Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Blackmoody    28/03/2008    4 recensioni
– Vi parlo di tanti anni fa. – esordì la donna, lisciandosi la stoffa consunta della gonna.
– Vi parlo di quando il Mare era ancora giovane e libero, e giovani erano molti degli uomini che allora lo plasmarono - con il sudore delle loro fronti e la forza delle loro schiene, come amavano dire. Sono qui per narrarvi una vicenda vecchia di quarant’anni e forse più. – aggiunse poi riacquistando durezza: – Per narrarvi di quel tempo in cui il mondo sembrava ancora non avere confini e in cui i pirati solcavano le onde cantando canzoni e brindando alle vele. Di un tempo in cui tutto e niente, e tutti e nessuno, significarono ‘appartenersi’.

| sospesa |
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Davy Jones, Hector Barbossa, Joshamee Gibbs, Nuovo Personaggio, Tia Dalma
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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nine

 

 

nine .  n i n t h  t a l e

 

 

 

 

Il sangue proprio non voleva fermarsi. Il dolore quasi non lo sentiva più, Maeve, e nemmeno le era rimasta sensibilità al braccio sinistro. Con la vista velata e un ronzìo cupo nelle orecchie, simile a quello che ricordava di aver avvertito dieci anni prima quando le avevano inferto la ferita alla schiena, cercava di dare un senso a quello che stava accadendo intorno a lei – con ben miseri risultati: desiderava soltanto lasciarsi andare e dormire, magari.

A prua, il piccolo Sparrow non si muoveva, la Bussola ancora alzata sopra la testa. Teague, Hector e Davy lo fissavano con una sorta di terrore immobile e infastidito, le ciurme tacevano, e il solo ad apparire a proprio agio era Greedy Dalma. Superato lo sconcerto iniziale, difatti, l’uomo dalla pelle scura aveva squadrato il bambino con aria sorniona. E adesso gli si era avvicinato, parandoglisi di fronte.

Maeve cercò di risollevarsi sulle ginocchia, ma tremava troppo per resistere in quella posizione, e ricadde vinta.

- Mi stai offrendo il mio premio su un piatto d’argento, moccioso?

La voce dell’Avido si levò nell’aria ancora fumosa, accompagnandosi agli scricchiolii delle navi.

Jackie tirò su col naso: - Io non ho detto che te la offro – rispose.

- E cos’hai in mente? – incalzò il capitano dalle vele nere. Stava evidentemente giocando.

- Tu vuoi la Bussola, vecchio, e io la butto in mare se voi non ve ne andate! – urlò il ragazzino.

Suo malgrado, Dalma dovette riconoscere che il mormorìo ammirato che si levò a quell’affermazione avventata non era del tutto immeritato. Certo, quello sputo di mozzo non doveva avere idea del guaio in cui si era cacciato, e questo lo divertiva il doppio. Prese allora a camminargli lentamente intorno, una mano ad accarezzarsi il mento, gli stivali che scandivano inesorabili il tempo battendo sul legno scivoloso del ponte. Ah, che motivi aveva di preoccuparsi? Il suo minuscolo nemico avrebbe pure potuto scagliare l’oggetto a metri e metri di distanza, nelle acque color cobalto del Mediterraneo, ma non gli sarebbe servito a nulla. Tra tutti i presenti, soltanto lui, il capitano del galeone dalle vele nere, aveva ogni diritto di non temere il mare. E il mare non lo avrebbe mai fermato.

Adesso scorgeva con chiarezza la paura negli occhi sgranati del figlio di Sparrow. Si beava del suo pallore e della linea ostinata della sua bocca serrata, e dell’ansia che percepiva nell’equipaggio della Scarlatta, nelle dita degli uomini strette sulle impugnature delle armi.

Avrebbe vinto Greedy, ancora una volta.

- Bene, giovane impavido – lo canzonò – Buttala in mare, se lo desideri.

Fulmineo, e tuttavia senza scomporsi, estrasse una pistola a canna lunga dal pastrano e la puntò contro la fronte di Jackie, cinta dal fazzoletto rosso. Il bambino trasalì come se già gli avesse sparato, e nonostante ciò non mosse un muscolo né distolse lo sguardo. Teague fece un passo avanti.

