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Autore: Phantom13    30/09/2013    4 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buona sera, carissimi! Sono tornata da voi appena ho potuto, ma, si sa, la scuola tiene occupati i suoi schia... emh, studenti. Dunque, non posso far altro che chinare la testa alle forze maggiori che attualmente governano le mie giornate e sottostare al loro volere. Nonostatne tutto, sono riuscita a tirare assieme un capitolo sommato tutto leggibile (escludendo i soliti dubbi che mi attanagliano al momento di pubblicarlo).
Vi confesso però che nei miei piani originari in questa nuova parte avrebbe dovuto esserci molta più azione  ma, purtroppo, ho fatto male i conti e ho dovuto conceder a voi lettori qualche indizio e informazione in più per far quadrare il tutto, cosa che lascia spazio assai minore alle battaglie tanto attese. Ma niente panico! Per riscattarmi, vi confermo con sicurezza pari al 99% che TUTTO (o quasi) il prossimo capitolo (se l'ispirazione sarà con me) si silupperà in un unica battaglia, la prima vera battaglia degna di questo nome ^.^ ... ... aiut!! 
Come sempre, io ho fatto del mio meglio.
ora quindi vi lascio alla lettura!
Enjoy! 



 
CAPITOLO 6
-AZIONI_



Non aspettarono la notte. Decisero di agire subito.
Così, sotto il sole arroventato del deserto Gold, alla bellezza di cinquantotto gradi celsius, alle undici di mattina, i due si ritrovarono appostati dietro all’ammasso roccioso che già la notte precedente aveva offerto loro riparo. L’aria era torrida, tanto che respirala equivaleva a inalare fuoco.
Ai loro piedi, depositata sulla sabbia, giaceva la piccola ma micidiale bomba che avrebbe fatto saltare tutto l’intero laboratorio insieme a tutti gli orrori che conteneva. La pipistrella e il riccio avevano scelto con cura quale esplosivo usare, non doveva essere assolutamernte un tipo sensibile al calore altrimenti sotto quel sole i primi a dipartire sarebbero stati loro due.
Rouge ansimava in cerca d’aria, che le entrava troppo rovente nei polmoni, si sentiva la pelle bruciare come non mai e grondava di sudore. Si toccò ansante i capelli color argento e li trovò incandescenti. Ritrasse rapidamente la mano, scottata, riportando l’attenzione al presente, operazione non facile siccome il suo cervello stava praticamente bollendo.
Shadow era sporto oltre una roccia e osservava attentamente la base.
Eppure le attenzioni della sua compagna erano ben lungi dalla missione in corso: i pensieri della pipistrella erano interamente concentrati sull’approssimativa temperatura del corpo del riccio, nero come la pece, sotto a quel sole impietoso. Se lei, che aveva i capelli bianchi, soffriva a quel modo, figurarsi uno che aveva per colore il manto della notte! Giurò per un attimo di vedere l’aria tremare di calore attorno alla sagoma del riccio. Si sentì male per lui.
Shadow, ovviamente, non diede a vedere nulla. Rimase impassibile come sempre, anche se alla riccia non sfuggì il suo respiro lievemente rantolante. Mai più nel deserto di giorno, si ripromise solennemente la pipistrella. Mai più! Sia per lei che per lui.
Non si dissero una parola. Shadow prese cautamente il detonatore, scambiò un’occhiata d’intesa alla pipistrella e si teletrasportò dentro la base, lasciando Rouge a squagliarsi come gelato tra quei massi. La poveretta sospirò, rannicchiandosi di più nel misero cono d’ombra dei sassi che le facevano da scudo, badando bene però a non toccarli: erano anche più arroventati della sabbia.
Sospirando, implorò Shadow di fare presto.
Era stato proprio lui a volerla lontano da quella base. Le aveva chiesto di non accompagnarlo. Il motivo lei non l’aveva capito, ma aveva accettato senza fare domande rispettando la richiesta del compagno di squadra. Shadow a volte necessitava di momenti di solitudine e lei non gliene aveva mai fatto una colpa e mai aveva forzato le scelte del riccio. Ma ora se ne pentiva amaramente. Lì faceva troppo caldo!
Il sole bruciava più energicamente che mai in quel cielo bandito alle nuvole.
Il ricordo dell’accogliente cella frigorifera all’interno del laboratorio, nella quale si erano ritrovati l’ultima volta, era troppo straziante e irreale, ora come ora.
Registrò distrattamente la partenza di un camion dai cancelli corazzati della base. Si accorse appena del fatto che tale camion era accompagnato da una piccola scorta di robot-motociclisti e da alcune vetture blindate. Sentiva troppo dolore alla testa per poter concedere più attenzione di quella a quel convoglio metallico.
Pregò Shadow di sbrigarsi.
 
Non aveva impiegato più di un millesimo di secondo a scegliere la destinazione del Chaos Control. Il nebbioso quanto glaciale abbraccio della cella frigorifera lo salutò. Il gelo sulla pelle fece sospirare piacevolmente il riccio. Shadow si permise un attimo di ristoro, lasciando raffreddare la pelle provata dal sole. Ma non sprecò quella manciata di secondi solo per una ragione tanto futile quanto sostanzialmente inutile. I suoi occhi studiavano frenetici i nuovi coinquilini della cella: scaffali metallici che supportavano contenitori d’acciaio e vetro colmi di organi, viscere e quant’altro immersi in un liquido raffreddante.
La vista di una simile collezione lo disturbò parecchio. Fissò per un po’ quel macabro spettacolo, mentre i suoi ricordi tornavano indietro, sull’ARK. Scosse la testa, mantenendosi fermo al presente. Si impose di muoversi.
Raggiunse di nuovo la piccola grata nel muro, la scardinò senza badare di rimetterla a posto e si infilò nel condotto dell’aria. Il contatto con il metallo gelido gli bruciò quasi la pelle, ancora troppo calda. Ma lui non vi badò.
La carica esplosiva che teneva in mano era provvista anche di detonatore, quindi non c’era la necessità di trovare il deposito munizioni per far saltare tutto il laboratorio. Lui già sapeva esattamente dove piazzare la bomba: dove aveva visto quel topo e quell’altro essere furioso che l’aveva attaccato. Esattamente sopra le vasche di quelle povere creature.
