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Autore: mikchan    28/09/2013    2 recensioni
*SEQUEL DI LIKE A PHOENIX*
Il tempo passa, la vita continua e i brutti ricordi diventano passato. Per tutti è così, anche per Amanda, giornalista in carriera, sfruttata dal suo capo, in crisi con se stessa e con i sentimenti che prova per il suo ragazzo e in cura da uno psicologo. Tutto questo, e Amanda lo sa, è dovuto proprio a quel passato che non l'ha abbandonata, alla perdita delle cose più importanti che avesse al mondo. Ma il passato ritorna, sempre, e per Amanda si ripresenta in una piovosa giornata invernale.
Saprà il suo passato darle un'altra opportunità, oppure è davvero tutto finito?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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4- SHADOWS FROM THE PAST


Nonostante fossero appena le nove di sera, la sala era già gremita di persone.
L'atmosfera era molto Natalizia, complici anche le decorazioni e l'imbarazzante vischio che qualcuno aveva appeso sopra la porta. Quando l'aveva visto, Austin era scoppiato a ridere e mi aveva baciata lì, davanti a tutti. Nonostante la presenza di persone attorno a noi, mi ero aggrappata al suo collo e avevo risposto a quel bacio così eccitante.
"Sei fantastica, stasera", mi sussurrò all'orecchio quando le risatine e gli espliciti colpi di tosse ci fecero staccare.
"Diciamo che il merito è anche tuo", ribattei, lasciando cadere lo sguardo sull'abito che indossavo. Era quel vestito che avevo provato quel pomeriggio qualche giorno prima e che ero stata costretta ad abbandonare perché troppo costoso. Ovviamente, quella traditrice di mia madre aveva spifferato tutto ad Austin, che aveva avuto la bellissima idea di spendere un casino di soldi nascondendosi dietro alla scusa del regalo di Natale. Quando ero tornata a casa, quella mattina, e avevo visto quella scatola bianca sul mio letto non potevo credere ai miei occhi, ma mi ero seriamente arrabbiata con entrambi perché, nonostante Austin non avesse problemi con i soldi -un modo gentile per dire che era schifosamente ricco- sapevano quanto odiassi spendere troppo per cose inutili. Alla fine, però, dopo parecchi insulti da parte mia e moine da parte loro avevo ceduto e mi ero arresa all'evidenza. In fondo, quell'abito mi piaceva un sacco e se Austin insisteva tanto, chi ero io per rifiutare?
Austin ridacchiò al mio orecchio e stringendomi per la vita, mi condusse all'interno della sala. "Fidati, non è il vestito a renderti stupenda".
Gli lanciai un'occhiata scettica, allungando la mano per prendere un bicchiere di champagne dal vassoio che portava in giro un cameriere. "Adularmi non mi farà passare l'arrabbiatura".
Austin mi imitò, prendendo un sorso prima di rispondermi. "Lo so bene, cara. Ma non ti sto adulando, è la semplice verità".
Non risposi, limitandomi a scuotere la testa. "Come vuoi", mi arresi, guardandomi intorno alla ricerca di Mr Klant. In realtà, lo sapevo bene io e lo aveva intuito anche Austin, vista l'occhiata che mi aveva rifilato, non stavo cercando il mio psicologo, ma un'altra persona che però, nella mischia, non riuscivo a vedere. E forse era meglio così: non mi andava di rovinarmi la serata, per questo quando incrociai lo sguardo di Mr Klant sorrisi e, prendendo la mano di Austin, mi diressi verso di lui.
"Buon Natale, Amanda", mi salutò il Dottore con due baci sulla guancia.
"Buon Natale anche a lei, Dottore", sorrisi.
"Amanda, voglio presentarle mia moglie Sophia", disse indicando la donna al suo fianco, visibilmente incinta e con un sorriso enorme.
