del suo respiro. In questo momento non so se sentirmi una donna o un pulcino bagnato, ma l’uno vale l’altro al suo tocco. Sorride e finalmente mi risponde.
- Possiamo -
Temo davvero di essere precipitata nel libro più bello che abbia mai letto. Lo vedo ridere, forse per la mia faccia da bambina un po‘ sorpresa. Mi sento come se fosse accaduto un miracolo, qualcosa che nel mondo reale non può essere. Questo è il minuto di perfetta e completa gioia che la vita mi concede e non credevo che potesse essere così bello. Il sangue mi sale alla testa per l’improvviso batticuore e sento il mio volto arrossire violentemente, il mio cuore è in subbuglio e ogni cellula del mio corpo vuole abbracciarlo per ringraziarlo di questo irripetibile dono. E così faccio. Gli salto letteralmente addosso con le lacrime pronte ad uscire dai miei occhi felici. Mi reggo al suo busto con la sola forza delle gambe, poiché le mie braccia sono troppo occupare a soffocarlo di gratitudine. Mi abbraccia a sua volta e mentre mi fa volteggiare fra i tripudi d’acqua che aleggiano intorno scolpendo nel tramonto le mie emozioni, sento la sua risata rimbombare nelle mie orecchie e non riesco più a trattenermi. Una lacrima mi segna il viso fino al mento per poi precipitare sulla sua nobile spalla illuminata dal sole. Si ferma come per contemplare meglio il mio abbraccio ed io approfitto per osservare le sue ali scintillare e muoversi flebilmente a piccoli intervalli, lasciando poi andare le mie mani sulla sua schiena liscia e perfettamente scolpita. I ricami splendenti colpiti dalla luce incanterebbero anche il più esperto incantatore. Percorro le sue spalle fino al collo, esplorando ogni parte di quella statua, per poi finire nei suoi capelli scuri e attaccarmi morbosamente a loro, nascondendo il viso nell’incavo del collo liscio.
Una risata si propone nella mia testa.
- Sarai contenta, immagino. Potrei dire che non si nota -
- Smettila di prendermi in giro! -
Gli rispondo alzando di scatto la testa e mostrando la lingua alle piccole onde che battono costantemente il bagnasciuga. A questo mio movimento Eric volta il viso verso il mio per capire meglio cosa io stia facendo, ma non smette di sorridere e questo mi fa sentire meno imbarazzata dal mio comportamento infantile. Non posso fare a meno di guardarlo e sorridere ammirando ogni suo particolare. Perché sono ancora un’adolescente?
Senza distogliere il suo sguardo dal mio, mi lascia dolcemente sciogliermi verso la sabbia per riprendere controllo del mio corpo. Lentamente, come se fosse una terribile ma dolce sofferenza, lascio scivolare via le mani dai riccioli che gli decorano la nuca e lascio che le braccia seguano le linee del suo petto per ritornare al loro posto. È ora di riprendere coscienza dei miei pensieri e per interrompere quel dolce strazio che è il contatto tra i miei e suoi occhi, prendo la parola.
- Allora è proprio vero… -
Le corone d’acqua continuano ad aleggiare intorno a noi, segno imbarazzante che le mie emozioni sono ancora forti e indomabili. Continuo.
- Non c’è davvero nessuno qui? Che posto è questo? -
- E’ una baia che ho creato io, tanti anni fa, ma è solo un bel pezzo di terra. E no, non c’è nessuno. Volevo che fossimo soli affinchè tu potessi liberare tutta te stessa, proprio come stai facendo adesso, visto che nel mondo reale potresti causare uno tsunami con un‘emozione un po‘ più forte -
Affermando ciò mi indica con un gesto i giochi d’acqua e le onde divenute più alte e seguenti il ritmo del mio battito cardiaco. Ciò che mi dice mi rende felice, ma una cosa mi colpisce più delle altre.
- L’hai davvero creato tu? - Gli chiedo guardandomi intorno.
- Certo -
Mi chiedo come sia possibile. Nonostante non sia un luogo esistente in natura, posso comunicare con Ipse come se fosse reale.
