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Autore: Yvaine0    02/10/2013    3 recensioni
Questa è la storia di qualcuno che, semplicemente, è distratto; di qualcuno che è disattento e di qualcun altro che invece è fin troppo premuroso. È la storia di chi parla troppo, di chi nuota troppo veloce, di chi ha paura di parlare e di chi, invece, dice sempre le cose come stanno. È la storia di come la disattenzione di qualcuno può portare alla sofferenza di un altro e a volte, di conseguenza, alla nostra. È la storia di errori di distrazione notati un po' in ritardo, ma mai troppo. È la storia di chi ama, di chi ascolta e di chi parla, di chi sbaglia e di chi corregge, di scelte giuste ed errate. È la storia di Michael e Shae-Lee, di Calum, di Debbie, di Ashton, River e Luke.
«River sta con Luke. Ma allora perché sembra avere una cotta per Ashton?»
«È complicato».
«Allora spiegamelo».
«Ho un'idea migliore. Perché non mi spieghi perché Debbie ce l'ha tanto con me».
«Perché sei troppo distratto e non ti accorgi di come stanno le cose».
Michael si acciglia. Questo cosa dovrebbe significare? «E come stanno le cose?»
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton, Irwin, Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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2.

 

Luke ha sempre pensato che ci siano mille motivi per cui amare la piscina. A parte il fatto che lui ci passa i suoi pomeriggi, quando non suona coi ragazzi, da diversi anni, lui ama anche le lezioni di educazione fisica che si svolgono in quel luogo.

I professori lo trovano un luogo perfetto: gli spogliatoi femminili e quelli maschili si trovano ai due lati opposti dell'edificio, l'unica via di comunicazione presente è sorvegliata da ben due insegnanti, visto che sistematicamente ci si riuniscono due classi per volta, dividendosi le corsie della piscina olimpionica. Inoltre il nuoto è uno sport completo ed efficace, che a molti persino piace, rendendo più facile fare lezione.

Al di là di quello che pensano gli insegnanti, però, Luke ama le lezioni di educazione fisica in piscina per diversi motivi. Tanto per cominciare, anche se gli spogliatoi sono divisi e sorvegliati, i ragazzi non hanno alcun bisogno di andare a spiare le ragazze: le vedono. Le vedono, fasciate nei loro costumi interi che lasciano poco spazio all'immaginazione, le vedono tuffarsi in acqua e uscirne. Certo, le cuffie di lattice – obbligatorie, a meno che qualcuno non presenti un certificato medico che ne dimostri l'intolleranza e, anche a quel punto, deve essere sostituita da una di stoffa – non danno loro un aspetto molto affascinante, ma quale ragazzo a sedici anni si preoccupa della testa di una ragazza, quando ne ha il fisico seminudo davanti agli occhi?

Un altro lato positivo della faccenda, sicuramente, è le due ore di educazione fisica del quarto anno sono associate con quelle del quinto. Questo, per Luke e Calum, significa Michael.

Vedere Michael in piscina, a detta dei suoi amici, è uno spasso – anche se Luke raramente si ferma ad osservarlo. Da brava ragazzo pigro, infatti, lui approfitta della distrazione del suo insegnante per aggrapparsi al cordone divisorio della corsia e fare una pausa. Poco importa che questo gli causi continui rimproveri e tamponamenti a catena, quando riparte e i compagni più veloci gli vanno a sbattere contro. È divertente anche osservare come cerca di fare meno fatica, aggrappandosi ai suddetti cordoni e trascinandosi, anziché nuotare.

Il fatto è che a Michael la piscina non piace proprio. Okay, è piena di ragazze seminude, ma significa puzza di disinfettante che fa pizzicare il naso, significa entrare in acqua, nuotare, sentire bruciare i polmoni per la fatica a fine vasca; significa sentire il suono assordante del fischietto degli insegnanti rimbombare nell'ambiente chiuso e trapanare i timpani; sentire gli occhi bruciare maledettamente per via del cloro, la pelle pizzicare, vedere la tinta dei capelli sbiadirsi. Significa lavarsi in fretta e furia per evitare di far tardi alla lezione successiva e, per lui, una doccia fatta in fretta e furia è una doccia sprecata. Significa che poi i capelli stanno da schifo, che Calum non smetterà di parlare nemmeno per un istante del sedere di questa o quell'altra tipa, per tutto il pomeriggio. E poi andare in piscina è stancante: dopo esserci stato il sonno insegue Michael come la sua ombra. No, lui odia il nuoto, non c'è niente da fare.