"Piacere", risposi stringendole la mano. "Lui è Austin, il mio ragazzo", dissi invece io, sorridendo quando questo mi strinse le spalle con un braccio e salutò con gentilezza.
"Sono contento di vederla. Pensavo non venisse".
Scossi la testa. "No, ci tengo a questa festa, lo sa".
"Beh, allora buon divertimento", rispose con un sorriso e congedandosi prendendo la moglie per mano.
"Ti va di ballare?", mi chiese Austin indicando la pista da ballo dove qualche coppia stava già volteggiando su una canzone piuttosto tranquilla.
"Se ci tieni a vedere i tuoi piedi brutalmente calpestati, allora con piacere", ridacchiai, prendendo la mano che mi stava porgendo come se fosse un cavaliere d'altri tempi.
Austin mi condusse alla pista e mi strinse a se. "I miei piedi sono tranquilli, signorina", esclamò con un sorriso, incominciando a danzare.
Io lo seguii incerta, ancora piuttosto imbranata con quei tipi di balli così eleganti e severi, ma dopo un po' mi sciolsi e mi lasciai trasportare dalla musica e dalla voce dolce della cantante che intonava le note con maestria ed emozione.
Senza che me ne accorgessi ballammo tre canzoni senza spiccicare parola, ma senza distogliere gli occhi l'uno dall'altro. Ora che ci facevo caso, era dall'inizio della serata che Austin aveva uno sguardo strano. Mi fissava in modo quasi adorante e i suoi occhi luccicavano quando incontravano i miei, sembrava quasi che fossero delle stelle. Ed io non riuscivo a capirne il motivo: certo, mi aveva ripetuto migliaia di volte quanto fossi bella, ma non poteva essere solo quello il motivo delle sue occhiate così... malinconiche. Sembrava quasi che si stesse imprimendo nella mente quei momenti come se prima o poi tutto dovesse per forza finire e lui non avesse abbastanza forza da ricordarsi di me senza quei ricordi.
All'improvviso mi vennero in mente quelle parole che aveva pronunciato quasi due mesi prima, dopo il mio primo inaspettato incontro con Adam alla clinica di Mr Klant. Credevo di averle solo sognate e invece Austin le aveva pronunciate davvero. Credeva sul serio che io potessi lasciarlo su due piedi per tornare da Adam e ora che questo era tornato in qualche modo nella mia vita quel timore si era fatto certezza.
Mentre mi stringeva in quel ballo lento, avrei voluto scuoterlo per le spalle e urlargli in faccia quanto lo amassi e che mai lo avrei abbandonato. Ma la verità era che ero una terribile ipocrita, perché nonostante Austin fosse la mia vita, in quel momento non ci avrei pensato un secondo a ritornare con Adam se questo me l'avesse chiesto. E mi sentivo una vera stronza solo a pensarlo, proprio mentre il mio ragazzo mi abbracciava con dolcezza, quando il mio cuore avrebbe voluto altre braccia e altre mani intorno al mio corpo.
Appoggiai quindi la testa sul suo petto, senza dire una parola ed evitando di incrociare i miei occhi lucidi con i suoi. Non avrei retto quello sguardo, non con la certezza di non essere abbastanza forte da essere fedele all'uomo che amavo, almeno per una volta. Forse ero destinata a tradire tutti i ragazzi che si fossero solo minimamente avvicinati a me e restare sola come punizione per i miei sentimenti così contorti e degeneranti. Ma, in fondo, come poteva essere un sentimento d'amore così sbagliato? Io amavo Adam con tutta me stessa, non avrei mai smesso di farlo perché il mio cuore apparteneva a quel ragazzo che mi aveva salvata da me stessa, amandomi per quello che ero e facendosi amare. Però amavo anche Austin, che mi era stato accanto nei momenti più tristi, semplicemente abbracciandomi stretta senza fare domande, con la sua dolcezza e la sua semplicità aveva conquistato il mio cuore, che ora era più confuso che mai.
