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Autore: Blooming    29/09/2013    2 recensioni
Kat è una giovane ragazza, intraprendente, che cerca di farsi spazio nel mondo dello spettacolo ma per il momento è solo una ragazza qualsiasi che serve il caffè sui set cinematografici. Dietro di se una serie di ricordi tristi e devastanti, davanti un affascinante e gentile Misha Collins dagli occhi blu.
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Misha Collins, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Mi strinsi tra le braccia di Julia, volevo vedere solo lei, che mi guardò sorridendo e dandomi dei piccoli e teneri baci sulla fronte e sul naso. Avevo infilato le mie braccia sotto le sue e gli abbracciavo la schiena, ascoltavo il suo cuore battere nel petto caldo e rassicurante. Mi sentivo piccola come un pulcino e lei, in un modo tutto mio di vedere, era come la chioccia che mi proteggeva e mi teneva al caldo
“Juls?” ci guardammo dolcemente “Credi che sia pazza?” sorrise sereno
“No, sei stupenda, un po’ strana e decisamente fuori dal comune ma non sei pazza. Sei la mia migliore amica.”
Mi accarezzò delicatamente i capelli, poi mi strinse più forte e non volevo lasciarla, le volevo troppo bene e avevo bisogno di lei più di quanto immaginava, era la prima cosa bella della mia vita, la seconda; a pari merito forse, c’era Misha.


Nei giorni seguenti all’arresto di Jay e cominciavo a sentirmi un po’ sollevata anche se preferivo evitare di farmi vedere dagli amici e anche se potevo sentire ogni giorno le loro voci in salotto, quando venivano in camera, silenziosamente per salutarmi, facevo finta di dormire. Non ce la facevo a parlare.
Quando fingevo di dormire sentivo Julia stendersi accanto a me e accarezzarmi i capelli o farci delle treccine, ha sempre amato fare le treccine anche se preferisce farle agli uomini, e lei sapeva che ero sveglia ma non diceva niente. Sentivo le storie stupide di Jensen che battibeccava come una vecchia coppia sposata con il Pada che diceva stupide barzellette che non facevano ridere. Sentivo Misha piegarsi alla mia altezza e mettermi una mano sulla spalla e dirmi con una voce delicata e dolce -Buongiorno tesoro.- E a quel punto aprivo gli occhi per immergermi nel blu dei suoi e trarre tutta la felicità possibile dal suo sorriso amorevole e bellissimo che era contento di vedermi.
Sapevo che avrei dovuto parlare con una psicologa prima del processo e questo avrebbe comportato il risollevare il triste cumolo di ricordi che tentavo inutilmente di sotterrare nella mia mente ma ogni volta che ne nascondevo uno, ne spuntava fuori un altro ancora più doloroso.
La psicologa venne a casa due giorni prima del processo, era una signora sui cinquanta, bassa e con un volto da rospo ma aveva dei bellissimi occhi grigi.
Rimanemmo nel salotto e si guardò un secondo intorno, le chiesi di sedersi dove preferiva e prese una poltrona e la avvicinò al divano e poi fu lei a chiedermi di sdraiarmi sul divano, mi chiese di cominciare a ricordare. E piombai nel baratro, ancora
“Cosa ricorda degli abusi che subiva?” sentivo la penna scrivere su di un quadernino
“Tutto.” Dissi fissando il soffitto
“Ne vuole parlare?”
“Preferirei di no.”
“Perché no?” Non risposi, aveva una voce stridula e per niente aggraziata “Io preferirei che ne parlasse invece, si sfoghi.” Sospirai a fondo “Si ricorda com’è iniziato?”
Mi voltai e la fissai, i suoi occhi grigi erano belli ma terribilmente simili a quelli di Jay, certo che ricordavo come era iniziata, non sapevo il perchè
 