Luke sta nuotando. Mentre nuota, non c'è un solo pensiero che ingombri la sua testa. Ci sono solo lui, le sue braccia che spingono via l'acqua, la sensazione di galleggiare, il fluido che scorre sul suo corpo e lo fa sentire leggero, veloce, vivo. Attraversa la vasca rapidamente, poi si ferma aggrappandosi al bordo. Stringe gli occhi per liberarli dall'acqua; bruciano per via del cloro. Quel giorno ha anche dimenticato gli occhialini a casa, ma poco importa: gli basta poter nuotare. Sta per ripartire, quando si accorge di un movimento poco distante: River si sta avvicinando di soppiatto – più o meno – alla vasca, sorridendo. «Ehilà» lo chiama, china in avanti per potergli essere più vicino.

Anche a River piace che le lezioni di educazione fisica si svolgano spesso in piscina, principalmente perché in questo modo quando ha il ciclo può saltare la lezione. Questa è una di quelle volte. Si porta i capelli rossicci dietro le spalle, ne incastra una ciocca dietro un orecchio, ma un istante dopo questa pende di nuovo sulla testa di Luke, che allunga una mano e la tira con delicatezza, guadagnandosi così un'occhiata indispettita da lei. «E dai, Luke, così me li arricci».

Lui sbuffa una risatina, posa le mani sul bordo della vasca e si tira a sedere sul pavimento, proprio accanto a River. «Mi piacciono di più ricci» commenta, alzando il capo per guardarla con aria furbetta.

River ride e «Potrei dire lo stesso di te» replica pungente.

Luke aggrotta le sopracciglia, confuso. «E questo cosa significa?»

«Sembri un deficiente con i capelli piastrati. Sembrate tutti e quattro dei deficienti, con i capelli piastrati» rettifica con una scrollata di spalle. E, prima che Luke possa rispondere, il primo di una serie di fischi assordanti rimbomba tra le pareti della stanza.

Michael si è appena fermato, aggrappato al cordone della corsia, quando quel suono gli trapana i timpani. I ragazzi lo vedono fare una smorfia e ficcare la testa sott'acqua per riposare le orecchie; addirittura riparte, pur di non sentire quel baccano.

«HEMMINGS!» tuona la voce potente del professor Toomey. Luke si è già rituffato, trattenendo una risata, ma l'uomo continua a strillare: «Qualcuno ti ha dato il permesso di fare una pausa? Non ti stai allenando per allargare le spalle: vuoi o non vuoi essere preso per le regionali?»

Nel frattempo è arrivato Calum, in fondo alla vasca; si aggrappa al bordo, fa l'occhiolino a River, che sta ridendo, e commenta: «Non che quelle spalle possano diventare più larghe di così. Porca miseria, è un armadio!»

«HOOD!»

Calum si tiene con una sola mano, per sporgersi e sorridere all'insegnante, impertinente: «Sì, signore: nuoto per allargare le spalle!» esclama, per poi darsi la spinta e tornare a nuotare, prima che il signor Toomey ricominci a soffiare dentro quel maledetto fischietto.

«Loveday, torna alla panca, prima che qualcun altro si fermi a fare quattro chiacchiere».

«Sì, professore». River obbedisce, tornando ad osservare i ragazzi che nuotano da lontano.

Le due ore di educazione fisica, quando ci si sposta in piscina, vengono ridotte ad un'ora e mezza di attività fisica. Cinque minuti vengono forniti agli studenti per cambiarsi e presentarsi a bordo vasca per l'appello, a inizio lezione. Mezz'ora prima del suono della campana, poi, le ragazze vengono rispedite negli spogliatoi perché si sa che a loro un quarto d'ora non basta, anche se le docce sono abbastanza per tutte; i ragazzi rimangono in vasca ancora quindici minuti, poi viene permesso loro di andare a lavarsi.