Era ovvio quello che dovessi fare. Con Adam avevo chiuso anni prima, anche per colpa mia, ad essere sinceri, e non avevo nessun diritto di sperare in una nuova relazione. Con Austin, invece, avevo incominciato una vita diversa, nella quale avevo messo una toppa sul mio passato e cercavo di andare avanti, aggrappandomi a lui come se fosse la mia ancora di salvataggio. E lo era, accidenti a me!, Austin era la mia salvezza e non potevo ferirlo in quel modo, preferendo il mio ex a lui. Sarebbe stata una mancanza di rispetto troppo grande da sopportare e non ce l'avrei mai fatta a convivere con quel rimorso, neanche nell'assurda ipotesi di una vita con Adam.
Che casino!
La musica finì e Austin sciolse l'abbraccio con delicatezza, sorridendomi dolcemente e prendendomi per mano. "Ti va di bere qualcosa?".
Io annuii, sorridendo incerta. Dovevo cancellare dalla mente quei pensieri orribili, mi avrebbero solo rovinato la serata e la relazione con Austin. C'erano, ma dovevo fare finta di niente. Per il mio bene e per quello di Austin.
Lo seguii dolcilmente fino al banco buffet e, dopo aver preso due bicchieri di champagne cercammo un posto dove sederci. Conoscevamo quasi tutti i partecipanti a quella festa, essendo parecchi anni che vi prendevo parte e anche perché Austin, figlio di un famoso imprenditore, aveva molte conoscenze nell'alta società. Ogni tanto qualcuno ci faceva un saluto o ci fermavamo a scambiare qualche parola e quando finalmente arrivammo ai tavolini posti ai lati della pista da ballo avevamo finito il nostro champagne e avevo le guance che mi dolevano per i troppi sorrisi.
"Mi fanno male i piedi", mi lamentai quando ci sedemmo.
Austin ridacchiò. "Resisti un altro paio d'ore, piccola. Poi ce ne torniamo a casa".
"Non puoi dirmi che torniamo a casa con quella voce maliziosa e lo sguardo da cucciolo pervertito mentre sono qui che soffro!", pigolai sporgendo fuori un labbro in una smorfia di finto dolore.
Austin mi accarezzò la guancia con la mano e scosse la testa, divertito. "Ti prometto che dopo ti darò un premio", mormorò facendomi l'occhiolino.
"E se il premio me lo dassi adesso?", pronunciai accavallando le gambe e sorridendo maliziosa.
"Qui?", mi chiese sorpreso.
"Oddio, no!", esclamai io, ridendo. "Andiamo a casa".
Austin scosse la testa. "Mi dispiace, ma la risposta è no, piccola. Ora stai qui buona che io vado a salutare un collega di mio padre e non ti porto con me perché l'ultima volta l'hai quasi picchiato", mi anticipò vedendo il mio sguardo accigliato.
Agrottai le sopracciglia, mentre Austin si alzava e si stitemava la giacca del completo. "Mi ha definita la tua segretaria", gli feci gelidamente notare, ricordandomi di quell'odioso uomo che avevo incontrato l'anno prima e che, con un viscido sguardo da falso amicone, aveva chiesto ad Austin se si era portato la segretaria alla festa, visto che i genitori non avevano annunciato nessun fidanzamento. C'era mancato veramente poco che gli urlassi in faccia quanto fosse bigotto e maleducato e quanto anche detestassi l'alone di superiorità intorno ai genitori di Austin e ai loro stramaledetti soldi, intorno al quale doveva girare sempre tutto. Fortunatamente Austin mi aveva trasinata via, altrimenti si sarebbe ritrovato tutto il contenuto del suo bicchiere addosso a quel costoso completo.
"Appunto per questo ti lascio qui, così evitiamo noiose ripercussioni".
"Qualcosa mi dice che i tuoi credono ancora che ci siamo mollati", mugugnai incrociando indispettita le braccia.