 
 
Esperimento Eta556 fremeva di entusiasmo. Si guardava attorno raggiante, registrando ogni più piccolo particolare di quella sorta di scatola in movimento nella quale l’avevano infilato insieme agli altri. Faticava a rimanere fermo, i suoi occhi correvano da tutte le parti guardando con brama l’ambiente nuovo e rombante che di tanto in tanto sussultava e sobbalzava, facendo gemere le molle ammortizzarci che teneva fermi loro tre.
Lo avevano trasportato in capsula. Due possenti robot, uno per ogni estremità, l’avevano portato fuori dal laboratorio, che fino a pochi istanti prima era stato il solo universo a lui conosciuto. Per una manciata di secondi era riuscito a vedere la cosa più incredibile che i suoi ingenui occhi di topolino da laboratorio avevano mai osservato. Fuori, all’esterno, appena fuori dall’edificio vi era un … un qualcosa di indefinito e magnifico, di un colore tanto incredibile quanto reale: oltre il tetto della base ve n’era un altro ma di un colore tanto intenso che l’aveva stordito.
Un azzurro bello come quello i suoi occhi non l’avevano proprio mai visto.
Anche quella strana sostanza granulosa sparsa a terra era sconosciuta ma non impressionante quanto il tetto blu, infinitamente alto e senza pali di sostegno, per giunta! Una meraviglia assoluta.
Con un sorriso sulle labbra, aveva conservato gelosamente quelle immagini, sperando vivamente di poterle rivedere, un giorno o l’altro. Poi l’avevano infilato nel rimorchio del veicolo, lui aveva salutato con la mano i due automi che lo trasportavano e poi loro avevano chiuso tutto ed il tetto blu non si vedeva più.
Un acuto bip provenne dal suo compagno meccanico, all’altezza del collo. Eta556 lo ignorò. Quella era l’unica parola che lo strano corpo di metallo sapesse dire: bip. E la ripeteva con insistenza! Chissà cosa voleva mai significare …
Li avevano messi nella stessa vasca soltanto la notte prima, in brevissimo tempo si erano uniti insieme ed ora vivevano in simbiosi. Erano diventati amici. A quanto pareva, neanche il compagno meccanico riusciva a vivere da solo e aveva bisogno di lui. Insieme, a sentire gli scienziati, forse sarebbero riusciti a camminare. Secondo loro, lui imparava in fretta.
Sorrise guardando dritto in su, osservando la capsula dell’esperimento dal pelo rosso sospesa con le molle e la struttura d’acciaio che reggeva le tre capsule in trasporto. Il mastodontico corpo di Pelo Roso era una sagoma scura stagliata nel liquido vagamente luminescente. Sotto Eta556, invece, stava Occhi Viola e lui non riusciva a vederlo se non storcendo dolorosamente il collo.
Tutti e tre erano stati incapsulati e messi lì dentro, sospesi, in modo da subire meno gli scossoni del viaggio.
Si sentiva un po’ a disagio tra quei due, ad essere sincero. Erano entrambi molto violenti. Pelo Rosso anche più di Occhi Viola, ma lui, misero Eta556, non poteva assolutamente competere con quei due in quanto a forza e abilità combattiva. Loro avevano già fatto danni durante la permanenza nelle vasche con i compagni meccanici. Avevano tentato di scappare e Occhi Viola aveva addirittura ucciso tre persone mentre Pelo Rosso dopo aver addentato un tubo vuoto nel soffitto, era riuscito a distruggere due robot ed uscire all’esterno. Dove fosse andato, Eta556 non lo sapeva ma quando l’avevano riportato nella vasca era tutto imbrattato di una sostanza rossa e vischiosa.
Il topolino sospirò, incentrando le sue attenzioni sulle particelle di polvere vorticanti a mezz’aria, illuminate dai liquidi luminescenti delle tre capsule.
Gli scienziati dicevano che tra i tre era proprio lui il più promettente perché sapeva usare il cervello. Cosa fosse questo cervello di cui tanto parlavano era un mistero. Ma se lo dicevano loro, doveva essere vero.
E forse era proprio per quel motivo che lui era l’unico ad avere ancora gli occhi aperti: i due compagni di viaggio erano stati sedati. Dormivano. Mentre lui era sveglio e poteva guardarsi attorno. Il topolino sorrise di nuovo: magari, dopo avrebbe cercato di raccontagli di quello stranissimo tetto azzurro e di quei granuli per terra. Ammesso che i due non avessero tentato di farlo a pezzi.
Loro tre erano gli unici tra tutti gli altri fratelli ad essere ritenuti degni di trasferimento. Il motivo non lo sapeva e nemmeno se ne preoccupava. Per quanto lo riguardava, lui era felicissimo di aver visto il tetto azzurro e i granuli. Ne era valsa la pena. Tutte le punture, le scosse elettriche e la paura dello spostamento: lui era riuscito a vedere l’azzurro.
Il corpo meccanico disse di nuovo. –Bip! Bip!-
Lo faceva regolarmente. Prima un bip solo, e qualche attimo dopo altri due bip in rapida successione.
Il topolino lo accarezzò su una spalla, con fare amichevole. Forse, un giorno sarebbe riuscito a parlare anche con lui.
L’esplosione arrivò subito dopo. Un boato di una forza mai sentita dalle sue orecchie li investì brutalmente da dietro. L’onda d’urto arrivò di lì a breve, facendo sterzare bruscamente il camion e tutte le capsule che conteneva.
Eta556 si sentì schiacciare contro il vetro del suo contenitore. Vi sbattè dolorosamente la testa, ma il metallo del suo compagno gli impedì di farsi veramente male. Non così fu per Pelo Rosso che cozzò violentemente contro la sua capsula, tanto forte da incrinarne il vetro. Un ringhio gutturale gli risalì su per la gola, cosa che fece tremare il piccolo topolino. Pelo Rosso aprì gli occhi di scatto. Era sveglio. Con gli artigli attaccò la capsula già malmenata, senza però riuscire ad uscire, proprio mentre lo sportello del rimorchio del camion si apriva di botto e una moltitudine di scienziati entrò di corsa a controllare che loro tre non si fossero fatti male.
