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Autore: Daisy Pearl    02/10/2013    5 recensioni
Finì di parlare e ansimò brevemente, come se avesse fatto una corsa infinita, lo sentii andare avanti e indietro e in qualche modo riuscii a immaginarmelo. Aveva un lungo abito bianco che si adagiava sul pavimento in pietra. La veste ondeggiava con eleganza e sembrava brillare di luce propria. Le lunghe ali erano spalancate sulle sue spalle, candide come il vestito e, a completarne la figura c’erano i classici boccoli oro che gli ricadevano sulle spalle con gentilezza. Potevo quasi vedere gli occhi azzurri come il cielo fissarmi attendendo che fossi in grado di alzarmi, in quel modo mi avrebbe potuta portare dove dovevo stare.
Mi avrebbe portata all’inferno.
- Questa è la storia di Mar e di Dave. Una storia di magia, tradimenti, colpi di scena, pazza, lucidità, amore. Bene e male si intrecciano in continuazione fondendosi in alcuni punti per poi separarsi. Il confine tra bianco e nero non è mai stato così invisibile.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
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CAPITOLO 7


Disegno di Shadowdust


Allungare il braccio, afferrare il bicchiere, sollevarlo, portarselo alle labbra, bere con un lungo sorso, posare il bicchiere, aspettare un minuto, allungare il braccio.
Continuavo a ripetermi la stessa litania nella mente mentre ingurgitavo qualsiasi cosa mi venisse messa nel bicchiere. Ero giunta in quel locale camminando quasi come uno zombie per non so quali vie della città, quindi non ne varcai la soglia completamente cosciente. Mi ero ritrovata in una sorta di torpore che mi impediva di prendere una qualsiasi decisione, o di rendermi conto delle mie azioni. La mia mente era isolata dal mondo esterno. Era come se per lo shock avessi creato una sorta di barriera attorno al cervello, uno scudo che mi impediva di provare a utilizzare questo organo se non per muovermi come un robot. Semplicemente ero riuscita ad eliminare tutti i pensieri.
Un aiuto ulteriore veniva dall’alcool che continuavo a ingurgitare senza sosta e quella litania era quasi confortante, una sorta di ninna nanna che mi permetteva di rilassarmi e di fissare una qualsiasi cosa senza vederla. Mi ero totalmente estraniata e non sapevo nemmeno perché lo avessi fatto e la cosa migliore era che non mi andava di ricordare.
Non sapevo quanto avevo bevuto, ma percepivo la testa che girava vorticosamente dandomi una piacevole sensazione di vertigine, a volte accompagnata dalla nausea. Mi sentivo stranamente leggera, come se non fossi seduta su una sedia, ma stessi semplicemente fluttuando al di sopra di essa.
Allungare il braccio, afferrare il bicchiere, sollevarlo, portarselo alle labbra, bere con un lungo sorso, posare il bicchiere, aspettare un minuto, allungare il braccio
Una chiazza nera si parò di fronte a me. Si muoveva impercettibilmente, sembrava così soffice. Istintivamente allungai la mano per sfiorarla, ma non ci riuscii. Quando le mie dita erano solo a pochi millimetri di distanza mi sentii scrollata con forza.
La vertigine aumentò e mi sentii confusa. Tuttavia non avevo le forze per chiedermi cosa stesse succedendo quindi mi lasciai andare a quella nuova sensazione.
Mi parve di udire delle voci al di sopra della musica assordante, ma all’iniziò non capii cosa dicevano, non che mi interessasse. Venni scossa nuovamente e distinsi la parola ‘caffè’.
Chissà cos’era. In quel momento la percepii come un sostantivo conosciuto, ma non riuscivo ad afferrare l’immagine relativa a quella parola che mi si era materializzata nella mente.
Avrei potuto aggiungere la parola caffè alla mia litania. Forse sarebbe stata bene alla fine.
Allungare il braccio, afferrare il bicchiere, sollevarlo, portarselo alle labbra, bere con un lungo sorso, posare il bicchiere, aspettare un minuto, caffè.
Era divertente. Ridacchiai e feci per riafferrare il bicchiere, ma le mie dita lambirono il vuoto. Che strano. Ero sicura che fino a un attimo prima fosse lì davanti a me. Sbattei le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco i contorni sfocati degli oggetti che mi circondavano, ma non mi sembrava di notare il bicchiere.