La piscina è divisa in sei corsie: due riservate alle ragazze e due per i ragazzi, divisi per classe; le rimanenti sono le cosiddette “corsie veloci”, anche se gli studenti del quarto anno le chiamano “la corsia di Luke” e “quella di Andrea Wilson”. Lì si allenano quelle persone che, il nuoto, lo prendono seriamente. E poi c'è Luke, che di fatti non la prende con troppa serietà, semplicemente gli piace nuotare ed è bravo a farlo. Il fatto che il professor Toomey voglia farlo partecipare alle gare regionali, River lo sa, lo lusinga. Luke non è un ragazzo molto sicuro di sé – non è particolarmente insicuro, ma di solito ha bisogno di conferme, prima di buttarsi e fare qualcosa. A volte si vede costretta ad ammettere che, se non ci fosse lei con loro, Luke e Calum insieme farebbero un sacco di sciocchezze. Un po' perché sono entrambe teste calde, un po' perché Luke si lascia sempre convincere un po' troppo facilmente da Cal. Considerato che Michael e Ashton non proprio quello che si definisce responsabile, se non ci fosse River a tenerli a freno, quei due sarebbero sempre nei guai fino al collo.

Allo stesso modo, se lei non avesse dimostrato tanto entusiasmo, forse Luke avrebbe rifiutato l'offerta del professor Toomey e avrebbe buttato via le proprie capacità. E sarebbe stato un peccato, indubbiamente. Poche volte lo ha visto così preso da qualcosa in tutti quegli anni di vita condivisi; quando Luke può tuffarsi in acqua e nuotare cambia completamente: è allegro, impaziente, perde tutta la pacatezza che di solito lo contraddistingue di fronte agli estranei. Non che diventi loquace ed estroverso, ma è più... disinibito. Non incurva le spalle, non tiene la testa bassa, ride apertamente quando qualcuno fa una battuta; smette di nascondersi. E a River fa piacere vederlo così: la felicità del suo migliore amico la contagia, lo ha sempre fatto.

Sorride, tornando a guardare i ragazzi nuotare. Ancora quaranta minuti e potrà riposare le orecchie dalle grida del professor Toomey.

*

Si sentono le grida del professor Toomey nel corridoio d'accesso all'ala della piscina. La professoressa Phelps, l'insegnante del quarto anno, fa una smorfia buffa e alza gli occhi al cielo: nemmeno lei sopporta più le grida di suo marito. Perché, sì, quella povera donna è costretta a sopportare Ralph Tommey persino a casa, come tutti a scuola sanno.

River abbassa la testa e cerca di trattenere un sorriso per non sembrare invadente, liberandolo poi quando la professoressa si avvia verso gli spogliatoi femminili per intimare alle ragazze di darsi una mossa.

«Ehi!» La famigliare voce di Luke le fa alzare lo sguardo, il suo sorriso si allarga e ne crea di riflesso uno simile sul volto del ragazzo.

«Già fatto?» Lo accoglie battendo una mano per terra affinché si sieda accanto a lei sul pavimento, occasione che lui accoglie al volo, lasciando cadere il borsone al proprio fianco.

«Come sempre» commenta, divertito.

Luke Hemmings è sempre il primo ad uscire dagli spogliatoi maschili. Fa una doccia rapida, si veste in fretta e furia, corre fuori con i capelli ancora bagnati ed un asciugamano attorno alle spalle. Michael sostiene che sia assurdo, Calum replica che è solo scemo, mentre River sa che Luke impiega così poco tempo semplicemente perché lui, al contrario degli altri, non ha bisogno di rilassarsi sotto il getto caldo – che diventa freddo nel giro di pochi minuti – dell'acqua: si è già rilassato in vasca. Non ha nervi da sciogliere, solo cloro da sciacquare via.

«Hai visto quella ragazza dell'ultimo anno che muore dietro a Michael?» domandò ad un tratto River, ricordandosi di un pensiero avuto durante quelle due noiose ore di nullafacenza.

Luke scrolla le spalle e: «Chi, la bruna?» domanda.

«Bruna?» River aggrotta le sopracciglia fini, scrollando il capo: «È abbastanza bionda, Luke», sghignazza. «La ragazza con la cuffia rossa che è sempre prima nella corsia delle ragazze del quinto anno. Credo si chiami Shailene, o qualcosa del genere».

Luke ha bisogno di fare mente locale, prima di ricordarsi di lei: «Ah, sì. Shae-Lee Anning. Il professor Toomey non fa che gridare a sua moglie di spostarla nella corsia veloce, ai corsi pomeridiani». Annuisce e si sente in dovere di ammettere che «È brava».

River si stringe nelle spalle. Shae-Lee è sempre la prima della sua corsia, non fatica a precedere tutte le altre; spesso la vede gareggiare con Luke, che nuota nella corsia accanto, ma non è abbastanza veloce. Per lo meno, però, ha più resistenza: sfoggia sempre un sorrisetto soddisfatto quando lui si ferma a riprendere fiato in fondo alla vasca e lei, invece, riesce a nuotare ancora per un po' senza fermarsi. Sa che Luke se ne è accorto, ecco perché sa il suo nome: non gli importerebbe di lei, se solo non fosse un tantino competitivo.