- Buttala in mare, se una pallottola t’incuriosisce.

Jack deglutì: - E se non m’incuriosisce? – s’informò con una buffa voce gracchiante.

- In tal caso puoi lasciare la Bussola in mano mia, com’è giusto che sia – sorrise l’uomo, in un tono che non ammetteva repliche.

- No che non è giusto – lo rimbeccò il suo piccolo interlocutore, più deciso.

Suo padre, qualche metro più indietro, emise un ruggito rabbioso: - Taci, Jackie!

Era furioso perché non poteva fare alcunchè per cambiare quella situazione. Se avesse sparato a Dalma, cosa peraltro quasi impossibile a causa dei numerosi moschetti che i nemici tenevano puntati dritti su di lui, su Hector e Davy e sui loro uomini – se lo avesse fatto, dunque, la ciurma del comandante nero avrebbe forse ucciso Jack per vendetta o per dispetto, e comunque si sarebbero presi la Bussola. Ci sarebbe voluto uno sparo che cogliesse di sorpresa e che ammazzasse l’Avido sul colpo, affinchè loro potessero riguadagnarsi una possibilità di vittoria. Ci sarebbe voluta la mira infallibile della Lince.

Ma la Lince era sparita, e nessuno l’aveva vista accasciarsi vicino alla murata, nemmeno Barbossa. E Tia Dalma, dove si era nascosta?

- Il mio braccio comincia a stancarsi, moccioso. Il tuo no? – avvertì Greedy facendo scattare il cane.

- Non ancora – sussurrò il ragazzino.

- Jackie, basta!

Il metallo della pistola premette con maggior forza sulla stoffa rossa della fascia: - Ascolta tuo padre, Jackie.

- Mai fatto in vita mia – concluse Jack serrando le palpebre, e riluttante schiaffò la Bussola nel palmo aperto dell’uomo.

- Un vero pirata – ghignò quest’ultimo. Ritrasse l’arma e sparò un colpo in basso, a un pollice di distanza dai piedi del bambino. Poi, mentre un filo di fumo si alzava rovente dal buco nelle assi, Dalma si girò verso il proprio equipaggio e annunciò: - Signori, qui abbiamo finito!

Un soddisfatto boato si levò dalla massa compatta di bucanieri che avevano assistito divertiti alla scena. Qualcuno domandò se era nececessario fare fuori quei topi di sentina sconfitti, di modo che non creassero problemi in futuro, e a mo’ di esempio passò la lama della sciabola sul collo di mastro Wyvern.

- No, Mog, non ce n’è bisogno – rispose il capitano dalle vele nere – Senza la Bussola non potranno neanche raggiungerci.

Il marinaio annuì, bofonchiando con notevole delusione, e ben presto gli assalitori se ne tornarono sul vascello scuro, scalpicciando, vociando, sputando, ridacchiando e lasciando i compagni morti sul ponte della Scarlatta, impiastricciato di sangue, acqua, schegge e polvere da sparo. I tre comandanti osservarono in silenzio la sagoma eretta dell’Avido che si allontanava, fermo al timone come una statua di bronzo. E soltanto quando la nave avversaria fu scomparsa nella caligine dell’orizzonte qualcuno osò riaprire bocca. Josh, per la precisione, che aveva scorto una familiare punta di stivale sbucare tra botti e cordàmi.

- Maeve, maledizione! Che cavolo stavi facendo? – sbraitò precipitandosi da lei.

Nel sentirlo gridare, anche gli altri si riscossero. Teague corse da Jackie per accertarsi che stesse bene e per dargli l’ennesima strigliata; Davy scagliò la spada a terra e imprecò sonoramente, accorgendosi dello stato pietoso in cui erano ridotte buona parte delle vele, delle sartìe e del parapetto; Wyvern, Cotton e Barrett, benchè feriti, andarono a soccorrere i compagni che avevano ricevuto ingiurie peggiori. Hector e Bill raggiunsero Gibbs, non appena questi si rivolse a loro gesticolando con frenesia e con un’espressione angosciata: - Venite a darmi una mano! Mia sorella… è…!