Qualcuno mi mise una mano sulla nuca e fece avvicinare al mio naso qualcosa dall’odore forte e decisamente sgradevole. Cercai di allontanarmi spostando la testa all’indietro, ma la mano me lo impediva.
“Bevi avanti!”  disse una voce ovattata che non sappi se apparteneva a un uomo o a una donna. Mi venne posata sulle labbra quello che sembrava la parte superiore di un bicchiere e, pensando che fosse il mio di poco prima, bevvi tutto in un sorso.
Un liquido caldo e amaro mi attraversò la bocca fino ad andare a riscaldarmi lo stomaco. Storsi il naso e la bocca.
“Che sssschifo!” borbottai.
“Meglio se ne beve un’altro!” disse la voce ovattata che probabilmente avevo sentito prima. Mi rivolsi verso la fonte e chinai la testa di lato. Era un uomo che parlava, aveva dei folti capelli neri e gli occhi incredibilmente verdi. Sbattei le palpebre più volte per metterlo a fuoco meglio. I suoi capelli sembravano così soffici, forse erano quelli che pochi minuti prima avevo tentato di sfiorare. Allungai nuovamente la mano, ma lui me la bloccò a mezz’aria rivolgendomi un sorriso privo di allegria.
“Ne sei sicuro Dave? Mi sembra che stia per vomitare!” mi voltai verso la seconda voce e incontrai degli occhiali che riflettevano le luci stroboscopiche.
Meglio se vomita Emy, non sarà un bello spettacolo, ma almeno la smetterà di fissarci come se non ci vedesse!”
“Ma io vi veeeeedo!” biascicai perplessa dalle loro parole.
Il ragazzo mise entrambe le mani ai lati del mio viso e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
Come stai?”
Lo osservai incuriosita, che domanda strana.
“Beeeene!” ridacchiai senza un motivo apparente se non quello di trovare buffa la sua espressione.
Lo sguardo del ragazzo si fece duro, come se volesse rimproverarmi.
“Ci hai fatto prendere un bello spavento!”
“Pecccché?” domandai strascicando la domanda.
Emily ha detto che ti comportavi in modo strano,così è venuta a chiamarmi, ma tu eri scomparsa e ti abbiamo cercato in ogni posto che di solito frequenti tu, ma eri introvabile e…”si fermò per riprendere fiato.
Alzai le spalle mentre la ragazza con gli occhiali si avvicinava a me con una tazzina in mano.
“Tienila ferma!”
Il ragazzo mi mise ancora una volta una mano sulla nuca e la ragazza mi posò sulle labbra la tazzina, bevvi senza riflettere e nuovamente storsi il naso.
Dov’è Jamie?”
“Non so Dave, ha detto che andava a cercarla tra la folla!”
“Vado a dirle che l’abbiamo trovata!”
“Ok!”
Al nome ‘Jamie’ un campanello dall’allarme si accese nella mia mente ma non gli prestai molto caso, sentivo soltanto una crescente sensazione di fastidio proprio alla bocca dello stomaco.
Iniziai a sentire un sapore acido nella bocca e capii che stavo per vomitare. Mi alzai in piedi e barcollai, la ragazza mi sorresse facendomi appoggiare a lei.
“Dove stai andando Mar?”
“Bagno!” dissi semplicemente mentre il mondo intorno a me continuava a ruotare velocemente. A fatica, muovendo un passo dietro l’altro, giungemmo in un luogo maggiormente illuminato, che riconobbi come la toilette. Mi infilai in una cabina e mi precipitai verso il water, non riuscendo più a trattenermi. La ragazza rimase in disparte, probabilmente alle mie spalle. Non seppi quanto tempo stetti piegata in quel bagno, a me sembrarono ore, e man mano che espellevo l’alcool la lucidità tornò, anche se la mia mente continua a rimanere schermata da qualsiasi tipo di pensiero. Ero esattamente come un automa. Mi mossi verso il lavandino e aprii l’acqua fredda prima di mettere sotto il getto le mani a coppa per poi portarmele al viso. Fu rigenerante e mi ritrovai ad avere solo qualche capogiro durante l’operazione.
“Ma cosa diavolo avevi? Sembravi impazzita, ti dimenavi e piangevi!” la voce di Emily si era fatta più chiara, ma non avevo comunque idea di cosa stesse dicendo. Uscii dalla toilette senza degnarla della mia attenzione e mi mescolai alla folla prima che lei potesse raggiungermi, volevo stare da sola a crogiolarmi nella mia condizione di ameba.