«Sì, ma è anche dolcissima. Non gli toglie gli occhi di dosso un momento, non fa che sorridere quando lui fa... be', qualunque cosa». Ride di nuovo e Luke la imita, senza sapere bene il perché.

«Ieri l'ha accompagnato in mensa» le dice.

River sorride tra sé. La trova una cosa immensamente tenera. Si vede da lontano un miglio che Shae-Lee è una ragazza dolce; si nota dai suoi sguardi rivolti a Michael, dai sorrisi alle sue amiche, dalla sua risata e dal modo in cui cede sempre il passo agli altri, quando si trova davanti ad una porta. O magari è solo una sua sensazione e non si capisce affatto, magari è una persona pessima. Ma sembra davvero, davvero dolce.

«Davvero?»

«Sì. Mickey ha detto che ha aspettato in classe che si alzasse e sono usciti per ultimi, poi sono scesi a mensa insieme. Credo proprio che non si sia accorto di piacerle».

«Lo credo anche io». River ride. «Voi maschi siete proprio assurdi!»

«Chi è assurdo, piccioncini?» Ad interrompere la loro conversazione è Calum, Lancia il proprio borsone sul pavimento come fosse una boccia da curling e questo va a schiantarsi contro River, che protesta tra le risate.

«Sta' un po' attento!» lo rimprovera Luke, un sorrisetto sulle labbra. «E smettila di chiamarci piccioncini» aggiunge.

Calum sghignazza e si appoggia al muro proprio di fronte a lui. Ha i capelli neri spettinati ed elettrizzati per via della rapida ascuigatura col phon. Ci passa una mano in mezzo e fa una smorfia, cercando di dar loro una forma decente. «Scusate, piccioncini» risponde.

Luke alza gli occhi al cielo, contemporaneamente a River. È lei a dare risposta alla domanda precedente: «Michael. Davvero non si è accorto che quella ragazza in classe con lui ha una cotta per lui?»

«Credo che presto inizierà a venirgli il dubbio, ma... no, non ne ha idea» conferma il ragazzo, alzando gli occhi a mandorla al soffitto. Poi fa una smorfia, che a River fa venir voglia di alzarsi e strizzargli le guance. Si trattiene, però, chiedendosi per quale motivo si comporti con i ragazzi come se fosse loro madre. È normale? Teme proprio di no.

«Voi maschi siete proprio...»

«Oh, sta' zitta!» la interrompe Calum, ridendo. «Voi ragazze non siete da meno, fidati» aggiunge, con l'aria di chi la sa lunga. Poi tira fuori il telefono dalla tasca, controlla i messaggi, sbuffa contrariato.

«Chi è?» domanda Luke con un sorriso sornione.

Lui storce il naso, mentre digita la risposta. «Ashton».

River cerca di nascondere un sorriso affondando il viso nel collo del maglione della divisa, sentendo quel nome, ma Luke lo nota comunque. Distoglie lo sguardo, chiedendosi perché, tra tutti, River ha dovuto prendersi una cotta proprio per un suo amico e rendere tutto così difficile. La scuola è piena di ragazzi, qualcuno persino le fa il filo e lei... lei pende dalle labbra di Ashton Irwin, lo stesso Ashton Irwin che, se proprio deve considerarla in qualche modo, la considera una seconda sorella minore.

«Chi speravi fosse?» chiede la ragazza, in tono divertito. Conosce già la risposta.

«Una ragazza!» abbaia infatti Calum, spalancando le braccia. Con quel gesto per poco non dà una manata ad un ragazzo dell'ultimo anno appena uscito dallo spogliatoio, che si premura di fulminare il neozelandese con lo sguardo. «Fa' attenzione!»

Calum si zittisce, aspetta che il tizio gli abbia voltato le spalle e poi gli fa una smorfia. River e Luke soffocano una risata. «Una ragazza!» riprende poi il suo discorso. «Perché voi siete circondati da ragazze e io, che sono oggettivamente il più figo tra voi, sono solo come un cane?»

«Io non sono circondato da ragazze» lo corregge Luke, inarcando le sopracciglia.

Calum sbuffa. «Certo, come dici tu, piccioncino».

«Cal, ma cosa dici?»