Austin sospirò. "No, sanno che stiamo insieme, ma non ci parlo da settimane. Mia madre voleva diseredarmi, per fortuna mio padre l'ha calmata", mi rivelò.
Io annuii, senza rispondere. Avevo conosciuto i genitori di Austin quando ancora uscivamo assieme come amici e, di prima occhiata, mi erano sembrate persone gentili, anche se un po' troppo altezzose, decisamente diverse dal modesto figlio. Eppure, quando avevano capito che stavamo assieme, non avevano esitato ad etichettarmi come una "sgualdrina alla ricerca di denaro", soprattutto la madre, che si era accanita contro di me manco fossi una malattia contagiosa. Con il padre, invece, seppur con un po' di difficoltà e timore, avevo consolidato un rapporto tranquillo e pacifico e mi aveva presa in simpatia quando aveva scoperto la mia passione infantile per il karate, sport che da giovane aveva praticato assiduamente. Era solo grazie a lui se la madre di Austin non mi aveva ancora avvelenata o se non avesse ancora buttato fuori il figlio da casa.
"Io vado", mi ricordò Austin con un mezzo sorriso, chinandosi per darmi un dolce bacio sulla guancia e poi dirigendosi verso il gruppo di uomini che stava chiaccherando poco lontano da noi.
Una volta sola, sospirai. Forse era effettivamente un bene starmene alla larga da quelle persone con la puzza sotto il naso. Ed io, con il mio abbonamento mensile dell'autobus e le camicie comprate ai mercatini domenicali, ero così lontana da quel mondo così luccicante e falso che spesso mi chiedevo come avesse fatto Austin a innamorarsi di me, ma, soprattutto, a crescere così. Lui era buono, dolce e gentile con tutti. Faceva il volontario all'ospedale in centro una volta alla settimana, partecipava a diverse associazioni di beneficenza e regalava sorrisi a chiunque, indistintamente dalla classe sociale o dai numeri di zeri sulla carta di credito. Lui era così, semplice e sofisticato allo stesso tempo, ma era per quello che lo amavo, per quel suo essere così diverso dalla sua famiglia, eppure così attaccato ad essa, sempre e comunque.
"Vedo che ti perdi ancora a Pensierolandia con quella faccia da pesce lesso".
Una voce, quella voce, mi fece voltare e davanti mi ritrovai l'ultima persona che mi aspettassi di incontrare quella sera.  Sorpresa dalla sua presenza e da quell'accenno a Pensierolandia accennai un sorriso. "Certi vizi sono duri a morire", scherzai, sentendomi un po' a disagio quando non lo vidi sorridere.
"Ti va di ballare?", mi chiese a bruciapelo, tendendomi una mano.
Abbassai lo sguardo, colta di sorpresa, e il mio pensiero corse subito ad Austin. Mi voltai verso di lui, ma lo trovai intento a parlare con un amico del padre.
Alzai lo sguardo di nuovo verso Adam e, per un attimo, mi persi nei suoi occhi. Tutti i ricordi del passato si riversarono in me con la potenza di un uragano e rimasi per un attimo senza fiato, immobilizzata dalla forza di quelle immagini. Adam che mi abbracciava con un sorriso, che mi baciava con dolcezza, che faceva l'amore con me con passione, che mi chiamava Lupacchiotta con quello sguardo malizioso. Adam che amavo e che non mi apparteneva più.
Non sapevo davvero cosa fare. Ero combattuta se seguire la ragione e rifiutare, andando da Austin e rubargli un bacio mozzafiato proprio per segnare che, per me, il passato doveva rimanere tale, oppure seguire il cuore e accettare di ballare con lui, di lasciarmi stringere tra le sue braccia e di perdermi per l'ultima volta nel suo profumo che aveva già colpito le mie narici destabilizzandomi.
Adam non attese che io decidessi: appena la nuova canzone iniziò, mi prese per un polso e mi fece alzare, trascinandomi con dolcezza al centro della pista.