- E come? -
- Con la magia, è ovvio -
Sorride lievemente, soddisfatto della sua risposta. Dunque, perché?
- Perché? L’hai davvero creato…per me? -
Mi sembra di dire un’enorme bugia. Possibile che lo abbia fatto davvero per questo?
- Certo, non potevo lasciarti in balia di te stessa. Volevo che fossi libera, di esprimerti e di imparare -
Giusto. Io sono qui per imparare, non certo per divertirmi. Non so perché, ma questa consapevolezza mi rattrista un po’, forse perché rende evidente che questo non è proprio un dono fatto per piacere. Lui l’ha fatto solo per addestrarmi.
- Oh, capisco -
Ora vorrei davvero che la mia espressione mi tradisse. Vorrei dirgli che avrei voluto che fosse come credevo.
- Ma sappi che l’ho fatto per te. Per proteggerti e… -
Sento un cambiamento nel suo tono ed anche un po’ di imbarazzo. Torno ad osservarlo e lo vedo contemplare la sabbia con le guancie un po’ più rosse e le mani intente ad aggrovigliarsi. Che sia davvero imbarazzato? Può un principe così bello sentirsi in difficoltà dinanzi ad una semplice ragazza?
- …per farti felice, ecco - Sento il suo cuore riprendere qualche battito ora che ha parlato, e credo che il mio, invece, ne stia perdendo altrettanti. Sono davvero sorpresa. Gli sorrido. Ma voglio giocare un po’ con lui.
- Davvero lo hai fatto per questo? -
Mi sembra di avere a che fare con un ragazzino alle prime armi, mi fa ridere vederlo così.
- S-si… -
Non mi guarda negli occhi, così per ringraziarlo mi porgo silenziosamente verso di lui e gli do un lieve bacio sulla guancia. Quasi shockato, spalanca gli occhi e finalmente si volta verso di me. Io credo di non poter avere volto più felice e aspetto la sua reazione. Lentamente dischiude le labbra in un sorriso mantenendo il rossore in volto e piano si avvicina a me per sfiorarmi la mano e poi abbracciarmi, intrecciando i suoi muscoli intorno ai miei capelli. Sento il suo gesto molto intenso invadermi i sensi e senza che me lo aspettassi, ricambia silenziosamente quel piccolo bacio da bambina posando le sue labbra sulla pelle immediatamente accanto all’angolo destro delle mie, provocandomi quasi un mancamento nel sentire il suo respiro così terribilmente vicino e caldo.
Piccolo demone, non tentarmi così. Non sfiorare la mia anima, non desiderarla.
Cattivo, si allontana quasi cosciente delle conseguenze dei suoi gesti, in modo ancor più lento per farmi precipitare in questo supplizio.
Devo spezzare il mio imbarazzo, prima di andare a fuoco! Devo buttarla sullo scherzo. Mi levo le scarpe e la felpa e dopo aver fatto un leggero inchino gli porgo la mano.
- Principe -
Un po’ sorpreso dal mio atteggiamento mi risponde poi scherzoso.
- Principessa, prego, prima le signore -
E così mi prende la mano stringendola nella sua per trascinarmi fino alla riva tra spintoni e un po’ di malizia. Vorrei che questo tramonto fosse eterno. Giochiamo come bambini all’ultimo sole e per la prima volta uso l’acqua per difendermi e bagnarlo in risposta ai suoi scherzi e al suo solletico.