«Dico che vi odio!» sbotta il ragazzo in tono melodrammatico. «Sono una calamita per pollastre, ma tutte alla fine virano verso di voi!»

«Pollastre» ripete Luke, incredulo; guarda River e poi scoppia a ridere di gusto, nascondendo il volto tra le mani, la testa abbandonata all'indietro contro il muro.

Lei deve soffocare una risata, per riuscire a suggerire: «Prova ad invertire la polarità, ci hai mai pensato?»

Calum si fa serio e la fissa con severità. «Quindi devo passare dal non rimorchiare a rimorchiare maschi?» le domanda.

«Magari hai più successo» rincara lei, stringendosi nelle spalle.

E a questo punto Calum ha proprio l'aria di uno che sta per fare una strage – ma non di cuori –, motivo per cui River non riesce più a trattenere le risa e si accascia addosso a Luke, scossa da tremiti ilari.

«Vi odio» comunica loro allora Calum. Poi fa dietrofront, rientra nello spogliatoio e lo sentono gridare: «MICKEY! DATTI UNA MOSSA!». Questo inevitabilmente provoca un “vaffanculo” proveniente da una doccia, altri strilli del professor Toomey e altre risate da parte di Luke e River.

*

Michael si sistema lo zaino sulle spalle, mentre si guarda intorno e prende coraggio. È fermo davanti al cancello solo da pochi secondi, ma già si sente stupido. Si riordina alla bell'e meglio i capelli neri, ormai sbiaditi per via del cloro. Pensa che sarebbe il caso di tornare a tingerli, un giorno di questi. Ora però ha qualcosa di più urgente a cui pensare: sua madre ha sentito, quando raccontava ai ragazzi della proposta di ripetizioni di matematica da parte di Shae-Lee, e lo ha spedito di corsa ad accettare.

Ora Michael è davanti al cancelletto di legno bianco, probabilmente ridipinto da poco, ha lo zaino in spalla, un'espressione imbarazzata e tra le mani una scatola contenente una crostata di kiwi appena sfornata – come ha proprio dovuto specificare sua madre nel bigliettino di ringraziamento che ha riposto all'interno del contenitore.

Casa Anning è enorme, bellissima; ha proprio l'aria di essere abitata da persone schifosamente ricche. Michael si sente piccolo, sporco e fuori luogo, nonostante non sia poi così piccolo e abbia fatto una doccia prima di uscire – oltre a quella della mattina. È insignificante, di fronte a quella villetta, che sembra provenire dritta dritta da un film.

Sbuffa, raccimola il coraggio e pensa che prima entrerà e prima tornerà a casa. Quindi preme il pulsante e ascolta il suono del campanello risuonare all'interno della villa.

Bastano pochi istanti perché Shael-Lee, i capelli raccolti in una treccia lenta, spalanchi la porta. Lo saluta con un sorriso a trentadue denti, ricambiato da Michael con uno stiracchiato, e corre attraverso il giardino. «Ciao!» trilla con entusiasmo. «Sono proprio contenta che tu sia venuto!» confessa, mentre apre il cancello e gli si para davanti. Per un attimo sembra voglia gettargli le braccia al collo, ma poi si ferma. Ridacchia, in imbarazzo e si fa da parte: «Avanti, entra».

Michael si schiarisce la voce, cerca di sorridere, ma si sente in imbarazzo. Stava davvero per abbracciarlo o è stata una sua impressione? Ora non importa, comunque. «Grazie a te. E, ehm, qui c'è una crostata di kiwi. Ho provato a spiegare a mia madre che è assurdo presentarsi a casa di qualcuno con una crostata di kiwi, ma...» fa una smorfia e lascia la frase in sospeso.

Shae-Lee sgrana gli occhi, e «Wow!» trilla, davvero grata. «Okay, ammetto di non averne mai mangiata una, ma scommetto che è buona. Ecco, dalla a me» propone. Gli prende il contenitore dalle mani e «Grazie, non ce n'era bisogno. Ringrazia tua madre» aggiunge con un sorriso dolce, mentre gli fa strada attraverso il giardino fin dentro casa.

L'interno è molto meno appariscente di quanto Michael avrebbe pensato. Pavimenti di legno, mobili chiari, fotografie alle pareti, cianfrusaglie con le mensole; il tutto non è molto diverso da casa sua.