La ragazza giaceva con la schiena poggiata alla murata. Pallidissima e sudata, aveva la camicia e il farsetto inzuppati di rosso, e una mano ancora mollemente, inutilmente premuta nell’incavo della propria spalla sinistra, sopra il cuore. Respirava a malapena.

- Come ho fatto a non accorgermene? – stava ripetendo piano Josh. Sembrava stravolto.

- Cos’è, pensavi che fosse andata a nascondersi in un angolo? – disse il biondo con voce dura.

Il giovane fece un cenno di diniego: - So che non sarebbe stato da lei. Però neppure immaginavo che le avessero…

- Piantala di piagnucolare, Basetta – lo sedò Turner – Portiamola giù e vediamo in che condizioni è la ferita.

- Portatela nella mia cabina. Non è il caso di farla stendere sull’amaca o sul pavimento – li redarguì Hector.

I due si accinsero a sollevare Maeve, ma non sapevano come fare per non toccarle la spalla rovinata. A quel punto, a Barbossa non restò altro modo per toglierla di lì: se la caricò tra le braccia, ricordandosi di averla presa nella medesima maniera quando era una bambina. Si sentiva agitato, voleva fare in fretta. L’emorragia non si era fermata del tutto, e di sangue la Lince ne aveva già perso fin troppo. Dovevano tamponarle lo squarcio con dell’alcol, ripulirlo e fasciarlo, e stare bene attenti che la ragazza non cadesse preda di una forte febbre. Purtroppo non era la sola ad aver bisogno di cure, e la Scarlatta stessa era in brutte condizioni: questo significava che lui non avrebbe potuto vegliare su Maeve fino al suo risveglio. I suoi doveri di capitano lo reclamavano in coperta.

Una volta adagiatala sulla cuccetta, nella frescura della sua stretta cabina, Hector lasciò a Josh e Bill il compito di occuparsi di lei. Di malavoglia, attraversò la zona degli alloggi della ciurma, ora brulicante di gente nervosa e di lamenti e odori forti, e risalì sul ponte.

 

 

- Siamo nella merda.

- Brillante intuizione, Sparrow – grugnì Davy.

I tre capitani e i tre primi ufficiali si erano riuniti nel quadrato di poppa. Ormai era giorno pieno, e la calura esterna non facilitava né le azioni né i pensieri. Inoltre, l’olezzo di sangue e legno bruciato davano la nausea. Per fortuna, gli uomini avevano fatto piazza pulita di cadaveri e del grosso delle scorie.

- Abbiamo da riparare un terzo della murata di tribordo – prese ad elencare Wyvern – Gli alberi non sono stati danneggiati, ma abbiamo perso le vele di mezzana e alcuni sartiami. Nemmeno le vele di maestra sono messe granchè bene.

- Siate più preciso, mastro Wyvern – interloquì Hector, asciutto.

L’altro scrollò le spalle: - Trevo bucato e gabbia sfilacciata, comandante. Quelli ci sapevano fare.

- Il che vuol dire che siamo fottuti.

- Sparrow, stai diventando monotono.

Barbossa si passò una mano tra i capelli arruffati: - Purtroppo ha ragione. Con lo scafo pieno e i velàmi in queste condizioni non possiamo permetterci di inseguire quel bastardo di Dalma. E prima dovremo comunque metterci alla fonda e riparare il riparabile.

- Con quali materiali? – lo interruppe il rosso Jones – Non possiamo lavorare senza legno.

- Per non parlare delle vele di riserva. Quelle buone le abbiamo esaurite – specificò Cotton con rammarico.

Teague si alzò, andando ad appoggiarsi alla cornice dell’ampia vetrata che chiudeva la sala: - Dobbiamo far porto.

- In questo stato pietoso? Non dire idiozie – commentò Davy.

- Abbiamo ancora abbastanza vele intatte per arrivare in tempi decenti sulle coste del Marocco – replicò il moro – Lì useremo parte del bottino che ci appesantisce lo scafo e ci pagheremo legno, stoffa e corda per rimettere in sesto la Scarlatta. Compreremo provviste in abbondanza e munizioni, e per un paio di giorni lasceremo gli uomini liberi di sbronzarsi e andare a donne e giocare d’azzardo come meglio credono.