Ero lì, con lui, sulle note di una canzone e mi ritornò in mente il giorno del ballo di fine anno, in quarta superiore. Chissà se mi avrebbe stretta di nuovo in quel modo o se si sarebbe eccitato alla vista di una piccola porzione del mio seno. Probabilmente no, visto che ormai era un uomo maturo, ma ormai il mio cuore aveva preso il sopravvento sulla ragione e stava battendo come un matto nel mio petto.
You're in my arms,
and all the world is calm
the music playing on, for only two.
So close, together
and when i'm with you
so close to feeling alive.
Adam mi prese la mano e posò l'altra sul mio fianco, avvicinandosi a me di un passo. C'era spazio, tra di noi, ma le sue mani sul mio corpo ardevano come non mai e potevo sentire il suo fiato caldo come se fosse vicino a me, su di me. Iniziò a volteggiare piano, seguendo le note dolci della canzone e non avevo il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, troppo a disagio anche solo sentirmi così vicina. Eppure, sembrava che il mondo intorno a noi fosse scomparso: la sala da ballo, le persone intorno a noi, Austin... niente c'era più oltre che noi due.
A life goes by
romantic dreams will stop
so I bid my goodbye and never knew
So close was waiting, waiting here with you
and now forever I know
all that I wanted, to hold tou
so close
"Come mai non dici niente?".
La voce di Adam mi riportò alla realtà e sobbalzai un attimo quando incontrai i suoi occhi blu così vicini ai miei. Ero imbarazzata, ma allo stesso tempo felice. Da quanto tempo aspettavo di essere di nuovo tra le sue braccia, anche solo per un attimo? "Sto ballando", sussurrai come se fosse ovvio abbozzando un sorriso.
"Non eri tu quella che sapeva fare due cose assieme?", mi provocò, avvicinandosi a me un altro po'.
"Cosa vuoi da me, Adam?", gli chiesi, ignorando la domanda e porgendogli quella che mi ronzava nella testa da quando si era presentato al mio tavolo. Non era stato lui a dire di non volere avere più niente a che fare con me? E allora perché tornava a tormentarmi proprio quando ero riuscita ad andare avanti, in qualche modo? Certo, c'era una parte di me che non si sarebbe mai scollata dal suo corpo, ma un'altra, più rumorosa, mi ricordava di avere un fidanzato che, a pochi passi da me, probabilmente stava guardando tutta la scena.
"Ballare", rispose semplicemente, scrollando le spalle.
Sospirai. "Sai cosa intendo", mormorai.
Adam non rispose, continuando a volteggiare e a stringermi al suo corpo.
So close to reaching that famous happy end
almost believing this was not pretend
and you're beside me
and look how far we've come
So far, we are, so close
Ero così vicina a lui, eppure non mi ero mai sentita così distante.
Ormai era tutto finito, perché nutrire ancora false speranze? Ci avrei rimesso solamente io. E questa volta non sarebbe bastato Austin a rimettere a posto i cocci del mio cuore.
Così vicini nel corpo, ma mai così lontani nell'anima.
Non ci sarebbe stato un futuro per noi, nessun luccicoso happy end, nessun bacio al tramonto sulla spiaggia e nessun matrimonio senza fine. La nostra storia non aveva più senso, per nessuno dei due. Per quanto lo amassi ancora, ormai era passato troppo tempo e non ero più disposta a mettermi in gioco, non questa volta.
E, forse, era proprio perché lo amavo con tutta me stessa che non volevo riniziare niente con lui, nemmeno un'amicizia. Perché sapevo che, solo standogli vicina, mi sarei innamorata di nuovo di lui e non avrei sopportato di perderlo di nuovo. Ormai avevo perso la sua fiducia e il suo amore, cos'altro potevo fare per riconquistarle se neanche l'idea di un figlio lo aveva fatto rimanere al mio fianco?