Shae-Lee entra in cucina e lui la segue; prende tre piatti, un coltello e tre forchette, poi le impila sul contenitore della crostata e si riavvia, reggendo il tutto tra le braccia. Trotterella lungo un corridoio, sale le scale saltellando e Michael è davvero tentato di chiederle se non sia meglio che li porti lui, i piatti, ma per qualche motivo non lo fa. Se ne pente quando, inevitabilmente, all'ultimo gradino la ragazza inciampa e rovina sul pavimento di legno battendo le ginocchia. «Oh cavolo» si lamenta lei, mentre le forchette rimbalzano sul pavimento. Lui ha il dubbio che sia più preoccupata per le posate che non per le proprie gambe.

Michael la guarda, impiega un paio di secondi per capire cos'è successo e poi si china su di lei, cercando di evitare che lo zaino le colpisca la testa. «Ehi! Tutto bene?»

«Sì, sì, tutto okay» risponde, imbarazzata. Ridacchia, mentre appoggia sul pavimento torta e piatti per poi rialzarsi.

Michael le porge una mano e l'aiuta a tirarsi su, la guarda con preoccupazione.

Shae-Lee arrossisce vistosamente sotto il suo sguardo, sente le farfalle nello stomaco, le spunta spontaneo un sorrisetto felice. Si sente stupida, ma allo stesso tempo non può fare a meno di essere al settimo cielo, nonostante senta – attutito – dolore alle ginocchia: Michael si sta preoccupando per lei ed è più di quanto si aspettasse. È sempre così distaccato che era convinta non gli importasse nulla.

Ci mette un po' per riscuotersi, nel frettempo Michael si è sistemato i capelli e anche lo zaino sulle spalle. «Io...» Shae-Lee abbassa lo sguardo, sorride e poi dice: «Vado a prendere delle forchette pulite. Mia sorella è là» indica la porta socchiusa in fondo al corridoio. «Torno subito».

Michael sgrana gli occhi. Non vuole rimanere da solo con una sconosciuta, specie se si tratta di una ragazza più grande che non ha mai visto in tutta la sua vita. Ferma Shae-Lee mettendole una mano sulla spalla, mentre cerca di correre di sotto: «Non importa per le forchette, vanno bene».

Lei si acciglia, poi scoppia a ridere. «No» dice, arrossendo ancora un po'. «No che non vanno bene. Porta queste cose di là, mia sorella ti dirà dove appoggiarle». Prima che lui possa protestare di nuovo, Shae-Lee gli ha già lasciato in mano tortiera e piatti e sta correndo al piano di sotto.

Michael la guarda scendere, trattiene il fiato quando la vede inciampare di nuovo sull'ultimo scalino, la ascolta ridacchiare e abbozza un sorrisetto divertito. Shae-Lee è una ragazza bizzarra e non ci piove. Quando infine si ritrova solo, non sa bene cosa fare; è tentato di aspettare lì il suo ritorno, poi però la porta della stanza indicatagli da Shae-Lee si apre.

È la voce a precedere la ragazza con gli occhiali e corti capelli castani: «Shae, ti è sei di nuovo ammazzata per scale?» sta chiedendo, quando poi nota Michael e corruga la fronte. «Ciao. Tu sei il ragazzo delle ripetizioni, immagino».

Lui annuisce e si schiarisce la gola. «Sì. Michael» si presenta. Fa per porgerle una mano, poi si accorge di non riuscire a far stare tutte le cose che sta reggendo su una sola mano, quindi abbozza un sorrisetto di scuse.

La ragazza borbotta qualcosa che Michael non riesce ad afferrare a proposito della sorella, poi si avvicina sorridendo e gli toglie i piatti dalle mani. «Io sono Kerrie, la secchiona di famiglia» gli annuncia, ridacchiando. «Vieni di là, su».

*

Quasi tre ore e tre quarti di crostata di kiwi dopo, Karrie chiude il libro di matematica e alza gli occhiali sulla testa. «Non ne posso più, basta, vi prego» implora, lasciandosi cadere contro lo schienale della sedia.

Michael ridacchia; non potrebbe essere più sollevato di così all'idea di smettere di studiare matematica.

Shae-Lee lancia un'occhiata al ragazzo, poi si rivolge alla sorella, ricacciando indietro una risatina che le incrina la voce: «Noi non vedevamo l'ora, ad essere onesti». E, sì, lui pensava esattamente la stessa cosa.

Kerrie alza gli occhi al cielo ed estrae dalla custodia degli occhiali la salvietta per pulirli. È mentre strofina le lenti che scuote il capo con aria grave. «Voi ragazzi d'oggi non capite il fascino della matematica. Che razza di hobby avete?»

