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Autore: Mary143    03/10/2013    2 recensioni
April è solare, espansiva e popolare. Tutti l'adorano, o almeno è quello che dicono. Poiché, quando lei volta le spalle, gli insulti non tardano ad arrivare. Sua sorella Charlie, invece, è quasi il suo opposto: timida, nessun amico (esclusi quelli virtuali, s'intende) e la vittima preferita dai bulli della scuola - April compresa.
Le due sorelle hanno solo un paio di cose in comune. In primis: il complesso d'inferiorità che viene nascosto dalla prima con la ricerca di continue attenzioni, e dalla seconda con l'aggressività. E come secondo punto la cotta per il nuovo alunno, un giovane promettente che attirerà l'attenzione di entrambe le sorelle, diverse ma simili come il sole e la luna.
Genere: Comico, Erotico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 3
Capitolo 3
Le sorelle Allen

Allen Charlie spense il portatile con il cuore a mille. Era stata ad un passo dal rivelare al ragazzo nuovo il suo segreto. Gli occhi nocciola schizzavano da un lato all'altro della stanza, agitati, e le mani erano strette al bordo della scrivania. Erano le undici di sera. Il libro aperto e l'evidenziatore stappato le ricordarono che, fino a un quarto d'ora prima, stava studiando. Era tardi per continuare. Era presto per andare a letto. April non sarebbe tornata prima dell'una di notte, però lei aveva sonno.  E se ai genitori fosse venuto un dubbio, un dubbio come "Le mie figlie stanno bene?" e fossero andati a controllare? Avrebbero trovato Charlie, addormentata, senza April. April non l'avrebbero trovata. No, non poteva addormentarsi. Se i genitori avessero scoperto che April era fuori casa, quest'ultima avrebbe spifferato il segreto di Charlie senza pietà. E la secchiona non poteva permettersi che ciò accadesse.
Si buttò sul divanetto, in camera sua, e strinse un cuscino con una mano, mentre con l'altra prendeva il cellulare. Si mordicchiò le unghie, indecisa sul da farsi, e alla fine cedette alla tentazione.
Ciao, scrisse.
Pensavo non volessi più parlarmi.
Ho bisogno di sentire la tua voce.
Anch'io.

La chiamata arrivò subito. Esitò. Aveva sbagliato a scrivere quel messaggio, ma ormai... aveva ceduto.
Rispose. «Pronto».
«Ehi, mia piccola secchiona».