Il volto di Hector si increspò in un vago sorriso di approvazione: - Così ci alleggeriremo, pure. E dopo…

- Dopo saremo di nuovo in grado di dare la caccia al nostro comune amico – concluse Teague, incrociando gli occhi accesi del collega.

Barrett si grattò pensoso la mascella rasata male: - Senza la Bussola di Morgan come lo ritroviamo? Insomma, dove diamine è diretto?

- Io so cos’è che sta cercando – mormorò Jones.

Tutti lo fissarono. Il capitano scozzese teneva lo sguardo puntato sul mare oltre i vetri, un’immensa gravità inchiodata nelle iridi color ghiaccio.

- So cosa sta cercando – riprese a voce più alta e con evidente sforzo – perché è quel che cerco anche io. Ma mi serviva la Bussola per arrivarci, dacchè non conosco la rotta, né il punto esatto. Eppure, una via alternativa la avremmo.

Gli ufficiali trattennero a stento un moto di eccitazione. Hector e Teague, invece, si scambiarono un’occhiata, un pensiero identico nella mente stanca: era forse lei, la ‘via alternativa’? La donna dalla pelle di cannella che pareva capire le onde così bene?

- Ve ne riparlerò una volta riparata la nave. Per il momento, ricordatevi ciò che vi ho detto – finì di dire il rosso – E, Sparrow. Alla prossima che combina tuo figlio, giuro che lo appendo al bompresso. Se non avesse avuto quella splendida pensata avremmo ancora la Bussola.

L’interpellato non battè ciglio: - Voleva darci una mano, a modo suo. Sbagliare è normale.

- Non parafrasare proverbi inutili. Che ci aiuti quando sarà cresciuto, se proprio ci tiene – e con tali parole Davy girò i tacchi e lasciò la stanza a passi grandi e irritati, uscendo sul ponte e mettendosi a gridare ordini. Gli altri attesero un po’ nel quadrato, senza fiatare e senza un reale motivo di restarsene lì, se non l’ombra e l’aria respirabile. Si godevano l’idea di avere di nuovo un piano, un obbiettivo, una preda da cacciare.

I ruoli si erano invertiti. E per pirati come loro, quella era la prospettiva più allettante.

Quando infine Cotton, Wyvern e Barrett si decisero a seguire il rosso, lasciando soli Hector e Teague, questi ammiccò al compagno:

- La Lince come sta?

- Non lo so. L’ho affidata a suo fratello e a quel pazzo di Turner – borbottò il biondo.

- Decisione discutibile – rise Sparrow – Pensi di tornare da lei, adesso?

Barbossa lo fulminò: - Per chi mi hai preso? Sono un capitano. E dobbiamo condurre in porto questo catorcio di galeone.

- Non essere scortese. La Scarlatta resta sempre una signora nave – lo rimproverò il moro, accingendosi ad andarsene.

Strano che avesse lasciato cadere l’argomento con siffatta naturalezza, si disse Hector mentre lo osservava aprire la porta. Di solito lo avrebbe preso in giro fino alla morte, lo avrebbe punzecchiato e provocato, così come aveva sempre fatto da dieci anni a quella parte. Doveva essere seriamente inquieto.

Soprattutto dopo aver assistito alla piazzata suicida di quel caso umano di Jackie, sogghignò il biondo tra sé. Non sapeva che tipo di uomo sarebbe divenuto col passare degli anni, ma di una cosa era certo: non avrebbe voluto Jack Sparrow come suo capitano per niente al mondo.

 

 

Le ore si snocciolarono via con metodica lentezza, sotto i raggi cocenti del sole. Furono stesi teli di cotone pesante sui boccaporti di coperta, in maniera da preservare un po’ di fresco laddove riposavano i feriti, e sul ponte si lavorò instancabilmente per eliminare almeno un minimo i danni che non potevano attendere le coste marocchine per essere sistemati. Persino i tre capitani, per dare ordini, si misero in maniche di camicia e corsero da prua a poppa elargendo istruzioni e, a turno, tenendo il timone. Il vento e le acque erano placidi, rilassati, e la Scarlatta vi scivolava sopra beccheggiando appena.