Gli occhi di Pelo Rosso scintillarono, mentre la cavia mostrava le zanne acuminate ai nuovi venuti. Eta556 li salutò con la mano, con l’intento di rassicurarli sul fatto che stesse bene e che fosse felice di rivederli. Una donna vestita di bianco ricambiò il sorriso e il saluto, avvicinandosi a lui e controllando che fosse per davvero tutto integro.
Pelo Rosso ruggì con più forza di prima, lottando contro gli scienziati che volevano sedarlo.
Occhi Viola continuava a dormire.
Ma Eta556 non vi badava. Il topolino era come ipnotizzato: oltre lo sportello aperto c’era il tetto blu!
Ma non era più solo blu. C’era anche una colonna nera e vaporosa che si innalzava portandosi dietro nuvole di scintille di fuoco.
Eta556 se ne spaventò.
Picchiettò con le nocche della mano contro la capsula attirando l’attenzione della scienziata che subito si voltò. Lui le indicò spaventato la minacciosa presenza di fumo per farle vedere che qualcosa non andava. Lei seguì il dito puntando, mezzo corazzato di metallo, e dopo guardò stupita Eta556.
Il topolino era soddisfatto: si era reso utile e le aveva fatto vedere il pericolo.
La scienziata parlò con qualcun altro, un uomo in camice bianco. Sempre confabulando, i due guardavano prima la colonna di fumo, poi il misero corpicino da roditore cyborg di Eta556.
Un frastuono di vetri infranti fece sobbalzare il piccolo topolino albino. Pelo Rosso aveva infranto la sua capsula. Con gli artigli lunghi quasi mezzo metro, potenziati con il metallo, si aprì furiosamente un varco e uscì definitivamente dalla prigione di vetro.
Ruggì di nuovo, spalancando le mascelle in modo tale da mostrare a tutti la quantità di zanne che vi stavano dentro. Gli scienziati indietreggiarono tutti, pallidi come le loro vesti, alcuni gridarono perfino.
Eta556 si rannicchiò ancor di più nella sua capsula, tirandosi indietro il più possibile. Mentre Pelo Rosso annusava l’aria, sospettoso, ritirando di qualche centimetro gli artigli, più simili a lame, che gli spuntavano dalle dita. Ringhiò a mezza voce, prima di slanciarsi verso l’esterno, correndo nel deserto a tutta velocità, come sulle tracce di qualcosa. O qualcuno.
Il panico si sparse definitivamente tra le file di scienziati. Pelo Rosso non poteva scappare di nuovo, concordò Eta556, non era corretto che lui aveva potuto correre sotto il tetto azzurro per ben due volte e lui nemmeno una. Sospirò. Avrebbe tanto voluto poter stare fuori anche lui. Ma non insieme a Pelo Rosso. Proprio no.
 
 
Anubis sollevò un sopraciglio guardando incredulo il suo compagno di squadra, nonché l’imbattibile eroe di Mobius, l’unico in grado di affrontare Shadow e di avere una mezza probabilità di uscirne vivo, azzannare con gusto un comunissimo chili-dog di misera stirpe.
La coda di Sonic ebbe involontariamente un movimento scodinzolante mentre il roditore blu si lasciava sfuggire uno squittio di pura gioia. –Delizioso!- esclamò. –Mai avrei pensato che in un semplice baldacchino da strada si potessero trovare chili-dog di simile bontà.-
Anubis sospirò, scegliendo di non commentare. A Sonic non sfuggì però l’esasperazione del compagno. –Cosa sarebbe quello sguardo sprezzante, eh?-
-Quale sguardo?- ringhiò tra i denti il cane grigio-nero, continuando a fissare immusonito un punto imprecisato dritto davanti a loro.
Sonic ghignò. –Non sei gran che a mentire, lo sai?-
Anubis gli mostrò le zanne, ma non replicò. Piuttosto si ritrovò a domandarsi per l’ennesima volta se quel frivolo quanto arrogante riccio blu fosse davvero la soluzione ai loro problemi. Era davvero in grado di tenere occupato Shadow abbastanza a lungo da permettere il compimento del piano? Aveva i suoi dubbi.
-Non giudicare le persone solo dalle loro passioni.- lo rimproverò ancora il riccio, storcendo il naso, indignato.
Anubis ruotò gli occhi d’ambra verso di lui. –E tu chiami quel “coso” una passione?-
Il lampo omicida che balenò negli occhi smeraldini di Sonic non passò sotto silenzio. –Ma chi ti credi di essere, eh?!- sbottò il riccio. –Come si può anche solo pensare di criticare un simile gioiello di gastronomia?-
-A ognuno i suoi problemi.- grugnì a mezza voce Anubis, senza che Sonic lo sentisse, troppo occupato com’era ad elogiare le mille doti di un chili-dog.
-… e poi tu saresti l’ultimo a dover parlare, dato che ti sei rifiutato di pranzare.- terminò con tono offeso il prode eroe mobiano.
Effettivamente, il cane nero non aveva mangiato nulla. –Io non ho bisogno rifornimenti alimentari tanto frequenti.- borbottò.
Sonic drizzò le orecchie mentre la sua sfrontatezza scivolava via. –A no?- si azzardò a chiedere, modellando il tono di voce in modo da renderla la più disinteressata possibile.
Un’ombra invase lo sguardo di Anubis. –Mi hanno addestrato anche a questo.-
Sonic registrò tutto, mentre esteriormente sembrava non averci fatto caso. Masticò lentamente un altro boccone di chili-dog. Si era chiesto fin dall’inizio perché gli avessero affiancato quel misterioso canide in una battaglia contro Shadow quando era risaputo che l’unico al mondo che poteva sperare di stare al suo passo era senz’altro lui, Sonic. E nessun altro. Che forse questo Anubis avesse un qualche potere strano?
-E ti hanno addestrato in cosa, esattamente?- chiese.
-Non sono affari tuoi.- fu la risposta secca.
-Ah, perdonami, eh, se volevo conoscere un po’ meglio il mio cosiddetto compagno di squadra!- sbottò Sonic.
Anubis carbonizzò il riccio con un’occhiata torva come poche.
-“Cosiddetto compagno”?- ripetè, minaccioso, invitando il riccio a spiegarsi meglio.