Saltai sul mio letto prima di infilarmi sotto le coperte ed aspettare l’arrivo della mamma e del nuovo papà, mi stavo abituando alla sua presenza e poi raccontava belle storie
“Chi te la racconta la storia questa sera Katheline?” chiese Jay con la sua voce un po’ rauca
“Raccontala tu!” pretesi
“Okay…” mi guardò con un sorriso
Mamma si piegò verso di me e mi diede un bacio
“Buona notte piccola, io vado a dormire che sono tanto stanca.” Uscì dalla camera “Jay poi ricordati di lasciare un po’ la porta aperta quanto torni, lo sai che ha paura del buio.” imparai, in seguito, ad avere paura anche della luce
Lui annuì
“Ti piacciono le storie?” sorrisi a quella domanda ovvia “Te ne racconto una speciale solo a una condizione…” mi accarezzò il braccio, non capivo cosa faceva, era solo una carezza
Lo guardai e sentii la sua mano infilarsi sotto la camicetta del pigiama e toccarmi la pancia e il seno che cominciava a crescere, poi si infilò nei pantaloncini rosa
“Non ti farò male…” e invece fu la cosa più dolorosa del mio mondo da bambina che andava infrangendosi al suolo in mille pezzi di specchio che riflettevano solo le sue false parole

 

Guardai la psicologa
“Certo che me lo ricordo e preferirei non farlo…” mi guardò comprensiva “Ma sicuramente a lei serve…” e così glielo dissi
 

“Vuole parlare di suo padre? Il suo vero padre intendo.”
“No.” Non ero pronta ad affrontare quell’argomento
“Di cosa vuole parlare allora? Di sua madre forse?”
“No.” Odiavo quella voce graffiante e insistente
“Introduca lei un argomento allora, può parlare di ciò che vuole.” Mi voltai e la guardai
“Posso parlare di Misha?”
Sorrise e con un gesto della mano mi disse di continuare
“È il più grande amore della mia vita. Lo amo, come non ho mai amato prima, anche perché sono solo stata fidanzata con Pitt, ma per i tre anni di relazione che ho avuto con lui non gli ho mai detto ti amo perché non lo sentivo e non ci ho mai fatto sesso, gli avevo detto di essere vergine e lui aveva detto che avrebbe aspettato quando sarei stata pronta. Ovviamente non sapeva niente del mio passato. Abbiamo fatto sesso solo una volta quando ero ubriaca.” Sospirai “Poi lui è andato con un’altra…” sentivo la penna che scriveva graffiando la carta
“Vuole parlare di Pitt?” la penna si fermò
“No. Pitt è passato, non ho mai provato niente per lui, stavo con lui solo per non sentirmi sola. Ora c’è Misha e lui è la mia forza, anche Julia lo è ma lei è la mia migliore amica e quella che mi da lei è una forza diversa…”
“Da quanto tempo conosce Julia?”
“Diciannove anni, dalle elementari.” Sentii quella maledettissima penna scrivere ancora “Misha mi ha fatto innamorare di lui con uno sguardo, era amichevole e gentile, non arrogante o stronzo come la maggior parte degli altri con cui lavoro, lui era dolce con me e mi sorrideva sempre, mi chiamava per nome e non solo ‘quella del caffè’, si fermava volentieri a chiacchierare con me e io ero troppo stupida per capire che gli piacevo.” Sorrisi ripensando a Misha “In questa storia mi è stato vicino, sopportando ogni mia paranoia e salvandomi da…” forse era meglio evitare l’argomento suicidio
“Da cosa?”
“Dalla tristezza e dai ricordi.”
Ancora la penna che scarabocchiava
“Qual è il ricordo più bello che ha con Misha?”
Sorrisi
“Certamente una delle prime sere in Alaska.” Arrossì “Anche se ogni volta con Misha è stupenda, ogni cosa che faccio con lui, anche la più noiosa è come se fosse la prima volta. Come la prima volta che abbiamo fatto l’amore, era come se lo facessi per la prima volta. Se amassi veramente per la prima volta. Ho amato lui per la prima volta, è stato lui il primo. Sembra buffo, aver aspettato venticinque anni per stare con un uomo per la prima volta. Quando faccio l’amore con lui è come se fosse sempre la prima volta. Ho fatto l’amore solo con lui.” In realtà stavo parlando a me stessa
“Mi vuole raccontare della sera in Alaska?”
Quello era più semplice ed era un ricordo bellissimo
 