Finalmente scese il crepuscolo, portando sollievo agli uomini sudati. Il cielo era di poco più chiaro del mare, tinteggiato di verde-oro nel tratto in cui sfiorava l’orizzonte, e su isole lontante brillavano, visibili solo ad occhi attenti, piccole luci.

L’aria profumava di sale e di qualcosa di simile al gelsomino. Era perfetta per dimenticare la durezza di quel giorno.

Hector se ne stava appoggiato alla base del bompresso a guardare le onde. Josh gli si avvicinò con due boccali di rum tra le mani:

- Se gradisci, capitano, ho portato qualcosa di dissetante – esordì. Non sorrideva, ma pareva tranquillo.

Il biondo accettò l’offerta con piacere: - Strano che ci sia ancora rum a bordo.

- In realtà sta finendo. Quello avanzato serve per disinfettare, purtroppo. Ce n’è una bottiglia nella tua cuccetta, se vuoi.

- Mi stai suggerendo di sbrigarmi a prenderla, Gibbs? – ghignò Hector. Gli piacevano i messaggi subliminali.

Josh fece spallucce: - Magari. Mia sorella stava dormendo, quando ho controllato l’ultima volta. Attento a non svegliarla, capitano.

Non si capiva se il tono del giovane fosse sornione o meno, ma Barbossa lo avrebbe preso per tale a prescindere. Che a Joshamee desse fastidio il suo interesse per lei non lo disturbava. Quello era affar suo.

Sollevando il boccale per un ironico brindisi col ragazzo, Hector si avviò ai boccaporti e si calò giù per la scala stretta. Dagli ombrinali nelle fiancate filtrava la brezza pulita, e l’odore negli alloggi era meno opprimente di prima. La porta della sua cabina era chiusa, e da dietro di essa provenivano lievi fruscii: una lama sottile di luce aranciata gli rivelò, assieme a quei rumori, che la Lince si era probabilmente alzata e che stava muovendosi nella stanza.

In effetti, Maeve aveva smesso di dormire già da un bel pezzo. Aveva continuato a tenere le palpebre serrate per evitare che suo fratello o chiunque altro si mettesse a parlarle, a farle domande, a compatirla e consolarla per la brutta ferita. Le bruciava, quella ferita, e non solo fisicamente. Odiava il fatto di essere stata tanto stupida e distratta da lasciarsi colpire alla sprovvista e all’improvviso, e all’inizio della battaglia. Non era servita a nulla, non era stata utile. Si era afflosciata come un sacco di patate bucato, incapace di trovare la forza di reagire al dolore e allo sfinimento.

E, per aggiungere la beffa al danno, nessuno si era accorto di quel che le era accaduto. Comprensibile, considerata la situazione. Eppure la cosa la stizziva, la innervosiva, le metteva voglia di prendersela con i suoi ignari compagni, con Josh. Con Hector.

Non era venuto a vedere come stava, constatò nuovamente, frattanto che si cambiava con cautela la fasciatura sulla ferita. Chissà, forse la considerava una donna debole, fondamentalmente indifesa, inadatta all’azione. Una donna normale.

Era talmente immersa in questi ragionamenti, Maeve, che non udì la porta cigolare, aprirsi e richiudersi, e un paio di suole strusciare sul legno.

- Mi sembra che tu ti sia rimessa alla svelta, Lince.

Lei sussultò, conscia di essere a petto nudo, benchè di spalle al visitatore:

- Dannazione, Hector. Bussa prima di entrare! – lo aggredì, afferrando rapida la camicia per coprirsi. Ma non la indossò.

- Io ho bussato. Quando ero già dentro – si difese l’uomo. Si coglieva il suo sorriso sfrontato, nella sua voce.

Maeve voltò il capo per guardarlo: - Sempre la risposta pronta, tu. Ora però vattene. Sto bene.

No, non c’era la minima convinzione in quell’ordine che avrebbe voluto essere secco e acido. Non la minima sfumatura. Il lume a olio dondolava al suo gancio sulla parete opposta a quella in cui era incassata la cuccetta, facendo della cabina angusta un bozzolo accogliente, difficile da abbandonare. La finestrella era socchiusa per lasciar passare il fresco della sera, e il soffio scompigliava con gentilezza i capelli raccolti della ragazza.