-I compagni di squadra dovrebbero essere utili.- ribattè Sonic. –E tu non lo sei se l’avversario sarà Shadow. Dovrò concentrarmi a salvare te, oltre che schivare i suoi attacchi e a cercare di colpirlo a mia volta.-
Anubis socchiude gli occhi, placando a fatica la rabbia che sentiva montargli nel petto. Davvero quel riccio era tanto sbadato da non aver ancora capito che lui era più di ciò che sembrava?
-Non avrai bisogno di affannarti tanto.- gli rispose. –So cavarmela da solo.-
-Sì, come no! Cavarsela da soli contro Shadow! Hai forse battuto la testa?-
-Io sono stato addestrato.- disse di nuovo Anubis incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo da Sonic.
Il riccio fece per ribattere quando una bambina, a passeggio con la madre, lo indicò di colpo gridando forte –È Sonic! È Sonic!-
Le persone sul marciapiede abbastanza vicine da sentire la voce squillante della bimba scoccarono al riccio diverse occhiate incuriosite mentre il diretto interessato salutò la ragazzina strillante che scoppiò a ridere, al colmo della gioia.
-Sei parecchio famoso.- commentò poco dopo il cane, quando si furono lasciati alle spalle la piccola e sua madre.
-Geloso, vero?- ribattè prontamente Sonic, facendogli l’occhiolino. –Ma non temere, botolo pulcioso, anche tu sarai sotto ai riflettori, se sopravvivrai al primo scontro con Shadow.-
Rimasero in silenzio, o meglio, Sonic concesse silenzio ad Anubis. Ma solo per qualche minuto.
-Dove stiamo andando, tra l’altro?-  domandò distrattamente.
-Alla base.- fu la stringata risposta.
-No, davvero?! Non l’avrei mai detto.- commentò sarcastico, mandando giù l’ultimo pezzetto di chili-dog e buttando la carta che lo avvolgeva nel primo cestino che gli capitò a tiro.
-Ci daranno istruzioni, informazioni ed equipaggiamento. Poi andremo a cercare Shadow.-
-Ancora non hai risposto.- gli ricordò il riccio.
Anubis digrignò le zanne. –Ad una delle basi secondarie sparse nella zona.- disse a malincuore.
-Quante ce ne sono?- si azzardò a chiedere il riccio, con l’unico intento di indagare.
-Non sono affari tuoi.- ringhiò il cane.
Sonic sospirò. –È un po’ difficile lavorare, così, se non so praticamente niente di voi.-
-Il tuo lavoro è combattere contro Shadow. Non ti è dato di sapere altro.-
-Non che mi invogliate a collaborare così, eh?-
Anubis gli scoccò un’occhiata tagliente. –Ti basti sapere che sono sparse in città, che coordinano le operazioni e forniscono assistenza medica.-
Sonic rallentò il passo. Incredibile!, pensò. Fare il prezioso funzionava ancora. Ma bene!
–Quindi sono lì per quando sarà davvero guerra aperta e ci aiuteranno a riattaccare insieme i nostri pezzi, giusto?- chiese di nuovo il riccio.
Anubis trattenne un brivido. Non gli piaceva il modo in cui Sonic parlava di Shadow. -Anche.- rispose. -Fungono principalmente da centralinisti per i laboratori.-
-Laboratori? Quelli per la biotecnica?-
-Quelli.-
Sonic sospirò. Sapere dove tali laboratori si trovavano sarebbe stato senz’altro utile, ma sapeva che loro non si fidavano ancora abbastanza di lui. Erano sì alleati, ora. Ma lui era stato anche alleato di Shadow e questo i ragazzi della BRC non se l’erano di certo scordato. Decise dunque di rimandare la domanda e fare una pausa con le “indagini”. Meglio non dar loro motivo di sospettare.
-Ci vuole ancora molto per arrivare a questa base secondaria?- chiese invece, grattandosi un orecchio.
-No, qualche minuto ancora e ci siamo.-
Uno squillo acuto provenne dalla tasca di Anubis. I due si arrestarono.
-Non credo sia lo zio che propone una gita in campagna, ho il dubbio.- disse piano Sonic.
-Lo zio no, ma credo che la gita ce la faremo lo stesso.- rispose lentamente Anubis, estraendo con gesti misurati, quasi sacrali, il piccolo ricetrasmittente dalla tasca.
-Allarme rosso. Allarme rosso. Soggetto Teta576 è in libertà. Ripeto: Teta576 è il libertà. Obbiettivo modificato. Priorità: rendere inoffensivo Teta576. Dalla base Gamma si è diretto verso sud-ovest. Intercettatelo al più presto .- la comunicazione morì così, con quelle parole ancora vibranti nell’aria.
Sonic scoccò un’occhiata interrogativa al compagno. Anubis, contro voglia, dovette concedergli informazioni.
-Teta576, una delle creature artificiali, è fuggita.- spiegò. -La più feroce di quelle già in grado di muoversi autonomamente e l’unica nella quale è già stato inserito il comando celebrale di catturare Shadow.-
Il cuore di Sonic mancò un colpo. –Cosa?! Volete usare quelle creature contro Shadow?!-
E poi, comando celebrale? Che cos’era mai quella nuova diavoleria?
Gli occhi di Anubis si fecero di ghiaccio. –Artificiale contro artificiale. Ma non è questo il punto. Teta576 è già fuggito una volta, dall’interno del laboratorio, il giorno dopo che gli impiantarono le informazione di targeting. Prima si era violentemente accanito contro un condotto dell’aria, poi, uccisi un paio di ricercatori è fuggito. E noi dobbiamo …-
L’aggeggio elettronico fischiò di nuovo, un trillo acuto e ripetitivo che sorprese entrambi. Anubis aggrottò la fronte, prima di premere nuovamente il pulsante.
-A tutti gli agenti in ascolto. A tutti gli agenti in ascolto. La base di ricerca Gamma è stata distrutta. Ripeto: la base di ricerca Gamma è stata distrutta. Tutti gli agenti non impegnati in missioni primarie facciano rientro alla base Alfa. Immediatamente. Gli agenti assegnati, si rechino al più presto sul luogo in questione e controllino che tutti gli esperimenti siano effettivamente morti o catturati. Non lasciatene scappare nessuno.-
Sonic e Anubis rimasero allibiti. Com’era successo? Cos’era successo?