In lontananza vidi Dave e il mio primo pensiero lucido fu che era bellissimo. Ondeggiava a ritmo di musica ed era estremamente sexy, una voglia matta di gettarmi tra le sue braccia mi travolse. Feci un paio di passi quando mi resi conto che stava ballando con una ragazza dai lunghi capelli biondi, una ragazza che riconobbi come Jamie. Lei gli dava le spalle e si strusciava su di lui senza ritegno. Mi bloccai sul posto, la mia mente precedentemente sgombra era completamente occupata da ciò che stavo osservando.
Lui aveva le mani adagiate sui suoi fianchi e esercitava su di essi una leggera pressione che probabilmente contribuivano a far aderire meglio il suo corpo a quello della ragazza.
Lei si voltò e gli gettò le braccia al collo. I loro visi erano così vicini.
Mi sentii stringere lo stomaco talmente tanto che mi fece male.
Lui si chinò per sussurrarle qualcosa all’orecchio e lei ridacchiò portando leggermente la testa all’indietro. Non sentivo più la musica né le persone che ballando mi urtavano. Non percepivo nulla se non il cuore che iniziava a battere più forte irradiando il dolore in tutto il mio corpo.
Lui si abbassò su di lei per essere alla giusta altezza delle sue labbra. Poi si baciarono e a me parve di scoppiare. Le mani di lui scomparvero sotto la massa dei capelli di lei, in un modo che ricordava molto i nostri baci.
Dolore e odio si sovrapposero in un cocktail letale, si irradiarono dal mio petto e, come se fossero trasportati dal sangue, giunsero al mio cervello, che riprese a ragionare.
Rivissi quegli ultimi giorni improvvisamente sotto forma di duri flash che apparivano dinnanzi i miei occhi, mentre quelle immagini del passato si sovrapponevano al bacio passionale che Dave e Jamie si stavano scambiando.
L’appuntamento con Dave, la cui lingua danzava sul labbro inferiore di Jamie.
Il processo.
Jamie sorrideva e immergeva le dita nei capelli corvini di Dave.
La strega.
Llui appoggiò una mano sul fianco di lei con fare possessivo.
 Jamie, la sua comparsa a casa di Dave.
Una voragine si aprì nel mio petto minacciando di risucchiare tutti i miei organi vitali.
E poi arrivò il flash più doloroso : Rob. Al solo pensiero mi tornò alla mente tutto ciò che avevo cercato di dimenticare: l’umiliazione, la sensazione di essere stata violata quando ero impotente. Strinsi i pugni e non mi fermai nemmeno quando il dolore mi indicava che mi ero conficcata le unghie nella pelle.
Inizia a tremare sopraffatta da tutte quelle sensazioni. Per la prima volta in vita mia volevo crollare.
Volevo essere libera di accasciarmi al suolo e lasciare che tutte quelle emozioni mi sopraffacessero, senza compiere l’inutile sforzo di cacciarle via.
Debole.
L’odio e la gelosia mi accecarono. Come avevo potuto diventare così? L’ombra di ciò che ero stata?
Corsi fuori dal locale a perdifiato mentre lasciavo dietro di me, nel vento, le lacrime che ormai scorrevano incontrollate lungo il mio volto. Non so per quanto tempo andai avanti. Barcollavo per le vie vuote della città, appoggiandomi di tanto in tanto alle pareti degli edifici. Mi strusciavo su di esse come se potessero offrirmi un sostegno che io non ero più in grado di darmi. Posavo al fronte su di essi e sentivo il ruvido del cemento graffiarmi la pelle, ma non mi importava. Poi vomitavo. Persi il conto di quante volte dovetti fermarmi per piegarmi in due e rimettere tutto l’alcool che avevo bevuto. Speravo che con esso passasse il dolore, che la disperazione scivolasse via dalle mie labbra con tutto quello schifo. Mi sentivo svuotata e inutile, non c’era più niente che potessi fare. Ero debole. La mia voce interiore aveva sempre avuto ragione.
Mi bloccai e alzai gli occhi verso il cielo scarsamente illuminato dalla luna. Era notte fonda e avrei disperatamente voluto essere inghiottita dall’oscurità, perché l’oscurità non mi avrebbe fatta del male, sarebbe stata mia amica e mi avrebbe riportata indietro nel tempo, quando ancora provavo rispetto per me stessa.