Hector non riusciva a staccare gli occhi dal contorno morbido delle spalle e dei fianchi di Maeve, dal suo collo scoperto e un po’ piegato in avanti, dalla garza bianca che spiccava sulla sua pelle abbronzata, dai suoi piedi magri e dalle caviglie che spuntavano dall’orlo dei calzoni.

E dalla grande cicatrice che le attraversava, in diagonale, la schiena intera, perlacea, lunare.

La giovane Gibbs avvertì le sue occhiate e lo fissò in tralice: - Non guardarla. Non è piacevole da vedere – lo pregò quasi.

- Io la trovo bella – disse placidamente Hector, osservando anche il profilo, il naso dritto, la bocca fiera, gli occhi taglienti e brucianti.

- Smettila e vattene – tentò ancora Maeve. Per partito preso, più che altro.

Barbossa le fu accanto in un attimo. Le posò una mano alla base del collo e cominciò, piano, a far scorrere le proprie dita ruvide lungo la cicatrice, seguendone le irregolarità e la linea con esasperante lentezza. La ragazza inghiottì un grosso sospiro e si morse le labbra.

- Non me ne vado, Lince.

La mano terminò il suo percorso e lo risalì al contrario, senza accelerare. Hector si spostò, in modo da esserle di fronte, carezzandole le spalle e ubriacandosi di quella vista: il viso di Maeve era appena arrossato, gli occhi violetti tradivano un sorriso. Era timorosa. E trepidava.

Lasciò che fosse lei a baciarlo per prima, vincendo l’orgoglio che di norma la guidava. Sentì quella bocca riscaldarsi sulla sua e non si trattenne oltre, catturandola completamente, stringendola a sé e baciandola come quella notte di tempesta sul pennone di prua.

Non erano più in bilico sui marosi roboanti, ma la vertigine era addirittura più forte.

E più i baci si facevano intesi più le braccia e le mani di Hector sembravano non volerla lasciar scappare via, trattenendola con una sorta di frenesia che in un uomo diverso si sarebbe detta disperazione. Invece non c’era disperazione in loro. Non c’era fretta. Era tutta una danza lenta e ritmata, come le onde che cullavano la Scarlatta, silenziosa come la camicia di Maeve che planò sul pavimento, sfuggendo dalla sua già svogliata presa.

Era rovente come le lenzuola e le coperte smosse su cui Hector la adagiò tenendola per i fianchi, era vellutata come la semioscurità in cui piombò la stanza dopo che la fiamma si spense sullo stoppino consumato della lampada. Era stellata come il cielo blu cupo incorniciato dalla finestra quadrata, quella finestra che Maeve intravedeva al di là delle ampie spalle e dei capelli spettinati di Hector. La finestra che scorse fin quando non chiuse gli occhi.

Allora non pensò più a niente. Il dolore alla spalla si era ridotto ad un insignificante bruscolo nel mare caldo in cui Hector Barbossa la stava guidando. Lui, l’uomo che da anni la canzonava bonariamente e la guardava con quello sguardo impertinente e impenetrabile.

Eppure quelle stesse iridi color dell’acqua calma ora ardevano con la stessa intesità dei loro corpi.

E Maeve Gibbs pensò, prima di smarrirsi completamente, che non avrebbe desiderato bottino più prezioso di quello.

 

 

 

 

 

ninth tale : end

 

 

 

piccole note (volendo trascurabili):

chiedo umilmente, UMILMENTISSIMENTE perdono.

Sono secoli che non aggiorno, causa ispirazione vacante, e non sapevo come fare.

Ma ecco che, oggi, sono riuscita a buttare giù il capitolo per intero.

Oh, non è molto lungo, lo so, però c’è. È qui, tutto per voi, finalmente.

Spero che questo ritardo non vi abbia fatto passar la voglia di leggere!

Passo subito a ringraziare chi di dovere:

le mie compari Laura, Acchan, Sparriku e Peeves;

la collega Kairi; la solita Sesshy; e Narah, in particolare, a cui do anche il ‘benvenuto’.

Prometto che non vi farò aspettare più così tanto.

Alla prossima, dunque, se vorrete essere inclini ad ottemperare alla mia richiesta  Black ~

 

  
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