-Noi siamo impegnati in missioni primarie, vero?- chiese piano il riccio.
Il cane annuì. –E dovremmo anche muoverci a catturate Teta576.-
Ma nessuno dei due si schiodò di lì.
La mente di Sonic aveva registrato un dettaglio, in particolare: la base Alfa. Si ripromise di investigare, in seguito.
Sonic fece un rapido calcolo mentale e, se volevano acchiappare Teta576 prima che facesse male a qualcuno … Il riccio sgranò di colpo gli occhi ricordandosi tutto ad un tratto l’articolo di giornale letto proprio quella mattina. Le centoventidue vittime. Gli si gelò il sangue nelle vene. Quei bastardi di ricercatori avevano addebitato a Shadow un errore che era stato tutto loro. Teta era scappato, aveva sterminato un intero villaggio, era stato catturato di nuovo e riportato in laboratorio. E la colpa era stata data a Shadow!
Sentì la rabbia esplodergli in petto come un vulcano ma tutto quello che potè fare fu limitarsi a stringere le mani a pugno. Chiuse un attimo gli occhi e si impose un attimo di calma.
Doveva dare peso prima alla priorità più imminente: una creatura assetata di sangue e priva di ragione era a piede libero da qualche parte a sud-ovest della base Gamma.
-Senti.- disse il riccio. –Io sono infinitamente più veloce di te. Raggiungo questo Teta e lo immobilizzo. Tu rimedia un veicolo a tua scelta e ci vediamo là.-
-Ma dobbiamo rimanere uniti!- ringhiò Anubis.- E poi la ricetrasmittente per le istruzioni ce l’ho io!-
-Non più!- la velocità leggendaria del riccio aveva colpito ancora. La radiolina aveva cambiato proprietario alla velocità del suono. –Dov’è la base Gamma, Anubis?- chiese Sonic.
Il cane socchiuse gli occhi. –Sono informazioni riservate.-
Sonic piegò la testa di lato. Se c’era una cosa che non riusciva proprio a sopportare erano i perditempo quando delle vite innocenti erano in pericolo. La voce del riccio divenne tutto di colpo fredda, priva della solita ironia che la caratterizzava. –Ascolta, sacco di pulci ambulante, da quello che ho capito quel mostro di Frankenstein è ben più che pericoloso. E io non permetterò che qualcuno ci rimanga secco perché un laboratorio si è lasciato sfuggire uno dei suoi orrori, capito?! Quindi, ora dimmi immediatamente dove si trova questa base Gamma. Ed io ti precederò.-
Anubis assottigliò gli occhi. In un attimo, dovette rivalutare l’immagine che si era fatto del riccio blu. La stoffa dell’eroe c’era, e si vedeva. Restava il fatto che lui aveva ricevuto ordini ben precisi, ma aveva come il sentore che Sonic questa volta non avrebbe lasciato perdere. Loro avrebbero finito per perdere lui, se si fossero ostinati ancora a tenerlo a freno a quel modo. E questo Anubis non lo poteva permettere.
-La base Gamma si trova nel deserto Gold.- disse piano.
-Perfetto!- esclamò Sonic, rimpossessandosi del suo solito registro spaccone. –Allora io vado. Ci si vede là!- dopo un rapido cenno con la mano, il riccio si slanciò lungo la strada sparendo alla vista, lasciandosi alle spalle una vaga scia di polvere e brusche correnti d’aria smossa.
 
 
Il sonoro sbadiglio di Knuckles invase la cucina quando l’echidna di sganasciò in una palese quanto evidente dimostrazione di noia. Era appoggiato con un gomito sul tavolo mentre si reggeva pesantemente la testa con la mano, lasciando penzolare l’altra nel vuoto.
In salotto, stravaccato sul divano, c’era Tails in una posizione del tutto simile in quanto a degrado della postura. L’unica che sembrava vispa e indaffarata era Amy che stava energicamente scodellando tra pentole e padelle cercando di dar vita ad un pasto commestibile.
Anche Cream e Cheese sembravano spenti della loro solita e vitale energia. Seduti a terra, l’uno in braccio all’altra, osservavano con sguardo annebbiato le mosse di Amy, che si spostava da un fornello all’altro.
-Mi sento inutile.- disse ad un tratto Tails dal salotto, con la testa reclinata all’indietro, esprimendo ad alta voce il pensiero di tutti i presenti.
-Potevo tranquillamente rimanermene ad Angel Island.- borbottò piano Knuckles, arricciando il naso, sdegnato. A dir la verità nessuno lo costringeva a rimanere a casa Prower, quindi le sue lamentele erano pienamente infondate. Eppure, nonostante gli sbuffi, le imprecazioni e i ringhi sommessi, anche l’imperscrutabile guardiano del Master Emerald non riusciva ad allontanarsi da quella situazione allucinante che due ricci di loro conoscenza stavano vivendo in prima persona.
E loro cinque, semplici aiutanti occasionali e qualche volta protagonisti, volevano partecipare, aiutare in un qualche modo. Ma tutto quello che potevano fare realmente era starsene in disparte e aspettare che Sonic tornasse a casa o che alla radio o alla tv dessero una qualche notizia. Erano stati esclusi dai giochi, quella volta.
Amy smise per un attimo di rimestare il contenuto di una delle tre padelle sul fuoco. Lentamente si voltò. –Per una volta.- disse tristemente. –Non possiamo proprio aiutare Sonic. Né tantomeno Shadow. Dobbiamo lasciare che se la sbrighino loro due. Far diversamente non si può.-
Tails sospirò. –Sì, ma siamo proprio sicuri che non c’è assolutamente nulla che possiamo fare?-
Knuckles digrignò i denti. –Almeno daremo un senso a questa giornata.-
Un pastoso silenzio riempì l’aria, smossa di tanto in tanto da un qualche sospiro affranto.
Fu proprio a causa di quella placidità collettiva che lo scatto di Tails fece sobbalzare tutti.