Mi guardai attorno sperduta, mentre l’immagine del parco nel quale mi trovavo, si sovrapponeva al ricordo del bacio focoso di Dave, al quale a sua volta si sovrapponeva la risata soddisfatta di Rob.
Tremai. Mi trovavo nello stesso parco nel quale avevo incontrato Jasmine, inconsciamente le mie gambe mi avevano portata in quel luogo.
Sentii nuovamente una stretta al cuore e fui sopraffatta dalle emozioni. Mi inginocchiai a terra perché le gambe non mi reggevano più. L’erba era fresca a contatto con i miei polpacci, ma ciò non lenì le sensazioni che provavo. Affondai le mani nei ciuffi verdi e strinsi forte i pugni attorno ad essi.
Ormai non riuscivo più a vedere con chiarezza a causa dello spesso strato di acqua che sgorgava dai miei occhi. chiusi gli occhi con forza sperando di togliere quella patina di acqua salata, ma non appena li riaprii essa si riformò, come se non fosse mai andata via.
Debole.
Chiusi gli occhi e, com’era successo prima in quella giornata mi trovai ad osservarmi dall’esterno. Una ragazza inginocchiata a terra con i lunghi capelli che scendevano fino a ricoprirle il volto, le mani appoggiate al terreno e le gocce che le abbandonavano il viso per finire a terra.
Patetica.
Tornai in me.
Debole.
“BASTA!” urlai nel buio della notte “JASMINE!” le mie labbra proseguirono da sole, sapevano esattamente cosa fare.
“ACCETTO LA TUA PROPOSTA!” sbraitai al vento, mentre alcune gocce salate raggiungevano le mie labbra.
Mi guardai attorno speranzosa, e prima che iniziassi a sentirmi stupida per aver urlato al nulla vidi un’ombra. Si stagliava sull’erba a pochi metri da me. Era lunga e flessuosa. L’unica cosa che riuscii a vedere della sagoma erano la massa di capelli ricci che si stagliavano sul terreno con eleganza. Alzai lo sguardo si cura di vedere Jasmine che mi sorrideva in quel modo gentile e divertito che la caratterizzava, ma di lei non c’era nessuna traccia. Sono un’ombra senza corpo mi indicava che era pronta ad accogliere la mia disperata richiesta. Mi asciugai le lacrime per vederla con chiarezza. L’ombra parve voltarsi verso di me, dopo di che girò la testa nella direzione opposta a comincio a scivolare. Mi alzai a fatica ignorando i giramenti di testa, chiusi un attimo gli occhi, dopo di che la seguii. Determinata, camminai per quella che fu l’intera notte, ignorando l’acido lattico nelle gambe che si faceva sentire facendomi provare un dolore acuto. Ignorai le prime luci dell’alba che rischiaravano le strade e mi limitai a seguire l’ombra sempre più chiara senza reputarla una cosa stupida. Il mio cervello era scollegato, era come se avessi provato troppe sensazioni e non fossi più in grado di sentirne altre. La mia mente e il mio cuore ne avevano abbastanza.
Giunsi ad una piccola casa isolata nella campagna circostante, mi costrinsi a ritornare un po’ cosciente e mi avvicinai alla porta prima di bussare. Essa si aprì da sola e io entrai mentre misteriosamente tornavo in me. Inizia a sentire la paura oltre al dolore, questo era l’effetto che Jasmine aveva su di me, ma presto sarebbe tutto finito. Non avevo intenzione di aspettare che Alex trovasse un oggetto con i poteri per riavere la mia meravigliosa vita, non potevo sopportare di vivere un altro giorno come quello appena trascorso. La mia era un’urgenza, dovevo guarire da quella debolezza che mi aveva posseduta, dovevo rinascere.
Avanzai nella casa buia pensando che tutto questo era colpa di Dave, se i suoi occhi verdi fossero stati alla larga dalla mia vita non mi sarei sicuramente ritrovata in quella situazione. L’odio nei suoi confronti si acuì.
Dal fondo della casa si aprì una porta e, nella debole luce del mattino, vidi Jasmine Becketly camminare verso di me.
Mi rivolse un sorriso compiaciuto di chi la sapeva lunga e mi tese la mano.
“Benvenuta Mar!”