Shae-Lee incrocia le braccia e piega la testa da un lato, con aria battagliera. «Fascino della matematica» ripete con sdegno e incredulità. «Sei sicura che siamo noi ragazzi d'oggi ad avere hobby strani?» domanda, mimando le virgolette mentre pronuncia l'appellativo dato loro dalla sorella.

«Sicurissima. Ai miei tempi, la matematica era amata da...» si blocca a metà frase.

«Nessuno!» completa Michael, che già sta ridendo.

Kerrie è costretta ad ammettere con un sorriso che «Sì, non hai tutti i torti». Poi, prima che lei possa dire qualunque altra cosa, un telefono inizia a squillare – squillare davvero: la suoneria è il classico 'drin-drin', niente canzoni, niente Marimba. A Michael viene da sorridere, senza un motivo preciso.

La ragazza si alza, si scusa e risponde, affacciandosi alla finestra per non dar fastidio e poter allo stesso tempo parlare in pace.

Shae-Lee osserva Michael versarsi un bicchiere d'acqua e bere, dandosi della stupida quando lui la sorprende a fissarlo; arrossiscono entrambi, distolgono lo sguardo e sorridono. Pensa che, se solo fossero in un film, la cosa sarebbe tremendamente tenera, mentre nella realtà è solo imbarazzante e patetica. A volte le piacerebbe che la vita fosse un film, uno di quelli belli, però, che le fanno piangere tutte le sue lacrime quando li guarda con Debbie, uno di quelli che riescono a commuovere persino lei, anche se non si abbasserebbe mai a singhiozzare.

Bastano un paio di minuti di imbarazzato silenzio, durante i quali Shae-Lee finisce un pezzo di torta e Michael sfoglia con disinteresse il libro di matematica, quasi digustato, perché Kerrie torni tra loro. Sbuffa, poggia il telefono sul tavolo e si lascia cadere sulla sedia di poco prima. «Potrei iniziare ad odiare Kyle, sai Shae?» sbuffa. Le sue mani corrono alle tempie per massaggiarle.

«Che succede?» domanda l'altra.

Michael per un attimo si chiede se sia il caso di preoccuparsi, ma l'aria annoiata di Shae-Lee gli fa cambiare idea. Continua a far balzare lo sguardo tra l'una e l'altra, mentre parlano, vagamente incuriosito dalla situazione.

«Pare che che quei cretini dei “Rewind” si siano sciolti».

Shae-Lee sgrana gli occhi. «Un'altra volta?»

«Evidentemente non si erano riallacciati abbastanza bene». Kerrie ridacchia per il gioco di parole, mentre la sorella nasconde il divertimento dietro uno sbuffo. «È la terza volta negli ultimi due mesi che succede» spiega poi la maggiore a Michael, per evitare che si senta tagliato fuori dalla conversazione. «Sono la band che dovrebbe garantire intrattenimento al Denim Pub, ma sembra che quegli idioti non riescano a non litigare come bambini per ogni sciocchezza».

«E ora?»

«E ora Kyle mi telefonerà ogni venti minuti per ricordarmi quanto sia disperato. Come se potessi trovargliela io, una band alternativa! Qualcuno sa spiegarmi perché ho un ragazzo così frignone?»

Michael ride, ma si zittisce quando Shae-Lee si volta di scatto verso di lui, con un'aria così entusiasta che lui non può che spaventarsi. «Che c'è?» gli viene automatico domandare, ma lei sta già parlando con sua sorella.

«Forse ce l'hai, una band alternativa per Kyle!»

Kerrie sembra davvero interessata a quell'osservazione, oltre che naturalmente sorpresa. «Ah, sì? Ce l'ho?»

«Sì! Mickey, tu e i tuoi amici non avete una band?» È così entusiasta dell'idea che ha avuto che quasi non si rende conto di averlo appena chiamato con un nomignolo, nemmeno fossero amici da sempre.

Lui si sistema i capelli, a disagio. «Noi... be', sì. Sì». Il discorso sta prendendo una piega strana: gli stanno davvero proponendo di far esisbire la band in un locale? Nella sua testa sente già Ashton e Calum gridare: “Sì, Michael! Cazzo sì, accetta!”.

Kerrie a questo punto si illumina; dalla sedia si sporge sul tavolo verso di lui, gli occhi sgranati per la speranza dietro gli occhiali dalla montatura leggera. «Davvero? Che genere di musica fate?»