Intanto, April Allen si stava scolando l'ultimo bicchiere di quello che i suoi amici credevano fosse vodka, ma in realtà era acqua con zucchero. Aveva chiesto al bar di prendere davvero acqua con zucchero, e poi agli amici aveva raccontato di essere riuscita a farsi dare gli alcolici, nonostante la minore età, promettendo al barista di mostrargli le gemelline. Erano dei tali coglioni. Credevano ad ogni balla che lei raccontasse loro, come dei piccoli cagnolini che credono che il proprio padrone gli abbia lanciato il bastone quando invece ce l'ha nascosto dietro la schiena. Avrebbe voluto roteare gli occhi e sbuffare, ma tutti gli sguardi erano su di lei e ad un certo punto qualcuno se ne sarebbe accorto. Era seduta su un muretto accanto al loro tavolino mentre tre menomati (i quali non valgono nemmeno la pena di essere presentati) ed una ragazza, Lexy, la fissavano e ridevano alle sue battute. Lexy frequentava la seconda liceo e faceva tutto ciò che April le chiedesse. Una volta si era pure messa una gomma fra i capelli sotto richiesta della Allen numero uno ed aveva dovuto tagliarseli veramente molto corti, come un maschio. April, che era una stronza di dimensioni colossali, le aveva suggerito di tingersi i capelli di un biondo platino e di iniziare a mettere tanta matita nera, perché ciò l'avrebbe decisamente resa più trasgressiva. La faceva addirittura vestire come una rocker affinché il suo piano funzionasse totalmente. Ad ogni modo, aveva avuto ragione. Ogni volta che facevano qualche cazzata in giro (rompere qualche cassetta della posta, qualche finestra, rubare qualcosa dalla casa di uno che aveva appena fatto un party) e la polizia li beccava in pieno, quella che ci rimetteva era Lexy perché era l'unica del gruppo che ispirava ribellione. Tutti gli altri (maschietti insulsi compresi) erano bravi ragazzi vestiti bene, senza tatuaggi e piercing che venivano da buone famiglie e che quindi dovevano essere per forza persone civili.
«Beh, andiamo» suggerì allora April, quando tutti ebbero finito la loro acqua allo zucchero, scendendo dal muretto e facendo un segno verso l'uscita. I tre cagnolini e la ribelle la seguirono, scherzando e facendo strane battute a cui nessuno avrebbe riso se avessero saputo che non erano davvero ubriachi. Ma insomma, come si suol dire, la convinzione è la migliore delle condizioni, ed in questo modo tutti continuarono a fingere, o comunque a credere, di essere ubriachi marci. Verso l'uscita, April salutò il barista con un occhiolino, facendolo letteralmente scoppiare a ridere alla vista dei cinque che traballavano e tiravano fuori il meglio o, più precisamente, il peggio di loro, sotto l'assoluta convinzione di essere sotto l'effetto dell'alcol.
«Ehi, Prillie!» esclamò uno dei cagnolini (Prillie in teoria era un soprannome che avevano inventato guardando Peter Pan, a causa della somiglianza della ragazza col volto dolce ed i capelli biondi di Trillie), «non dobbiamo pagare?».
Quando lei aveva chiesto l'acqua con lo zucchero al barista, lui aveva esclamato, sempre in un attacco di risate, che «Offre la casa!», mentre le avvicinava i drink. April balbettò un momento, alla ricerca di una scusa. Ma essere goffa non era il suo forte. Lei aveva sempre la risposta pronta.
«Dopo che gli ho mostrato queste» ed indicò i seni con entrambe le mani, fieramente, «non ha più voluto farmi pagare».
Uscirono così dal locale affollato, continuando a ridere. Esattamente come degli adolescenti dovrebbero fare: divertendosi.
Nonostante la compagnia di quei cretini, come li chiamava lei, doveva ammettere di divertirsi assieme a loro e di gradire il fatto che l'ammirassero così tanto. Perché in fondo lei non era migliore.

Tornò a casa verso le tre del mattino. E no, non sarebbe entrata dalla finestra come una squallida intrusa. April Allen aveva un metodo tutto suo per evitare di venir scoperta. Prima di tutto, non faceva come gli altri ragazzi. Beh, sì, quando fingeva di dormire ed i suoi venivano a controllare che andasse tutto bene, indossava i vestiti con cui sarebbe dovuta uscire. Un cliché. Però sotto quelle diavoliche vesti indossava un pigiama. Ebbene sì! Una volta davanti alla porta di casa, al ritorno, si toglieva i vestiti e si struccava, dopo aver sciolto i capelli e averli un po' arruffati con una mano, e rimaneva così. Apriva la porta e andava dritta in camera. Una volta sua madre l'aveva trovata davanti all'ingresso. Pensava di averla colta in fallo ma quando accese la luce davanti a lei apparse la figlia decisamente assonnata che mormorava qualcosa come "Ho sentito uno strano rumore... Ora torno a letto" e ignorandola, con fare da innocente, la superava sulla soglia delle scale e si metteva a letto.
Quella volta la procedura andò a buon fine, senza nessun intoppo o genitore pronto a fare domande. Entrata in camera trovò Charlie che dormiva beatamente (se avesse fatto saltare la sua copertura l'avrebbe uccisa), con i capelli castani sparsi sul cuscino, un sorriso d'incanto sul volto ed... il cellulare a terra? Lo afferrò. Guardò il display. "Chiamata conclusa con Falegname2".
«Porca puttana, Charlie!» e con uno scossone svegliò la sorella.


***

Eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo. Spero vi piaccia. Grazie per aver recensito e aver messo la storia tra le seguite e le preferite.
Vi ringrazio infinitamente! Spero di non deludervi.

Mary143


  
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