In fondo, era meglio così. Era meglio amarlo da lontano, nei miei sogni e sapere di non poterlo avere più che tenerlo accanto a me per un solo sfuggente attimo e lasciarlo scappare il secondo dopo, con ancora il suo profumo sulla pelle e il suo nome sulle labbra.
How could I face the faceless days
if I should lose you now?
We're so close
to reaching that famous happy end
almost believing this was not pretend
let's go on dreaming for we know we are
So close, so close,
and still so far. (*)
Eppure c'era ancora una parte di me, la parte guidata dal cuore, che avrebbe buttato nel cesso tutte le certezze e sarebbe tornata da lui, anche per quell'infinitesimo secondo così dolce e così doloroso allo stesso tempo.
Ora che lo avevo di nuovo tra le mie braccia, come avrei potuto lasciarlo andare di nuovo?
Quella era la domanda che il mio cervello si ripeteva, e ormai sapeva che la risposta era solo una. Purtroppo per il mio cuore, non c'era più spazio per quell'amore così forte nella mia vita. Se gli avessi di nuovo permesso di intrappolarlo tra le sue spire non me ne sarei più liberata e una volta sciolta la presa, tutto sarebbe stato più complicato.
E poi c'era Austin. Come potevo dimenticarmi di lui?
Mentre il cantante intonava le ultime malinconiche note, non potei fare altro che appoggiare la testa al suo petto, cedendo a quell'impulso di sentirlo accanto a me per l'ultima volta. Avrebbe fatto male, certo, ma in fondo un po' masochista lo ero sempre stata e in quel momento niente era meglio che stare stretta tra le sue braccia e ricordare quei momenti felici del nostro passato.
Perché ormai Adam non era altro che quello, il mio passato.
Sarebbe stato sempre accanto a me, nel mio cuore, nella mia mente, nella mia anima, ma non avrebbe più fatto parte della mia vita e, in fondo, di quello non potevo che incolpare me stessa. E non era una punizione, era solo un dato di fatto: io avevo sbagliato e Adam aveva perso la fiducia che aveva in me. Non glielo rimproveravo, anzi, però non potevo non regalarmi quel piccolo tuffo nel passato.
La musica finì e Adam si staccò da me, regalandomi uno dei suoi sorrisi.
Eravamo così lontani, eppure così vicini!
"Posso chiederti una cosa?", mi chiese senza muoversi e senza lasciarmi andare.
Io annuii, ancora stordita da quel ballo.
"Che... Come sta lui?", domandò incerto.
Agrottai le sopracciglia. "Lui?", ripetei, pensando al perché mi chiedesse di Austin.
"Sì, lui. Mio... nostro... figlio", sussurrò, quasi emozionato.
Quelle parole furono una secchiata di acqua fredda.
Suo figlio. Il nostro bambino.
Mi staccai di lui di botto, come se mi fossi scottata.
Erano passati cinque anni, cinque fottutissimi anni, e lui solo ora si ricordava di avermi messa incinta. Certo, poi io non avevo avuto il coraggio di dargli la brutta notizia, vista la sfuriata che mi aveva fatto, ma avevo dato per scontato che lo avesse saputo da qualcuno. Mia madre, Liz, Charlie...  chiunque.
"Che c'è?", mi chiese poi, quasi allarmato e sussultò quando incontrò i miei occhi pieni di lacrime.
Non avevo saputo trattenerle. Sapevo che sarebbe arrivato quel momento, il momento in cui sarebbe tornato non per me, ma per nostro figlio, che per la cronaca nemmeno esisteva più, ma viverlo era stato più difficile di come me l'ero immaginato. E, alla fine, non potevo rimproverargli nemmeno quello.
C'era qualcos'altro, però, che gli potevo rimproverare. "Sono passati cinque anni", sussurrai a denti stretti, raggiungendo il bordo della pista da ballo.
"Lo so, solo che io...".