Completamente bagnati e ricoperti di sabbia, ci fermiamo per un istante in posizione di difesa finchè è lui, per la prima volta, ad usare la magia per sconfiggermi a questo gioco. Ed infatti, senza che io possa fare niente, mi ritrovo a terra e non riesco a trattenere le risate. Rido fino a quando non inciampa in un ramo abbandonato dal mare sulla riva e precipita su di me. Le sue braccia forti fanno in tempo a reggerlo prima che potessimo scontrarci e osservandolo a due centimetri da me vedo le punte delle sue ali spuntare dai confini della schiena. Ma ancora una volta vengo distratta dal suo respiro che mi obbliga a guardarlo negli occhi e ad accorgermi che è troppo vicino. La punta del suo naso mi sfiora e lo guida sui contorni del mio volto, uccidendomi. Le gote, gli occhi, il naso, il collo, il mento, le labbra. Sono fortunata che non possa conoscere i miei pensieri, anche se io vorrei tanto conoscere i suoi. Sono immobilizzata, non oso compiere un movimento o spostare lo sguardo, finchè lui si lascia andare stanco sui gomiti e infila le mani nei miei capelli corti. Il suo petto si asciuga sulla mia maglietta, e i suoi capelli lasciano andare qualche goccia sul mio viso. Tutto d’un tratto si alza allontanando gli occhi dai miei e facendomi sobbalzare sussurra un semplice “mi dispiace” pieno di vergogna. Senza far trasparire nulla, mi alzo tranquilla.
- Non fa niente -
Gli dico sorridendogli, come se nulla fosse successo, nonostante il mio cuore sia quasi collassato.
Ormai è buio e dobbiamo asciugarci. Osservo i miei vestiti fradici e lo vedo avvicinarsi.
- Non preoccuparti, ci penso io -
Tende le mani verso di me, non ho idea di cosa voglia fare. La sua mano si pone a poca distanza dal mio viso e dal suo palmo fuoriesce un caldo vento che soffiando forte mi asciuga, percorrendo ogni parte del mio corpo. Ora comprendo. Ecco perché quando sono con lui mi agito a tal punto. Lui è il vento e io l’acqua. Ecco perché ogni volta che mi abbraccia mi riscalda ed ecco perché non ha freddo senza maglietta. Termina la sua opera asciugandomi i capelli e mi sembra di essere appena uscita da un centro benessere. La mia espressione, però, rimane seria. Non me lo ero mai chiesto, ma lui me lo ha mostrato comunque.
- Ti fidi così tanto di me? -
- Perché non dovrei? -
- Non lo so, io non credevo che fossi capace di questo e io non ti ho mai chiesto niente, però tu hai scelto di fidarti di me e mi hai asciugato.. -
È palese che io sia un po’ nel panico, ma lui rimane tranquillo, forse anche stranito dalle mie domande e dai miei discorsi.
- E’ ovvio che mi fidi di te e non ci ho pensato neanche due volte ad asciugarti -
Ora che mi guarda così, mi sembra quasi deluso dalle mie parole ed io lo sono un po’ da me stessa. Prendo un bel respiro e vorrei dirgli che mi dispiace, ma vorrei tanto che lo capisse da solo. E sembra che anche questo mio desiderio venga esaudito.
- Non preoccuparti, Sarah. - si avvicina ancora un po’ - Però adesso dobbiamo raccogliere un po’ di legna, non possiamo rimanere completamente al buio -
Gli sorrido ancora, non posso farne a meno e gli poggio una mano sul petto nudo e ormai asciutto.
- Va bene -
Giriamo tranquillamente per la spiaggia raccogliendo silenziosamente la legna. Adesso mi sento più tranquilla, mi sembra di star facendo una rilassante passeggiata. Eric scava un fosso nella sabbia, vi getta la legna e tira fuori un piccolo accendino da un inserto della moto. Accende il fuoco e mi invita a sedermi accanto a lui. Adesso si. Mi sento proprio una ragazzina immersa nelle notti d’estate in campeggio, timida e un po’ silenziosa. Mai come ora, però, sono calma, del tutto tranquilla e persa nell’osservare le fiamme. Ogni tanto lo sento sospirare quasi scocciato dal mio silenzio e dalla mia dimenticata curiosità. Lo sento, è davvero infastidito. Mi sfugge un sorriso.
- Come mai sei così silenziosa? Mi aspettavo che mi facessi migliaia di domande. -
Cambio la mia postura per rivolgermi verso di lui e non riesco a decifrare la sua espressione, ora.
- Vuoi che ti chieda qualcosa? -
Si rialza dai gomiti e porge il suo busto verso di me, mi osserva quasi afflitto.
- Vorrei che mi chiedessi tante cose… -
Perché? Cosa vuoi che ti chieda, Eric? Cos’è che non puoi dirmi?

 
  
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