Passeggiavamo a braccetto lungo una terrazza che dava sull’oceano buio, si sentiva solo il rumore delle onde sulla riva. Ci avvicinammo alla transenna e mi issai sulla ringhiera sedendomi e guardai il cielo di fronte a me, davo le spalle all’acqua mentre Misha si appoggiò a guardare le onde nere poi si voltò e mi scrutò un secondo, entrambi allungammo la mano e ci toccammo, cominciai a ridere
“E ora perché ridi?” ma non riuscivo a rispondere da quanto ridevo “Un giorno capirò il perché ogni cosa che faccia, cominci a ridere.” Sorrise dolce “Anche quando recito, se mi giro un secondo a cercarti, ti vedo guardarmi e ridere. Sono così divertente?”
Mi ripresi
“Non immagini quanto tu sia sexy con il trenchcoat e la cravatta tutta storta, non ti salto addosso in pubblico solo per decenza.”
“Se vuoi me lo metto anche quando siamo da soli.” E ricominciai a ridere
“Senti Castiel!” volevo compiere una frase di senso compiuto ma tutto quello che riuscii a fare fu ridere e fui costretta a scendere e a sedermi per terra per riprendermi “Ti amo stupidone.” Dissi tra le lacrime di felicità
Misha rise
“Non scherzo! Me lo metto il trench.” Si sedette accanto a me e mi strinse la mano e baciò il palmo dolcemente, mi abbracciò e io mi appoggiai alla sua spala, ci mettemmo a guardare le stelle “Sono l’angelo del Signore.” Mi sussurrò con una voce calda ed eccitante scostandomi una ciocca di capelli
Trattenni una risata, mi voltai e gli presi il mento tra le dita
“Sei il mio angelo.” Lo baciai sulle labbra “E sei riuscito veramente a salvarmi dall’inferno.” Lo baciai ancora “Ti amo. Non immagini quanto ti amo.”
Fu lui a baciarmi affondando le dita tra i capelli
“Ti amo, non sai quanto ti amo.” Disse lui e poi ci sorridemmo “Sei bellissima.” E tornammo a guardare le stelle

 

“Certo!” e glielo dissi
“E qual è quello più brutto?” chiese ancora con la sua voce stridula
“Certamente la litigata, ma poi si è risolta subito.” Le raccontai anche quella
“Non pensa che la presenza di Misha serva a sostituire quella di suo padre che ha perso molti anni fa?” chiese
Probabilmente sì, ci avevo già pensato a questa storia prima di decidere di fare il ‘grande passo’ con Misha, non risposi
“Lui è molto più grande di lei e probabilmente rivede in lui la figura paterna che le è mancata.” Non risposi ancora facendo così capire alla psicologa di voler cambiare discorso
“Vuole parlare di Julia?”
“D’accordo.”
“Cosa c’entra Julia nella storia con Jay?”
“Lei è stata la prima a cui ho detto tutto, ed è la prima a cui dico tutto quello che mi succede anche adesso, lei è stata l’unica a fare qualcosa. Anche se era tardi.”
“Mi dica qualcosa di più.”
 

Mi trovò nel bagno della scuola a vomitare
“Kat!” urlò sollevandomi la fronte “Stai bene? Oddio cosa ti succede?” le lezioni erano finite da un’ora ma lei era rimasta imbucandosi negli spogliatoi con Simon “Perché non sei tornata a casa se stai così?”
“Non posso tornarci. Non voglio.” Ricominciai a vomitare
Lei tirò fuori una bottiglietta d’acqua e mi fece bere piccoli sorsi e capì subito che c’era qualcosa che non andava, l’aveva capito già da un po’. Mi fece sedere nell’angolo del bagno
“Vuoi parlare?” non riuscivo e tirai a me la borsa e sfilai il mio diario segreto e glielo diedi, erano l’unione di più quaderni, scritti fitti “Cos’è?” chiese prendendolo tra le mani
“Scrivo da quando ho tredici anni.” Balbettai sommessamente
Juls cominciò a sfogliarlo, la calligrafia dei primi quaderni era tonda e tremante, quella di una bambina, più avanti la scrittura si faceva veloce e graffiante, come quello che c’era scritto. Lessi lo sgomento sul volto dell’amica accanto a me
“Kat…” mi guardò “è tutto vero?” guardò i miei occhi e imprecò poi mi abbracciò “Da questa sera vieni a casa mia, non dovrai spiegare niente a nessuno. Diciamo che hai litigato con la mamma.” Cominciai a piangere poi lei vide quella cicatrice rossa all’interno coscia e mi sollevò la maglietta trovando quella sulla pancia “E queste?”
“Gli ho detto di no.”
“Bastardo.” Si alzò e mi aiutò ad alzarmi “Non la passerà liscia.” Mi chiese se poteva parlarne con Simon e poi lui minacciò Jay di fargli fare una brutta fine
Andai a casa di Julia ma dopo un paio di giorni fui costretta a tornare a casa e subirmi le urla, le sberle e l’orrore. Fu qualche giorno dopo che provai a suicidarmi.
E poi, un anno dopo, me ne andai per sempre da quella casa e da quella vita. Juls venne con me o meglio, ero io che andavo con lei.