«Pop, rock. Soprattutto cover, per il momento» risponde. È un po' incerto, questo è evidente, ma Kerrie non si scoraggia.

«Tu...» sospira, poi scuote il tavolo. «Se ti do il mio numero, ti va di parlarne con gli altri e poi farmelo sapere? Come vi chiamate? Intanto accenno qualcosa al frignone».

Michael è spaesato. Si guarda attorno, vede Shae-Lee in preda al più folle entusiasmo, e torna a guardare la sorella, che non potrebbe sembrare più speranzosa di così. Sa che si tratta di una grande opportunità, ma sta accadendo tutto troppo in fretta ed è tutto nelle sue mani. Non la vuole questa responsabilità, ma non vorrebbe nemmeno mai tarpare le ali ai ragazzi. «Noi... non ce l'abbiamo, un nome. Ci stiamo ancora lavorando».

«Non importa, lo troverete. Evitate “Rewind”, perché è evidente che porti sfiga. Ma mi assicuri che siete bravi? Mi fido di te».

«Noi... be', ce la caviamo abbastanza bene».

«Mi stai salvando dalle continue lagne del mio ragazzo, come posso ringraziarti?»

Michael ride. «Mi sa che sono io a doverti ringraziare».

*

Appena torna a casa, Michael prende il cordless domestico e telefona a casa di Ashton. È il suo fratellino Harry a rispondere e, mentre lui gli fa la telecronaca di quello che stanno facendo i protagonisti del cartone animato che sta guardando, in attesa che Ashton alzi il sedere dal letto e scenda le scale per andare a rispondere, lui pensa che quel pomeriggio non è stato affatto male. Matematica a parte, Kerrie e Shae-Lee gli sono simpatiche. Si è addirittura divertito, nonostante, specialmente all'inizio, si sentisse un po' in imbarazzo. La sua compagna di classe è un vulcano di energia, sembra non riuscire proprio a stare ferma o zitta o concentrata sull'esercizio che sta svolgendo. È buffa e divertente, di ottima compagnia; un po' come Ashton – che non si muove a rispondere al telefono –, solo meno esibizionista e più... femmina.

«Heilà!» La voce di Ashton nella cornetta quasi lo fa sobbalzare, si era abituato alla vocetta monotona e allegra di Harry come sottofondo per i propri pensieri.

«Ash, conosci il Denim Pub?»

«Mai sentito nominare».

Michael ride. «Perfetto, nemmeno io».

«Perché? Cos'è?»

«Un pub. Pare che serva loro musica dal vivo e la sorella di una mia compagna vorrebbe sapere se siamo disponibili».

«Mickey, sì! Cazzo sì! Hai accettato, vero?»

Esattamente la reazione che Michael si aspettava. Sorride. Ora non ha più dubbi riguardo alla grandiosità della faccenda. Il bello di Ashton, pensa, è che il suo entusiasmo è contagioso almeno quanto la sua risata ed entrambe garantiscono al cento per cento il buon umore del resto della band. È incredibile, quasi: forse potranno passare da suonare nel garage degli Irwin ad avere un vero pubblico. Un pubblico di persone e non di attrezzi arrugginiti, barattoli di olio e vernice e la vecchia bicicletta di Ashton. Cazzo sì.




Buon salve! :D
Scusate il ritardo, ma ultimamente sono in fase di cambiamento, ho un umore che altalena tra il -20 e lo 0.3 in una scala da uno a dieci e non sono riuscita a scrivere proprio per niente. In compenso questa sera sono un po' più tranquilla e ho pensato di postare questo capitolo, già pronto da un po'. Chiedo scusa perché non l'ho riletto - non tutto, almeno - e se dovessero esserci problemi, ditemelo e cercherò di correggere.
Se è esageratamente lungo - non so, esattamente, quante pagine "normali" siano, ma con il formato del mio OpenOffice sono troppe XD- la colpa è del fatto che nella prima metà sembra non succedere assolutamente nulla. Tante parole e poco contenuto. Ew. Non starò a lamentarmi, perché già vi avevo avvisato che l'avrei scritta un po' alla buona solo per rilassarmi. XD
Spero che comunque a qualcuno sia piaciuto. :) Ammetto che tutta la prima parte sulla piscina - che è anche la parte più inutile - è la mia preferita. :3
Bene, me la squaglio. Grazie di essere arrivate fin qui! :D
Per qualunque domanda, chiacchiera, curiosità e insulto, mi trovate QUIQUI e QUI
 

  
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