Con una furia imprevista, il volpino schizzò in piedi con la stessa foga che avrebbe utilizzato se uno scorpione gli avesse punto il sottocoda. Knuckles raddrizzò di colpo la schiena, Amy si voltò di scatto con il mestolo grondante di salsa non identificata e Cream insieme a Cheese si lasciò sfuggire un gemito sorpreso.
-Per tutti gli smeraldi! Tails!- ruggì l’echidna color brace. –Si può sapere che ti prende ora?-
Lo sguardo infervorato della volpe ruotò sui quattro paia di occhi che lo stavano studiando ansiosi, incuriositi o soltanto preoccupati.
-E se provassi a infiltrarmi dei computer di questa misteriosa associazione che perseguita Shadow?-
I quattro paia di occhi che gli fungevano da pubblico si sgranarono al limite del rotolamento fuori dalle loro orbite.
-Che cosa?!- esclamò Amy, facendo mezzo passo indietro quando una grossa e pesante goccia di salsa cadde a terra.
-Già!- Tails sembrava scintillare da tanto che era entusiasta. –Così potremo ottenere informazioni utili al caso!-
Knuckles aggrottò la fronte. –E pensi di riuscirci senza nemmeno sapere il nome di questi nemici invisibili? Voglio dire, Sonic è partito questa mattina. Dovremo aspettare che torni, così da chiedergli un qualche indizio in più, non pensi?-
Il volpino di sgonfiò, crollando di nuovo sul divano. Non si poteva violare un computer se nemmeno si sapeva a chi appartenesse. –Vero.- concesse, ma con un tono di voce tanto straziante che mosse quasi a commozione l’echidna.
Knuckles si permise un mezzo sorrisetto. –Almeno.- disse. –Sappiamo che da questa sera, quando Mister Velocità tornerà all’ovile in cerca di cibo, avremo finalmente qualcosa da fare, grazie al nostro bi-code qui presente.-
Le orecchie di Tails fremettero d’emozione mentre il volpino si voltava verso di loro, con il fuoco nello sguardo.
Si vedeva lontano un miglio che il suo cervellino stava già lavorando frenetico alla ricerca di mille e un modi per fare a pezzi il firewall di un database protetto con altrettante maniere diverse.
 
 
Shell era seppellita fino al collo sotto a pile e pile di documenti, articoli di giornali e qualunque altro pezzo di carta che avesse un qualche valore di registrazione dati. Era immersa in quell’inferno d’inchiostri vecchi anche di anni già da due ore e mezza ma il nome del riccio nero non si era ancora visto. A pari passo con le carte sparpagliate ovunque, aumentava anche il volume della sua frustrazione e della sua rabbia. Un garrito furioso le scaturì dalla gola, quando l’ennesima traccia si rivelò una mera perdita di tempo.
Ma possibile che quel dannato riccio non esistesse proprio?
Una voce, nascosta dietro alla marea di scaffali la sorprese. –Scusami, figliola.- disse. –Ma cosa stai cercando esattamente?-
La mobiana sospirò, voltando indietro la testa da sopra una spalla, incontrando lo sguardo tremolante della guardiana dell’archivio, una donna umana sui sessant’anni, dai capelli brizzolati raccolti a crocchia. Si chiamava Emma, Emma Lownn.
-Shadow The Hedgehog.- disse con un sospiro. Tre parole che illuminarono gli appannati occhi della veterana segretaria.
-Shadow?- ripetè quella con voce tremante, azzardando qualche passo in avanti, come attratta da una calamita. Una luce mai vista in lei le si accese nello sguardo con una forza fin quasi eccessiva per un corpo esile come il suo. Era una creatura assai fragile, questa Emma, fragile quanto le impolverate carte che custodiva da una vita intera. Lentamente, si avvicinò alla tavola con quella sua andatura aggobbita. L’età non era stata clemente con lei.
Con un dito sfiorò appena uno dei numerosi fogli sradicati dalla loro abituale ubicazione. Dietro agli occhiali, lo sguardo della signora sorrise. –Non troverai mai nulla, se cerchi documenti così recenti.- disse con voce lievemente arrochita.
La gabbiana sbuffò. –Che intendi dire?-
Non che non le piacesse la signora Emma, ma la sua flemma finiva sempre per irritarle i nervi.
-O forse- disse ancora la segretaria, continuando come se non l’avesse nemmeno udita. –Non troveresti nulla comunque. Loro sono venuti quasi una settimana fa e hanno cercato, proprio come ora fai tu, documenti e informazioni su Shadow.- fece una pausa. -Indossavano divise del governo, ma non sono certa che lo fossero davvero.-
Shell fissò in viso la donna. –Come?- chiese, dubbiosa di aver sentito male. Qualcuno stava sequestrando le informazioni riguardanti Shadow?
Emma sorrise. –In ogni caso, come ho già detto prima, se vuoi indagare sul passato della Forma di Vita Definitiva, devi cercare documenti molto più vecchi di quelli risalenti a qualche anno fa.-
La gabbiana aggrottò la fronte. –Non mi interessa niente di questa Forma di Vita di cui parli. Io voglio Shadow!-
La donna rise. –Stai dando la caccia all’ombra per eccellenza, figliola. O meglio, all’ombra di questa ombra. E le ombre non si possono raccogliere a mani nude. Men che meno, le ombre delle ombre.-
Ora Shell si stava innervosendo. Le era anche venuto mal di testa. –Smettila di parlare per enigmi! Sii chiara, una volta tanto!-
Emma rise di nuovo. –Seguimi, mia cara. Ti mostrerò ciò che loro non sono riusciti a prendere.-
Shell si ritrovò in piedi a seguire la donna, mentre questa ancora parlava. –Ti permetterò solo di leggere, però. Non puoi portare via nulla poiché ciò che ti mostrerò ora è il mio piccolo tesoro segreto.-
Attraversarono tutto l’archivio e raggiunsero la sala d’ingresso. Dietro alla scrivania della segretaria vi era una porta con la targhetta che recitava “privato”. Emma pose la mano raggrinzita sulla maniglia, che si aprì senza sforzo. Non era chiusa a chiave.
Al di là era tutto buio, ma spinto un interruttore, la luce elettrica tornò a correre nelle vecchie lampade al neon sopra alla scala che si inabissava verso il basso, in cantina.
Con una lentezza degna di una lumaca, Emma discese con infinita calma quei pochi gradini seguita dalla scalpitante mobiana.