 

“Julia non è arrivata tardi, lo sa vero?” non risposi “È arrivata quando lei le ha permesso di farlo e Julia l’ha salvata.” Questo lo sapevo “C’è un forte legame tra lei è la sua amica vero?”
“Fortissimo, anche se qualche volta ci sono le incomprensioni però darei la mia vita per quella ragazza…”
“Come lei ha fatto per salvarla da quell’uomo.”
“Esattamente.”
“Ora devo chiederle ancora di parlarmi di Jay, sarà l’ultima volta che dovrà ricordare.”
“Cosa vuole sapere…”
“Una delle cose più dolorose che le ha fatto.”
 

Come sempre, Jay quando agiva lo faceva quando mamma aveva il turno di notte.
Avevo diciotto anni. E cercai di ribellarmi con tutta la mia forza. Mi tirò uno schiaffo e mi afferrò per i capelli che avevo stavano ricrescendo
“Perché ti ribelli sempre? Tanto non ce la fai.” Mi trascinò per i capelli
Piangevo e non parlavo, avevo diciotto anni e la mia adolescenza non c’era mai stata, sfumata in un disgustoso e lungo sorriso che ti faceva credere che andava tutto bene e che era giusto quello che succedeva. Mi accarezzò i capelli
“Mi piacevano più lunghi però. Sei bella.” Mi facevo schifo, più schifo di quanto mi facevo di solito
Mi passava le labbra sul corpo e si soffermò divertito sulle cicatrici che mi aveva lasciato
“Ti fanno ancora male queste?” chiese ma non voleva una risposta, gli bastava leggere le mie lacrime sulle guance
Non mi scopò, si limitò a picchiarmi e a umiliarmi più del solito. E mi fece male ancora di più  perché le parole che mi diceva, che ero bella, intelligente, forte, in realtà le diceva per farmi sentire vuota e inutile, una grande bambola gonfiabile che tirava fuori quando più gli piaceva e mi facevano male quei finti complimenti. Forse pensava veramente che fossi bella ma io volevo tanto non essergli mai piaciuta e ci fu un momento, dopo quelle ore, che pensai di sfregiarmi il volto ma non lo feci. Tentai di essere forte e di reagire, uscii mentre lui dormiva e portando una registrazione fatta qualche volta prima andai alla polizia.

 

“Mi disse che ero bella.” Quella fu la cosa più dolorosa che mi fece
La psicologa mi spiegò che non era colpa mia quello che era accaduto, io non avevo nessuna colpa. Era vero ma continuavo a pensare che, in qualche modo, era colpa mia, che come aveva detto Jay a Misha e agli altri, ero io che lo provocavo. Forse con qualche sorriso di troppo o gli abbracci affettuosi di una bambina che pensa e spera di aver ritrovato un padre perduto.
Dopo la psicologa tornò Misha che si strinse a me e io, tra le lacrime che erano dovute un po’ alla felicità di averlo ancora accanto e un po’ alla tristezza dei ricordi, gli ricordai la storia del trench e che non mi ero dimenticata della sua proposta. Lui rise
“Quando sarà finita tutta questa storia,” disse con un sorriso “Me lo metto e non me lo tolgo per tutto il giorno.”
“Però devi mettere solo quello.” Sorrisi trattenendo la risata “E la cravatta. Ti voglio in trench e cravatta.”
“E i pantaloni?” chiese ingenuamente
“Quelli non servono.” E mi baciò
Adoravo stare con lui, c’era sempre un momento in cui amavamo cadere nello sconcio e fare strani viaggi mentali su notti che avremmo passato insieme in un futuro. Mi confidò di voler realizzare il suo più grande sogno, la principessa Leila e il bikini dorato. Gli dissi che era uno scemo ma che se avessi trovato un costume da Leila l’avrei fatto, ma solo se potevo chiamarlo Chewbacca. Mi tirò un cuscino in faccia chiamandomi Jabba the Hutt.  
 

E poi arrivò il giorno del processo.
   
 
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