Cercai di farmi coraggio nonostante i suoi trattamenti dolorosi mi ritornarono alla mente mentre fissavo i suoi occhi di ghiaccio.
Feci un cenno con la testa a mo’ di saluto, ma non le strinsi la mano.
Sorrise nuovamente ed ebbi un brivido lungo tutta la schiena.
“Sei sicura di quello che stai per fare?”
Annuii ancora incapace di parlare.
“Allora seguimi!” mi voltò le palle e si diresse verso la porta dalla quale era appena uscita.
Il corridoio nel quale giungemmo sembrava molto più vecchio della casa stessa, era intagliato nella roccia e era incredibilmente umido. Strinsi le braccia al petto e proseguii nella penombra dietro alla donna mentre lo stretto passaggio finiva con delle scale a chiocciola che portavano verso il basso.
Alla fine di esse giungemmo in una stanza rettangolare completamente sgombra al termine della quale scorsi una porta. Jasmine si fermò e si voltò verso di me con aria divertita.
“Avvicinati!” disse. Mossi un passo incerto verso di lei. “Ancora un po’!” aggiunse “Non mordo!” ridacchiò della sua battuta. Entrambe sapevamo che poteva fare molto più che mordere.
“Siediti a gambe incrociate, abbiamo bisogno di concentrazione!” esclamò mentre prendeva posto sul pavimento a un paio di metri da me.
Feci come mi aveva detto mentre la paura e la diffidenza nei suoi confronti svanivano. Improvvisamente sentii che era logico che mi fidassi di lei. Mi avrebbe dato un po’ del suo potere, chiedendo qualcosa in cambio, un piccolo prezzo da pagare per riottenere la mia vita. Non aveva dato qualcosa per niente, com’era giusto che fosse. Nei suoi comportamenti non c’era nulla che facesse presagire di non potermi fidare, era perfettamente coerente.
“Chiudi gli occhi e concentrati sul tuo volere! Devi essere pronta con tutta te stessa ad accettare il potere!”
Serrai le palpebre ripensando al dolore, all’impotenza, all’umiliazione che avevo provato. Ero decisamente pronta ad accettare quel potere, ero quasi impaziente di averlo. Presto sarebbe finito tutto. Non vedevo l’ora che l’oscurità mi inghiottisse e rendesse nulle tutte quelle sensazioni che mi avevano distrutta. Perché era proprio quello che era successo. Tutte quelle emozioni a partire dal sentimento di simpatia che avevo iniziato a provare tempo addietro per Dave, fino ad arrivare alla disperazione e al dolore di quella sera, avevano distrutto la Mar che esisteva una volta. Era successo pezzo dopo pezzo e io avevo sofferto quasi fisicamente mentre vedevo il mio stesso essere disgregarsi come un castello di sabbia sotto al sole.
Improvvisamente mi sentii leggera come una piuma mentre venivo investita da una luce che potevo vedere anche attraverso le palpebre. La sensazione fu molto simile a quella che provai quando aprii entrambi i libri e mi fece sentire completa e appagata.
Ero nata per possedere quel dono e Alan me lo aveva sempre detto, solo in quel modo sarei stata davvero io. La ragazza dallo sguardo magnetico, la ragazza senza paura, la ragazza con il mondo ai suoi piedi.
Sorrisi. Sapevo che non mi sarebbe bastato, presto avrei preso altri poteri, sarei diventata come Jasmine ne ero certa.
Mi sentii improvvisamente satura e tutto divenne buio.
Come una fenice, sarei rinata dalle mie ceneri, nell’oscurità sarei tornata ciò che ero.



Credo che molti di voi sapessero che Mar avrebbe ceduto, ma spero comunque di essere riuscita a spiegare le sue ragioni. Non so se sono stata brava o almeno decente nel descrivere le sue sensazioni, è difficile immedesimarsi in una mar così distrutta, ero abituata ad un altro tipo di personaggio.
Vorrei anche chiedervi se la parte dei flash è chiara, volevo rendere bene l'idea che Mar rammentava tutto ciò che le era successo mentre i ricordi si sovrapponevano al bacio di Dave e Jamie.
Che ne pensate di Dave?
Bè, come avrete notato questo capitolo è più corto del solito, ma spero che vi sia piaciuto ugualmente, sopratutto perchè è molto importante. Se avete consigli da darmi, li accetto più che volentieri.
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Daisy

 
   
 
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