Raggiunsero uno scaffale particolarmente isolato tra le casse di vecchi documenti, troppo vecchi per potere dimorare insieme agli altri nell’archivio più “attuale”.
Su quello scaffale arrugginito, tra pile e pile di vecchi giornali, stava una piccola cassa di legno munita di lucchetto d’ottone. La segretaria vi infilò una chiave dello stesso metallo e con uno stridulo lamento la scatoletta di aprì.
Emma portò il piccolo contenitore ligneo su di un tavolo, sul quale depose l’oggetto con cautela quasi sacrale. Shell si avvicinò, con il cuore che le batteva in gola.
Articoli.
Di giornale.
Emma sorrise. –Ho vissuto di persona alcune esperienze collegabili direttamente a Shadow, qualche anno fa, quando ancora Mobius e la Terra non erano collegate. Aggiungi poi lo sbalzo temporale che divide ancor più i nostri due pianeti ed ecco spiegati i quasi quattro anni di distacco tra questi eventi e il presente, anche se per voi mobiani non ne sono trascorsi più di due.- il suo sguardo divenne trasognato. –Se esistiamo ancora- disse piano –Lo dobbiamo a lui, a Shadow. E a nessun’altro.-
Gli occhi pallidi di Emma andarono a scontrarsi con quelli di Shell. –Ecco perché non credo ad una sola parola di ciò che dicono i giornali e la televisione. Non è vero che Shadow ha fatto quelle terribili atrocità! Io l’ho visto morire, capisci? Con questi miei occhi, con le telecamere di tutto il mondo puntate sull’ARK, io l’ho visto morire! Poi hanno distribuito il merito anche a Sonic The Hedgehog e non nego che anche lui sia un eroe alla pari con Shadow. Ma, se non ci fosse stato il riccio nero, Sonic da solo non ce l’avrebbe fatta a salvare la Terra dalla distruzione.-
Shell in quel momento era la personificazione dell’incomprensione.
Emma riprese, incurante. –Hanno detto molte e molte volte che lui cambiava fazione così come il vento muta direzione. Hanno detto che sarebbe potuto succedere che lui tornasse a cercare vendetta contro di noi e se l’avesse fatto per noi non ci sarebbe stato scampo alcuno. Ma io non credo che Shadow si sia pentito dell’atto altruista compiuto quattro anni or sono. Molti però lo credono.- fece una pausa. –La gente è stupida, figliola. Ricordalo. Stupida e smemorata. Metti in pericolo la loro routine e le loro famiglie e sono pronti a rivoltarsi contro chiunque, dimenticando tutti i meriti. Anche contro colui al quale devono le loro esistenze. Non c’è gratitudine, quando la sopravvivenza entra in campo. Sono stati manipolati abilmente, gli hanno lentamente fatto cambiare opinione, facendogli scordare pian piano la vera tragedia dell’ARK scaricando sempre più il merito su Sonic. Sempre su di lui e tralasciando sempre più il vero artefice. Mentre tutti i riflettori, ovviamente pilotati da quegli individui, si puntavano su Sonic, Shadow scivolava via, nell’ombra.-
Lo sguardo di Emma ora era acceso di fervore. –Loro sono arrivati a dire che l’atto che Shadow compì era stato un semplice incidente, che la sua morte era stata un errore imprevisto. Capisci?! Hanno traslato il protagonista dietro le quinte! E la gente l’ha bevuta. In quattro anni si possono fare miracoli, se si prende potere sui media. E loro l’hanno fatto, le masse gli hanno dato fiducia. Ora si apprestano ad eliminare il più grande miracolo vivente che la Natura abbia mai ideato.-
Shell fece per confessare rabbiosamente di non aver capito nulla, che la donna riprese. –Leggi, mia cara, leggi. E dopo dimmi ciò che pensi. Ne riparleremo. Ora, devi prima apprendere la vera storia dell’ARK, figliola. Quella storia che è cominciata cinquant’anni fa.-
 
 
Teta576 (ovverosia Pelo Rosso) correva e correva, non si fermava. Una piccola parte della sua coscienza gli ricordava che a rigor di logica avrebbe dovuto crollare a terra esausto già da un’ora almeno, ma sembrava che la fatica non fosse nemico che lui dovesse affrontare. I suoi muscoli non si stancavano né mai l’avrebbero fatto. Certo, il suo ritmo di corsa non poteva neanche lontanamente competere con quello del suo bersaglio, ma era comunque assai più rapido della quasi totalità delle persone comuni.
Ma a lui queste puntigliosità non interessavano: nella lista delle imminenti priorità, esisteva solo e soltanto Shadow.
Così, con la sua andatura che puntava tutto sulla resistenza e sul fatto che gli scienziati si fossero scordati di inserire in lui l’elemento chiamato “fatica”, seguiva come un segugio il suo obbiettivo, che si trovava a sole tre miglia e mezzo da lì.
Il suo radar personale impiantatogli direttamente nell’occhio sinistro gli trasmise l’allarme: qualcuno lo stava seguendo.
Ruotò appena la testa, scoprendo le zanne acuminate. Un ringhio gli risalì su per la gola, quando vide l’elicottero e cinque robot appiedati che lo stavano seguendo. Il mirino bianco nel suo campo visivo prodotto da occhi artificiali si accese di colpo, agganciando i sei bersagli, segnale inequivocabile che era pronto allo scontro.
Abbassò lo sguardo sulle proprie braccia, coperte per metà larghezza dalla controparte meccanica i cui cavi permettevano agli impulsi elettrici del suo cervello a raggiungere in maniera adeguata le membra. Mentre il suo ringhio si trasformava in ghigno, cinque mostruosi artigli spuntarono dalle dita della mano destra e altri cinque nella sinistra. Lame retrattili rinforzate di metallo, lunghe quasi mezzo metro.
Sfoderate le armi, rallentò un poco l’andatura, invertendo poi di botto la direzione di marcia e trovandosi così a correre dritto contro gli inseguitori che si trovarono inizialmente spiazzati.
Lo sbalordimento durò infatti pochi istanti.
Pochi istanti che furono sufficienti.