"No, non dirlo", esclamai. "Non dire che sei stato impegnato, dannazione!".
"Cosa dovevo fare?", sbottò invece lui. "Perdonarti?", sputò poi, raggelando il suo sguardo.
Scossi la testa con forza, cercando di fermare le lacrime prima che facessero un disastro con il trucco. "Venire a cercarlo. Almeno lui", sussurrai.
"Non è stato facile", ribatté.
"Oh, certo, perché per me è stata una passeggiata", ironizzai stringendo i pugni e rinunciando ad asciugarmi le guance bagnate. Con la coda dell'occhio vidi Austin avvicinarsi preoccupato, ma lo ignorai, tornando ad Adam, che mi fissava a metà tra lo scoinvolto e l'arrabbiato. "Io sono rimasta incinta a vent'anni, Adam", esclamai poi. "Io sono rimasta sola a pagare per i miei sbagli. Solo io c'ero quando ho perso il tuo maledetto bambino e tu non ti sei nemmeno preoccupato di sapere se fosse nato", urlai, ormai senza più fiato.
"Che... cos'hai detto?", balbettò, facendo un passo incerto verso di me.
"Che ho perso il bambino, Adam", dissi, cercando di essere più gelida possibile.
"E non hai pensato di dirmelo?", sbottò stringendo i pugni.
"Non volevi nemmeno vedermi", gli ricordai con una risatina nervosa.
"Ma...".
"No, Adam, basta così. Ormai è tutto finito", sussurrai, abbassando lo sguardo.
Poi mi voltai e lo lasciai lì, a bocca aperta e con una mano alzata.
Scoppiai in singhiozzi appena Austin mi fermò per un polso e mi strinse a se, con forza, trascinandomi fuori dalla sala.
Non sapevo esattamente perché stavo piangendo, forse perché era tutto davvero finito o forse perché Adam mi aveva ferita con le sue parole.
Ma non mi importava nemmeno, non in quel momento.
Mi lascia stringere da Austin per tutta la sera fino a quando non finii le lacrime e anche dopo.
Avevo sbagliato di nuovo. Avevo allontanato Adam e probabilmente presto avrei perso anche Austin.
Forse era la mia maledizione, quella di uccidere tutte le migliori relazioni della mia vita.
E, in fondo, perché sforzarsi di combattere, quando il tuo destino è già segnato?



(*) So close, John McLaughlin. Dal film "Come d'incanto". -->
https://www.youtube.com/watch?v=JXh1KxI4uls
vestito Amanda -->
http://www.polyvore.com/amandas_ball_dres/set?id=93262793


Salve genteee! 
Con un po' di ritardo, ma finalmente riesco a pubblicare. A questo proposito, sempre che non ci siano imprevisti, ho deciso che pubblicherò settimanalmente ogni sabato, domenica se c'è qualche disguido.
Bene... cosa ne pensate del capitolo? Vi sareste mai aspettate un finale simile? Beh, sinceramente nemmeno io, visto che nella mia mente era diverso, ma ormai ho capito che quello che penso non sarà mai quello che scrivo, quindi spero abbiate apprezzato questa "improvvisata".
La comparsa di Adam era prevedibile, lo so, ma è il dialogo finale quello che conta. Perché Adam non si è mai fatto vivo in questi anni? E perché Amanda non gli ha detto di aver perso il bambino? E come reagirà Austin a tutto questo?
Beh, visto che ormai sono entrata in modalità "presentatore televisivo", vi saluto con un "Lo scoprirete nella prossima puntata" e un piccolo spoiler del capitolo 5.
Baci
mikchan


SPOILER...
Capitolo cinque: MEMORIES

[...] "Ciao", mi salutò, abbozzando un sorriso mentre si sfilava il cappotto.
"Io... tu... cosa ci fai qui?", balbettai sorpresa, ancora con la mano sollevata sopra il tavolo.
"Non si saluta più?" [...]

  
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