I robot aprirono il fuoco mezzo secondo dopo dell’elicottero trivellasse il suolo di proiettili. Teta ringhiò, scartando rapidamente di lato per evitare l’attacco dell’elicottero, il più massiccio, che sparava in doppia scia, una per fiancata. Continuò a correre, passando sotto alla macchina volante, mentre le prime pallottole dei robot gli sfrecciavano accanto attivando spie sonore di allarme che gli fischiavano direttamente nel cervello, avvertendolo sulla direzione degli oggetti contundenti in avvicinamento rapido. Non aveva difatti bisogno di vedere direttamente il nemico per sapere dove si trovasse, anche se fosse stato alle sue spalle, grazie al sistema di targeting. Ma per i proiettili scagliati il radar si limitava ad un’area di qualche metro attorno a lui, quanto bastava per evitare i colpi. Ammesso e non concesso che il loro numero fosse relativamente ridotto. Cosa che in quel momento non si stava verificando.
Balzi, scatti e capriole non bastavano più a schivare tutte quelle pallottole vaganti. Ne parò tre con la propria corazza metallica. Il piombo dei mitra schizzò via, descrivendo improbabili traiettorie tra la polvere del deserto e le volute d’aria aizzate dall’elicottero.
Teta ghignò di nuovo, mentre quella sensazione eccitante tornava a dominare in lui. Gli era mancata, quella sensazione. Del resto, era stato creato per quello. E anche per eliminare la Forma di Vita Definitiva.
Ghignò di nuovo, con le membra pervase da un insopportabile prurito, la voglia di assaggiare di nuovo il sangue.
L’elicottero armato, qualche decina di metri più in là, faceva manovra per invertire la rotta e tornare così all'attacco, ma per le unità di terra la lotta per la sopravvivenza era già iniziata. La distanza, diminuita esponenzialmente da ambo le parti, era stata azzerata allo scontrarsi delle fazioni in gioco. E ad avere la peggio non fu di certo il cyborg.
Gli artigli di Teta affondarono nel corpo metallico del primo dei cinque robot, squartandolo come se fosse stato burro. La lega speciale di quei suoi artigli diabolici permise ciò, essendo ben più dura del comune acciaio.
Il mastodontico ammasso di ferro rimase in equilibrio ancora per qualche istante, giusto quel che bastava per permettere a Teta di usarlo come pedana di lancio per attaccare il secondo robot. Lo colpì, ma di lato, a causa di un’improvvisa schivata da parte dell’automa.
Teta cozzò pesantemente contro il suolo, conficcando le proprie lame nel terreno arido a mo’ di freno per poi ruotare su sè stesso e scagliarsi di nuovo all’attacco per finire l’avversario che, danneggiato dal colpo infertogli, non fece in tempo a schivare. Cadde a terra con un tonfo, sollevando sabbia dalla terra secca.
Il terzo robot fece fuoco, costringendo la cavia da laboratorio ad un rapido balzo, spiccato in verticale. La sabbia esplose quando i proiettili vi si conficcarono. La piccola nube creatasi non infastidì minimamente lo svolgersi della battaglia poiché nessuno dei combattenti utilizzava sensori visivi biologici. Certo, la vista meccanica aveva dei limiti, se si trattava di localizzazione a calore, a infrarossi o a magnetismo in un turbine di sabbia rovente, ma loro non fecero nemmeno finta di rallentare il ritmo di battaglia.
Teta saltò addosso al primo robot che gli capitò a tiro, colpendolo con precisione chirurgica al fascio di cavi che collegava il sistema operativo dell’automa al generatore energetico. Il colosso si bloccò a metà movimento, come per incanto, per venir abbattuto subito dopo da un poderoso calcio dal suo piccolo avversario per metà costituito da carne che non esitò un attimo a balzare addosso ad uno dei due sopravvissuti in avvicinamento. Fece per colpirlo quando la nube si disperse di colpo accompagnata dal rombo delle eliche del veicolo volante che faceva piazza pulita della sabbia, avvicinandosi all’obbiettivo. Teta ruggì, sbilanciato nel suo salto dalla corrente d’aria. Ripiombò al suolo, scoccando un’occhiata furente all’elicottero.
Certo, il loro compito era quello di bloccalo, ma farlo senza necessariamente ucciderlo era un’impresa particolarmente ardua. Non per questo i tre attaccanti rinunciarono.
I due robot aprirono il fuoco di colpo, simultaneamente. Teta spiccò di nuovo un poderoso salto verso l’altro, mirano sorprendentemente all’elicottero. L’uomo posizionato dietro al mitra sinistro venne ridotto a fette, insieme alla fiancata della libellula di ferro: Teta era dentro. Pilota, copilota e l’altro artigliere finirono come il loro compagno. A poco servirono i disperati colpi di pistola che qualcuno riuscì a sparare.
Un ultimo colpo alla coda della macchina voltante e l’intero elicottero si schiantò rovinosamente a terra, sollevando ben più di una nube di sabbia e travolgendo nell’esplosione anche uno dei due robot supersiti. L’ultimo rimasto fece fuoco verso  il corpo di Teta, saggiamente balzato via dal veicolo in collisione ed ora sospeso, a metà salto, sulla colonna di fumo e fiamme delle due macchine brucianti. Teta576 si avvitò su se stesso, evitando con una miracolosa contorsione le pallottole sparate contro di lui. Atterrò pesantemente subito dopo, spaccando lievemente il suolo, già screpolato dal sole, per poi subito scattare verso il sopravvissuto che aprì nuovamente il fuoco sfruttando entrambe le braccia. Non gli servì.
Stridio di metallo contro metallo e il suo corpo finì a terra, aperto come una lattina di sardine.
Teta si concesse un respiro, con tutti i muscoli frementi d’eccitazione.
Si guardò in torno per controllare l’effettiva disfatta dei nemici. Il suo computer incorporato confermò la vittoria, non percependo segnali elettrici dai robot. Per i tre umani a bordo dell’elicottero non c’era nemmeno da porsi il dubbio.
Teta576 lentamente si voltò, tornando a focalizzare la propria attenzione al suo bersaglio primo. Una spia gli si accese nel campo visivo dell’occhio destro, indicandogli la direzione da prendere. Un ultimo ringhio e Teta riprese la corsa, puntando dritto al riccio nero. 
  
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